Capitolo 4
Non me la ricordavo così grande questa città, ci ero stata una volta in gita scolastica alle medie con Ani e David ma la nostra priorità non era stata ammirare le bellezze che questa aveva da offrire. Ora ero stregata da tutto quello che vedevo, una città che sembrava ferma nel tempo, i suoi palazzi colorati, in stile coloniale, rispecchiavano la sua antichità e la sua storia, ma allo stesso tempo sembrava essere fuori dal mondo. Era facile essere trascinati dal folklore che permeava ogni angolo di strada, sembrava così viva, ed era proprio quello che mi serviva. Questo viaggio era il mio nuovo inizio, il punto dal quale ripartire.
All'inizio non avevo preso bene l'intromissione di mia mamma, era una questione di principio, odiavo che mi venissero imposte le cose, avevo dovuto sbattere la faccia contro la realtà per capire quanto questo fosse il passo giusto da fare, per me, per la mia vita, per il mio futuro, e anche per la tranquillità delle persone che mi volevano bene. Capii che non era un'imposizione, ma un aiuto, mia madre mi aveva lanciato un salvagente ed io mi ci dovevo aggrappare per restare a galla.
E così eccomi qua, a guidare una stratosferica Hyundai Tucson, color rosa antico metallizzata, la stupenda macchina di Kate, me l'aveva gentilmente prestata dopo che la mia fiat sgangherata dell'anno zero, mi aveva abbandonata. Mi sentivo un po' come i cani che vanno in macchina e se ne stanno con il muso appiattito contro il finestrino a guardare il paesaggio con meraviglia e stupore. La città più antica e grande dello stato, 361 km², era tre volte più grande di Bluffton, e con i suoi 135000 e passa di abitanti superava la mia città natale di 10 abitanti a 1, era solo a un'ora di distanza da casa mia, ma sembrava di essere atterrati nel paese delle meraviglie, adoravo ogni particolare che mi saltava all'occhio, il quartiere francese, i giardini ben curati, il lungomare, tutto era uno spettacolo per gli occhi.
Ero di cammino al mio alloggio temporaneo, un piccolo appartamentino che dopo tante ricerche avevamo scovato su internet io e Kate, ci era da subito sembrata la scelta migliore. Non me la sentivo di alloggiare al campus, ero ormai troppo grande rispetto alle matricole, avevo solo 20 anni ma abitavo da sola da un po', adoravo la mia indipendenza e non volevo condividere i miei spazi con studentesse scapestrate che portavano ragazzi in camera e appendevano fuori dalla porta la loro biancheria intima, come fosse un cartello "non disturbare".
Avevo poco tempo per sistemare le mie cose, i corsi sarebbero iniziati l'indomani, avrei dovuto trasferirmi almeno una settimana prima per ambientarmi, ma i preparativi, le raccomandazioni a Kate per la gestione della libreria e la scelta di un'aiutante per lei, mi avevano rubato più tempo del previsto. In ogni caso, di solito non ero una che aveva problemi ad ambientarsi, almeno non a questo tipo di cambiamenti... non dovevo pensarci, il brutto doveva rimanere dall'altra parte del cartello "Benvenuti a Charleston".
Il navigatore mi stava indirizzando sulla strada giusta, mi abbassai sul volante per leggere bene l'insegna stradale in alto, sì, era questa la Legare St. ed ecco il numero 38, si sviluppava su due piani ed era dipinta di bianco con il tetto spiovente. Sul sito avevo letto che era composta da quattro appartamenti, il mio era al piano di sotto quello più vicino alla strada. Fu un sollievo constatare che era proprio come nelle fotografie, era una gradita novità, spesso negli annunci immobiliari venivano caricate foto vecchie o ritoccate, fasulle per la maggior parte. Accostai vicino al marciapiede e uscii, il proprietario di casa mi aveva scritto un messaggio in cui mi comunicava che avrei trovato le chiavi dell'appartamento nella cassetta della posta. Le trovai, e subito notai il portachiavi, era uno di quei souvenir con la scritta "Benvenuta" e l'immagine della città come sfondo, l'ospitalità del sud si faceva sentire.
Entrai in casa e lasciai le ultime borse vicino all'ingresso, ci erano voluti ben tre viaggi per trascinare tutte le valigie che mi ero portata, ci avevo infilato dentro l'impossibile e sapevo anche il perché, volevo evitare di tornare a Bluffton almeno per un po', mi sarebbe mancato l'affetto dei miei genitori e di Kate ma era meglio per tutti.
Mi buttai a peso morto sul divano, ero madida di sudore avevo scelto una giornata caldissima per fare il trasloco, ero stanca morta. Mi si prospettava una nuova sfida: attraversare il piccolo corridoio che separava il salone con angolo cottura dalla zona notte, buttarmi sul materasso e vegetare fino al giorno successivo (piccolissimo appunto da fare, erano ancora le 14:00 e già pensavo di andare a dormire) o in alternativa, farmi una doccia, tra l'altro più che necessaria, per poi andare al bar che avevo intravisto poco più avanti. Scelsi la seconda opzione; a convincermi fu la prospettiva di farmi una massiccia dose di caffeina, in casa non c'era niente, nemmeno il caffè, era necessario fare la spesa, ma avrei dovuto arrangiarmi fino al giorno dopo. Feci una veloce doccia nel mio personale bagno per le bambole, aveva l'accesso direttamente dalla camera da letto, piccolo ma bellissimo e ovviamente di colore rosa, fu quel dettaglio a convincere Kate e me che si trattava della casa giusta, indossai un paio di shorts di jeans e una t-shirt bianca con la scritta "sono single per legittima difesa", quando l'acquistai mi sembrò molto adatta alla mia situazione sentimentale. Uscii di casa, attraversai la strada e camminai fino al bar, quando entrai il campanello trillò portandomi indietro nel tempo e la nostalgia prese il sopravvento, Ani aveva ragione, dovevo imparare a trasformare questo sentimento in gioia, dovevo fare questo percorso e dovevo impegnarmi perché volevo ricordarla con piacere non con dolore, avrei soltanto sporcato una cosa bella, la nostra amicizia.
Dopo aver ordinato un caffè extralarge e pancake salati mi sedetti al tavolo più appartato, quello che aveva la vista migliore sulla strada ed era nascosto dal resto dei clienti.
L'indomani sarebbe stata una giornata impegnativa, ormai erano più di due anni che non toccavo un libro per studiare e nemmeno scrivevo una delle mie storie, mi spaventava un po' l'idea di espormi in questo modo al giudizio altrui e di non essere all'altezza delle aspettative, era una delle università più quotate al sud degli Stati Uniti, chissà che avevano visto in me, nelle mie storie eccentriche da ragazzina annoiata, ero tentata di pensare che mia madre avesse aggiunto ai moduli d'iscrizione una lettera in cui pregava l'università di fare un'opera di carità nei miei confronti.
<<Non vorrei essere nei suoi panni.>> una voce dolce ma al contempo virile mi distolse dalle mie elucubrazioni mentali.
<<Scusa?>> domandai confusa al ragazzo bellissimo che era fermo in piedi vicino al tavolo, beh! Ragazzo per modo di dire, era un uomo, alto, con i capelli castani un po' lunghi sulla fronte, i lineamenti perfetti e gli occhi neri, non ne avevo mai visti di così oscuri, non credevo nemmeno potessero esistere.
<<Stai maltrattando il cibo! Non so cosa possa averti fatto ma sono certo che ci siano altri metodi meno dolorosi.>> chiarì lui facendo cenno con la penna che aveva in mano verso il mio piatto, dove un pancake martoriato chiedeva pietà, oh! Aveva ragione, ma ovviamente non lo dissi a questo stupendo esemplare di "estraneo".
<<E dimmi, in che modo la violenza che esercito sul cibo è affare tuo?>> bello ma leggermente impiccione.
<<Assolutamente in nessuno>> appunto! <<mi sono avvicinato al tavolo solo perché di solito occupo questo posto.>> aveva un accento inglese molto marcato, rendeva ogni parola che usciva dalla sua bocca misteriosa, esotica, ero tentata di chiedergli di dire "acido desossiribonucleico" ero certa che pronunciata da lui questa frase avrebbe avuto la melodia di un sonetto di Shakespeare <<Posso sedermi?>> domandò, e anche se avrei voluto continuare a consumare il mio "pranzo" da sola, l'aspettativa nella sua voce mi convinse a cedere, non ero poi così stronza. Gli feci un gesto con la mano per invitarlo a prendere posto, e lui non esitò un attimo ad accomodarsi di fronte a me.
<<Mi chiamo Liam.>> lui ovviamente non era per il silenzio, si presentò e quando vide che non avevo intenzione di rendergli la vita facile disse <<E di solito questa è la parte dove tu dovresti dire "piacere io sono Genoveffa">> disse questa frase imitando in maniera ridicola la voce di una donna, ed io non seppi trattenere una risata, era simpatico, di sicuro rimorchiava tanto con il senso dell'humour... ma che dico, solo guardando quegli occhioni del colore della pece ci sarebbero stati svenimenti di massa, quei due pozzi oscuri sembravano le porte d'ingresso del girone dei lussuriosi, anche se un po' mettevano i brividi.
<<Mi chiamo Abbie.>> cedetti.
<<Uff! Meno male Genoveffa non era un granché come nome, mi hai tolto dall'imbarazzo di doverti dire una bugia al nostro primo incontro, Abbie è un bel nome, è il diminutivo di?>> già pensava che ci sarebbero stati altri incontri?
<<Abigail.>>
<<Come Abigail Austen?>>
<<La conosci?>> domandai sinceramente stupita.
<<Ma con chi pensi di avere a che fare, ovvio che la conosco, mi sento quasi offeso, che idea ti sei fatta di me?>> di certo non mi aspettavo che dietro quel bel pezzo d'uomo si nascondesse anche un cervello, gli uomini appassionati di lettura che avevo conosciuto si potevano contare sulle dite di una mano e mi avanzavano delle dita, per l'esattezza cinque, aveva appena stravolto i miei pregiudizi contro i bei ragazzi. Recuperai un po' della mia solita spavalderia e gli risposi.
<<Un'idea me la sono fatta eccome!>>
<<E sentiamo, un po' mi fai paura sappilo.>>
<<Un ragazzo un po' impiccione e con comportamenti abitudinari>> indicai il tavolo dove di solito si sedeva <<che non ordina niente>> aveva tra le mani solo un'agenda e una penna, niente caffè o altro <<a cui piace usurpare i tavoli altrui e a cui piace prendere le difese dei pancakes, ho dimenticato qualcosa?>>
Lui sorrise mentre scuoteva il capo.
<<Hai una bella lingua pungente, eh?>> disse quasi compiaciuto del fatto che gli stavo tenendo testa, per me rispondere per le rime non era mai stato un problema ma sembrava che a lui non capitasse molto spesso di essere sfidato <<Sei nuova da queste parti? O sei solo di passaggio?>> continuò con l'interrogatorio, ma questa domanda stroncò il mio buon umore.
<<Starò in città per un po'.>> risposi abbassando il capo per nascondere il disagio causatomi dalla sua domanda, non volevo continuare a pensare al motivo che mi aveva portato a fuggire della mia città, al mostro che aveva dato inizio a questo inferno, mi augurai che stesse soffrendo tanto quanto lo facevo io ovunque lui fosse. Continuai a mangiare, ma sentivo i suoi occhi su di me, scavavano sottopelle in cerca di risposte o di una reazione, aveva certamente intuito che, anche se non volevo parlare, avevo cose da dire, tante cose da dire, ma non ero disposta a parlarne con uno sconosciuto. Quando bevetti l'ultimo sorso del mio caffè mi alzai.
<<È stato un piacere Liam.>> e me ne andai senza aspettare la sua replica.
Non appena misi piedi in casa mi sedetti sul divano, e buttai fuori il respiro che avevo trattenuto da quando ero letteralmente scappata dal bar. Liam era stato una bella distrazione per qualche minuto, aveva tirato fuori la "me" battagliera di un tempo, quella che doveva avere l'ultima parola in ogni discussione. Lui era bellissimo, sembrava un Lord inglese, con quella cadenza, con quei tratti che potrei definire aristocratici, un uomo raffinato, elegante anche in jeans e camicia bianca con le maniche arrotolate sugli avambracci, indossava quegli abiti con la classe di chi porta uno smoking. Non mi aveva infastidito anzi era stato molto educato, ero io che non ero dell'umore adatto per lasciarmi andare a nuove conoscenze, non sapevo se le sue intenzioni erano solo quelle di provarci o solo di essere simpatico ma era arrivato nel momento sbagliato, anzi nell'anno sbagliato. Non molto tempo fa tra le sue braccia mi ci sarei buttata prendendo anche la rincorsa, tanto David non mi filava di striscio, ma poi era arrivato Tom che con il suo fare da maschio alfa ma allo stesso tempo giocoso aveva incasinato la mia testa, per non parlare del mio cuore, che era momentaneamente fuori servizio dopo la batosta finale datami proprio dalla recente perdita.
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