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-8-

Nel quartiere sgangherato in cui Eren viveva, veniva quotidianamente sottoposto agli sguardi avvelenati degli abitanti del posto, consci dell'indole incendiaria di quel giovane. "Il rissaiolo" l'avevano denominato, ed il modo in cui l'aveva scoperto dimostrava quanto, nella realtà dei fatti, quell'attributo non gli appartenesse in alcuna maniera.

-Capito fra'? Mia nonna ha detto che la vecchia rattrappita che abita nel palazzo di Jean... aspe', come si chiamava?- aveva appena iniziato la narrazione e già si era interrotto, smarrendosi in un dedalo di pensieri come al solito. -La signora...Goul, Geil...-

-Gaillard, Connie, non è tanto difficile.- lo rimbeccò il biondo, mentre si stendeva su un asciugamano d'occasione usato per rilassarsi al parco, approfittando del cielo limpido di un caldo giorno di sole. Doveva essere della piccola Mikasa, dati gli unicorni e le figure femminili stampate sopra, con tanto di bacchette alla mano tempestate di stelle e cuori.

-Esatto!- esclamò mentre si colpiva col palmo la coscia, rivolgendo poi uno sguardo divertito ad Eren che, cannuccia azzurra alle labbra, sorseggiava indisturbato il suo frappè al cocco.

"Il rissaiolo": ecco la nuova etichetta che avevano attaccato alla schiena dell'unico che in quel quartiere - senza annoverare Jean e Connie - non fosse in grado di far male neanche ad una mosca.

Come era finito a farsi considerare così?

Ciononostante, Eren riconosceva di non essere armato neanche di una sconfinata pazienza, anzi, essa pareva essersi assottigliata col tempo, camminando di pari passo con la frustrazione che le angherie subite avevano comportato. La risposta - e questo avrebbe dovuto riconoscerlo - era stata la violenza in certe occasioni, ma il giovane Jaeger proprio non riusciva a trovare uno strumento di ugual portata in grado di infliggere dei danni che non fossero calci e pugni. Come avrebbe dovuto rispondere, quando si era ritrovato messo all'angolo senza alcuna motivazione valida?

All'inizio, quando era ancora troppo ingenuo per poter controbattere a quel modo, si era limitato a subire, iniziando a nutrire una rabbia cieca nei confronti dei suoi aguzzini e di se stesso, maledicendosi di non essere in grado di difendersi. Poi, la situazione era mutata quando un giorno uno dei suoi compagni di scuola aveva insultato sua madre senza una ragione apparente, una beffa che poi era sfociata in allusioni a sua sorella più piccola. La sola idea che qualcosa sarebbe potuta accadere a Mikasa, era stata valida per gettargli le braccia al collo ed atterrarlo, tempestandolo di pugni.

"Il rissaiolo". Forse era vero, era un violento che si lasciava accecare dalle emozioni, lasciandosi pilotare da esse; o forse, semplicemente, si trattava di spirito di conservazione, una sopravvivenza a tutti gli effetti. Indipendentemente da tutto, Eren si era ripromesso che mai avrebbe emulato ciò che gli avevano fatto patire durante il corso di studi, a meno che non si trattasse di una risposta ad un danno subito.

E solo Dio sapeva cosa avrebbe combinato ad Armin Arlert che lo insultava ogni singolo giorno, sminuendolo sotto ciascun punto di vista, inconsapevole che il ragazzo avesse ottenuto nell'arco di soli tre mesi il diploma del conservatorio e che, soprattutto, fosse lui a generare quella melodia sopraffina, ineguagliabile, quando l'istituto cadeva nel silenzio tombale.

Se solo avesse saputo, forse avrebbe guadagnato il suo rispetto; forse, invece, sarebbe rimasto il poveraccio rinchiuso lì dentro per scontare una pena. Eppure Eren sosteneva che chiunque fosse la persona in questione, ella doveva essere rispettata nei limiti dei suoi diritti in qualità di essere umano.

Evidentemente, ciò non valeva per Arlert.

-Dio, ma sei tu che puzzi da far schifo?- aveva esordito quella mattina, portandosi due dita al naso teatralmente per far intendere ai compresenti quanto fosse riprovevole il tanfo emesso dal giovane. Ovviamente nessun odore inquinava l'aria, ma, nonostante ciò, fingere che quella problematica fosse reale quasi convinceva i suoi carnefici della sua esistenza.

Eren l'aveva ignorato, continuando a lavare il pavimento, stavolta più velocemente, guidato dal nervosismo che gli stava montando nelle viscere. Doveva darsi un tono, assolutamente: cosa avrebbe pensato Levi se l'avesse steso a terra e preso a pugni? Avrebbe solo riconfermato quello che tutti credevano di lui, e non poteva in alcun modo permetterlo.

-Oh, a ben pensare, probabilmente ti lavi con quello schifo di acqua alla fine del turno.-

Era patetico Armin Arlert, col suo caschetto biondo ed i grandi occhi celesti, mentre lo punzecchiava con quella voce subdola e molesta, quasi nasale, camminandogli intorno mentre tappezzava il pavimento di stampe. Sembrava un angelo posseduto dalla voce del demonio, intriso di nero nell'anima.

Il castano si costrinse a respirare più lentamente, mentre scaricava tutta la sua rabbia purpurea sul bastone chiaro, ripassando lo straccio umido lì dove le stampe avevano insozzato nuovamente la superficie splendente.

-Ah, giusto!- esclamò, una mano sotto il gomito, mentre l'altra sosteneva il volto con fare pensante. Compì un unico passo per stargli di spalle, il viso sporto in avanti per sussurrargli qualcosa di cocente, che si riversò dritto nel petto di Eren, infiammandolo di rancore. -Quello schifo te lo porti a casa per far lavare tutta la tua famigliola di pezzenti.-

Ma, arrivato a quel punto, Eren si chiese cosa avesse realmente da perdere. La dignità? A quanto pareva anche il diritto di possederne una gli era stato sottratto a mani basse da tutti quei bambocci che lo infastidivano ogni giorno. La fiducia di Levi? Sì, forse l'avrebbe persa, forse gli avrebbe ripetuto sino alla morte quanto fosse un infantile moccioso incapace di controllarsi, di comportarsi come uno studente qualunque di quell'istituto. Ma lo era? No, certo che non lo era, e di sicuro nessuno si sforzava di farlo sentire come tale.

Allora cosa gli restava, se non l'ardente desiderio di difendere a spada tratta l'immagine immacolata dei suoi cari? Si sarebbe fatto pestare a morte se Armin Arlert l'avesse voluto, pur di custodire nella campana di vetro tutto ciò che gli era rimasto.

-Rimangia quello che hai detto, pezzo di merda!- gli aveva sputato in faccia, le gambe che intrappolavano il bacino del biondo, le dita artigliate al colletto della camicia candida ed un pugno stretto a mezz'aria, pronto a pestarlo finché non avesse perso il senno.

-Finocchio, non ti fai schifo?-

Il pomo d'Adamo di Armin fece un saliscendi rapido, le sopracciglia verso l'alto e gli occhi annacquati dalla paura, incapace di formulare delle parole. Aveva perso l'istante in cui Eren si fosse girato, uno scatto fulmineo a seguito del quale era capitolato a terra, sbattendo la testa e perdendo il respiro. Ma niente era paragonabile al terrore che stava provando col ragazzo che lo sovrastava, il volto che si storceva in una smorfia violenta, i denti stretti e le iridi brillanti di vendetta.

-Tua madre fa la puttana, vero?-

Perché quei ricordi sopraggiungevano sempre in quei frangenti? Forse, un giorno, avrebbe trovato la risposta a quella domanda che lo perseguitava sin da bambino.

Eren lo scosse, bramoso di sentir dire ulteriori parole che fomentassero il suo stato d'animo, che facessero divampare quel focolare rendendolo un incendio, che giustificassero le sue azioni.

-Parla, lurido rifiuto che non sei altro!-

-Eren!- sentì gridare dal fondo del corridoio, oltre la calca di studenti che si stava facendo sempre più fitta intorno a loro.

Patetico, era così patetico nell'attirare l'attenzione di tutti come un fenomeno da baraccone. Sarebbe passato lui per il guastafeste di turno, il pazzo, il violento, quando tutto ciò che desiderava era essere lasciato in pace. O meglio, tutto quello che desiderava era suonare il pianoforte, usare le sue dita per sfiorare i tasti e sospirare di sollievo, e farlo con lui.

La verità era una ed una soltanto: era così stanco di tutto quello schifo che si protraeva da mesi, e non sapeva più dove rifugiarsi per evitare le continue lesioni che gli infierivano ogni giorno. Eppure avrebbe dovuto imparare come comportarsi a furia di vivere per strada, quando aveva creduto che la sua vita sarebbe stata quella per sempre.

E invece tutto era migliorato col passare degli anni, complice anche la nascita di Mikasa che aveva restituito un senso alla sua vita; in fondo, il fatto che Levi Ackerman l'avesse preso sotto la sua ala per istruirlo a dovere non era forse una limpida dimostrazione di quanto Eren si fosse rivalutato? Si era dato una chance, ed ora la stava gettando nel tubo di scarico, preda dei ricordi di un passato che non avrebbe dimenticato mai.

Non voleva tornare a casa e fare i conti con gli occhi bagnati di sofferenza, di delusione della madre, né con il broncio di Mikasa, i pensieri in subbuglio su ciò che il "fratellone" avesse potuto commettere di sbagliato, e che lei non avrebbe mai dovuto replicare.

-Eren!- esclamò nuovamente Levi, sollevandosi in punta di piedi per capire cosa stesse accadendo. -Fatemi passare, mocciosi!- disse irritato, mentre scostava bruscamente coloro che osservavano la scena senza frapporsi fra i due litiganti.

Quando finalmente fu dinnanzi a loro, aveva il battito cardiaco aritmico ed il timore nel petto. Aveva immediatamente capito che si trattasse di lui, perché aveva udito un suo allievo riferire ad un amico "Oh, Annie sta al piano terra. Guarda che cazzo mi ha scritto!", e l'altro, entusiasta per ciò che aveva letto sullo schermo del telefono, l'aveva afferrato per un braccio per dirigersi verso il luogo incriminato. "Che starà facendo quell'insulso parassita?"

Ed infatti, come c'era da aspettarsi, quell'"insulso parassita" non era nessun altro se non Eren Jaeger, che sedeva sul grembo di Armin Arlert, le mani posate sulle sue cosce, lo sguardo rassegnato, perso in un punto indefinito del pavimento.

-Levatemelo di dosso!- urlò il biondo quando vide il professore Ackerman. -Questo è un pazzo! Mi ha minacciato di morte! Mi ha aggredito senza che facessi niente!-

Ma gli occhi di Levi erano tutti per quel ragazzo che, ormai arreso a ciò che i superiori avrebbero pensato, si sollevò in piedi, capo chino e ciocche d'ebano dinnanzi agli occhi. Ma lui non avrebbe creduto a quella pagliacciata, a quella messinscena organizzata da quel piccolo farabutto di Arlert che soffriva di evidenti complessi di superiorità; Levi aveva abbastanza esperienza da non lasciarsi affabulare da un volto innocente e dalla voce tremula, soprattutto conosciuta la natura insipida di quell'individuo, pronto a calpestare chiunque incontrasse sul proprio cammino.

Ed Eren, accidentalmente, si era trovato lì.

Sollevò un braccio con l'intento di toccargli la spalla, di voltarlo per guardarlo negli occhi.

-Eren.- fu un sussurro a malapena udibile, schiacciato subito dal tono autoritario e severo di Erwin, appena sopraggiunto sul posto.

-Tu, Jaeger, con me.- aveva detto perentorio, strattonandolo per il braccio e tirandolo via.

Tutto ciò che Levi aveva potuto fare in quel momento era stato incatenare le iridi alle sue, senza poter dire nulla.

***

Un lieve ticchettio di nocche sulla pesante porta di noce fece sollevare lo sguardo azzurro dalle scartoffie riverse sulla scrivania di cristallo.

-Avanti.-

Sapeva chi avrebbe varcato la soglia con passo deciso, un grugno ostico in volto, con quella tenacia che solo Levi Ackerman poteva possedere. Forse era per quel motivo che ne era stato attratto inizialmente; un interesse che, fortunatamente, era scemato via col tempo, dato quanto l'altro fosse restio ad instaurare un qualsiasi tipo di relazione con un possibile partner.

Le iridi chiare di Erwin non lasciarono neanche per un singolo istante la sua figura, mentre si sedeva composto dinnanzi a lui, sistemando prontamente il bottone sfuggito all'asola della giacca nera.

-Mi hai chiamato.-

-Tanto so che saresti venuto comunque.-

-Non posso negarlo, visto che è un mio allievo.-

Erwin si schiarì la voce, umettando poi le labbra mentre si lasciava cadere contro lo schienale di pelle lucida della poltrona.

-Il tuo pupillo, intendi.-

Si osservarono, si studiarono, entrambi consapevoli che un'unica mossa sbagliata avrebbe costituito lo smacco secco. Levi sapeva cosa avrebbe voluto dirgli Erwin e, al contempo, il biondo era perfettamente conscio di come avrebbe ribattuto il professore.

Ma ora che si trovavano in trincea, non restava altro che partire all'attacco.

-È impresentabile come individuo.-

Levi sbuffò sonoramente, levando gli occhi al cielo ed accavallando le gambe. Dio, Erwin Smith era la prevedibilità fatta persona, solo uno dei tanti motivi per cui avesse deciso di archiviare una possibile frequentazione con lui.

-Insomma, hai visto cosa ha fatto? Stava per prendere a pugni uno dei nostri studenti migliori.-

-Hai ragione,- ribatté prontamente il corvino, mentre un angolo delle labbra si arricciava di fronte a quell'affermazione. -stava per prendere a pugni Armin Arlert per la sua smania sconsiderata di grandezza e, francamente, non nego che il pensiero abbia sfiorato anche me in questi anni. E sì, stava per picchiare uno dei nostri studenti migliori, perché il migliore in assoluto è lui, e su questo non ammetto repliche, Erwin.-

Il biondo, che sino a quel momento aveva tentato di racimolare qualche pensiero valido per avvalorare la sua tesi, rimase sprovvisto di parole da dire, espirando profondamente dalle narici e socchiudendo gli occhi. Iniziò a massaggiare circolarmente le palpebre, all'improvviso sentendosi fisicamente e mentalmente esausto.

-Come hai fatto a fissarti con un individuo del genere.-

Levi soffiò una risata amara, ora guardando il panorama parigino oltre le spalle dell'uomo, lì dove un'ampia finestra ad arco mostrava i rami degli alberi curvarsi alle carezze del vento.

-A quanto pare i migliori si nascondono nelle fogne, e nessuno li ha mai visti.-

-E tu mi stai facendo credere di aver trovato la perla perfetta in un mare di ostriche vuote.- disse serio il direttore, lasciando scivolare le dita sotto il mento per guardarlo di nuovo in volto.

-Esattamente. Avanti, Erwin, non essere invidioso. A quanto pare la fortuna ha puntato su di me 'sta volta, la tua giocata l'hai fatta.- lo canzonò furbesco, cingendo col braccio lo schienale della sedia di legno.

-E per quale motivo dovrei crederti? Cosa ha lui che i talenti di questo istituto non hanno?- chiese allora.

La sottile bocca di Levi si tirò in un sorriso astuto, come se avesse già l'asso pronto nella manica della giacca ed il suo rivale ne fosse all'oscuro. Si chinò in avanti e poggiò i gomiti sulle ginocchia, intensificando il contatto visivo fra di loro.

- È irreplicabile.-

***

Quando uscì dall'istituto, la testa gli pesava come un macigno e provava un intenso senso di disgusto alla bocca dello stomaco, come se avesse appena rimesso. Per quel motivo decise di sedersi su una panchina di marmo poco distante, gambe incrociate ed occhi che distrattamente osservavano ciò che accadeva intorno a lui.

Desiderava parlargli, quella era la verità per cui si fosse seduto lì, in attesa, come un cane legato fuori un supermercato. In fin dei conti si sentiva così, con l'impressione che l'unica persona capace di alleviare quel tormento sarebbe stata Levi, con le sue frasi secche e pungenti, con quell'ironia sottile che caratterizzava le loro conversazioni.

Che stupido che era diventato: addirittura si sentiva carente di attenzioni soltanto per un pomeriggio che non aveva passato in sua compagnia.

Da quando era sbocciato in lui quel sentimento; ma, soprattutto, di cosa si trattava?

I giorni seguenti alla sera trascorsa insieme erano stati... ambigui, se così si potevano definire. Tutto ciò che Eren aveva potuto comprendere di quello che provava, era il profondo stato di confusione mentale in cui verteva quando gli era vicino, ovvero ogni singolo giorno. Per non parlare della scarsa concentrazione che lo accompagnava, fomentata dal ricordo del discorso che l'adulto gli aveva fatto, dal tocco fugace delle loro fronti, dal bollente calore che aveva sentito irradiarsi nelle membra direttamente dal cuore.

Eren non era così sciocco da non rendersi conto che quello che provava sfociasse, per sua sventura, in un'infatuazione andante, e che superasse di gran lunga i limiti dell'ammirazione. Eppure era ben deciso a volerla confinare in quel recinto di spine, fin troppo conscio che un personaggio come Levi Ackerman non avrebbe mai potuto interessarsi ad uno scapestrato come lui. Per non parlare poi del fatto che provenissero da mondi differenti, opposti a dirla tutta, così lontani che non avrebbero trovato un punto di incontro nemmeno se si fossero visti a metà strada.

Tutto ciò che era insorto dal loro rapporto maestro-allievo sarebbe stato reciso non appena avesse partecipato a quel beneamato concorso, fine della storia. O almeno, così sperava.

Uno schiocco secco di dita dinnanzi ai suoi occhi lo fece letteralmente saltare sul posto, le gambe piegate ed il corpo sulla difensiva, il respiro annodato in gola.

-E stai calmo, santo cielo. Sembri un pitbull pronto a sbranare chiunque ti si avvicini.-

Ed ecco che il cane adulto legato ad un paletto fuori il supermercato si trasformava in cucciolo, un sorriso imbarazzato sul volto e la mano sulla nuca, vergognoso di come avesse reagito d'impulso, probabilmente riconfermando il preconcetto che avevano costruito sulla sua personalità.

L'uomo si sedette al suo fianco, accavallò le gambe e posò le mani sulle ginocchia, seguendo con lo sguardo una signora che sfrecciava in bicicletta.

Eren si strinse nelle spalle, ora profondamente a disagio per quell'apparizione improvvisa ed imprevedibile. Avrebbe voluto salutarlo cordialmente, ed invece si era mostrato il ragazzo di bassifondi di sempre, e sapeva che, alla fine, l'argomento pregnante della conversazione sarebbe stato quello.

Tanto vale farla finita subito, pensò.

-So quello che stai per dirmi.-

Il professore non si scompose, senza distogliere lo sguardo dal via vai di macchine sull'asfalto scuro, le luci dei lampioni che tingevano di giallo i marciapiedi di pietra.

-Almeno è un passo in avanti, questo.-

Eren prese a martoriarsi le mani, oltremodo nervoso per la rigida compostezza dell'altro. Avrebbe preferito nettamente che gli gridasse in faccia quanto fosse stato sciocco a cacciarsi nei guai in quel modo, e che non era di certo nella posizione adatta per poter fare il gradasso col prossimo. Invece Levi, certe volte, gli ricordava sua madre: stessa pacatezza nel discutere, stessa posatezza nel trattare i problemi. Forse quello significava essere adulti, essere maturi.

Un giorno anche lui avrebbe abbandonato il suo linguaggio, quello delle oscenità, degli attacchi, della paura che si trasformava in difesa; mentre guardava Levi, il profilo fine, le labbra smunte ma così soffici all'apparenza, sperò che quel giorno arrivasse il prima possibile.

-Io...-

-Vorrei che ti controllassi di più.-

-Levi...- provò il castano, sporgendosi in avanti per cercare i suoi occhi, invano.

-Lasciami parlare e non mi interrompere, moccioso.- solo in quel momento lo guardò, ed Eren si sentì inchiodato ad un muro invisibile dalla severità di quegli occhi di luna. -Capisco quanto sia difficile mantenere il controllo quando si è costantemente tormentati da chi è in netto vantaggio. Ti vedono come un elemento estraneo, e molti di loro non hanno mai avuto a che fare con realtà diverse dalla propria, a tal punto che non sanno come reagire.-

Il cipiglio risentito si fece più accentuato sulla fronte nocciola del ragazzo, mentre si malediceva per aver sperato silenziosamente che almeno lui riuscisse ad andare oltre la superficie opaca di ciò che era accaduto, senza fermarsi all'apparenza. Forse aveva preteso troppo; in fin dei conti si trattata sempre di Levi Ackerman.

Il corvino parve intercettare lo stato di disagio in cui vigeva l'altro, la tensione che gli avvolgeva il corpo come un'aura, mentre sentiva che la fiducia che aveva nutrito nei suoi confronti stesse vibrando per raggiungere il punto di rottura. Il rapporto che avevano instaurato in tre mesi, di quel passo, sarebbe andato in pezzi.

-Non li sto giustificando, Eren,- riprese allora, deciso a mettere in chiaro le cose, nolente di perdere quel germoglio di confidenza che si era radicato in loro col passare del tempo. -ti sto solo consigliando di mantenere il controllo, di tentare di farlo quanto più è possibile, anche perché io non ho alcun potere per poter intervenire e scoccare continuamente frecce a tuo favore, capisci?-

-Non volevo metterti in queste merdate, Levi.- ammise il giovane, grattandosi la cute con fare nervoso.

A quella frase, Eren non si sarebbe mai aspettato una reazione del genere. Levi iniziò a ridere di gusto, ed il castano lo fissò ammaliato, senza nascondere una punta di sconcertamento per l'evento più unico che raro a cui stava assistendo.

-Se questi sono i veri problemi, allora la vita sarebbe molto più semplice di quanto realmente è.-

A quel punto, Jaeger comprese quanto fosse immenso il divario che li distanziava. Ma, sebbene entrambi avessero vissuto esperienze differenti, nessuno dei due era consapevole che fossero accomunati da un destino comune.

-Perché mi stai dicendo tutto questo? Il concorso lo vincerò nonostante-

-Non sto parlando del tuo talento, Eren.- lo interruppe prontamente, ora le pupille allacciate, le gambe che si sfioravano, il calore che permeava le membra di ambedue i corpi. -Io mi fido di te.-

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Buongiorno a tutti coloro che seguono ancora questa storia a distanza di mesi che non aggiornavo! Mi scuso infinitamente con i lettori per questo ritardo mega, e non ci sono giustificazioni che possano reggere se non quella della scarsa ispirazione, nonostante la scaletta sia stata scritta lo scorso inverno (quindi, almeno da questo punto di vista, dovrei essere agevolata). Purtroppo per via dello studio intensivo per l'università e per la testa che volava altrove su altre mille storie (alla fine ho capito che le long non sono fatte per me, onestamente), mi son detta che proprio non potevo lasciare questa fanfiction in sospeso, non ad un passo dalla fine!
Non so con quale costanza riuscirò ad aggiornare visto che sono parecchio impegnata con gli esami parziali e, quando ho voglia di scrivere, improvviso per lo più os, ma giuro che verrà portata a termine senza ombra di dubbio. Ad ogni modo, ringrazio ancora di cuore chi segue questa storia!
Alla prossima,
-Sel

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