059
Un uomo sulla quarantina, lunghi capelli neri legati alti sulla testa in modo che le lunghe ciocche ondulate non gli finissero davanti agli occhi contornati da occhiaie leggere.
Era in gran forma e i muscoli sodi guizzavano sotto la maglietta che per colpa di un lavaggio non andato bene gli si era ritirata di una taglia.
Odiava gli indumenti aderenti, ma tutte le altre magliette erano a lavare e mettersi a fare il bucato non era il suo lavoro preferito, l'unica cosa che gli piaceva era stare chino sul cofano aperto della sua dodge charger del '70. Un vero gioiello per gli occhi e una vera piaga per il portafogli, ma il ricordo che quell'auto portava con sé era molto più importante di qualsiasi altra cosa.
Se un giorno avesse voluto venderla ci avrebbe guadagnato così tanto che si sarebbe potuto accasare per il resto della sua vita, ma in fondo al suo cuore, vendere un ricordo in cambio di denaro gli sembrava brutto.
Questa volta il problema era la cinghia di distribuzione, non una grande spesa, ma senza quel dannato pezzo la macchina non si sarebbe mossa.
Si maledisse per non aver intrapreso una carriera nella meccanica, ma di aver scelto invece di fare il dannatissimo pilota di aerei, di guerra per giunta.
Ripensare alla carriera gli fece venire una fitta al petto e si ridovette alzare con il busto prima che i ricordi gli facessero venire uno spasmo.
Erano psicosomatici i suoi attacchi, ne era ben consapevole, ogni volta che pensava di esserne uscito e dopo diversi mesi che non succedeva nulla ripensava alla sua ultima missione, il suo corpo scattava come se si trovasse ancora là, fra i proiettili e il sangue, come se non se ne fosse mai andato e in effetti una parte di lui era ancora là, si disse accarezzandosi la gamba di metallo che lo sosteneva e l'occhio mancante coperto da una benda nera.
Non voleva la guerra, ci si era trovato in mezzo e non aveva potuto evitarlo.
Si costrinse a prendere la bottiglia di acqua ormai calda che teneva sopra il banchetto con le rotelle che si portava appresso e dove gettava tutti gli attrezzi di lavoro che non avevano un posto fisso.
Si scolò un intero litro di acqua prima di posare di nuovo la bottiglia schiacciandola anche se vi era ancora un goccio al suo interno.
«Vedo che le tue abitudini non cambiano.» disse una voce alle sue spalle, ma non si voltò per guardarlo, sapeva perfettamente chi fosse anche se qualcosa nel tono era diverso.
«Anche tu sei uguale, compari sempre alle spalle non facendo il minimo rumore, Tenente Colonnello.» rispose il corvino raddrizzando la schiena inconsciamente.
«E io che pensavo di essere invecchiato e di aver perso il mio tocco.» la sua voce era stanca e la risata sonora che emise lo fece sembrare solo più vecchio di quanto già non fosse.
«Cosa posso fare per lei Tenente Colonnello?» chiese il meccanico voltandosi finalmente e vedendo solo l'ombra di quello che era stato il suo superiore un guerra molto tempo addietro.
«Non porto più quei titoli, ora sono un semplice prete.» rispose avvicinandosi «Puoi chiamarmi Don Yagi adesso e io posso smettere di chiamarti Maggiore e usare il tuo vero nome?»
«Ho lasciato anch'io la carriera militare, o meglio mi hanno liquidato dopo...» e si grattò una guancia per evitare di portare la mano all'occhio.
«Grazie Shota.» disse sorridendo per la prima volta genuinamente.
«Allora, perché sei qui?» chiese il corvino con un sospiro e tornando alla macchina dove vi era una pezza sporca e con cui vi si pulì le mani alla bell'e meglio.
«Non potrei essere venuto qui per trovare un vecchio amico?» ma l'occhiataccia che l'altro gli lanciò gli fece capire che non era in vena di scherzi, «Ok, hai ragione, comunque...vedi...non è un argomento facile da trattare e io sono un disperato che non sa come agire.»
«Parti dal principio se proprio cerchi di trovare il filo dei tuoi pensieri.»
«Ho bisogno che trovi il mio figlioccio, è scappato e non riesco a ritrovarlo.» disse alla fine semplicemente, in modo brutale e tutto d'un fiato.
«Potevi rivolgerti al generale Shimura, lei di sicuro poteva aprirti tutte le porte che ti servivano.» rispose Shota con un alzata di spalle.
«È un'Omega.»
Il silenzio cadde nel garage dell'uomo che si voltò con fare rabbioso contro il vecchio superiore.
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