Capitolo 1
«Cosa vuol dire che sono fuori dalla squadra fino a tempo indeterminato?!»
Per Aleksander Troy quella giornata era la peggiore dell'ultimo mese, se non della sua intera esistenza. Prima quello scandalo sulla droga in cui era stato coinvolto gli aveva rovinato l'immagine, nonostante non c'entrasse nulla, e ora gli stava rovinando anche la carriera. Quella mattina si era presentato al centro per allenarsi, come faceva abitualmente, ansioso di poter sfogare tutta la sua rabbia negli allenamenti, ma non aveva nemmeno fatto in tempo ad appoggiare il borsone su una delle panche disposte accanto alle pareti che il mister lo aveva chiamato per scambiare quattro parole. Si sarebbe aspettato di tutto, ma non di certo quello che di lì a poco lo avrebbe atteso. Quando era entrato nell'ufficio del suo allenatore, aveva immaginato che il motivo per cui era stato convocato riguardasse proprio lo scandalo, ma mai e poi mai aveva pensato di poter essere cacciato dalla squadra. Certo, era solo temporaneamente, ma era davvero ingiusto e per nulla corretto nei suoi confronti. Era stato incastrato e a nessuno sembrava importare.
«Mi dispiace Alek, ma capirai che lo scandalo in cui sei stato coinvolto pesa gravemente sul buon nome della squadra.» Sanders, il mister, si tolse il capellino con il logo della squadra dal capo e si grattò i folti capelli neri, che iniziavano a diventare bianchi sulle tempie, con aria stanca.
Certo, contavano solo il buon nome della squadra e la sua immagine macchiata per sempre. Solo questo interessava alle persone che lo circondavano, persino Claire, la sua ormai ex ragazza, lo aveva mollato perché si vergognava di lui e della sua reputazione ormai sporca. Lei, che non aveva proprio nessun diritto di aprir bocca sulla faccenda.
Sicuramente anche i suoi compagni di squadra non avrebbero alzato alcuna protesta all'uomo seduto dietro la scrivania di fronte a lui, avevano troppa paura di essere sbattuti fuori anche loro. Che fine aveva fatto il cameratismo tra compagni? Che fine avrebbe fatto la squadra senza di lui?
Era uno dei migliori in campo e sicuramente della sua assenza ne avrebbero risentito le vittorie, ma a nessuno sembrava interessare quel particolare, tutti si interessavano solo della maschera con cui si presentavano al mondo intero. Eppure non era di certo il primo sportivo a finire dentro un polverone simile.
«Come farà la squadra senza di me, ci ha pensato?» strinse con forza i braccioli di legno della poltrona su cui sedeva, cercando di rimanere calmo e composto senza fare scenate. Dare di matto non avrebbe di certo aiutato la sua posizione, bastava solo un piccolo passo falso e si sarebbe ritrovato di nuovo su tutti i telegiornali e le riviste di cronaca rosa. Da un mese a quella parte era costantemente seguito da un'orda di giornalisti, non lo lasciavano in pace un solo secondo ed era stato costretto a dormire in un motel diverso ogni sera, proprio perché la sua villa era perennemente assediata da quegli sciacalli.
«Prenderà Hamilton il tuo posto, la squadra in un modo o nell'altro riuscirà ad andare avanti.»
Ed ecco un'altra notizia orribile. Hamilton era il giocatore di riserva, più giovane di lui di qualche anno, e possedeva un ego più grande del suo talento, aveva sempre aspettato con ansia un suo infortunio o un passo falso per giocare e avere il suo momento di gloria. Bene, ora aveva il suo momento di fama, sicuramente ne avrebbe sfruttato ogni secondo.
Il mister si rimise il capello sul capo e lo fissò con aria dispiaciuta e compassionevole, cosa che lo fece imbestialire di più, ma si costrinse a stare calmo e buono.
«Il mio agente ne è già al corrente?» Chiese, ormai rassegnato. Tom, il suo agente, era l'unico vero amico su cui poteva contare, aveva creduto subito alla sua innocenza e aveva fatto il possibile per evitare che venisse trascinato ancora più a fondo in quella storia e gli era grato per quello.
«Sì, lo abbiamo già avvertito. Non l'ha presa bene, ma ha capito la situazione.» L'uomo si alzò dalla sedia e gli si avvicinò, poggiandosi contro la scrivania. «Ascoltami bene Alek, se eviterai altri scandali per i prossimi due mesi, sono sicuro che rientrerai in squadra prima di quanto tutti immaginano.»
«Crede che mi piaccia essere al centro di tutto questo? Che mi diverta a scappare ogni sera da un lato all'altro di New York a cercare uno squallido motel in cui dormire perché la mia casa è assediata dai paparazzi?» esplose furioso. No, non gli piaceva per niente, eppure a nessuno importava. La colpa era soltanto sua se si era lasciato coinvolgere in tutto quello, non certo della cara Claire e dei suoi amichetti, che avevano colpa di tutto.
La sua adorata ex aveva dato l'ennesima festa proprio nella sua villa e aveva invitato tutti quegli amici che si portavano addosso più grammi di droga di uno spacciatore. Quando la polizia aveva interrotto la festa a causa delle lamentele dei vicini e aveva visto la droga, tutta la colpa era ricaduta su di lui, che in quel momento non si trovava nemmeno in casa ma a un ritiro.
Alla fine, tutti quegli idioti ne erano usciti puliti incolpandolo ed ora lui ne stava pagando le conseguenze. Conseguenze che meritavano altri.
«So che tu non hai colpe, Alek. Ma il presidente della squadra vuole così e noi non possiamo far altro che accettare.» Si difese l'uomo
Ovvio che non poteva obiettare, se solo ci avesse provato si sarebbe ritrovato senza lavoro e senza una squadra da allenare, lui invece avrebbe potuto dire addio alla possibilità di rientrare e il solo pensiero era terrificante. Il basket era l'unica certezza che aveva nella vita, l'unica cosa in cui era veramente bravo e perderla sarebbe stato come perdere un braccio. Sapeva che si stava avvicinando ai trenta e che la sua carriera non sarebbe durata che un'altra decina di anni al massimo e gli andava bene, ma voleva almeno goderseli fino all'ultimo. Ora, grazie alle persone di cui si era malamente fidato, tutto questo non sarebbe stato più possibile. Pregava davvero che quello che gli aveva detto il mister fosse possibile, che se davvero fosse riuscito a non far parlare male di sé per i prossimi due mesi sarebbe tornato in squadra.
Il modo migliore per evitare di ricadere in qualche non voluto scandalo era sparire, non sarebbe andato lontano anzi, si sarebbe nascosto proprio sotto il loro naso. L'idea non lo allettava molto, ma se per rientrare in squadra avrebbe dovuto nascondersi in qualche edificio fatiscente, lui l'avrebbe fatto.
«Capito» rispose lapidario al mister, poi si alzò dalla poltrona e uscì dall'ufficio senza salutare, avviandosi verso gli spogliatoi per riprendersi la sua roba. Avrebbe approfittato di quella pausa per rilassarsi, ammesso che ci sarebbe riuscito, allenarsi ogni mattina lo tranquillizzava e non poterlo più fare lo avrebbe stressato non di poco. Lo stava facendo già solo il pensiero.
Spinse con poca grazia le porte rosse degli spogliatoi, facendo sobbalzare i compagni di squadra che si stavano cambiando per gli allenamenti della mattina.
«Ehi Alek, cosa voleva il mister?» Tony, un ragazzo biondo, alto due metri e cinque, il più giovane della squadra, gli venne incontro già cambiato e con il solito sorriso spensierato sul viso.
«Sono fuori dalla squadra per un po'» annunciò con tono cupo, aprendo il proprio armadietto e gettando nel borsone tutte le sue con poca grazia. Tutti i componenti della squadra si ammutolirono e lo fissarono sorpresi, a quanto sembrava nemmeno loro si erano aspettati una decisione del genere.
«Come fuori? Ma questo non è giusto, tu non hai colpe!» protestò Tony, facendolo sentire subito in colpa per aver pensato, qualche minuto prima, che nessuno dei suoi compagni avrebbe mosso qualche protesta o difesa verso di lui.
«Lo so, ma non posso farci nulla. Il presidente vuole così e a quanto pare nessuno gli farà cambiare idea» chiuse con un gesto stizzito il suo armadietto e si sistemò il borsone sulla spalla.
Non riusciva ancora credere di aver appena svuotato il tanto sudato armadietto, gli sembrava di essere in un brutto sogno e pregava davvero di svegliarsi presto. Era sempre stato il giocatore più disciplinato di tutti, non aveva mai permesso che si parlasse della sua vita privata o di qualunque cosa non riguardasse la sua carriera. E ora eccolo lì, cacciato via come un cane che non si vuole più, come un giocattolo scomodo che ha smesso di divertire.
Uscì dallo spogliatoio accompagnato dalle pacche sulle spalle dei compagni e dal sorriso vittorioso di Hamilton.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro