Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Sei strano

La questione è questa: Simone è quel prototipo di persona che ha sempre paura di fare ciò che desidera perché è tremendamente terrorizzato o dall'azione in sé oppure dalle sue immediate conseguenze; è uno di quelli che vanno dal parrucchiere una volta l'anno altrimenti gli taglierebbe i capelli troppo corti o male e ci vorrebbe eccessivo tempo per tornare alla normalità e allora no, grazie, va bene una spuntatina.

Avrebbe voluto cambiare scuola il primo giorno del primo anno, invece ha resistito fino all'ultimo, riempiendosi di ansie e paranoie per ottenere sempre i voti più alti, nascondendosi dietro a mille e sì, però poi dove vado? Che faccio? E se dopo non mi piace neanche la seconda opzione? Eh, oddio, devo rifare amicizia con tutti!

Insomma, Simone le decisioni proprio non le sa prendere, teme ogni genere di sfida ed è certo che se non fosse per la combriccola di gente che lo sopporta – si chiamano pure amici, ma è letteralmente gente che non lo ha ancora mandato a male – adesso non sarebbe in piedi davanti al WildInk Crew con le gambe che gli tremano e le ginocchia che gli stanno per cedere.

È nato tutto per gioco, una conversazione casuale scaturita da una sua affermazione distratta alla vista del grosso tatuaggio che spiccava sull'avambraccio del cameriere di quel pub del centro: Simone ha semplicemente detto sono fighi i tatuaggi, vorrei farmene uno e Aureliano – lui è quello che lo tollera da più tempo, cinque anni, dalla prima liceo – ne ha subito approfittato e va beh, ma tu non ne hai le palle.

E da lì tutti gli altri hanno infierito: per esempio c'è stato Leonardo – che di solito è buono e silenzioso – che ha quasi urlato puoi iniziare a sceglierlo ora e fartelo tra cinquant'anni se vuoi e dopo Giulio – che con Aureliano potrebbe andare a braccetto – ha aggiunto non lo spaventate che sviene al pensiero dell'ago.

Ecco, Simone lo sa benissimo che andare a farsi imbrattare la pelle, permettere che qualcuno gli lasci un segno indelebile addosso che permarrà lì per il resto della vita soltanto perché degli idioti lo hanno provocato non è un gesto razionale; eppure si è ribadito che lui lo vuole, lo ha sempre desiderato e quindi fanculo, lo faccio – se non muoio prima – eh, beh, il terrore degli aghi ce l'ha veramente.

Quando varca la soglia del piccolo studio, che ha una vetrata dove spicca il logo bianco e rosso che ritrae la testa di un leone, crede di essere sul punto di avere un mancamento: fa eccessivamente caldo lì dentro, in sottofondo si sente l'eco di una musica che non conosce e alle pareti sono appesi disegni piuttosto inquietanti che ritraggono clown, corvi e visi insanguinati.

E oh, mio Dio, dove sono finito.

«C'è nessuno?» esclama ad alta voce per far sì che possa essere udito da chiunque nei paraggi e si ritrova pure a sperare che non ci sia anima viva così da fuggire il più veloce possibile verso casa e rintanarsi sotto le coperte del proprio letto.

Non ottiene alcuna risposta quindi di nuovo deve urlare «Oh? Sta nessuno?». 

Attende esattamente tre minuti e quarantuno secondi prima che qualcuno si degni di presentarsi e trattiene un singulto quando dalla scala a chiocciola che conduce ad un soppalco – e davvero, come hanno fatto a mettere un soppalco in un buco del genere? – spunta un ragazzo dai folti capelli ricci, con una t-shirt bianca e aderente che gli fascia il busto, jeans stretti e scuri e un gilet di pelle bordeaux; le sue braccia sono ricoperte di tatuaggi, ovviamente, alcuni colorati altri no – nota un teschio circondato da fiammate rosse nella parte più esterna dell'avambraccio. 

Nel momento in cui gli si fa più vicino, raggiungendo il bancone di legno che separa l'entrata del negozio da quella che forse è la cassa, nota come abbia una riga spessa di matita nera a marcargli gli occhi già di per sé penetranti.

E adesso Simone vorrebbe svenire, però per motivi molto diversi.

«Ciao» il ragazzo si appoggia con i gomiti al bancone e gli rivolge un sorriso cordiale.

Simone osserva pure che ha un piercing argento al sopracciglio destro e tatuaggi anche ai lati del collo nonché sulle mani; deglutisce rumorosamente e...

In realtà gli manca la saliva. «C-ciao» balbetta e si dà mentalmente dello stupido; stringe forte i pugni lungo i fianchi e «Sono qui perché – ecco, volevo fare un... Un tatuaggio».

Una risata arriva per tutta risposta, ma pare essere sincera e cristallina «Ma dai! Qui? Non li fanno in farmacia quelli?».

Simone cerca di non offendersi a causa di tale replica: in fondo se l'è cercata dicendo una cosa chiaramente da idiota sprovveduto. Smorza l'imbarazzo con una risata sull'orlo dell'isterismo anche se è arrossito e la sua carnagione è così chiara da averlo messo subito in risalto. E poi quel tipo è davvero... 

Figo.

Non gli poteva capitare uno brutto?

No, certo che no, e adesso, oltre che l'ansia, deve pure vedersela con le palpitazioni e una contorta attrazione fisica per uno sconosciuto: grandioso.

«No, sì...» bofonchia «È che––».

«È la prima volta?».

E Simone pensa che di andare a fuoco «Come?».

«La prima volta per un tatuaggio. Non l'hai mai fatto, no?».

Scuote il capo e si passa, nervoso, una mano tra i ricci scuri che gli ricadono perennemente in avanti - perché il parrucchiere già lo ha visto una volta per quell'anno e quindi può bastare – «No» confessa.

Il ragazzo alza le spalle, del tutto rilassato «Tranquillo, non è così terribile» lo rassicura «Ma hai l'età per farlo, vero?».

Simone corruccia le labbra e allora sì, decide che può offendersi almeno un briciolo: non è colpa sua se ha un aspetto così mingherlino da apparire molto più giovane di quanto non sia. Perlomeno da vecchio sarà un punto a suo favore. «Ho diciannove anni» sbotta.

Il tatuatore aggrotta un sopracciglio e sembra crederci – poi, forse, gli controllerà i documenti «Avevi già in mente qualcosa?» chiede in seguito.

Simone annuisce e no, non è assolutamente vero, non ne ha idea – e dovrebbe essere uno degli aspetti fondamentali, tra parentesi – ma se resta zitto rischia di esplodere o collassare su se stesso e allora la prima cosa che gli esce di bocca è «Qualcosa di piccolo, qui» si indica il polso destro «Pensavo – uhm, le impronte di due zampe. Cioè, ho un gatto e ci sono molto affezionato e... Mi pare carino». Perlomeno non è un discorso delirante e privo di filo logico: si vorrebbe quasi fare i complimenti da solo.

L'altro fa una smorfia e, a quanto pare, non è convinto di quella idea che a lui è parsa geniale: tuttavia, non osa obiettare e lo accorda con un rapido «Sì, è carino». Fa un passo indietro e traffica tra i mille fogli di schizzi che ha davanti fino a che non tira fuori da quell'ammasso indistinto un'agenda dalla copertina verde «Quando vuoi farlo?» chiede, mentre agguanta una penna da un contenitore lasciato accanto lo schermo del computer.

Simone sussulta e non credeva fosse così rapido. «Uhm, non lo so» biascica «Mi va bene qualsiasi giorno».

«Te lo farei anche adesso» esclama il tatuatore «Ma ho un appuntamento tra dieci minuti. Ti va bene venerdì?».

Simone finge di ragionarci su per mezzo secondo e dopo «Sì, va benissimo».

«Perfetto. Alle dieci di mattina? O è troppo presto?».

«No, no, è – va bene».

«Alle dieci sia».

Effettivamente vorrebbe dirgli che a quell'ora sta dormendo da neanche tre ore e che magari neppure si reggerà in piedi – va a letto sempre tardi perdendosi a guardare maratone di serie tv che lascia puntualmente indietro – ma meglio accettare e non avere ulteriori ripensamenti.

«Il tuo nome?» domanda ancora il ragazzo dipinto – ha deciso che è un buon nomignolo - «Così ti segno».

«Simone. Mi chiamo Simone» risponde, mordendosi il labbro inferiore.

«Simone. Okay, se non ci sono chiedi di Manuel venerdì».


**


Venerdì arriva tremendamente presto.

Okay, si tratta di soltanto quattro giorni d'attesa, ma - insomma - forse quando si ha l'ansia il tempo trascorre più veloce. O è il contrario?

Fatto sta che Simone è di nuovo di fronte al WildInk Crew e trema peggio della prima volta.

Che poi durante tal periodo ha continuato a pensare a quel Manuel tutto tatuato in una maniera così maniacale e ossessiva che qualcuno avrebbe dovuto prenderlo a sberle.

È addirittura riuscito a risalire al suo profilo Instagram tramite vari tag nella pagina dello studio di tatuaggi e ha scoperto talmente tante cose che adesso potrebbero eleggerlo re degli stalker – e non crede che sia tutto questo grande onore: si chiama Manuel Ferro, è più grande di lui di tre anni, ha frequentato il liceo scientifico e dopo non ha neanche valutato l'ipotesi di intraprendere l'università, gestisce il negozio con il suo amico Matteo e..

Sì, è single.

Questa informazione è probabilmente l'unica a cui puntava dall'inizio. Dei suoi gusti, tuttavia, non ha trovato alcuna traccia – ed è andato a ritroso nel profilo fino al 2014: è tutto un disegno, schizzi, screen di varie canzoni su Spotify – ha constatato che ha dei bei gusti musicali – e sporadiche foto di uscite in pub o discoteche. Nulla di davvero importante e rilevante per capire che cosa gli interessi.

Che poi, Simone si è pure ritrovato a considerarsi stupido e un briciolo lo è sul serio: è da pazzi diventare maniacale con un tizio che, di fatto, non conosce e sicuramente si tratta di una infatuazione dovuta a quel look da bello e dannato che lo ha scombussolato. Ha addirittura rischiato una crisi di panico quando – scorrendo le sue foto – ha premuto per sbaglio sulla forma del cuore e gli è partito un like, che si è affrettato subito a togliere e prega affinché non gli sia mai arrivata la notifica di tale azione; era una foto bella, però, di Manuel in primo piano a metà faccia col trucco pesante sugli occhi e una quantità spropositata di gel a impastare i capelli.

 Dietro ha scorso anche una chitarra elettrica e ha ipotizzato la suoni – il che lo rende soltanto più intrigante perché, se fosse vero, avrebbe praticamente ogni qualità necessaria per classificarlo come il suo tipo e questo non dovrebbe succedere specie quando, probabilmente, avrà una fila infinita di ragazze dietro e sicuramente è etero e sciupa-femmine.

Lui non ha la benché minima speranza.

Adesso non deve pensarci, comunque: è lì per farsi macchiare la pelle con dell'inchiostro e dopo se ne andrà e magari manco lo rivedrà più e così gli passerà anche quella insensata sbandata.

Prende un respiro profondo poco prima di varcare la soglia della porta vetrata e il suo ingresso viene segnalato da un leggero tintinnio che la volta precedente non ha per nulla notato. Al bancone è presente un ragazzo biondo, coi capelli scompigliati e gli occhi chiari mezzi chiusi: se ne sta seduto davanti al computer a guardare quelle che paiono foto di moto e auto sportive, con pantaloni di pelle e una maglietta bianca che gli sta esageratamente larga. Lo riconosce, lo ha visto apparire in numerose foto: è Matteo, il co-proprietario.

Simone finge un colpo di tosse per richiamare la sua attenzione e spera di non tremare ancora come una foglia nell'istante in cui si girerà.

In un primo momento, Matteo pare non sentirlo così Simone ci riprova, compie nuovamente quel gesto rumoroso e solo allora ha successo.

Matteo sbuffa e si alza alla postazione che ha occupato, rivolgendogli uno sguardo che... È truce? Perché ha la netta sensazione che lo odi già? Per quale motivo poi, di grazia?

«Io, uhm» balbetta Simone, stringendosi nella camicia a scacchi nera e rossa che si è messo «Cercavo Manuel».

D'improvviso, Matteo allarga un sorriso che risulta incredibilmente inquietante e lo scruta come se fosse al cospetto di una sorta di miracolo unico e raro – e Simone si sente pressappoco a disagio; non gli scolla gli occhi di dosso nemmeno quando urla «Manueeeel! Ti vogliono qui».

Dalla stessa scala a chiocciola da cui è apparso durante il loro primo incontro, Manuel scende a passi piuttosto rapidi: quel giorno indossa dei jeans chiari e strappati all'altezza delle ginocchia e una maglietta nera e attillata con lo scollo a v – e certo, si doveva pure vestire sexy oggi.

Simone non sa esattamente come reagire al sorriso smagliante con cui viene accolto: percepisce le guance avvampare e crede di aver iniziato a sudare freddo per il nervoso.

Manuel lo invita a seguirlo nel retrobottega, una saletta che dà su un cortile interno nella quale è presente un grosso tavolo, posto a ridosso della parete sulla sinistra, con su vari tipi di inchiostro, due pistole per tatuaggi di medie dimensioni e una poltrona di pelle scura posta nell'esatto centro dell'ambiente su cui lo sospinge ad accomodarsi. 

Simone riesce nell'impresa di non capitombolare a terra e sedersi comodamente dove gli è stato indicato. Perde per un attimo Manuel di vista e – quando questo torna – gli si affianca prendendo posto su una sedia di metallo: ha in mano dei fogli e ancora un sorriso eloquente stampato in faccia. «Zampette di un gatto, giusto?» esordisce.

Simone sta per replicare, ma fa appena in tempo ad annuire che Manuel incalza: «È piuttosto semplice e – beh, in realtà di solito me occupo di disegni molto più grandi, però ho fatto questi schizzi e... Non so, vedi un po' tu» e gli porge la carta che ha retto fino ad allora.

Simone osserva i disegni con minuziosità: certo, comprende che non ha potuto sbizzarrirsi considerato il soggetto piuttosto minimal e senza la possibilità di grande creatività. Alla fine opta per il secondo disegno che vede, nero e privo di fronzoli: due impronte posizionate una più in alto e l'altra più in basso e appena inclinate verso sinistra; dietro hanno una leggera sfumatura come ad indicare il terreno nel quale sono state impresse.

Manuel annuisce ad approvare tale scelta; si scosta per qualche secondo per ricalcare il disegno sulla carta carbone appoggiandosi al tavolo. Simone lo osserva mentre è di spalle, perdendosi ad analizzare i muscoli delle braccia che pulsano ricoperti da tutto quell'inchiostro e che lo portano a sospirare sommessamente e tra poco la tortura è finita, pensa, sempre che non me lo sogno di notte.

Quando Manuel si avvicina, gli fa stendere il braccio su un apposito sostegno di gomma piuma dura e Simone distoglie immediatamente lo sguardo perché si farebbe beccare a fissarlo nel giro di mezzo secondo. Serra gli occhi pur di non rendersi palese e «Ahia!» urla ad un tratto in maniera stridula. 

Solleva solamente una palpebra e Manuel lo sta osservando con un sopracciglio alzato e probabilmente trattenendo una risata. «Ho solo messo la carta, Simone» gli fa notare.

E Simone, ancora una volta, si sente del tutto stupido «Oh» sospira «Certo, certo» e finge un colpo di tosse per riprendersi.

Manuel gli sorride dolcemente e oh no, oh no, OH NO, perché mi hai fatto l'occhiolino?

Sul serio, non crede di aver passato altri momenti imbarazzanti in vita sua dove desidera solamente sparire, nemmeno con le sue cotte epocali da adolescente – no, assolutamente no.



In seguito va meglio: Manuel ricalca la linea del tatuaggio sul polso di Simone – che si sforza di non guardarlo in viso – carica lo stilo con inchiostro nero e, dopo aver disinfettato la pelle e indossato un paio di guanti di lattice, comincia ad tracciare il disegno con l'ago che provoca un ronzio continuo nell'aria.

Non fa male come gli hanno sempre detto e, alla fine, Simone comprende che tutte quelle dicerie che ha sentito e le paranoie che altri gli hanno messo addosso non valgono assolutamente nulla e, anzi, il sussulto dell'ago risulta addirittura piacevole e rilassante.

Nell'impresa di non guardare Manuel non ci riesce: perde il controllo in pochi minuti e lo scruta attentamente, lo vede concentrato e assorto in ciò che sta facendo quasi stesse compiendo un'opera d'arte – ed è sicuro che l'immagine che ha scelto di imprimersi addosso è ben lontana da tal concetto, ma forse per il giovane tatuatore lo è comunque, dopotutto.

Si morde forte il labbro inferiore perché vorrebbe parlare - di qualsiasi cosa – però ha la gola secca e il timore di dire qualche castroneria. Così, adocchiando i vari disegni che tappezzano ogni parete della stanza, decide di appigliarsi ad essi e chiede «Li hai fatti tutti tu?».

Manuel non distoglie lo sguardo da ciò che sta facendo e risponde «Quasi. Alcuni só di Matteo, il tizio che hai visto di là».

«Sono molto belli» si complimenta Simone e non è propriamente vero: molti di quegli schizzi non rientrano nel suo gusto e alcuno lo terrorizzano per i soggetti rappresentati – c'è sangue praticamente ovunque – ma decide di tenere segreto tale aspetto.

Manuel abbozza una risata «Beh, grazie» replica «In genere pensano che i miei disegni sono un po' macabri».

A Simone il cuore perde un battito e si ringrazia mentalmente per essersi costretto a mentire «Mi stai facendo delle zampette di gatto su un polso» gli fa notare e spera che l'espressione di smarrimento che gli si è stampata addosso sia passata inosservata «Potresti appenderle per sfatare il mito».

«Non è poi 'na cattiva idea» solo allora Manuel alza il capo: anche oggi i suoi occhi contornati da una matita nera che si è un po' sbavata ai lati e Simone è consapevole del fatto che sia un piano quantomeno da idioti e che sta facendo la figura da perfetto imbecille, eppure cerca di non farci caso.

«No, è una pessima idea» contesta «Faresti brutta figura».

«Perché?» il tatuatore rivolge di nuovo l'attenzione alla linea d'inchiostro che sta tracciando «T'ho detto, è carino».

«Metteresti delle tenere impronte di un gattino accanto a quei corvi sgozzati?».

Le labbra di Manuel si curvano in un sorriso.

Simone è in grado di vederlo e no, non se lo sta immaginando e pensa pure che sia ancora più bello quando sorride e oddio, piantala.

«Si bilanciano, no?» commenta Manuel.

«Allora sì che sarebbe inquietante».

«Ce l'ho io l'ago in mano: non me contraddire».

A completare il tatuaggio Manuel non ci impiega molto: trenta minuti, più o meno, e il lavoro è compiuto. Simone si ritiene abbastanza soddisfatto del risultato e ascolta distratto la spiegazione su come prendersene cura ossia applicare una crema lenitiva due volte al giorno per due settimane e di non prendere assolutamente il sole per quel periodo, ma su questo non corre alcun rischio.

È troppo incantato e concentrato nel perdersi nei tratti di Manuel e – accidenti – l'attrazione invece di affievolirsi è praticamente triplicata e si detesta per aver permesso che ciò accadesse.

«Allora» esclama Manuel ad un tratto e lui deve per forza riprendere il contatto con la realtà «Non è stato così terribile, no?».

Simone scuote appena il capo «No, è stato – rilassante».

«Rilassante?».

«Eh».

Manuel fa una smorfia ed è palese stia trattenendo un ulteriore sorriso «Nessuno lo ha mai definito in questo modo».

Si alzano in piedi quasi all'unisono con Simone che evita di replicare in maniera diretta e curva solamente le labbra all'insù mentre Manuel finisce di avvolgergli la pellicola trasparente intorno al polso per proteggere il tatuaggio fresco, raccomandando di rimuoverla dopo un paio di ore.

«Visto che non mi ha fatto per niente male» dice Simone «Magari a breve ne farò un secondo».

«Ah, sì?» incalza l'altro che gli si è fermato ora davanti e ha infilato entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni «E cosa?».

Simone si tira giù le maniche della camicia chiudendo i bottoni non senza difficoltà «A questo devo ancora pensarci».

«Magari la scritta Nirvana dietro alla schiena».

Il suggerimento arriva con estrema naturalezza, ma Simone crede di essere sul punto di svenire perché quella è la prima immagine che appare sul suo profilo Instagram, visto che l'ha fissata, con annessa didascalia su quanto a quella band sia legato e se Manuel ha fatto una simile associazione, vuol dire un'unica cosa. «C-come?» soffoca.

Manuel abbassa la testa e si gratta distratto dietro ad un orecchio – ma sta arrossendo pure lui? Perché arrossisce?

«Okay, non prendermi per pazzo maniaco» confessa «È che ero – mi hai incuriosito e allora ti ho cercato su Instagram» fa una smorfia non troppo convinta «Ed è stato complicato, dato che se digiti Simone, te viene fuori er mondo, ma alla fine co' dei giri strani, ho trovato il tuo profilo. Ad un certo punto mi è anche parso che tu abbia messo mi piace ad una mia foto, però dopo la notifica è scomparsa. Probabilmente è l'app che sbarella».

Simone deglutisce rumorosamente e non sa se essere lieto del fatto che le proprie azioni di velato stalking siano state specchiate o essere atterrito perché ha rischiato di farsi beccare in partenza premendo per sbaglio un tasto che non doveva pigiare. «Eh, già» esclama accompagnato da una risata nervosa «Instagram ogni tanto impazzisce».

Manuel annuisce come a confermare tale tesi e successivamente aggiunge «Che poi vai sul classico co' i Nirvana» commenta. «Te facevo più tipo da pop stile Britney, Ariana Grande, cose così».

Simone alza le spalle, distratto «Ascolto un po' tutto» dice.

«Mh-m» commenta il tatuatore. «Guarda che mica te giudicavo».

«Beh, ma perché mi hai cercato?» Simone cambia argomento in modo drastico, soffocando una mezza risata. «La scusa della curiosità non è valida» e risulta un ottimo modo per spostare l'attenzione da sé oltre che eclissare del tutto l'essere quello che si è palesemente preso una cotta, complice una paradossale e quasi irreale attrazione fisica.

Manuel corruccia le labbra e sbatte lentamente le palpebre piegando appena il capo di lato «Te l'ho detto: mi incuriosivi. Sei strano».

«Strano?».

«Sì, non so spiegarti – tipo quando sei entrato l'altro giorno parevi tutto sulle nuvole come se non sapessi nemmeno dove ti trovassi. E sei pure buffo».

Simone non ha idea di come reagire propriamente: strizza gli occhi e schiude la bocca «Okay» dice «Mi stai insultando oppure...?».

Manuel ride «Cercavo di farti un complimento».

«Ti è – venuto malissimo».

«No e – va bene, non sono bravo con queste... Cose» comincia a gesticolare con fare frenetico – e Simone che credeva di essere l'unico ad agire in tal modo se in soggezione – «Volevo solo dì che – a me pari strano. Cioè... Hai questa faccia da bambino che uno te darebbe davvero tredici anni, almeno finché non vede le tue occhiaie che non so nemmeno se sia considerato normale averle così scure e––».

«Ti avverto che stai nettamente peggiorando la situazione» Simone, di norma, si innervosirebbe se qualcuno gli buttasse addosso una simile descrizione della propria persona, ma Manuel, in fondo, lo sta facendo divertire e per poco non gli viene da ridere. Mantiene comunque una facciata dura con le sopracciglia aggrottate e l'espressione più furibonda che riesce a trovare.

Il tatuatore solleva le braccia come in cenno di resa «D'accordo» sospira «Era un enorme giro di parole per un – insomma, sei uno strano bello, ecco».

Il cuore di Simone, d'un tratto, sussulta e rischia di battergli talmente forte da esplodergli dal petto e rotolare sul pavimento e non è ancora sicuro di aver sentito bene ciò che è uscito dalla bocca dell'altro ragazzo. Vorrebbe quasi chiedergli di ripeterlo: tuttavia, è abbastanza certo che la tensione che affligge entrambi manderebbe tutto all'aria se soltanto osasse porre un quesito simile e allora sta zitto, abbassa il capo e bofonchia un «Grazie» a malapena percettibile. 

Fa una pausa, mordendosi distratto il labbro inferiore e poi mormora «Lo interpreto come un sei carino, vero?».

«Più o meno».

«Perché pure tu sei carino» Simone lo dice di getto e si pizzica la lingua tra i denti successivamente a tale affermazione; gli sembra quasi di essere tornato alle elementari quando non aveva la benché minima idea del modo in cui esprimersi e, del resto, nel tentare di flirtare non è cambiato pressappoco nulla.

Sta flirtando, sì?

Insomma, quel Manuel lo sta corteggiando o insinua cose con tutti i clienti giusto per farli tornare una seconda, una terza e una quarta volta?

Una reazione da parte dell'altro tarda ad arrivare e Simone spera fino all'ultimo che di bocca gli esca qualche frase logica e di senso compiuto; invece ottiene soltanto un ulteriore sorriso e un silenzio ancor più imbarazzante.

Tornati al bancone, Matteo non c'è più – non ha idea di dove sia, magari se ne è andato o è su, nel soppalco.

Simone fa il giro e si ritrova separato da Manuel da quell'ingombrante pezzo di legno. Quest'ultimo lo informa sul prezzo del tatuaggio appena effettuato e lui paga senza fare davvero attenzione alle banconote che gli sta dando così che finisce per dargliene di più di quanto dovrebbe ed entrambi scoppiano a ridere senza apparente motivo.

«Ti ho mandato la richiesta» esclama Manuel mentre mette via i soldi. In un primo momento, Simone non comprende a cosa si riferisca almeno finché il tatuatore non specifica «Per dm. Su Instagram. Se mi accetti... Non so, possiamo sentirci, sempre se ti va».

Simone vorrebbe urlare dalla gioia, ma si trattiene giusto per mantenere un minimo di dignità; un singulto abbandona comunque le sue labbra e si affretta ad annuire e fingere tre colpi di tosse di seguito per mascherarlo. «Certo» dice col tono più tranquillo che è in grado di trovare.

«Ci conto» Manuel – per la seconda volta durante la mattinata – gli fa l'occhiolino e Simone si sente inesorabilmente smuovere dentro tanto che è convinto di essere sul punto di svenire.

Roba strana la chimica tra due individui: non ha mai provato sensazioni simili e già ne è assuefatto. E non è neppure ancora accaduto niente.

Simone sta ormai fremendo e tremando e riesce a sentire il cuore pulsargli pure nelle tempie – peggio di un adolescente, sì, ormai è appurato; rivolge ad Manuel un ultimo sorriso, poi gira su sé stesso e abbandona lo studio.

Corre e raggiunge l'appartamento in cui vive nella metà del tempo che ci impiegherebbe di solito – evita persino di prendere l'autobus.

La richiesta di messaggio da parte di Manuel c'è sul serio e no, non si sta affatto immaginando tutto.

Fa a malapena in tempo a cliccare sulla casella conferma e a mettere like al messaggio ricevuto che:


manu666fr
Eccoti!


Un sorriso si dispiega sulle labbra di Simone a cui tremano le mani e tarda nel rispondere.


s1moneb4lestra
Vivi col telefono in mano, ragazzo dipinto?


manu666fr
Scusa, come mi hai chiamato?
Cmq no, è che temevo non accettassi e mi stavo preparando al peggio :)


Gli scappa una risata isterica perché – sul serio – non accettarlo? Come gli salta in mente. Vorrebbe rispondergli con un diretto ma ti sei visto, però forse sarebbe troppo palese e tenta di mantenere un profilo basso.


s1moneb4lestra
Mi piace come soprannome.
E perché non avrei dovuto accettare?


manu666fr
Dipinto per i tanti tatuaggi?
C'hai na fantasia
Allora io ti chiamerò Bambi
E non lo so, vivo d'ansia io


s1moneb4lestra
B— COSA?


È diventato rosso anche in questa occasione e il motivo non gli è molto chiaro.


manu666fr
Bambi!
C'hai presente, no? Gli occhioni grandi, l'aria tenera e buffa e soprattutto innocente


s1moneb4lestra
Tenera e buffa?

manu666fr
Sì?

s1moneb4lestra
Te sbagli.

manu666fr
Parli anche romano ora?

s1moneb4lestra
Seh, fatti i cazzi tua.



Non sa che gli prende, ma di certo non ci tiene a passare per il ragazzino inesperto e innocente considerato che è l'esatto opposto, ma forse l'aspetto che tiene suggerisce tutt'altro.

La conversazione con Manuel va avanti per delle ore e toccano gli argomenti più disparati non avendo idea di come passino dal parlare di musica e discutere su quale sia il posto dove fanno la migliore carbonara a Roma.

È contento di trovarsi così a suo agio anche nel dialogo, seppur questo implichi sempre di più che Manuel è proprio, davvero, senza ombra di dubbio il suo tipo.

Il suo tipo è un ragazzo dipinto da cui probabilmente sarebbe stato alla larga solo qualche settimana prima.

Sì, è strana la chimica che lega due individui.


**


Una settimana dopo all'essersi fatto il tatuaggio – e aver ricevuto commenti non carini a riguardo dai suoi amici perché sono degli stronzi – Simone torna a casa e, puntualmente, trova un messaggio da parte di Manuel via Instagram:


manu666fr
Se ti va puoi passare in studio stasera così controlliamo come va il tatuaggio :)


Simone non risponde nemmeno e non ci ragiona per più di due secondi: del resto, aspettava solo un invito – di qualunque genere – per potersi rivedere.

Abbandona il proprio appartamento senza essersi tolto di dosso neanche la felpa blu che indossa e, in una manciata di minuti, è davanti al WildInk Crew, sempre con le gambe tremanti, ma con un sorriso stampato in faccia.

Quando Simone varca la soglia dello studio di tatuaggi viene avvolto da uno strano odore acre misto di colonia e quel che pare disinfettante che gli fa storcere il naso; al bancone, come al solito, non c'è nessuno e sperava quasi di fare nuovamente l'incontro di Matteo per domandargli se la scorsa volta lo stesse effettivamente guardando male oppure se ci fosse qualcosa di diverso sotto - è una curiosità che dovrà aspettare.

«Manuel?» chiama con voce gracchiante che si affretta a schiarire con un rapido colpo di tosse «Manuel?». La risposta tarda un briciolo ad arrivare - quarantatré secondi, non che li abbia contati.

«Oh, Simó» è un eco che rimbomba tra le pareti del piccolo locale «Sto su, sali! E - potresti girare la chiave della porta?».

Simone fa una smorfia e per un momento manco capisce che cosa debba fare; realizza soltanto dopo una completa rotazione su sé stesso che la richiesta lo invita a far scattare la serratura. «Okay, fatto» annuncia e poi, a passo lento ed incerto, si indirizza e sale uno ad uno i gradini della scala a chiocciola che portano al soppalco dello studio.

Manuel si è accomodato su una sedia di metallo, poggia il braccio sinistro su un supporto rigido di gomma piuma ricoperto di finta pelle nera e nell'altra mano tiene una delle pistole per tatuaggi con la quale si sta imprimendo addosso inchiostro poco sotto il polso destro; alza lo sguardo e sorride appena scorge la figura di Simone «Eccoti» esclama.

L'altro gli si avvicina lentamente, il ronzio dello stilo prorompente nelle orecchie - e si chiede sul serio come abbia fatto a non svenire quando è toccato a lui; si ferma a meno di un metro di distanza stringendosi nelle spalle e osservando il nuovo disegno che sta man mano apparendo nel piccolo spazio ancora libero sulla pelle del tatuatore. «Te lo fai da solo?» domanda incerto.

Manuel continua nella sua opera con attenzione maniacale: non è una figura complessa, è un'immagine piuttosto chiara e priva di colori «Di solito chiedo a Matteo» puntualizza «Però oggi è andato via prima, l'ultimo appuntamento mi è saltato e allora - me só arrangiato».

«Mh-m» mugola Simone e cerca di sbirciare meglio per capire di che si tratti; non ci riesce ovviamente e allora deve ricorrere a «Che cos'è?». Manuel non si scompone: preleva ulteriore inchiostro scuro dalla boccetta che ha aperto e posato sul lungo tavolino a ridosso della parete e non stacca gli occhi dal suo nuovo lavoro «Sono i quattro elementi» spiega «Aria, acqua, fuoco e terra. C'hanno talmente tante interpretazioni che in realtà non saprei sceglierne una».

Simone adesso riesce a vedere meglio i quattro triangoli ruotati a seconda del loro significato e sono linee davvero semplici, ma al contempo belle «Dimmi la tua preferita» esclama dispiegando le ciglia. Manuel si ferma per un breve istante, posa lo stilo sul tavolo e tenta di osservare meglio l'altro ragazzo in viso - con successo; i loro sguardi riescono ad incrociarsi e a fondersi in maniera paradossale.

«La teoria di Empedocle» esordisce e dubita che Simone la conosca così si affretta a proseguire «Lui si era basato su numerose ipotesi dei suoi predecessori, no? Presente quel niente si crea, tutto si trasforma e nulla si distrugge? Ecco, sosteneva che c'erano questi quattro elementi sui quali dominava amore e discordia che li portava ad unirsi e separarsi di continuo creando la realtà che ci circonda dove ci sembra che tutto vada veloce e muti senza controllo. È un perenne avvicinarsi e lasciarsi che dura in eterno».

Simone lo ascolta in silenzio sebbene di filosofia non ci abbia mai capito niente, però ascolterebbe per ore Manuel parlare di suddetta materia; dalle loro conversazioni via chat ha imparato che al liceo quelle erano le uniche lezioni che seguiva con vero interesse dal momento che destavano la sua curiosità - glielo ha detto una sera spiegandogli nei minimi dettagli il Simposio di Platone con una passione tale da tenerlo sveglio fino alle sei del mattino. «E perché ti piace tanto?» è la domanda che gli viene spontanea.

Manuel scrolla le spalle «Non so» replica «È tipo quel che accade con le persone: si attraggono e respingono dominati da amore ed odio» fa una breve pausa e scuote vigorosamente il capo «E probabilmente se dicessi questa cosa davanti al mio ex professore, mi prenderebbe a calci».

«Come mai? È - è una bella idea».

«Ah, non è del tutto esatto come ragionamento» Manuel si alza il piedi e si ripulisce la porzione di pelle appena tatuata con una garza imbevuta di disinfettante; il disegno deve ancora essere ultimato e probabilmente avverrà più tardi. «Allora» esordisce poi «Me lo fai vedere?».

Simone si perde per un secondo ad osservare le braccia di Manuel e i suoi muscoli che si contraggono a seconda dei movimenti; oggi ha indosso una t-shirt blu elettrico lievemente più larga rispetto al solito e lunga e dei jeans scuri e attillati che gli fasciano perfettamente le gambe toniche. Quando le sue parole gli giungono ai timpani, il ragazzo sussulta e non connette subito «Ti faccio vedere cosa?».

Manuel smorza una risata - gli pare sul serio che Simone viva in un mondo tutto suo e ormai ha appurato che lo trova decisamente strano, però bello e quindi carino.

«Il tatuaggio, ovviamente».

«Oh» sospira l'altro «Ovviamente». Le guance gli stanno avvampando ed è sicuro di essere tutto rosso in viso; abbassa il capo talmente tanto da farsi ricadere appositamente i capelli in avanti per nascondersi frattanto che si alza la manica della felpa grigia che lo avvolge e scoprire il polso.

Manuel lo afferra piano tra le mani solleticandogli la pelle con le dita; passa i polpastrelli sopra il disegno delle due orme impresse «Va bene» constata «Devono ancora venire via un paio di croste, però non ha fatto infezione».

Simone annuisce distratto ed evita di notare troppo come quel minuscolo e insignificante contatto che sta avvenendo gli stia donando continue scosse elettriche lungo tutto il corpo - e forse è uno dei motivi che porta a porre un quesito nettamente fuori luogo poco dopo «Manuel?» pigola.

«Mh?» il tatuatore solleva lo sguardo e fa un passo indietro.

Simone tira nuovamente giù la manica della felpa «Posso chiederti una cosa?» e si morde forte la lingua perché tecnicamente pure quella è una domanda, però Manuel non obietta e allora va avanti «Ma tu - insomma... Ti piacciono i ragazzi, vero?». 

Non è certo se abbia innescato una risata divertita o nervosa nel suo interlocutore oppure temere che adesso lo sbatta fuori dallo studio o comunque qualunque evento drastico e catastrofico gli passi per la testa; comunque, non lo fa rispondere e comincia a parlare a raffica senza nemmeno prendere fiato - succede sempre quando è nervoso «No, perché - mi faccio tanti film mentali, no? Mi immagino proprio delle situazioni e cosa potrebbe accadere e cosa io dovrei fare o dire, penso davvero alle frasi da pronunciare, capito? E quindi quando parlavamo ho - cioè, me ne sono fatti tanti di film mentali e in tutti questi... Oddio, potrei anche averti immaginato a - hai capito, no? E mi serve sapere se - se ti interessa altrimenti sto facendo la figura dell'idiota in questo preciso istante e, in quel caso, ti autorizzo a tirarmi un pugno in faccia così forte da farmi perdere i sensi».

A discapito dei suoi timori, Manuel non ride: si limita ad inarcare un sopracciglio - quello col piercing - e quasi azzera la distanza che li separa. Non è più alto rispetto a Simone - più o meno sono uguali - ma qualche centimetro lo guadagna con la spessa suola degli anfibi che indossa; quindi lo scruta dall'alto verso il basso mentre si morde piano il labbro inferiore «Ah, sì?» sibila «E come mi hai immaginato?». 

Non replica propriamente alla domanda, ma Simone reputa una frase simile piuttosto eloquente, specie se legata al suo fiato caldo che percepisce addosso e allora un briciolo si sente sollevato. Deglutisce rumorosamente e tenta di non fissargli la bocca «Ti ho immaginato a fare...» balbetta «A fare - cose».

«Tipo?».

Simone ha iniziato a sudare freddo e manca davvero poco prima che la punta del naso di Manuel sfiori la propria «Te l'ho detto» ribadisce con voce roca «Cose».

È adesso che Manuel sogghigna e inclina in maniera inquietante il capo di lato «Ah, vedi? Avevo ragione» esclama con mera soddisfazione.

«Ragione? Che ragione?».

«A dire che sei un ragazzo Bambi, carino e innocente».

Simone corruccia le labbra in una smorfia come indignato per quella affermazione e strizza gli occhi a voler risultare un briciolo minaccioso - con davvero scarsi e pessimi risultati «Cos-- Non sono innocente».

Manuel lo fissa con un velo di malizia che gli ricopre il volto «No?» lo provoca «Non sai nemmeno dire che mi hai immaginato mentre ti facevo un pompino».

Ad una frase simile, Simone si ritrova a spalancare automaticamente la bocca sia perché - in effetti - ha azzeccato i sogni che ha avuto, sia per il fatto che non credeva che l'altro fosse così... 

Aperto, ecco. Insomma, c'è una netta differenza tra come ha malamente flirtato la prima volta ed ora e non sa ancora quale versione preferisce: forse Manuel sente di esser entrato abbastanza in confidenza da sbilanciarsi fino a tal punto oppure ha avuto una sorta di illuminazione divina durante quei giorni - lui non può saperlo.

«Non ti ho assolutamente immaginato a far--» tenta inutilmente di negare e Manuel incalza con «Io l'ho fatto, più e più volte».

Simone fa di tutto per regolarizzare il proprio respiro e far sì che il cuore non gli esploda nel petto, ma risulta pressoché impossibile poiché Manuel è così vicino da farlo fremere, i suoi occhi calcati da matita nera lo stanno praticamente divorando e lui non possiede più nessun controllo. 

«Oh» è in grado soltanto di sospirare lasciando ricadere mollemente le braccia lungo i fianchi.

Manuel avanza in maniera lenta e sinuosa, le loro ginocchia si sfiorano e i tessuti strusciano l'uno contro l'altro; continua a muovere passi felpati fino che Simone non si ritrova con la base della schiena che preme contro la ringhiera di metallo del soppalco e non può nemmeno ipotizzare di scappare - non ci riuscirebbe, del resto. Abbassa prontamente il capo per evitare di far fondere i due paia di oggi tra loro e ne è in grado solo per un istante: Manuel gli mette indice e medio sotto il mento e lo costringe a sollevare la testa e guardarsi.

Simone non ha il tempo di dire o fare qualcosa che le labbra dell'altro si avventano sulle proprie, la lingua gli entra in bocca in maniera avida e passionale e - Dio - sta davvero valutando l'idea di svenire in quel preciso istante.

La sensazione non fa che peggiorare, precipitare del tutto quando Manuel porta una mano sul cavallo dei suoi pantaloni e preme il palmo aperto sull'eccitazione che inizia a fargli male intrappolata nei boxer di cotone e ricoperta dallo spesso strato dei jeans. Il tatuatore poi si distacca, sposta le labbra gonfie e arrossate sulla guancia di Simone e, in seguito, sul collo dove succhia la porzione di pelle che riesce a trovare appena sopra la clavicola lasciata scoperta dalla felpa troppo grande che è scivolata di lato e la morde piano con i denti.

«Facevo così nella tua testa?» chiede con sibilo al suo orecchio, riservandogli una strizzata più forte; Simone percepisce un brivido percorrergli la schiena, emette un gemito e serra le palpebre. Annuisce in modo frenetico e l'istinto lo porta a protendere le braccia in avanti e sfiorare con i polpastrelli il petto dell'altro ragazzo attraverso la maglietta.

«E poi?» bofonchia ancora Manuel, mentre la piacevole e deliziosa tortura che sta infliggendo a Simone prosegue con una pressione a tratti forte o più debole con le dita; è incredibilmente eccitato e neppure si ricorda quando gli è successo l'ultima volta, qual è stata l'occasione in cui si è sentito davvero così attratto da qualcuno, che una persona lo facesse impazzire con poco e niente - è solamente contento che sia accaduto.

Le mani di Simone vanno ad aggrapparsi alla ringhiera: stringono talmente forte il metallo da fargli sbiancare le nocche; lui vorrebbe parlare eppure dalla bocca non gli esce altro che una serie di gemiti sconnessi e - a tratti - imbarazzanti.

Manuel gli mordicchia il lobo dell'orecchio pizzicandolo piano con gli incisivi mentre la sua mano si sposta e va a sbottonare i jeans dell'altro, tirando giù la zip con uno scatto; con due dita tira l'elastico dei boxer facendolo schioccare per un paio di volte contro la pelle sottile dell'inguine. «E poi, Simone?» sibila di nuovo.

Sentirlo pronunciare il proprio nome in quel modo e in quella situazione scatena in Simone un piacere innato che gli percorre l'intero corpo e si amplifica raggiungendo ogni suo muscolo; vorrebbe pure rispondergli, ma non ce la fa davvero. Riesce solamente a spingere con i palmi aperti sul petto del tatuatore e poi fare pressione sulle spalle verso il basso come per fargli capire che cosa desidera in tal preciso istante: lo vuole, vuole tutto. Incrocia gli occhi scuri e calcati di matita nera sbavata e pare supplicarlo con i propri che si sono fatti addirittura lucidi.

Manuel curva le labbra in un ghigno: nella frazione di un attimo è in ginocchio a terra, si trascina dietro i pantaloni stretti di Simone - che però faticano a venir giù sia perché il tessuto è poco elastico sia per il fatto che sfrega e fa attrito con le cosce incredibilmente sudate.

Fa una smorfia dettata dall'irritazione e impazienza: quando finalmente ha successo nell'impresa non perde ulteriore tempo e le sue labbra si schiudono subito sull'erezione già presente dell'altro, ancora attraverso il cotone dei boxer - gli piace questa parte dove può stuzzicare e portare il desiderio al limite estremo. Succhia la punta già un po' bagnata e con indice, medio e pollice stimola lievemente i testicoli con un massaggio che passa dall'essere lento a rapido e incurante.

«Cristo!» Simone si lascia scappare uno sbuffo buttando la testa all'indietro: i capelli gli si sono incollati alla fronte e neppure si smuovono.

Manuel sorride con la bocca che ancora aderisce alla sua eccitazione «Era un'imprecazione?» biascica «Proprio per dimostrarmi che non sei un ragazzino innocente, ah?».

Simone strizza le palpebre e crede davvero che se Manuel non si sbriga a fare ciò che deve, lui imploderà e verrà prima del necessario come un ragazzino di tredici anni «Oh, sta' zitto» si lamenta.

La sua richiesta viene esaudita - più o meno: Manuel decide di liberarsi dei boxer strattonandoli fino alla caviglie; alza lo sguardo fissando Simone attraverso le ciglia dispiegate. L'altro ragazzo non lo sta guardando: ha gli occhi chiusi, il capo reclinato e si sta sforzando enormemente di regolarizzare il respiro.

Non pensa di aver mai visto qualcosa di più eccitante - e Matteo, probabilmente, lo prenderebbe in giro se mai osasse dire ad alta voce una cosa del genere, ma in fondo chi se ne importa, è personale.

Nel momento in cui lo prende in bocca, Simone sussulta: la pressione che Manuel esercita con le labbra è forte, scivola su tutta la lunghezza del suo membro; spesso scopre i denti e li strofina sulle venature più sporgenti e sensibili; poi muove la lingua in maniera circolare soffermandosi sulla punta, incava le guance mentre con due dita tiene ferma la base. 

Scatta con la testa avanti e indietro, si sbilancia sulle ginocchia piegate e la mano libera va a stringere e strizzare la natica sinistra di Simone premendo con tutti i polpastrelli. A quest'ultimo manca poco per raggiungere l'orgasmo, si sta trattenendo mordendosi forte il labbro inferiore fino a rischiare di farlo sanguinare perché non vuole urlare eppure sa che la lunga serie di gemiti che sta emettendo di sicuro è sufficiente a tradirlo.

È anche sul punto di farlo quando percepisce uno scatto troppo familiare - e del tutto fuori luogo considerata la situazione - il rumore della serratura della porta d'ingresso e le chiavi che aveva lasciato dentro ricadere fragorosamente a terra; ciò che segue dopo non fa che riempirlo di imbarazzo. «Manuel?» è la voce di Matteo che risuona nell'ambiente «Oh, ci sei?».

Simone è già in procinto di far distaccare l'altro ragazzo, rivestirsi e scappare via nella vergogna più totale, ma non può, non ci riesce poiché Manuel si scosta solamente con la testa e non accenna a muoversi da lì, accovacciato sul pavimento e con le dita che gli stringono il sedere. «Mattè, sto di sopra» esclama e Simone prova l'impulso di ucciderlo perché lui è parzialmente nudo e ha un'erezione in mezzo alle gambe che gli fa male - insomma, che gli salta in mente?

«Vedi che ha telefonato quella tizia» prosegue Matteo e si sente che sta trafficando con dei fogli presumibilmente al bancone «L'appuntamento di domani mattina, no? La fata sul polpaccio... Dio, che tatuaggio de merda».

«Sì, e allora?» Manuel non pare avere alcuna intenzione di alzarsi: sta parlando col suo collega e con una mano stringe ancora il membro di Simone che - intanto - si sta sciogliendo lentamente e ha smesso di trovarne le ragioni; si tappa la bocca con un palmo dal momento che, inconsciamente, l'ennesimo gemito di piacere l'ha travolto.

«Allora l'ha voluto spostare perché io non ci sono. A quanto pare gli stai sul cazzo».

Manuel ride distratto; Simone un briciolo si è rilassato e davvero non può prevedere l'attimo in cui il tatuatore riprende il suo membro in bocca e succhia più forte di prima, in maniera più frenetica aiutandosi con tutte e cinque la dita mentre Matteo va avanti a parlare dal piano di sotto «Questo vuol dire che me la devo sorbire io, che bellezza».

Non vi è replica a tale affermazione, Manuel è eccessivamente impegnato in quel che sta facendo per proferire parola, però poi Matteo aggiunge «Oh, ma posso salire?».

È allora che Manuel ritira il capo di nuovo all'indietro e ribatte «Ce sta Simone». Segue un silenzio atroce - purtroppo per Simone che non ce la fa più e grugnisce e geme in modo impietoso - e adesso vorrebbe solamente sparire dall'universo.

«Okay, ho capito» conclude Matteo «Me ne vado. Potevi dirlo, eh!».

Simone a stento sente la porta che viene sbattuta e sigillata con un giro di chiave dall'esterno: l'orgasmo lo colpisce in quel preciso istante, le gambe gli tremano e per un soffio non crolla sul pavimento frattanto che l'altro ancora sfrega le dita sulla sua erezione ormai scemata.

Manuel si rimette in piedi con un piccolo saltello, un sorriso stampato sulle labbra gonfie e arrossate «Quindi» bofonchia «Questo ti basta come risposta?».

Simone non è nemmeno in grado di guardarlo in faccia: le palpebre sono pesanti, fatica a tenerle sollevate e ha il fiatone «Credo...» balbetta «Credo di sì».

Dopo non può aggiungere altro: si sforza di aprire gli occhi strizzandoli più volte e Manuel lo bacia sulla bocca schiusa nel silenzio in cui è ripiombato il negozio.


**


«Cos'è quella faccia? Pensavo scopassi per bene invece me pari 'n cadavere». Matteo si butta sulla sedia girevole della scrivania dello studio di tatuaggi dondolando leggermente sulle ruote instabili.

Manuel è al bancone intento a - letteralmente - scarabocchiare fogli con una matita senza alcun nesso logico, le sopracciglia aggrottate e un'espressione sofferente in viso; sbuffa ed è quasi sul punto di lanciare tutto per aria «Oh, zitto, per favore!» esclama, non rivolgendo all'amico neppure uno sguardo fugace.

Matteo sogghigna tra sé frattanto che accende il computer e il suo relativo schermo «Che c'è?» lo schernisce «Il ricciolino non te lo dà più?».

Manuel sbuffa sonoramente e - sul serio - vuole bene al suo socio di attività, ma delle volte prova l'istinto di picchiarlo, specialmente quando ha uscite di quel genere; per adesso si limita ad appallottolare un pezzo di carta e a lanciarglielo addosso scaturendo le sue risate e finendo pure per imitarlo.

«Non è manco quello il problema» dice poi tornando serio; replica in maniera automatica ad un quesito muto da parte dell'altro che lo invita a proseguire «Non siamo mai arrivati a - insomma, al punto». Matteo sgrana gli occhi d'improvviso e spalanca la bocca ad imitare una falsa aria scioccata «Vi ho beccati tre volte di sopra a fare le porcherie» sbotta «E mo' mi dici che manco avete concluso seriamente?».

Manuel allarga le braccia esasperato - e oggi fa eccessivamente caldo per la camicia bordeaux che ha scelto; «No» biascica in un lamento «Abbiamo fatto tipo tutto, no? Però non - pompini, tanti pompini e... Oddio, penso lo convincerò a mettere un piercing sulla lingua perché... Accidenti, manca solo quello e ti giuro che fa cose con quella lingua che non puoi nemm--».

Matteo lo frena con un più che finto colpo di tosse e «Basta dettagli, ti prego».

E sì, forse dovrebbe smetterla di parlare in un modo così aperto di ciò che combina con Simone, ma è frustrato, in ansia e tecnicamente è davanti ad uno che può considerare uno dei suoi migliori amici quindi ne ha anche un po' il diritto; cerca di frenarsi solamente a causa delle guance che lievemente si sono arrossate e al cuore che ha cominciato a battergli un po' più forte.

«Okay, okay!» si arrende alzando le mani; sospira e fa ricadere le braccia lungo i fianchi «Però il problema rimane».

«E quale sarebbe?».

«Il posto» Manuel replica con sentita naturalezza perché il fulcro di ogni tentennamento è dato da quello «Cioè... Io vivo co' mi madre, lui coi suoi. Abbiamo provato a chiuderci in camera, ma è un casino e - siamo piuttosto rumorosi».

Matteo fa una smorfia «Sì, l'ho notato» commenta; Manuel smorza una risata «Non sappiamo dove stare tranquilli e fare tutto con calma».

«Quindi è questo il problema?».

«Esatto».

A tale replica, l'amico scuote appena il capo e strabuzza gli occhi come a far notare qualcosa di evidente - che come ovvio Manuel non scorge; «Cazzo, potevi dirlo prima».

«Dire che?».

Matteo neanche si scomoda a rispondere: si rimette in piedi e infila una mano nella tasca anteriore dei jeans; poco dopo tira fuori un mazzo di chiavi che pone sul bancone e fa un cenno con la testa verso di esse. «Toh» esclama infine.

Manuel osserva i suoi gesti con un'espressione stranita in viso, oltre che dubbiosa «Quelle che sono?».

«Le chiavi di casa mia» è spazientito; non è palese?

Di fronte a tale scena il ragazzo è diviso tra il saltare dalla gioia oppure mantenere una facciata composta e non troppo euforica; in realtà basta davvero pochissimo e la prima opzione ha la meglio: Manuel saltella sul posto, afferra l'ammasso di ferraglia tenuto insieme da un pupazzetto giallo e «Te faccio 'na statua!» esclama, riservando all'amico un abbraccio scomposto e scoordinato - tanto che rischia di colpirgli lo zigomo con un gomito. 

Non si trattiene neppure a valutare pro e contro di una decisione del genere, non gli chiede se è sicuro di un gesto del genere: probabilmente l'impazienza e la frustrazione - è frustrato, tipo sessualmente, no? - lo spingono a quietare ogni sua parte razionale e logica.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro