Errare humanum est, perseverare autem diabolicum
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum
(Connor & Hank)
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«Più imparo cose sugli esseri umani...»
«Più ama gli androidi?»
«No, più amo i cani. Non credere di aver fatto breccia nel mio cuore, razza di scaldabagno di plastica.» Gli rivolge un'occhiata sbieca e Connor, come sempre, non reagisce, ma c'è sempre quel sorrisetto minuscolo che si intravede ai lati della guancia destra come se... come se, un minimo di allegria – felicità, forse spensieratezza – in realtà la stia provando, quando forse si tratta solo di una programmazione fin troppo realistica. Qualche tempo fa gli ha detto che è stato programmato perché sia socievole e metta a suo agio gli esseri umani, e lui gli ha risposto che alla Cyberlife , a quanto pare, hanno toppato alla grande. Perché, in effetti, non si è sentito né a suo agio, né tantomeno allo stesso modo in cui si sentirebbe con un essere umano.
Gli viene da ridere. Da quando in qua Hank Anderson si sente a suo agio vicino a qualcuno che non sia Sumo? Figuriamoci se ora un androide gli fa provare delle emozioni!
Scuote la testa, mentre il suo ramen istantaneo inizia a galleggiare nel brodo, e il fumo continua ad uscire dalla confezione. Non ha calcolato bene i tempi nel microonde, lo ha tenuto per troppo, ora come minimo la pasta gli si scioglierà in bocca. Guarda Sumo, seduto a terra. Probabilmente non vorrebbe mangiarla nemmeno lui.
«Non credo funzioni così, il cibo pronto. Non c'erano le indicazioni sulla scatola?»
«Sei anche un androide casalingo, ora?», gli chiede Hank, e Connor, in piedi accanto a lui con le mani dietro la schiena – sempre con quella postura dannatamente eloquente che lo fa sembrare uno a cui hanno infilato una scopa su per il culo, alza le spalle.
«Non sono programmato per quel tipo di mansioni, ma so che sui prodotti pronti ci sono le indicazioni di cottura. Vuole che gliele legga, tenente?»
Hank alza le sopracciglia. Ha tra le dita le bacchette cinesi ancora a mezz'aria, mentre gli spaghetti che aveva preso con difficoltà sono caduti di nuovo nel brodo, con uno splash inquietante.
«Che cazzo, Connor, non potevi farmelo presente prima?»
«Come le dicevo non sono programmato per questo genere di cose, ma so riconoscere il disappunto sul volto di qualcuno e quello», Connor indica la sua faccia, con un indice accusatore, «È decisamente uno sguardo di disappunto.»
Hank stavolta alza gli occhi al cielo e scuote la testa, diviso tra il mandarlo a fare in culo e dargli ragione perché sì, il disappunto c'è, ma forse non è il ramen, il problema. Il problema è che non sa provare altri sentimenti a parte l'esasperazione, la rabbia, la tristezza e la depressione, da quando a Cole è successo... quello che è successo e, Hank lo sa, ha sotterrato con lui tutte le altre emozioni che lo riguardano.
Si guarda indietro, a volte, quando è solo a casa, nel suo letto e magari non c'è niente che lo può aiutare a distrarsi e non cadere in quei pensieri distruttivi, e Cole è sempre lì, insieme al suo brillante futuro pieno di gloriosi propositi e promozioni, una vita agiata, una famiglia felice e nessun incubo ricorrente a rovinargli la vita. I sensi di colpa a lacerarlo da dentro, così tanto da non lasciare spazio a nient'altro che il silenzio, il rimbombo della voce di Cole che gli chiede di aiutarlo («Aiutami, papà... sento tanto dolore») e nessuna prospettiva di vita, nessun motivo per andare avanti, se non esistere passivamente, attendendo con ansia di morire. Perché sì, Hank è così codardo che non riesce nemmeno a ammazzarsi da solo. Aspetta che sia qualcun altro a prendersi quella briga, a farlo fuori e quale metodo migliore se non rimanere nella polizia? Invece di trovarsi altro da fare, un nuovo hobby per esempio e continuare a sperare che, prima o poi, qualcosa cambi?
Alla fine ha deciso che l'unico modo per non lasciare che le cose scivolino peggio nel dolore e nel buio, è quello di non provare più niente. Non farà più quell'errore di affezionarsi a qualcuno, mettere su famiglia, fare un altro figlio – no, Cole è insostituibile, anche se la sua terapeuta gli ha detto che nessun futuro è atto a sostituire nessuno, ma solo a vivere una vita, l'unica che ci viene concessa, nel miglior modo possibile. E lui si è solo chiuso di più, perché quando il senso di colpa che ti porti dietro è così grande, è impossibile credere che vi sia una seconda possibilità. Non farà di nuovo quell'errore. Non proverà di nuovo sentimenti, non si attaccherà più a nessuno, mangerà fino a farsi venire un infarto, continuerà a svolgere le missioni più difficili sperando che gli sparino in testa e poi... e poi spera di finirla lì e di non tornare mai più su quella terra come Hank Anderson. Non ci vuole vivere in un mondo dove vivono gli androidi. Non vuole vivere in un mondo popolato da quegli esseri innaturali e fuori controllo che hanno ucciso suo figlio. Anzi, che non lo hanno salvato, perché incapaci di provare empatia, di mettercela tutta per amore del genere umano. Fanno quello che devono fare, solo perché sono programmati a farlo, nient'altro.
Nient'altro.
Si passa una mano tra i capelli grigi, e sospira. Connor lo guarda ancora, forse in attesa di una risposta.
«Che vuoi?», gli chiede e l'androide sbatte gli occhi un paio di volte, come se improvvisamente il suo programma fosse andato in crash per qualche problema interno. Hank non sa nemmeno che accidenti ci sia, dentro quella testa. A malapena sa accendere il suo computer o usare il suo cellulare per altre funzioni che non siano telefonare e mandare qualche messaggio.
«Nulla, mi accertavo che fosse tutto a posto, tenente. Mi sembrava triste.»
Hank sbotta con una risata senza entusiasmo. «Non hai detto che avevo su una faccia di disappunto?»
«È cambiata improvvisamente, forse ha ricordato qualcosa che non le fa piacere ricordare.»
«Siete programmati proprio ad hoc voi androidi, eh?»
Connor alza di nuovo le spalle. È un vizio che deve aver copiato da qualcuno, chissà. «Più imparo cose sugli esseri umani...»
«Più ami i cani?», ironizza Hank e lo fa ridere. Ride di gusto, è quasi impossibile credere che sia davvero l'androide che ha conosciuto qualche tempo fa, e che sembrava sempre così dannatamente fuori posto, eppure lo ha visto prendere iniziative, disubbidire per non infrangere protocolli. Lo ha visto fargli l'occhiolino, dirgli di mangiare di meno per non alzare il colesterolo. Preoccuparsi per la sua salute, mentale e fisica e, anche se forse non è vero che prova empatia, Hank sente che un po', forse, Connor lo capisce davvero.
«Più imparo a diventare come loro», conclude.
«Non farlo mai», risponde, lapidario, quasi gli parla sopra e l'androide alza immediatamente lo sguardo sul suo, confuso. «Non lasciare che le emozioni sopravvengano su di te. Le emozioni fanno schifo.»
«Non sono di questo avviso, penso che siano semplicemente ciò che vi rende umani», commenta Connor e, guardando poi il piatto, lo indica. «Credo che si stia raffreddando troppo, tenente. Non devono essere molto buoni, così freddi», ride e si alza in piedi, prendendo da sopra un mobile della cucina un biscotto per Sumo, che gli porge con un sorriso, poi si congeda, probabilmente avendo captato che Hank, ora, ha davvero bisogno di rimanere da solo con i suoi pensieri.
Lo guarda chiudersi la porta alle spalle, e resta immobile a fissare la superficie di legno ammaccato che separa l'interno dall'esterno.
Non vuole provare niente, non vuole sentire più niente, dentro. Ha spazio solo per rabbia, odio, rancore e tristezza eppure... Eppure, quando guarda Connor, non può non pensare a Cole e a cosa sarebbe potuto diventare oggi. Forse ci sarebbe stato lui, al posto dell'androide, a fargli da spalla durante i suoi casi. Chissà, forse sì, ma non è poi così dispiaciuto che sia lì, accanto a lui, e che sappia prenderlo molto più di quanto sappiano farlo gli esseri umani. Pensa a Cole, di nuovo, e pensa a Connor; le due figure si sovrappongono, e gli occhi di Hank si bagnano un po', a quel pensiero.
È sempre triste, arrabbiato, però non sentiva il cuore così caldo da troppo tempo. Sta provando ancora le emozioni di un tempo, sebbene in modo fievole, leggero, ma le sta provando.
Ha sbagliato in passato a lasciarsi prendere dalla debolezza dell'anima, si era promesso che non lo avrebbe fatto più, eppure eccolo qui, a sentire un androide così vicino che potrebbe quasi definirlo un figlio.
È sbagliato, sbagliato, sbagliato, ma il cuore non si comanda e nemmeno il suo bisogno di non sentirsi più solo.
Connor non sarà Cole, non potrà mai esserlo, ma è importante. Così tanto che, anche se non lo ammetterà mai, lo vuole proteggere e dunque, inesorabilmente, sbaglierà ancora, provando emozioni che aveva dimenticato e che voleva sopprimere.
Il ramen è gelido, così decide una volta per tutte di buttarlo nell'umido. Prende la giacca ed esce fuori. Connor è lì, in piedi sul prato del giardino, all'aria aperta; sembra quasi si stia godendo il sole di mezzogiorno.
«Andiamo a mangiare fuori, mi sa che è meglio, se non voglio farmi venire un'intossicazione alimentare», bofonchia e lo fa ridere di nuovo: è quasi respiro caldo sulle guance.
«Si ricorda che io non posso man-»
«Mi farai compagnia», lo interrompe e, con le mani infilate nelle tasche della giacca e un mezzo sorriso nascosto sotto all'aria burbera che ormai gli si è tatuata in faccia, entrano in macchina e dopo tanti anni, Hank, sente di nuovo quella sensazione di famiglia nell'aria, quando Connor sale accanto a lui e muove leggermente la testa a tempo della musica che esce dalla radio.
Una vecchia canzone dei Radiohead.
Piccoli gesti umani, che gli erano mancati.
Terribilmente.
FINE
•••
Note Autore:
Ebbene sì, infine sono approdata anche io su questo fandom, come al solito dopo circa seicentocinquantamila anni, ma ci sono ** Questa raccolta è dedicata alle storie che ho scritto durante il COWT12 indetto da Lande di Fandom ma spero di poterla arricchire anche con storie nuove che scriverò per puro diletto. Amo questo gioco, mi è piaciuto tantissimo ed è rientrato di certo tra i miei preferiti di questo decennio ** Il rapporto tra Connor e Hank mi piace in ogni salta (sì li shippo anche, ma per qualche ragione la versione "padre/figlio" mi ispira di più).
Comunque non sarà solo su di loro, ma anche su tutti gli altri meravigliosi personaggi (Non tu, Gavin) che questo gioco ci ha regalato ♥
Quindi, sperando che questa prima shot vi sia piaciuta, vi aspetto per la prossima che, ovviamente, sarà super Angst **
*Risata doppia satanica)
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