Parte Prima: Caino
Al professor Nunzio Vincenzo Iannella, grazie ai quali insegnamenti ho potuto campare di rendita per tutto il quarto ginnasio e buona parte del quinto.
Durante la pizzata di fine terza media mi aveva detto di dedicarle un libro, e l'ho fatto.
Mi stia bene, prof.
Mi ha detto di chiamarsi Carmine Mallardo.
Così inizia la nota, datata 7 marzo 2014, nella quale Stephen Herondale descrive il suo incontro – anteriore di diversi mesi – con il suddetto lupo. Tale incontro, primo di una lunga serie, avrebbe spianato la strada a una stretta collaborazione tra i due, finalizzata, da parte di Mallardo, a procurare armi e uomini all'esercito che il vampiro stava assemblando. Esercito che si sarebbe scontrato con gli Shadowhunters di New York, nell'agosto dello stesso anno, nell'ormai famosa battaglia della Fifth Avenue, durante la quale l'Angelo Raziel scese a reclamare i poteri di una Chiaroveggente non ancora riconosciuta e lo stesso Herondale venne a mancare. Grazie all'intercessione di Raziel, nessuno, salvo i Nephilim partecipanti, avrebbe avuto più alcun ricordo del combattimento.
Un manipolo di Nascosti armati servì ben poco a Stephen Herondale, ma questo era quanto il boss era disposto a offrire. Ciò che Herondale mise sul tavolo, al contrario, fu per il licantropo assai più utile: in cambio di qualche pezzo di ferraglia e una ventina di mannari addestrati alla bell'e meglio, Stephen avrebbe trovato il peccato originale di Carmine Mallardo.
Fu l'aver voluto mordere la mela, dopotutto, che portò a Caino.
Da Golfo di camorra, Lorianne Herondale, 2045, Kingsmill edizioni
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«Sapere che Mallardo aveva ancora un altro segreto non mi ha sorpreso più di tanto, nel momento in cui Sabrina ha urlato quell'unica parola in una sala ricolma di gente nella quale, tuttavia, non volava una mosca. Almeno, questo è ciò che suppongo. A distanza di un certo lasso di tempo, con il senno di poi, ritengo sia stato più che altro il contesto a cogliermi impreparato. Il contesto mi coglie impreparato ancora adesso.
«C'è una mano divina, in tutto questo, come c'è nell'intero creato; e se in quel famigerato istante quella mano, più che divina, è sembrata a me e a chiunque altro demoniaca, è solo da attribuire al gelo che quel cognome porta con sé.
«Ma il destino è segnato per tutti. Benché non l'abbia provato sulla mia pelle, questo io lo so bene. E se è già arduo imporre la propria volontà sul disegno del Fato, sarà ancora più arduo agire su quei fili dell'immensa matassa dell'Universo che non sarebbero neppure dovuti esistere.»
Dalla confessione di Mattia Nardone al Praetor Lupus, 11 gennaio 2033
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