6. Abgrund
Tedesco: "abisso".
Chi lotta con i mostri deve guardarsi
di non diventare, così facendo, un mostro.
E se tu scruterai a lungo in un abisso,
anche l'abisso scruterà dentro di te.
[Friedrich Wilhelm Nietzsche, Al di là del bene e del male]
Mercoledì. Era mercoledì.
Quanto temuto e atteso era stato quel giorno, quanto merito aveva avuto nel progressivo diminuire del volume del fluido nell'ampolla, per quanto tempo Jean aveva pensato a quale completo scegliere, a quali rune tracciarsi, con quali parole iniziare il suo discorso.
Ed è per questo motivo se il bastardo degli Argentsang si sorprese nello scoprirsi calmo, forse troppo calmo, mentre con sorrisi non così falsi e vigorose strette di mano, stazionando al fianco di Daniel Cartwright di fronte alle porte della Sala del Consiglio, salutava Nephilim di vecchia conoscenza e dava il benvenuto a Nascosti di ogni ordine e specie.
Li guardava sfilare davanti ai suoi occhi, sotto al suo naso, del tutto ignari, eppure non poteva cancellare la brutta sensazione che quello all'oscuro fosse lui.
La mancanza di ansia gli ricordava i giorni dell'Accademia: era matematico che, se non ne provava, sarebbe stato interrogato. Se invece fosse stato a soffrire con le viscere attorcigliate in quel banco già allora troppo piccolo per lui, la giornata sarebbe filata liscia come l'olio.
In fin dei conti, Jean non poteva definirsi una persona superstiziosa, ma se Raziel gli mandava un segno non era tipo da ignorarlo, e a quel punto non poteva far altro se non sperare che la sua pancia si sbagliasse, che non fosse Cartwright quello destinato a salire.
Ovvio, se per uno scherzo del destino fosse stato Cartwright a ricevere lo scettro, lui non si sarebbe di certo messo a frignare come un bambino e a fare i capricci finché René non gli avesse comprato un gelato al cioccolato oppure quella camicia di Yves Saint Laurent che aveva visto nella sua boutique di fiducia sugli Champs-Élysées, ma doveva ammettere che ormai si era abituato all'idea di indossare la tunica grigia con le rune argentate e portarla almeno per i prossimi dieci anni. E allora insieme a lui sarebbe stato eletto Francis, e sì che sapeva che avere parenti sullo stesso luogo di lavoro equivaleva a scavarsi la fossa da soli, ma la presenza del cugino – il pensiero stesso della sua presenza – lo tranquillizzava. E Raziel se aveva bisogno di tranquillità.
La sua imperante necessità di pace interiore fu presto dimenticata, però, al passare attraverso le porte di qualcuno che, pur non volendolo, gli aveva tenuto compagnia tutta la notte, qualche sera prima.
L'ultima volta che avevano avuto una conversazione seria – cioè non quella in cui Jean aveva fatto gli occhi da cucciolo implorandolo di avere la camicia di Saint Laurent, quella prima – René gli aveva detto che credeva di poterlo vedere raggiungere qualunque vetta, ma anche che la sua impulsività prima o poi l'avrebbe tradito.
Impulsività che lo accompagnava sempre e comunque, e specie quel giorno, quando sorpassò Cartwright per essere il primo della coppia a ricevere i nuovi arrivati.
Come gli aveva fatto notare Daniel in persona, Nardone era suo. Era più che giusto che venisse, quindi, accolto da lui. Se con una pugnalata al petto o un sorriso da far sciogliere persino Lorianne, quello ancora non lo sapeva.
Anche tirato a lucido, con la camicia inamidata stile anni Cinquanta e la rigida giacca di tipica fattura italiana, Mattia conservava un po' del suo essere selvaggio, della sua altra natura, della sua condizione a metà tra l'umano e l'animale: così lindo e pinto, in quei vestiti che non dovevano stargli molto comodi, sembrava una bestia in gabbia, costretto in un ruolo che non gli si addiceva. Un fuoco ardeva nelle sue iridi del caldo colore del legno di ciliegio, dell'identica sfumatura dei capelli arruffati dalla brezza impertinente; un fuoco indomato e indomabile, segno e sintomo della spaccatura della sua anima, del suo trovarsi in un limbo tanto pericoloso quanto affascinante, del suo possedere due coscienze tra loro inconciliabili. Teneva le labbra serrate, appena piegate agli angoli, di modo che non si capisse se stava sogghignando o esprimendo disprezzo, ed era bellissimo: l'esatta immagine che gli era sovvenuta nella notte di domenica e che l'aveva portato all'estasi.
Al contrario Lorianne, fasciata in un severo tubino nero, era il riflesso di ciò che in quella stessa notte gli aveva procurato una serie infinita di incubi fino al mattino. Era cupa, scura come al solito, la chioma bionda che si confondeva con la tinta pallida del volto spento, sulle palpebre solo un filo di matita che, se messo meglio, avrebbe potuto valorizzare i suoi – per carità – non orrendi occhi verdi. Jean scambiò con lei uno sguardo che aveva tutte le potenzialità per essere fulminante, ma che infine, essendosi le suddette potenzialità annullate a vicenda, risultò vuoto come il cuore di quella serpe, freddo come il suo sangue, effimero come la sua stessa esistenza su quella terra.
Se ancora c'erano state occasioni in cui si era chiesto cosa l'avesse spinto a separarsi da lei, quell'istante marcò la fine di tutti i possibili dubbi di Jean. Lasciarla era forse stata la cosa migliore che avesse mai fatto.
La ragazza allentò la presa sul braccio di Mattia, salutò Cartwright e sparì all'interno prima che chiunque potesse dire a o ba. Era sempre stata codarda, sempre. Scappava dai suoi problemi finché non arrivava al momento in cui era proprio necessario che li affrontasse, perché se non l'avesse fatto in quella precisa circostanza sarebbe cascato il mondo o altre calamità del genere. Quanto la odiava.
Jean fu lesto a bloccare il lupo prima che potesse seguire Lorianne oltre l'ingresso. «Ma salve, chi non muore si rivede!»
Mattia assunse una finta espressione accigliata. «Mi ripeti da quando non ci vediamo, per cortesia? Credo che perlomeno tu abbia visto me su base quotidiana, da venerdì in poi, considerando che mi stavi pedinando.»
A Jean non importava di essere stato scoperto – a differenza di Cartwright, che faticò a celare un moto di rabbia. Insomma, era chiaro che presto o tardi sarebbe accaduto. Gli importava soltanto di ascoltare la voce profonda del mannaro, una melodia dolce e sublime, che manteneva la musicalità dell'italiano anche nell'articolare le piatte e aspre sillabe di una lingua come l'inglese. E magari erano solo i postumi degli incontri piccanti con se stesso per la buona riuscita dei quali aveva usato Mattia come spunto, ma ora più che mai gli sembrava che il licantropo fosse un sogno erotico su due gambe.
«Touché» commentò, sfoderando il suo miglior sorriso. «A mia discolpa, me l'ha ordinato questo signorino qui.» Gli indicò Cartwright, che per tutta risposta alzò il dito medio.
Mattia sollevò le sopracciglia. «È la mia attività preferita destare un così grande interesse in voi Nephilim, davvero.»
«Oh no, fidati, il nostro interesse non è verso di te» chiarì Jean, incrociando le braccia sul petto per impedirsi di allungare le mani e toccare quegli adorabili riccioli ingarbugliati dal vento. «Siamo più interessati a ciò che direte tu e Lorianne durante la seduta di oggi. Vuoi darcene un assaggio o preferisci l'effetto sorpresa?»
A quel punto, Mattia divenne di pietra. Il suo viso adesso era indecifrabile, marmoreo, immobile; anche le pupille smisero di mandare bagliori. «Non dovete temere me, Cacciatori» proferì, il tono basso e grave. «Guardatevi piuttosto da voi stessi.»
Cartwright voltò appena la testa verso di Jean, come a domandargli se avesse idea di cosa avesse voluto intendere il Nascosto, ma lui non se ne curò. Era però palese che Jean un'idea ce l'aveva eccome: si era tradito serrando la mascella e non era stato in grado di nascondere per tempo quel movimento automatico. Sperò che Daniel fosse troppo idiota per accorgersene; tuttavia, sapeva che non sarebbe scampato all'interrogatorio, nemmeno con l'inizio della riunione così imminente.
Era impossibile che Nardone non conoscesse la versione della storia raccontata da Lorianne, perché nel vocabolario di quella stupida non compariva l'espressione tacere. Jean era pronto a scommettere che pure Freya il pastore maremmano fosse al corrente della vicenda, filtrata – com'era ovvio – dalla bocca della Shadowhunter. Era inoltre impossibile che, con quella linguaccia svergognata che si ritrovava, Mattia avesse deciso di starsene zitto. Se era riuscito a diventare l'Alpha a Gaeta, sarebbe riuscito a fare a Idris ciò in cui molti altri avevano fallito, o che addirittura non avevano mai tentato.
E va bene, uno a zero per il licantropo, palla al centro: la partita cominciata proprio quel venerdì aveva toccato il punto di massima tensione, il climax, il faccia a faccia dei capitani delle due squadre. Peccato per Mattia che la vittoria fosse già stata assegnata a tavolino.
Ciononostante, Jean aveva paura.
Ecco, l'aveva confessato. Aveva paura.
Accettò quel sentimento quasi con sollievo. Come buona parte delle persone, lavorando sotto stress otteneva risultati più soddisfacenti rispetto a quelli che avrebbe conseguito di norma. Non poteva definirsi un grande sostenitore della pressione emotiva – anzi, cercava di evitarla il più possibile – ma doveva riconoscere che spesso e volentieri era appunto quella particolare irrequietezza nervosa a dargli la spinta adatta a volare alto.
E, Raziel, sarebbe volato così alto che l'Angelo l'avrebbe scaraventato giù dal cielo, novello Satana, l'avrebbe fatto precipitare per chilometri e chilometri e chilometri, bucando le nuvole e turbinando come un tornado, e lui ne sarebbe stato felice, felicissimo, perché a suo parere era meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso.
Ridacchiò.
Tu sai chi sono io, eh, Mattia?
Divertito, fece cenno all'italiano di entrare, ma lo bloccò afferrandolo per un braccio prima che potesse superare le porte.
«Hai ragione, Figlio della Luna: non dobbiamo temere te» gli sussurrò all'orecchio, percependo il suo stesso fiato agitare i sottili capelli appena arricciati del mannaro. «Ma se fossi in te seguirei il mio stesso consiglio: guardati dagli Shadowhunters, Mattia. Non esiste al mondo un'arma che non possa oltrepassare quella pellaccia dura, specie non se brandita da me.»
E lo lasciò andare, guadagnandosi un'occhiata confusa e un'imprecazione in un dialetto che aveva desiderato dimenticare, mentre riacquistava la compostezza e pregava che quella minaccia fosse suonata alle orecchie di Nardone tanto potente quanto lui, ora, si sentiva debole.
~ • ~
Sabrina detestava le folle, specie quando si trattava di folle in cui – il Signore non volesse – poteva riconoscere qualcuno o qualcuno poteva riconoscere lei; in più smaniava per accaparrarsi il posto migliore sulle gradinate, un posto che le avrebbe permesso di tenersi vicini i soggetti di potenziale interesse e lontani i nemici – i tanti nemici che si era meritata in tutti gli anni durante i quali aveva gestito insieme al marito quello che era destinato a diventare il branco più grande d'Europa.
Questo Mattia lo sapeva bene, perciò non si stupì quando la vide già all'interno della Sala: vi si era infilata servendosi dell'ingresso secondario, evitandosi pertanto tutte le cerimonie di benvenuto e i convenevoli, e si era accomodata sul più esterno dei semicerchi a ferro di cavallo che formavano la platea, sotto la balconata. Fissava con aria assente davanti a sé, concentrando la sua attenzione sull'enorme orologio che dominava dall'alto la pedana rialzata al centro della stanza. Dal suo corpo magro e incredibilmente tonico per una donna di mezz'età, infilato in una tuta di cotone leggero che le metteva in risalto le gambe lunghe e il vitino da vespa, si spandeva un vago odore di caffè. Anche Mattia ci era andato giù pesante con il caffè, quella mattina: lo richiedevano le circostanze. Per quanto aveva dormito poco da domenica in poi, senza caffeina non sarebbe riuscito neanche a rimanere in piedi.
«Ehi.» Il lupo la raggiunse e si sedette alla sua destra, seguito a ruota libera da Lorianne. Il legno delle panche era freddo e scomodo; si domandò come avrebbe fatto a resistere lì fermo e immobile per almeno due o tre ore. Per fortuna avrebbe potuto appoggiarsi al muro dietro di sé, che non era meno gelido ma se non altro sarebbe stato in grado di fornirgli un supporto e scongiurargli un tremendo mal di schiena. «Buongiorno.»
«Buongiorno a voi» replicò lei, laconica.
In quei giorni, Mattia non l'aveva quasi mai vista. Sì, aveva trascorso molto del suo tempo a prendere lezioni di retorica da Jace e a farsi distruggere sempre da Jace, utilizzando quelle poche ore libere che gli restavano per riposarsi o stare un po' con Lorianne, ma comunque aveva incontrato Sabrina soltanto nelle occasioni pubbliche, dopo le quali la donna si era volatilizzata e non si era fatta viva fino al successivo meeting. Da un lato, il mannaro non poteva lamentarsi: lasciandolo da solo, Sabrina dimostrava di fidarsi di lui e delle sue abilità; dall'altro, però, a Mattia non sarebbe dispiaciuto avere una spalla su cui poter contare sempre, un compagno esperto della situazione e bravo nelle rassicurazioni – cosa di cui gli avrebbe fatto comodo un'enorme quantità.
Lorianne ci provava a mormorargli qualche parolina di conforto, ma a poco serviva sentirsele dire da chi aveva per primo bisogno di conforto. E Mattia non la biasimava: fosse stato nei suoi panni, non avrebbe certo fatto diversamente.
Chi, al contrario, sembrava troppo sicuro di sé era Jean, che si era appena chiuso le porte della Sala dietro. Mattia avvertì che Sabrina, al suo fianco, stava trattenendo il fiato, ma non si interrogò sul perché di quel gesto così fuori luogo. Preferì concentrarsi sulla figura di Jean: Jace gli aveva raccomandato di valutarlo, di analizzarlo, di smontarlo pezzo a pezzo, strato dopo strato, per individuare tutti i suoi punti deboli. Jace stesso gli aveva detto che, di punti deboli, Jean non ne aveva pochi.
Uno di questi, constatò Mattia, era la smisurata cura dell'abbigliamento. Forse Jean non l'aveva capito, ma lui aveva seguito i suoi occhi sul proprio corpo, aveva visto come gli passavano in rassegna la camicia, la giacca, i pantaloni, persino l'orologio che aveva al polso. Perciò fece altrettanto, e poté quasi percepire le pupille allargarsi al cospetto di tutto quel nero, nero, nero ovunque: il nero dei capelli, delle rune, del completo tre pezzi di pregiata manifattura, delle scarpe anche quelle di sicuro fatte a mano, della sottile cintura in pelle che gli cingeva la vita. Il lampadario pendeva proprio sopra di lui, ma era quasi come se Jean mancasse di luce. Come se avesse avuto bisogno di stare in quel posto per assorbirla, e per poi rispedirla a sua volta alla massa adorante di fronte a lui, in balia del suo sorriso, che lo osannava e così facendo gli mandava altra luce, e lui prendeva, prendeva, prendeva. Come un buco nero. Tutto partiva dal nero e tutto tornava al nero.
Se ne stava tranquillo sul suo podio, a conversare con Daniel Cartwright, a bearsi di quel bagno di gloria. Non ci voleva un genio per rendersi conto che di secondo nome faceva Narciso.
Mattia notò con vago interesse che a intervalli regolari Jean si passava una mano fra i capelli, tirandoli indietro con delicatezza. Allora anche gli adoni erano umani, e soggetti all'ansia.
Ogni tanto Mattia distoglieva lo sguardo per non risultare ovvio nel suo studio del soggetto, se così lo poteva definire, ma più lo squadrava e più continuava a lambiccarsi il cervello con l'idea che ci fosse qualcosa che sembrava sfuggirgli, nei comportamenti del Cacciatore. Seguitava a cercare pecche e difetti e magari ne trovava anche, ma così piccoli e marginali da essere trascurabili, se non usati con grande maestria al momento ideale.
Jean Argentsang era come un laghetto, una pozza, uno specchio d'acqua: calmo e placido in superficie, meraviglioso, eppure Mattia sapeva che se avesse immerso una mano nell'acqua, anzi, se solo l'avesse smossa, i suoi abissi gli si sarebbero rivelati, assai più cupi e terrificanti sia dell'algido uomo politico Argentsang che aveva davanti agli occhi, sia del Jean ragazzo sopra le righe che aveva avuto modo di incontrare.
Aveva guardato dentro quell'abisso, tramite le parole di Lorianne, un paio di mesi prima, ed era stato tanto fortunato da non lasciare che l'abisso guardasse dentro di lui. Ora si sentiva sull'orlo di quel burrone, il burrone nelle cui profondità albergava una presenza maligna e magnetica, che lo attirava sempre più vicino allo strapiombo e gli metteva a nudo l'anima.
C'era stato un momento, una singola e impercettibile frazione di secondo, in cui le loro pupille si erano incrociate, e lo stesso tarlo che lo divorava da giorni era ritornato alla carica: e se non tutto di quello che aveva detto Lorianne fosse stato vero? Se dentro l'abisso non ci fosse stato un mostro, o almeno non il mostro che lui si aspettava?
Sussultò. Jean lo stava fissando. Lo fissò a sua volta, cocciuto, ricevendo in cambio un occhiolino.
No, decise, non si sarebbe fatto ingannare così. Non ci sarebbe cascato.
Però c'erano cascati tutti. Davvero tutti. Nessuno era stato capace di identificare il male nascosto dietro la facciata di bene, la trappola pronta a scattare occultata dalla spropositata avvenenza fisica. In natura, tutto ciò che è bello è, in una maniera o in un'altra, pericoloso: Jean era la perfetta incarnazione di quella legge terrena. Dannazione, non c'erano riusciti neanche Jace e Clary, che di figure così carismatiche ne avevano conosciute almeno altre due.
Mattia aveva ascoltato con un misto di curiosità e orrore i racconti su Valentine Morgenstern e suo figlio Jonathan, e su cosa erano stati capaci di fare per raggiungere i loro ideali – o meglio, i loro scopi, i loro raccapriccianti scopi, perché di ideali non si poteva certo parlare. E non poteva fare a meno di chiedersi cosa sarebbe potuto succedere se gli altri Shadowhunters fossero stati alla loro altezza, se fossero stati all'altezza di catturarli, imprigionarli e studiarli. Cosa sarebbe successo se si fosse scoperto cosa era celato oltre la loro ambizione, oltre la loro malignità, oltre le motivazioni apparenti che portavano come bandiera per giustificare i loro fini e i loro mezzi.
Le cose avrebbero preso una piega diversa? Su questo non c'era dubbio. Negli anni Settanta si era dovuto intervistare ed esaminare decine e decine di assassini per arrivare alla definizione di serial killer e al relativo circondario; a un'intervista e a un esame attento e minuzioso, sui modelli stilati dai primi profiler, Valentine e Sebastian avrebbero potuto dare risultati piuttosto rilevanti dal punto di vista scientifico. Magari i Nephilim avrebbero anche capito che un Ministero della Sanità non bastava a tenere in piedi una società moderna che si rispetti, e che il crimine bisognava pure prevenirlo, non solo combatterlo.
Una scintilla di eccitazione sfrigolò nel petto di Mattia. Chiuso in quella stanza, con una schiera di centinaia di Cacciatori e Nascosti attorno, Jean non aveva vie di scampo: se la sua accusa, unita alle testimonianze di Lorianne, si fosse rivelata soddisfacente e il francese non avesse avuto l'opportunità di difendersi o non l'avesse fatto in un modo credibile, sarebbe stato quasi sicuramente arrestato – si temeva infatti una possibile reiterazione del reato. E allora cosa sarebbe accaduto? Mattia faticava anche soltanto a immaginarlo. Un fattore era ovvio: ci sarebbe stata l'occasione di procedere lungo un percorso che con i predecessori di Jean non si era neppure potuto tentare.
Intanto, mentre Mattia già si prospettava l'imminente futuro, Sabrina ancora non aveva ripreso a respirare. La donna gli tirò una gomitata nel fianco, gli occhi sbarrati fissi su una delle persone sulla pedana. Un suono stridente scivolò fuori dalla sua gola, il suono che fa un cane quando gli si pesta la coda.
Mattia seguì la direzione del suo sguardo. Doveva aspettarselo: era Jean l'oggetto della sua attenzione, come peraltro era l'oggetto dell'attenzione di chiunque, nella Sala.
Poi Sabrina sussurrò qualcosa che lui sulle prime non capì. O che, forse, non volle capire. Che forse si rifiutò di capire.
Con la mano che gli stringeva il braccio in una morsa ferrea e spasmodica, le labbra che quasi faticavano ad articolare quelle sillabe, quelle lettere tanto odiate eppure tanto amate, ogni muscolo del corpo irrigidito, paralizzato, Sabrina mormorò: «Carmine.»
***
"... perché a suo parere era meglio regnare all'Inferno che servire in Paradiso" → cfr. John Milton, Paradiso perduto.
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