4. L'appel du vide
Francese: letteralmente "la chiamata del vuoto"; indica il bisogno insensato e irrefrenabile di compiere un gesto potenzialmente suicida.
Il bene non sta nel non compiere ingiustizie, ma nel non volerle.
[Democrito, frammento 45 Diels-Kranz]
«Leo, per favore, fai il serio, questa telefonata mi sta già costando un botto» brontolò Mattia nella cornetta dell'antiquato telefono a fili di cui era stato dotato il suo appartamento. Stava parlando con il fratello da una buona mezz'ora, ma era riuscito a concludere poco o nulla dato che Leonardo seguitava a strillare come un indemoniato, faceva commenti sarcastici e sembrava non essere affatto intenzionato a cogliere il senso generale della conversazione. «Qua pare che siamo tornati negli anni Ottanta: la connessione a Internet è scarsa e cara e per fare un'interurbana devo vendermi un rene, dunque fammi il piacere di smetterla e comportati come una persona civile!»
«Sei un benedetto camorrista, Mattia, i soldi ti escono dal buco del culo!» urlò Leonardo, isterico. Mattia poteva quasi vederlo infilarsi le mani tra i capelli solo di una tonalità più scura dei propri, in un gesto frustrato comune a tutta la famiglia Nardone. «Mi spieghi di nuovo come cazzo è possibile?!»
Mattia allontanò la cornetta dal volto per sbuffare come una locomotiva a vapore. Aveva passato gli ultimi dieci minuti a ripeterglielo fino allo sfinimento e a sentirsi interrotto ogni trenta secondi, a sua volta interrompendo Leonardo per ricordargli di non sbandierare, con le sue grida da invasato, i suoi altarini davanti a tutta Gaeta Medievale. Si preparò all'ennesimo chiarimento con un sospiro di esasperazione: «Leo, sono diventato l'Alpha nel medesimo, identico momento e nel medesimo, identico modo in cui sono diventato un camorrista: Carmine Mallardo ricopriva entrambi i ruoli e io, involontariamente e sottolineo involontariamente, ho dovuto raccogliere il testimone. Messaggio arrivato?»
Leonardo mugugnò qualcosa tra i denti. Un'imprecazione, con tutta probabilità. «Sì, Mattia, ma perché diavolo saresti dovuto andare a bussargli alla porta, a quel pazzo? Non potevi farti i cavoli tuoi e vivere e lasciar vivere?»
«Leonardo» cominciò il lupo, alzando gli occhi al cielo, «se un bel giorno ti risvegliassi nudo e confuso su una spiaggia deserta, non ricordando un benemerito nulla della notte precedente, e poche ore dopo una ragazza alle cui parole è difficile non credere ti dicesse che ti sei trasformato in una bestia incontrollabile e assetata di sangue sul modello di una figura mitologica che ti è ben nota, non vorresti sapere chi sia la feccia che ti ha reso ciò che sei?»
Leonardo ci pensò su. «Sì» dovette ammettere.
«Ecco» rincarò Mattia. «E se sopracitata feccia ti ficcasse una pistola in mano e ti ordinasse di spara-»
«Mattia!» lo bloccò il fratello. «Ti ha ficcato una pistola in mano e ti ha ordinato di spararti? Ti ha istigato al suicidio?! Mattia, io chiamo la polizia!»
«Ma che chiami la polizia, quello è già morto» replicò il licantropo senza scomporsi. «E poi la Polizia non farebbe niente, meglio i Carabinieri.»
«Certo, come no, è morto, e tu l'hai ucciso!» proruppe Leonardo, ormai arrivato a toccare ottave raggiungibili soltanto dai migliori cantanti lirici. «E ne vai pure fiero!»
A quel punto, la pazienza di Mattia giunse al suo limite. «Leo, ma come potrei esserne fiero?» esplose, per poco non buttando a terra telefono e soprammobili vari in un impeto distruttivo. «Ti sfido a non volerti salvare il culo, quando la tua vita e la vita di un amico vengono minacciate da un pazzoide armato e protetto da due gorilla che pure loro non stanno male in quanto a pericolosità! Pensi per caso che io volessi fare quello che ho fatto, che volessi prendermi il trono che mi sono preso e sul quale siedo ancora adesso? No, perché se pensi questo non sei mio fratello!»
A migliaia di chilometri di distanza, Leonardo si zittì per il periodo più lungo in cui fosse mai rimasto zitto in tutti i suoi ventisette anni. «Mattia, senti, perdonami» proferì infine, ferito. «Ma ne stai sparando una peggiore dell'altra ed è difficile starti dietro. Prima ci dici che sei un lupo mannaro, poi come se non bastasse la nonna ci mostra che l'argento ti brucia e lei stessa fa una confessione appena scioccante, giusto qualche secondo dopo annunci che non andrai più all'università perché dovrai rappresentare la tua razza in una sorta di summit mondiale in un paese che sulle mappe non è mai stato raffigurato e della cui esistenza francamente continuo a diffidare, e vai avanti così per tutta la serata, e ora, quando pensavo di essere riuscito a metabolizzare questa caterva di informazioni impossibili, mi dai lo schiaffo finale dichiarandoti camorrista... permetti che sbrocco un po'.»
Mattia si liberò dell'eccesso di nervosismo con una breve risata. «Sì, be', Leo, permetti che sbrocco un po' anch'io.»
Leonardo tirò un respiro profondo. «Sei al sicuro, almeno?»
«Sono al sicuro» garantì Mattia. Se non conti che il mio sovrintendente è l'ex fidanzato psicopatico della mia attuale ragazza e che mercoledì dovrò accusarlo in pubblico rischiando il linciaggio, avrebbe dovuto aggiungere, ma si astenne.
«Non mentirmi, Mattia» lo rimproverò il fratello. «Sai di non essere in grado di farlo e ti tradisci sempre. Ti sei tradito pure prima, quando invece di "i miei lupi" hai detto "i miei camorristi". E ti stai tradendo adesso.»
Mattia si morse il labbro. «Leo, davvero, sto bene.»
«Stare bene non significa stare al sicuro.»
«Mi pedinano» rivelò Mattia, gettando la spugna. «Ne sono abbastanza certo. E per quanto ne so potrebbero anche avermi messo sotto controllo il telefono, benché in tutta onestà dubiti che 'sta sottospecie di guerrieri medievali sia capace di farlo.»
«Sei proprio un genio» borbottò Leonardo. «Finora non hai detto nulla di compromettente, complimenti.»
Mattia scrollò le spalle. «Questa storia verrà comunque alla luce, presto o tardi, per cui non sarebbe poi questo gran problema. Ho in programma di parlarne io stesso, ergo...»
«Ergo niente, avresti comunque fatto meglio a tacere.» Dall'altro capo del telefono provenivano dei piccoli colpi soffocati; il lupo pensò che Leonardo si stesse mordicchiando un'unghia, come faceva sempre quando meditava. «Mattia, ma... non potresti, non so, lasciare tutto questo a qualcun altro? Mi fai preoccupare, Matti', e mamma e papà, e la nonna, cosa diranno quando lo scopriranno?»
Mattia si irrigidì. «Leo, acqua in bocca con la nonna» ordinò. «Puoi anche menzionarlo a mamma e papà, se te lo senti, ma a nonna no. Intesi?»
Leonardo esitò, e la sua esitazione non passò affatto inosservata. «Intesi» convenne infine. «Però, Matti', perché non provi a...»
«Uscire da questa situazione di merda? Dio solo sa quanto lo vorrei» bofonchiò Mattia in risposta. «Ti rivolgo una domanda, Leo: quante volte si è saputo che qualcuno abbacchiato con la camorra è riuscito a scappare subito dopo esserci entrato?»
Leonardo non ebbe nemmeno bisogno di riflettere. «Mai» mormorò, e trasse un lungo respiro sibilante. «Vabbè, messaggio ricevuto: ricordati soltanto che hai una famiglia, quando te ne andrai a Dubai a fare la bella vita.»
Mattia si produsse in una risatina isterica. «Sì, sì, Leo, contaci.»
«Il tuo sarcasmo sta a significare che non ti ricorderai di avere una famiglia?»
«No, idiota, il mio sarcasmo sta a significare che non me ne andrò mai a fare la bella vita a Dubai.» Mattia emise un verso esasperato. «Fare il camorrista purtroppo non è tutto rose e fiori.»
«Ma no, non mi dire, non ci sarei mai arrivato» replicò Leonardo, ironico, sottolineando l'ovvietà. «Allora, dimmi, cosa ti impedisce di comprarti un completo di lino e ritirarti negli Emirati Arabi a godertela con un bell'harem di africane?»
«Primo, gli Emirati Arabi sono in Medio Oriente, e secondo, ho delle faccende da sbrigare qui in Italia... voglio dire, qui a Idris» si corresse il lupo. «E in Europa.»
Leonardo schioccò la lingua sul palato in segno di disprezzo. «In sostanza devi andare a spaventare un po' di gente e ad affermare la tua sovranità su di loro, ho capito bene?»
«Sei un mostro.»
«Non per niente sono fratello a te.» Leonardo si fermò il tempo necessario a Mattia per metabolizzare il complimento celato fra le righe. «Ascoltami, Matti', non voglio farti pagare più del necessario; concludiamola qui. Però voglio riparlarti faccia a faccia, qualche volta, quindi, non so, fammi sapere quando posso videochiamarti o videochiamami tu, così ti faccio pure salutare da Valentino.»
Al pensiero di rivedere il nipote, un'ondata di nuovo vigore riscaldò il corpo del licantropo. «Senz'altro, Leo, ci risentiamo... e grazie.»
Poté quasi percepire Leonardo sorridere. «Grazie di cosa?»
«Di non aver dato di matto più di quanto mi aspettassi, forse?»
L'altro sospirò. Era in occasioni come quelle che Mattia, con tutte le limitazioni del caso, si rendeva davvero conto di quanto fosse fortunato ad avere Leonardo sempre al suo fianco. «Se devo essere onesto, trovo assai più plausibile che tu sia un camorrista che una bestia mitologica. Nel bene o nel male, tutti noi italiani abbiamo questa sorta di, come direbbe nonna?, coscienza collettiva che ormai non ci fa sorprendere più di tanto nel momento in cui veniamo a conoscenza di un determinato genere di cose. Che poi tu sia un particolare tipo di camorrista è tutto un altro paio di maniche, ma, ecco, in fondo in fondo non sono così sconcertato.»
Gli angoli della bocca di Mattia si sollevarono di loro spontanea volontà. «Sì, vedi, è di questo che ti sono grato.»
Leonardo rise. «Stai tranquillo, lupacchiotto: almeno per quanto posso pronunciarmi io, hai le spalle ben coperte.»
«Grazie ancora, Leo.» Mattia strinse forte la cornetta con entrambe le mani. «Ciao.»
«Ciao, boss.»
La telefonata si interruppe bruscamente, quasi tagliando via l'ultima sillaba pronunciata dal fratello, ma ciononostante Mattia, pur non avendo più la compagnia di una voce calda e familiare, si sentì meno solo.
~ • ~
Villa Fairchild-Herondale si ergeva maestosa sul fianco destro di un vialetto acciottolato appena dentro il confine di Alicante, dall'altro lato di Idris rispetto al Parco Ralf Scott e a giusto tre o quattro chilometri di distanza dal colle Thrushcross e dalla magione degli Argentsang. Anche se fiancheggiata da altre abitazioni della sua stessa mole, la costruzione tanto imponente quanto in una certa misura umile si distingueva, oltre che per la denominazione scritta a mano su una maiolica affissa al muretto di cinta, per il diverso stile di fabbricazione: Clary e Jace, novelli sposini, avendo avuto l'occasione di correggere il progetto avevano infatti deciso di edificarla a immagine e somiglianza della vecchia tenuta di campagna degli Herondale, che nel frattempo Jace aveva fatto ristrutturare e di cui manteneva la proprietà. A differenza delle altre case, pertanto, emanava un'aria antica e solenne, senza per questo intimorire chi vi passava davanti: semplicemente, incuteva rispetto, un rispetto naturale e innato nell'umanità, che sa di dover tenere in grande stima chiunque abbia fatto di un tale edificio la propria dimora.
Mattia si ritrovò a corto di fiato nell'ammirare il porticato in legno massiccio, i muri di mattoni, il tetto spiovente a tegole scure e le enormi finestre schermate da tende in un tessuto pregiato di una tonalità molto chiara che contrastava alla perfezione con i colori più cupi dell'insieme, creando così una viva armonia di tinte che infondeva nello spettatore un sentimento di calore familiare. Una siepe di profumati fiori d'arancio correva lungo tutto il perimetro, delimitando un giardino modesto ma assai curato sul quale si rilassava un pastore maremmano dal pelo tanto candido da risultare quasi abbagliante.
Mattia arricciò il naso. No, il cane era una femmina. Si accigliò: tra i suoi superpoteri da lupo mannaro rientrava anche il saper distinguere il sesso dei suoi cugini animali? Quale utile capacità. Gli sarebbe servita talmente tante volte che ne avrebbe perso il conto.
Sbuffò e allungò la mano per suonare il campanello. La maremmana – a giudicare dalla stazza doveva avere al massimo due anni, due anni e mezzo – gli puntò addosso gli occhi assonnati, ma lasciò perdere poco dopo e tornò al suo riposino pomeridiano.
Gli aprì Jace. Il licantropo non si sorprese nel constatare che era la copia spiccicata di Lorianne – o meglio, lei era la copia spiccicata di lui: solo pochi tratti differenziavano il padre dalla figlia, tra cui la sfumatura ambrata delle iridi e una presenza nel complesso molto più aggraziata ed elegante, a momenti androgina, quasi femminea, in particolare nella forma del viso e nel portamento. Sotto questo aspetto, Lorianne incarnava il tipico stereotipo dell'intelligente che non si applica: aveva tutte le potenzialità per poter eguagliare Jace su ogni livello fisico, tuttavia non le metteva in atto, o piuttosto non voleva metterle in atto.
Jace lo scrutò con uno sguardo che poteva indicare che volesse usarlo come sacco da boxe – cosa che sarebbe davvero avvenuta di lì a poco – oppure che sarebbe stato contentissimo di accoglierlo in casa e porgergli una tazzina di caffè e un pezzo di torta. «Udite udite, il grande e potente Mattia Nardone è arrivato.»
Questi, con malcelato disagio, strinse la mano che lo Shadowhunter gli aveva allungato. Distingueva i calli e le rugosità sulla pelle di Jace: Lorianne non era così ruvida al tatto. «Non sono il mago di Oz, temo.»
«Be', no, certo che no, non vedo nessuna mongolfiera all'orizzonte.» Jace si aprì in un sorriso furbo. «Dai, vieni dentro.»
Mattia lo seguì all'interno, oltre la porta d'ingresso e un breve corridoio che portava ai vari ambienti. Non gli diede fastidio il fatto che non ci fosse stato uno scambio di convenevoli: dopotutto, entrambi sapevano alla perfezione chi fosse l'altro, anche perché chi li aveva messi al corrente dell'esistenza altrui era la stessa persona.
Jace gli fece strada fino alla cucina. «Posso offrirti qualcosa?»
Sull'esempio dello Shadowhunter, il licantropo si sedette su uno degli alti sgabelli che circondavano la penisola al centro della stanza. Si sorprese a pensare alla situazione che aveva vissuto qualche mese prima, quando si era ritrovato davanti una commissione di suoi professori e perfetti estranei formata appositamente per giudicare il suo livello di istruzione superiore, solo che al momento tutta quella gente si era fusa nell'unica figura di Jace – e agli esami di maturità nessuno aveva avuto un pugnale legato alla cintura. «No, la ringrazio.»
«Non farmi sentire vecchio» protestò Jace, ancora sogghignando. «Dammi del tu. Ti metto soggezione?»
«Non vedo come non potresti farlo.»
Jace allargò le mani sul ripiano di marmo. «Rilassati: propinarti il terzo grado è l'ultima delle mie priorità, ora.»
Mattia soffiò una risata nervosa dalle narici. «Quell'ora è rassicurante» commentò, poi si leccò le labbra in un gesto meditativo. «Ascolta, vorrei ottimizzare i tempi. È già domenica e tra soli tre giorni ci sarà la presentazione dei candidati, occasione nella quale sia io che Lorianne dovremo pronunciare un discorso pubblico, e ad essere onesto ancora non ho idea di cosa dire.»
Jace annuì, comprensivo. «Capisco.» E, da un momento all'altro, si alzò e prese a camminare spedito verso una porticina seminascosta da una tenda.
Il mannaro assunse un'espressione corrucciata che avrebbe giurato fosse anche parecchio comica. «Credevo dovessimo parlare.»
«E lo faremo» promise il Nephilim. «Ma hai detto di voler ottimizzare i tempi, no?»
«L'ho detto.»
Confuso, Mattia gli andò dietro e si rese conto che Jace lo stava portando nel giardino sul retro. «Oh, no. Non vorrai davvero...»
Nelle pupille dell'uomo brillava una scintilla maliziosa. «Riuscire a padroneggiare la capacità di parola mentre combatti è il miglior modo per insegnarti a mantenere la concentrazione» declamò in tono fiero. «Due piccioni con una fava.»
Mattia sbuffò, ma sapeva bene che era inutile discutere: se Jace aveva anche solo un tratto del carattere in comune con Lorianne, contestare le sue decisioni sarebbe stato soltanto uno spreco di prezioso ossigeno. «Ti prego, non farmi il culo.»
L'altro si strinse nelle spalle. «Dovrai lasciarmelo fare se vuoi imparare come non permettere che te lo facciano.»
Mattia si sfilò la giacca e la lanciò sull'erba, dedicandosi poi a farsi scrocchiare le nocche come stava facendo Jace. «Tu dici?»
«Io dico. Devi sapere cosa si prova a subire un determinato colpo se vuoi essere in grado di evitarlo. Ti dà più motivazione.»
Mattia analizzò la posa che aveva assunto il Cacciatore – braccia lungo i fianchi, gambe poco divaricate, testa appena inclinata come per studiare meglio il suo avversario – e tentò di imitarla. «Cosa ti dice che io abbia bisogno di motivazione?»
Jace gli scoccò un'occhiata paterna. «Tutti hanno bisogno di motivazione.»
«Non se questa motivazione implica spezzarmi le ossa.»
«Si risaneranno nel giro di qualche minuto» minimizzò lo Shadowhunter, e con un movimento velocissimo lo placcò afferrandolo per i fianchi. Mattia sbatté la schiena a terra con un gemito di dolore, mentre Jace si accomodava sul suo bacino premendogli un gomito sulla gola. «Morto.»
Mattia ansimò, cercando di riempirsi d'aria i polmoni. «Ma non mi hai nemmeno avvertito!»
«Classica scusa» borbottò Jace. «Nessuno ti avvertirà, in battaglia. Forza, tirati su.»
Jace lo aiutò a rimettersi in piedi e Mattia constatò con piacere che tutti i punti che fino a un attimo prima gli mandavano spaventose fitte in tutto il corpo avevano smesso di pulsare. Dopotutto Jace aveva ragione: il suo essere licantropo comportava buoni vantaggi.
«Lo ammetto, ho giocato sporco» affermò il Nephilim, senza tuttavia mostrare alcuna traccia di rimorso per questo. «Però, Mattia, non partire dal presupposto che il tuo nemico giochi sempre pulito. E non giocare pulito nemmeno tu.»
Lui assentì. «Ho già esperienza di giocate sporche.»
La mascella di Jace ebbe un fremito. «Lorianne mi ha riassunto cos'è successo in Italia e come i tuoi Beta si sono rivoltati contro di te. Temi che possano farlo ancora?» E si lanciò in avanti, fulmineo.
Stavolta, Mattia era pronto all'attacco. Non riuscì a evitarlo del tutto, ma perlomeno fu all'altezza di resistere all'impeto di Jace e gli impedì di buttarlo di nuovo a terra. L'istinto poi fece il resto: dieci secondi dopo, le zanne scoperte, torreggiava sul Cacciatore, e quello dovette divincolarsi parecchio per sfuggire alla sua presa ferrea.
«Bravo» si complimentò Jace, spazzandosi via la terra dalla maglietta. «Ma non fare mai troppo affidamento sui tuoi volgari metoducci da lupo mannaro, perché potrebbero abbandonarti quando meno te lo aspetti.» Si rialzò con uno scatto fluido e sospirò. «Io alleno Shadowhunters, Mattia; non so se sono capace di addestrare anche te.»
Mattia si aprì in un piccolo sorriso. «Se la tua idea di addestramento è assaltare il tuo allievo senza neppure lasciargli un istante per pensare...»
«Diciamo che quello è il mio primo approccio» replicò Jace, mostrando chiaramente quanto apprezzasse il sarcasmo. «Però sono serio. Io lavoro con i bambini e li guardo crescere, maturare; posso plasmare i loro corpi e le loro menti a mio piacimento, a mia immagine e somiglianza, se lo voglio. Il compito dell'insegnante è un tantino terrificante, non trovi?»
Mattia non poté che concordare.
«Tu invece sei già grande» continuò Jace, «e mi sembri al contempo troppo e troppo poco malleabile. Sei come una soluzione che non sai se sia satura o insatura, non sai se devi togliere o aggiungere solvente, togliere o aggiungere soluto, e qualsiasi opzione è... pericolosa, da sperimentare. Mi segui?»
L'altro sbatté le palpebre in segno di assenso. «Ti seguo.»
Jace incrociò le braccia sul petto muscoloso. L'occhio della runa della Chiaroveggenza sulla mano sinistra – era mancino – parve quasi ammiccare a Mattia. «Stai cambiando, e adesso più che mai sei fragile, debole, corruttibile. La domanda è: se io ti insegnassi a difenderti, da cosa ti difenderesti?»
Mattia abbassò il capo, amareggiato. «Non ho una risposta.»
«Male» lo rimproverò Jace. «È questo il momento giusto per decidere da che parte stare. Sai discernere cos'è giusto e cos'è sbagliato, nella tua concezione del termine? Sai separare il bianco dal nero senza per questo escludere il grigio dal tuo spettro dei colori? Sai ascoltare la voce della tua coscienza?» Gli si avvicinò con ampie falcate e gli poggiò due dita sotto il mento. «Testa alta, ragazzo. Rispondimi: da cosa ti difenderesti?»
Mattia mormorò: «Più che altro, da chi mi difenderei.»
«Bene, allora» concesse Jace. «Da chi ti difenderesti?»
Il lupo percepì come quelle parole gli stessero risalendo lungo la gola e quanto spingessero per uscire dalla sua bocca, che per un'assurda ragione seguitava a rimanere serrata.
«Andiamo, Mattia» lo incitò il Nephilim, pressante.
«Da Carmine Mallardo» capitolò infine, «e da ciò che rappresenta.»
«Carmine Mallardo è morto.»
«No, non è morto» negò Mattia, costringendosi a fissare lo Shadowhunter negli occhi: nocciola contro ambra, potere demoniaco contro potere angelico. «Lo sarà il suo corpo, ma tutto ciò che ha fatto è ancora vivo e vegeto e grava sulle mie spalle. Sono mesi che cerco di alleggerire quel carico, eppure non faccio altro che appesantirlo e appesantirlo e appesantirlo, sempre di più. Mi chiedo fino a quando potrò resistere.»
Sul volto di Jace poteva leggere la comprensione. «Dunque aggrappati a questo e fanne la tua bandiera: non permettere che sia la tua croce.»
«Tu la fai facile» sussurrò il mannaro.
«Devo pur sdrammatizzare un po', no?» si giustificò Jace. «Non cedere e non affannarti troppo, Mattia: dosa con cautela le tue forze, sopporta quel peso e saggia i tuoi limiti; conosci te stesso, esplora te stesso. Sono più che disposto ad aiutarti in questo, ma il maggior ruolo in questa storia ce l'hai pur sempre tu. Capisci?»
Mattia fece cenno di sì. «Capisco.»
Jace tirò un respiro profondo. «Così come sto addestrando te, non molti anni fa ho addestrato Jean» rivelò. «So che ti è stato assegnato come sovrintendente, cosa che renderà ancora più arduo il compito tuo e di Lorianne di smascherare ogni suo crimine.»
«E già non è un compito semplice» mugugnò Mattia in risposta.
Jace emise un verso di disprezzo. «Esatto. Considera questo: neppure io sono così stupido da andare a denunciarlo con una tale carenza di prove a suo danno, soprattutto non quando lui potrebbe rifarsi sulla mia famiglia accusandoci tutti di occultamento di reato e tradimento. Ma fortuna è che io abbia una certa consapevolezza riguardo quali siano i suoi talloni di Achille – fortuna è anche che lui non ne abbia uno soltanto – e possa indicarti dove colpire.»
«Ma sarà Lorianne a imputargli quei capi d'accusa, non io» gli fece notare Mattia, inarcando un sopracciglio.
Jace roteò gli occhi al cielo. «Per quanto odi mettere in cattiva luce mia figlia, sii realistico, Mattia: credi davvero che Lori riesca ad accumulare il coraggio necessario per compiere un atto del genere? E, se pure fosse, pensi che sarebbe in grado di portare avanti un'arringa tutta da sola?»
Mattia si morse la lingua. «No.»
«Non ti ho mai incontrato prima di adesso» proseguì il Cacciatore, con una fiammella di speranza accesa nelle pupille, «eppure so di potermi fidare di te. Di potermi fidare del sangue del mio sangue, al contrario... detesto ammetterlo, ma non ne sono così sicuro. Ed è questo il motivo per cui dovrai farti forza per entrambi, Mattia, e chiudere questo capitolo una volta per tutte.»
All'improvviso, il Nascosto fu cosciente della presenza della proverbiale spada di Damocle che pendeva a un centimetro dalla sua testa, in trepidante attesa di una lama che ne tagliasse il filo e la lasciasse libera di dividere il suo corpo in due perfette metà. Ma percepiva anche qualcos'altro, oltre al vento che soffiava tra i suoi capelli sibilando sulla punta dell'arma come un serpente tra le roventi sabbie del deserto: percepiva quello che forse sua nonna avrebbe chiamato il fascino del sublime, quel potere inspiegabile che spinge l'uomo a chiedersi cosa proverebbe nel gettarsi giù da un grattacielo o sui binari di un treno, o cosa succederebbe se aumentasse pian piano la velocità dell'automobile e staccasse le mani dal volante; cosa accadrebbe, cioè, se perdesse il controllo sulla sua vita, sulla sua lucidità, sul suo intelletto, e iniziasse a trovare eccitante il pensiero del suicidio giusto perché vorrebbe che quell'ultima narcotizzante scarica di adrenalina gli corresse nelle vene l'esatto istante prima che sopraggiungesse la morte.
Intraprendere quell'impresa era stata una pazzia, Mattia se n'era reso conto fin da subito; però non poteva rinunciare proprio adesso, non proprio quando il vagone delle montagne russe si stava avvicinando al punto più alto del suo percorso e un numero infinitesimo di secondi lo separava dalla discesa tanto agghiacciante quanto elettrizzante. Non poteva, e non voleva.
Perciò raccolse la sua giacca da terra, la spazzolò, se la infilò, e si congedò da Jace con una frase di cui, tempo più tardi, si sarebbe pentito: «Io non chiuderò soltanto il capitolo, no. Io chiuderò tutto il libro.»
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