2. Io sono nulla
Italiano. Il senso della frase, secondo la concezione parmenidea del verbo essere, si ferma a "io sono", quindi "io esisto".
Ma dal momento che tutto è denominato luce e tenebra
e queste, secondo le loro attitudini, sono applicate a questo e a quello,
tutto è pieno insieme di luce e di tenebra invisibile,
pari l'una e l'altra, perché né con l'una né con l'altra c'è il nulla.
[Parmenide, frammento 9 Diels-Kranz]
Sono Jean. Jean Argentsang.
Dire che Mattia c'era rimasto di sasso è dire poco. Per essere precisi e ben descrivere l'espressione dipinta sul viso del mannaro nell'esatto istante in cui il Cacciatore, con una grande faccia di bronzo, svoltò l'angolo del pianerottolo e prese a scendere le scale, la cosa migliore sarebbe salire sul primo aereo per il lontano Giappone e fermarsi solo quando si sarà arrivati in un porto, dove una piccola barca di coraggiosi pescatori in cerca di pesci palla sta per salpare.
Il pesce palla è tanto buffo quanto pregiato, e tanto pregiato quanto pericoloso. Già per riuscire a tirarne fuori un esemplare dall'acqua si rischia la vita: l'impavido marinaio fortunato a tal punto da provare l'indescrivibile emozione di tenerlo in mano deve stare attento a non farsi mordere mentre con un gesto veloce ed esperto gli mozza i denti. E il cuoco, autorizzato in precedenza da un patentino rilasciato dal governo, che ha l'obbligo di sfilettarlo ancora vivo per garantire il miglior gusto possibile deve persino proteggersi con dei guanti in maglia di ferro per aver salva la pelle.
Il veleno del pesce palla ha un tempo d'azione trenta volte più rapido del cianuro.
Ebbene, è così che si sentì Mattia allora: si sentì come si sentirebbero l'audace lupo di mare che si scoprisse i denti dell'animale piantati nel palmo o l'incauto chef che si graffiasse un dito durante la preparazione del sushi più letale e costoso al mondo, quando l'unico pensiero che passerebbe nella testa di quei poveracci prima che i loro corpi si paralizzassero e l'angelo della morte si presentasse alla loro porta sarebbe un semplice quanto eloquente "Sono fottuto".
«Sono Bond. James Bond» borbottò Mattia, mentre girava la chiave nella serratura ed entrava nell'appartamento. «Shadowhunter del cazzo.»
Mattia ritenne pressoché impossibile conciliare la descrizione dello spietato assassino a sangue freddo e presunto stupratore fornitagli da Lorianne con l'immagine di professionale cortesia e perfetta padronanza di sé mostratagli invece dal Nephilim stesso. Certo, il fatto che non ci fosse una singola nota stonata in tutta la nera e longilinea figura di Argentsang era un tantino disturbante, ma Mattia doveva ammettere che nulla in lui gli era parso segno o sintomo di una mente squilibrata come dovrebbe essere quella di un omicida – come è quella di un omicida. Ovvio, non che i serial killer ce l'abbiano scritto in fronte, e Mattia sapeva bene che i sociopatici, o ancora meglio gli psicopatici, sono bravi a creare una facciata di normalità, eppure il licantropo fu costretto a confessare a se stesso che si fidava troppo del proprio istinto, a volte, e l'istinto gli aveva suggerito che in Jean non ci fosse nulla che non andava.
E, cosa forse persino peggiore, ora gli risultava difficile pure condividere le opinioni di Lorianne: per quanto Jean potesse essere, con questo o quest'altro grado di probabilità, un sicario privo di sensi di colpa che non si faceva problemi a uccidere o a commettere violenze di alcun tipo, una personalità come la sua era in effetti adatta a ricoprire ruoli politici e sociali di elevata importanza. Dannazione, se aveva ottenuto una candidatura al posto di Inquisitore a nemmeno vent'anni doveva per forza avere qualche asso nella manica.
Mattia soffocò una risatina nervosa. Be', dopotutto, anche lui si era ritrovato a guidare un impero appena diciannovenne, quindi in fondo si poteva supporre che l'Universo non fosse mai a corto di sorprese, specie per i tipi intraprendenti.
Si richiuse la porta alle spalle e poggiò il mazzo di chiavi sul mobile all'ingresso, dove qualcuno gli aveva lasciato la brochure con il programma del giorno seguente, una serie di biglietti da visita e una mappa di Idris con su segnati tutti i luoghi di interesse. Inoltre, un tale Daniel Cartwright – lo stesso tizio che aveva richiesto la sua presenza a Idris come rappresentante dei mannari per gli Accordi, ricordò Mattia – ci teneva a fargli sapere che l'appartamento era a sua disposizione fino alla conclusione di tutte le trattative, e che se avesse voluto mantenere la proprietà anche dopo quella data avrebbe dovuto acquistarla. Poco male: di sicuro i soldi non gli mancavano e una base ad Alicante avrebbe potuto fargli comodo in futuro.
Mattia scacciò quel pensiero scuotendo la testa come un cane bagnato. Stava cominciando a ragionare come uno stratega e non aveva idea di quanto ciò potesse giovargli: con molta probabilità, più che aiutarlo lo avrebbe corrotto.
Studiò la mappa del paese. A quel che aveva intuito, ci si spostava solo a piedi: i motori lì non funzionavano e cavalli e carrozze erano ormai fuori moda. C'era però un servizio di bike sharing a nome dei Silverscale, la famiglia che gestiva quasi tutte le moderne infrastrutture di Idris: Adriano gli aveva spiegato che i meno tradizionalisti e conservatori tra gli Shadowhunters erano spesso e volentieri Ascendenti, sia di prima che di seconda generazione, perciò Mattia immaginò che anche i Silverscale rientrassero in quella categoria. Ad ogni modo, bike sharing o non bike sharing, decise di muoversi a piedi: Idris non si estendeva poi per così tanti chilometri, e se avesse calcolato i giusti tempi non sarebbe mai arrivato in ritardo.
Il primo degli incontri preparatori alla ratifica degli Accordi avrebbe avuto luogo a distanza di poco più di ventiquattr'ore, nel pomeriggio del 3 settembre. Le cinque razze del Mondo Invisibile – Shadowhunters, vampiri, licantropi, stregoni e Popolo Fatato – si sarebbero riunite nella sala convegni dell'unico hotel di Alicante, anch'esso di proprietà dei Silverscale e costruito da poco più di dieci anni. Meglio quello che la Guardia o la Sala degli Accordi, meravigliose e molto più ricche di storia ma assai più calde. Gli Accordi sarebbero comunque stati firmati nella Sala per onorare la tradizione, ma alcuni degli organizzatori dell'evento – tra cui spiccava Daniel Cartwright – avevano deciso di fare in modo che le rappresentanze del Mondo Invisibile non morissero per disidratazione dovuta a sudorazione eccessiva.
Mattia si ritrovò a dividere la porta girevole dell'albergo con un altro lupo mannaro un po' in sovrappeso, il quale rese il facile difficile e allungò di un minuto e mezzo i tempi di entrata. Imprecando tra i denti seguì la folla verso la sala conferenze, dove scoprì che gli era stato riservato un posto tra le prime file, cosa che mandava a monte i suoi piani di sonnecchiare per tutta la durata dell'assemblea.
Al diavolo, si disse poi quando vide la delegazione dei vampiri, protetta dal sole ancora alto in cielo grazie a un incantesimo di uno stregone, che faticava a reggersi in piedi. Se dormono loro, dormo anch'io.
Abbassò lo sguardo sulla brochure, che di lì a poco avrebbe trasformato in un aeroplanino di carta destinato a volare fuori dalla prima finestra che gli fosse capitata a tiro. L'ordine del giorno prevedeva il saluto formale del Console e dell'Inquisitore, che avrebbero poi provveduto a fare un breve riassunto della storia degli Accordi per rammentare a tutti i Nascosti presenti – ma anche agli Shadowhunters, ché male non faceva – quanti e quali traguardi avessero raggiunto in passato lavorando insieme. A questo sarebbe seguita la spiegazione, da parte di Daniel Cartwright, dei motivi per cui si era resa necessaria la ratifica degli Accordi con cinque anni di anticipo. Mattia, che si era stancato di leggere, non andò oltre quel punto.
«Ciao.» Sabrina Monti, la sua partner, si sedette accanto a lui. Aveva insistito per accompagnarlo, sebbene Mattia avesse ribadito più e più volte di voler compiere il proprio dovere da solo. «Nervoso?»
«Parecchio» dovette ammettere lui. «Insomma, sono l'unico novellino qui. Sento che non verrò trattato bene.»
«Eri un novellino anche quando ti sei presentato al Palazzo» gli fece notare Sabrina, «e restavi un novellino persino mentre pronunciavi quel discorso memorabile. Lo sarai nel fisico, ma non nella morale. O, almeno, io la vedo così.»
«Questo è il punto» protestò Mattia. «Conta l'apparenza, non la sostanza. E io appaio come un anonimo ragazzetto ancora imberbe che in qualche strano e astruso modo riesce a comandare il più grande branco d'Europa.»
«Senti» cominciò Sabrina in tono d'incoraggiamento. «Nessuno dice che tu non sia nuovo a questo genere di cose e problemi. Anzi, certi addirittura te lo sbattono in faccia. Ma continuerai a rimanerne estraneo se non li affronterai di petto.»
«E infatti voglio farlo» ribatté Mattia, scaldandosi. «La questione è che non ho intenzione di sprecare le mie forze. Io m'impegno e cerco di portare dei frutti, ma se poi questi frutti non vengono raccolti, a che scopo ho fatto quel che ho fatto?» Si passò una mano fra i capelli, mordendosi le labbra. «Sabrina, non so come funzionino le cose qui. Non vorrei ritrovarmi con un pugno di mosche. Odio ritrovarmi con un pugno di mosche.»
Sabrina si strinse nelle spalle. «Non puoi pretendere che tutti siano d'accordo con te, Mattia. Un bel po' di gente si schiererà contro di te, è inevitabile, e forse ancora più persone metteranno su una bella faccia di cazzo – e, devo dirlo, in certe occasioni ammiro questi soggetti per la loro indifferenza gratuita – e non si schiereranno proprio. Tu fai del tuo meglio e vedi come vanno le cose.»
Mattia si accasciò contro lo schienale della sedia con uno sbuffo esasperato. «Sabrina, io faccio sempre del mio meglio. Sempre.»
Lei fece per replicare, ma un vigoroso battito di mani richiamò il silenzio nella platea zittendo all'istante chiunque stesse anche solo bisbigliando.
Sulla pedana dalla quale i relatori avrebbero pronunciato i loro discorsi erano comparsi un uomo e una donna, entrambi in abiti cerimoniali. Mattia li riconobbe, grazie alle descrizioni che gli aveva fornito Lorianne, come l'Inquisitore e il Console uscenti, Robert Lightwood e Jia Penhallow. Con la sua stazza, Lightwood riusciva a occultare alla vista il corpo pure robusto di quello che doveva essere Daniel Cartwright, alle sue spalle.
Il Console avanzò in direzione del leggio sulla sinistra della pedana, mentre l'Inquisitore e Cartwright andarono ad accomodarsi attorno a un lungo tavolo che già ospitava un tipo sulla quarantina somigliante a Robert stesso: non era da escludere che fosse un suo familiare, rifletté Mattia.
Jia si schiarì la voce. «Shadowhunters e Nascosti» esordì, «a nome del Consiglio e dell'intero Clave vi do il benvenuto al summit sui Dodicesimi Accordi.»
Prese vita quasi spontaneamente un educato applauso di circostanza.
Jia ringraziò con un cenno della testa e proseguì: «Accordi, questi, che in via straordinaria verranno firmati cinque anni prima della data prevista, per cause di forza maggiore che esulano dalla nostra competenza – e intendo la competenza di tutti noi Nephilim. Esulano in particolar modo dalla competenza mia e dell'Inquisitore Lightwood, giacché un altro importante evento è alle porte: l'elezione dei nuovi governanti. Essendo stati entrambi nominati in circostanze non ortodosse, Robert Lightwood e io abbiamo potuto mantenere i nostri ruoli per un tempo troppo dilatato, ed è questo il momento migliore per ritirarci e dare spazio a chi lo merita più di noi.»
Ogni singolo Cacciatore presente in sala, poté giurare Mattia, sibilò a labbra strette qualcosa di non proprio positivo nei confronti degli attuali detentori del potere.
«Tuttavia...» Dal tavolo, Robert Lightwood prese la parola. Fu, quella, una mossa vincente: pur parlando da un punto più lontano, il suo timbro era più alto e autoritario di quello di Jia e riottenne l'attenzione dell'uditorio. «Ci sarà occasione di discutere delle candidature nella prossima settimana, perciò adesso è superfluo compiere inutili divagazioni. Ciononostante, un fattore deve emergere dal giusto accenno del Console all'argomento: considerati gli sgradevoli fatti avvenuti tra il novembre e il dicembre scorso – che coinvolgono sì i licantropi, nella maggior parte, ma anche i vampiri – a tutti voi Nascosti, degni ambasciatori delle vostre razze, sarà concesso di assistere alle votazioni e, qualora sia opportuno e necessario, vi sarà accordato il diritto di veto.»
L'applauso, stavolta, fu molto più entusiastico.
«Prego, prego, signori, non infervoratevi» minimizzò Jia. «Questa è nient'altro che la più onesta e corretta tra le potenziali decisioni appropriate alla situazione, e in fondo il minimo che potessimo fare era permettervi di partecipare in maniera più attiva alla vita pubblica di un Mondo Invisibile che sta combattendo una delle sue peggiori guerre civili – una delle sue peggiori guerre fredde. È sottinteso, inoltre, che sarebbe il parere dei licantropi ad avere il peso più considerevole, quando e se si venisse a fare un bilancio delle opinioni complessive.»
«Lo fa sembrare come se ci fossero stati costretti, e di sicuro sarà così» sussurrò Sabrina all'orecchio di Mattia. Lui non poté fare altro che concordare.
L'atmosfera si stava già facendo pesante e le tende scure che impedivano alla luce del sole di entrare dalle finestre non aiutavano a mantenere la concentrazione. Se poi ci si mettevano anche le orazioni interminabili di Jia e Robert, con la sola aggiunta di un cuscino e una coperta su ogni sedia l'intero auditorium sarebbe crollato dal sonno.
Mattia sbuffò, prendendo a giocare con la brochure. Era ormai la terza volta che riformava l'aeroplanino dopo averlo disfatto, e cominciò a desiderare di trovarsi nelle ultime file per poterlo lanciare davanti a sé e creare un po' di scompiglio. Sabrina di certo non se la passava meglio, ma perlomeno lei si era dotata di una lima con cui aggiustarsi le unghie all'infinito e aveva qualcosa con la quale tenersi impegnata. Previdente, la donna.
Quando sarebbe finita quella tortura? Purtroppo per il licantropo, sarebbero dovute trascorrere diverse ore.
Mentre Mattia si annoiava – e rimpiangeva di aver lasciato in valigia i suoi cari auricolari wireless – qualcun altro, dal lato opposto della sala, subiva la stessa sorte.
Nel retroscena c'era infatti una povera anima in pena, che tentava di sollazzarsi con innocenti, ma nemmeno tanto, seghe mentali. Seghe che, di fatto, avrebbe davvero voluto fossero fisiche ma, sfortunato lui, così non era. Pensò quindi bene di ammazzare la noia in modi non potenzialmente sconvenienti, ma dopo dieci minuti passati a sbirciare dietro la tenda e a farsi indietro, e a sbirciare dietro la tenda e a farsi indietro di nuovo, e a sbirciare dietro la tenda e farsi indietro per l'ultima volta, inorridito, alla vista del derrière floscio dell'ormai sessantenne Console Penhallow, decise che era forse ora di smetterla di girarsi i pollici e andare a risolvere il suo increscioso problema di inedia.
A dire il vero aveva pensato di restarsene nascosto lì dietro fino alla fine della riunione, fosse anche solo perché il suo outfit troppo casual era uno scandalo rispetto a quel tipo di evento, ma c'era da dire che su di lui anche un sacco della spazzatura stava bene, quindi il problema non sussisteva.
Fece un cenno con il mento a Robert Lightwood, che stava facendo il giro del backstage per ricomparire sul palco, e si lasciò alle spalle il suo rifugio. Mosse un paio di passi in avanti e poi fece dietrofront, ritornando ben oltre le quinte, verso i dedali interni dell'edificio.
Scomparve in fretta dietro una porta e percorse due lunghi corridoi, svoltò a destra e infine si chiuse in uno dei bagni maschili. Maschili per modo di dire, perché qualcuno – cioè, con tutta probabilità, un bamboccio pre-adolescente in visita annuale con la scolaresca dell'Accademia – aveva inciso sul disegnino prestampato un abito a forma di triangolo, lasciando sotto anche una simpatica scritta: Prescott è una checca.
A Jean Argentsang non importava un benemerito corno delle beghe tra ragazzini o del simbolo sulla porta dei servizi igienici, quindi lo ignorò come aveva sempre fatto e si chiuse in uno dei cubicoli, abbassò il copri-tavoletta e ci si sedette sopra, facendo ticchettare i piedi fasciati da scarpe da ginnastica nuove di zecca.
Destro-sinistro, destro-sinistro, destro-sinistro, sinistro-destro, accidenti!
Cacciò uno sbuffo irritato e si ficcò una mano nella tasca dei pantaloni della tuta, tirandone fuori un'ampollina dall'aria molto pregiata e molto vuota. La stappò e la rovesciò, ma non ne cadde nemmeno una goccia, e Jean provò il rabbioso impulso di lanciarla contro la prima superficie disponibile.
Non lo fece, e non perché era un gesto che avrebbe potuto rivoltarglisi contro sul piano politico, ma solo perché se così avesse fatto i pezzetti di cristallo gli sarebbero finiti addosso e negli occhi.
Ripose perciò la fiala in tasca, uscì dal cubicolo, fece scorrere l'acqua da uno dei rubinetti.
Se la gettò in faccia senza cura, gelida, un atteggiamento che vanificava tutti i suoi possibili rituali della sera, tutte le sue abluzioni con l'acqua tiepida, tutta la crema notturna di questo mondo. Non si era reso conto di aver chiuso gli occhi fin quando non li riaprì, le ciglia bagnate e un po' incollate che gli ostruivano la vista: ansimava, e aveva le mani strette sul marmo del lavabo.
Impiegò almeno dieci minuti a regolarizzarsi il respiro: i primi tre furono spesi a tentare di inspirare ed espirare con calma, come faceva quando danzava, ma sapeva che non avrebbe ottenuto nessun risultato. Il problema non era il suo corpo, ma la mente che lo muoveva.
Allora riappiccicò le palpebre e si circondò di bianco. Spennellava quel vuoto di nero come un artista avrebbe dipinto una tela: il buio lo rassicurava. Aveva letto da qualche parte che farlo aiutava a calmarsi e, in effetti, qualche volta succedeva davvero.
Quando fu pronto a uscire da lì – e solo perché un qualche incivile stava bussando alla porta che aveva chiuso a chiave, e non ricordava nemmeno quando l'aveva fatto – la gran parte dell'acqua era colata dal suo viso al colletto della sua maglietta, ma non importava.
Si schiaffeggiò le guance con i palmi delle mani, risistemò i capelli in qualcosa di meno somigliante all'acconciatura di uno scienziato pazzo e lasciò il bagno senza degnare di un'occhiata il povero diavolo che aspettava lì fuori da almeno un quarto d'ora. Sperò per lui che non avesse problemi di prostata.
Doveva essere rimasto a meditare sui massimi sistemi per molto più di quanto avesse pensato, però, dal momento che quell'insopportabile conferenza era, grazie all'Angelo, terminata e la gente stava affollando le uscite per potersi godere un po' di aria fresca. O andare a ricostruirsi le palle rotte, ridacchiò tra sé e sé.
Agguantò la felpa leggera che aveva lasciato incustodita su una sedia, se la infilò, tirando su la zip fino alle clavicole per coprire le macchie d'acqua sul tessuto della t-shirt, e andò a espletare il suo compito: comunicare a tutti i Nascosti a cui era stato assegnato che per quella sera erano invitati alla prima di una lunga e insostenibile serie di cene di lavoro. Un altro incarico del genere, decise, e avrebbe urlato a Cartwright di trovarsi una segretaria.
Ci mise un po' a individuare tutte le persone del suo gruppo – a Cartwright avrebbe detto anche di migliorare le sue tecniche organizzative: in quelle occasioni, un banale braccialetto colorato faceva la differenza – ma per un dono del cielo nessuno di loro gli diede problemi. Be', nessuno tranne la sua più entusiasmante conoscenza del giorno prima, almeno.
«Salve, lupo di mare.»
Mattia Nardone girò sui tacchi in maniera così repentina che Jean ebbe paura graffiasse il pavimento di marmo o, peggio ancora, continuasse a muoversi per inerzia e finisse per trivellarlo. Chissà, magari là sotto c'era il petrolio. «Ah» fece quello, un po' deluso. «Speravo ci fosse un altro italiano.»
Un brutto pensiero si affacciò alla mente di Jean, ma lui fu lesto a scacciarlo e a non lasciare che lo influenzasse. «Mi dispiace, capo, ma sei l'unico.»
«Ho notato» brontolò il mannaro. «E so già della cena, comunque.»
Jean fece per replicare, ma il licantropo lo anticipò: «Non verrò. Ho... altri impegni.»
«Mmm.» Il francese sogghignò. «La biondina con la quale ti ho visto flirtare prima?»
«No!» protestò Nardone, ma capitolò subito: «... Sì. Cioè, non solo.»
«Oh, pure qualcun altro?» indagò Jean, curioso. «Vai, vai, latin lover, vai e conquista!»
L'altro ragazzo gli scoccò un'occhiata di fuoco. «Ma tu non dovresti essere una figura professionale affiancatami per guidarmi e consigliarmi in un paese e in un ambiente straniero?»
«In teoria» concesse il Nephilim. «In pratica...»
«In pratica ho delle cose da fare e due discorsi ufficiali da progettare, perciò arrivederci e grazie» si congedò il lupo, voltandosi di nuovo e degnandolo a malapena di un saluto.
Per Jonathan Shadowhunter, ma cosa gli aveva fatto? Non lo aveva nemmeno toccato, nonostante Jean fosse di per sé un tipo molto espansivo e materiale e di conseguenza incline ad allungare le mani – nel senso non sessuale e compromettente del termine, ovvio.
Forse Mattia era solo esasperato dopo essere stato costretto ad ascoltare inutili sermoni da parte di Lightwood padre, Lightwood figlio – a Jean Alec piaceva, però – Penhallow e Cartwright. Ciò considerato, non aveva tutti i torti per reagire come un serpente stuzzicato con un ramo appuntito, in fondo.
Percorse con lo sguardo l'intera sala, alla ricerca di un qualche eventuale Nascosto che potesse essergli sfuggito, e quando gli occhi gli si posarono di nuovo su Mattia Nardone il cuore gli saltò in gola.
Parlando di serpenti, l'aitante bionda vestita di nero che barcollava sui tacchi come un'ubriaca altri non era che La Vipera, alias Lorianne Herondale, alias la sua infame ex fidanzata.
Nardone non aveva accennato a una ragazza? Sì che l'aveva fatto. E in effetti quel surrogato di essere femminile si era appropriato del braccio del Figlio della Luna come una casalinga frustrata si sarebbe appropriata del primo idraulico disponibile e gli aveva stampato un ardito bacio su una guancia, rischiando una rovinosa caduta dai trampoli. Spezzati l'osso del collo, spezzati l'osso del collo, spezzati l'osso del collo...
«Jean.»
La voce di Daniel Cartwright interruppe il suo tentativo di malocchio. Altri due secondi, giurò, e Lorianne si sarebbe come minimo slogata una caviglia.
«Che c'è?» rispose, piccato.
«L'italiano, il licantropo» esordì Cartwright, «è tuo, no?»
«Sì, è mio.»
Il suo avversario per la corsa al posto di Inquisitore si avvicinò, le braccia incrociate sul petto. «Sai del suo intervento durante le elezioni?»
Un flash balenò nel cervello di Jean. «In realtà, suppongo me l'abbia appena detto» sussurrò, ricordando l'allusione ai due discorsi.
«Cerca di scoprire qualche dettaglio, Argentsang.» L'altro Cacciatore assottigliò le labbra in una smorfia preoccupata. «È giovane, lupo da poco e Alpha da poco. La lettera che soltanto in seguito ho mandato a lui era destinata al vecchio Alpha, che è morto così, di punto in bianco, senza che Nardone lo sfidasse ufficialmente. Certo, non è inusuale tra i mannari, ma...»
«Ritieni possa essere correlato all'omicidio dei ventisei» concluse per lui Jean.
Cartwright corrugò le sopracciglia. «No, affatto.»
Jean si morse la lingua.
«Ma nulla è da escludere. Guarda com'è legato agli Herondale. Da quanto sospettiamo che gli Herondale nascondano qualcosa su qualsiasi argomento, per l'esattezza?»
«Da... sempre?» azzardò Jean.
«Esatto» confermò l'altro. «E da un momento all'altro salta fuori che anche Lorianne vuole parlare in Consiglio. Vedi dove voglio arrivare?»
«Lo vedo benissimo» mormorò il francese, poi alzò la voce: «Userà le parole di Nardone. Lorianne, intendo.»
«Meglio per lei che non usi le proprie» commentò Cartwright, storcendo la bocca in un'espressione di malcelato disprezzo. «In ogni caso, che a te e a lui piaccia o no, Mattia Nardone deve essere osservato.»
«Concordo.»
«Jean, se non vuoi farlo tu per via di Lorianne...»
«No.» Lo Shadowhunter lo negò con fermezza. «A maggior ragione devo farlo io. E inoltre, come hai sottolineato, Nardone è mio. È mia responsabilità. Mia.»
«Come desideri. Fammi sapere.»
Jean annuì. Guardò Cartwright allontanarsi per poi confondersi nella folla, e le sue labbra si distesero in un sorriso sfacciato.
Buona fortuna, Mattia Nardone, pensò. La partita è aperta.
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