12. Cui prodest?
Latino: "a chi giova?"
Ho licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell'anima e nel cuore.
Le parole che dico
non han più forma né accento
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.
Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.
[Fabrizio De André, Cantico dei drogati]
Nel momento in cui Mattia richiuse la porta dell'appartamento dietro di sé, il cuore di Lorianne prese a battere ancora più forte di quanto già non battesse in precedenza.
Dopo una settimana passata in una delle camere di sicurezza della Guardia, le mancava la sensazione di conforto che il semplice trovarsi all'interno delle quattro mura di una piccola casa poteva scatenare: in quei pochi metri quadrati neppure troppo vissuti, ancora giovani e freschi, regnava un'atmosfera esclusiva, calma, intima, che le fece perdere la ragione.
Sapeva che Mattia non aveva secondi fini – le aveva detto che voleva solo darle il tempo di ricomporsi prima di dover fronteggiare la sua famiglia, e lei non aveva avuto motivo di protestare – ma allo stesso modo ricordava alla perfezione cos'era successo quando il ragazzo l'aveva portata l'ultima volta in casa sua senza un'apparente ragione. Era dunque implicito che stesse per accadere qualcosa di grosso, davvero grosso.
Dopo aver atteso che lei si accomodasse sul divano ad angolo nel salotto, Mattia accese la lampada poggiata sul tavolino di fronte. Il paralume rosso mogano filtrava la gran parte della luce, dipingendo nella stanza strani giochi di ombre e chiaroscuri: sotto quel cupo lucore, con la fronte appena corrugata e gli incisivi che sfioravano il labbro inferiore come decidendo se morderlo o no, Mattia sembrava essere tutta un'altra persona. In fondo, negli abissi della sua mente, Lorianne doveva ammettere di aver visto in quei giorni una parte di lui che nel periodo che avevano passato insieme in Italia era rimasta nascosta: aveva visto – incredibile ma vero – il suo lato da politico consumato. Non era neanche sicura che quell'aspetto fosse rimasto soltanto occultato: forse prima di allora non era proprio mai esistito.
La voce di Mattia la riscosse dai suoi pensieri: «Come stai?»
Lorianne scrollò le spalle, fingendo noncuranza. La scintilla di freddezza nel tono di Mattia l'aveva sorpresa: pur ben conoscendo i suoi ideali di onestà, mai avrebbe immaginato che da lui sarebbe potuta arrivare una domanda così schietta e diretta, specie non in quelle circostanze. «Non posso dire di essere mai stata molto peggio, ma me la cavo.»
Mattia annuì appena. «Sei soddisfatta?»
Non ci fu bisogno di specificare di cosa avrebbe dovuto essere soddisfatta: Lorianne aveva compreso l'oggetto della richiesta di Mattia sin da prima che lui finisse la frase. «Non come avrei sperato» gli rispose con franchezza. «È stata una bella vendetta, ma...»
«La vendetta non ti scalda nel letto.»
Lorianne arricciò le labbra in segno di disgusto. «Ho dormito per sei notti in un letto molto freddo, Mattia.»
Lui inspirò e trattenne il fiato. Lorianne gli era stata accanto abbastanza da sapere che quando faceva così stava cercando di non esplodere. «Lori» sospirò, «non puoi negare di essertelo meritato.»
«Non lo nego, infatti.»
«Magari non a parole.» Mattia si sedette sul tappeto a gambe incrociate. A Lorianne non sfuggì il significato di quel gesto: concedendole di occupare la posizione più in alto le lasciava credere di avere potere e controllo sulla situazione, quando in realtà era lui a tenere in mano le redini. «Ma... mi sto zitto. Questo adesso non importa, no? Quello che importa è che tu sei fuori, Francis è dentro e Jean è dentro. Giustizia è fatta, dico bene?»
Lorianne rifletté per un attimo. C'era qualcosa che non andava. Non era solo l'effetto di quella luce sanguigna: in quel momento, Mattia era davvero un'altra persona.
«Mattia» fece quindi, «tu non vuoi startene zitto. Non ne sei proprio capace. Perciò smettila con questa sceneggiata e sputa il rospo.»
Lui roteò gli occhi al cielo, un mezzo sorrisetto divertito che iniziava a spuntargli in volto. «Perspicace.»
«Pensavi che dopo aver speso giorni a non parlare ad anima viva avessi perso l'abilità di condurre una conversazione?»
Mattia scosse il capo in diniego. «Pensavo che non fossi disposta a condurre un determinato tipo di conversazione.»
Lorianne allargò le braccia sullo schienale del divano in una manifestazione di esasperazione. «Mattia, per favore. Per favore.»
«Come volevasi dimostrare.»
«Oh, per l'Angelo, Mattia, come volevasi dimostrare un corno, non sono un... un'equazione!» esclamò la Cacciatrice. «Perdonami se voglio cancellare il nome di Jean dalla mia memoria ora che posso e continuare a vivere la mia vita come se tutto quel... casino non fosse mai accaduto!»
Mattia si alzò sulle ginocchia e si sporse in avanti verso di lei. In quella posa sembrava un penitente venuto a implorare misericordia. «Lorianne... è il figlio di Carmine.»
«Ah, adesso è Carmine» sibilò lei. «Com'è che non lo chiami più per cognome?»
«Scusa, colpa di Sabrina, lei di certo non lo chiama per cognome» si giustificò Mattia, pur non mettendoci del vero sentimento: aveva pronunciato quelle parole soltanto per convenienza e Lorianne si sentì bruciare di rabbia.
Lui però continuò imperterrito: «Sempre Sabrina mi ha detto che per alcuni mesi dell'anno scorso Carmine è stato via da Gaeta, ufficialmente per sistemare alcune questioni con gli affiliati sia italiani che europei, solo che poi nessuna questione è stata sistemata.»
Su quella nota, Lorianne lo fermò. «Quali mesi?»
«Dai primi di febbraio alla metà di agosto circa.» Mattia suonava confuso. «Perché? Hai letto qualcosa negli archivi del Palazzo?»
«No, niente.» La Nephilim deglutì. La validità del pensiero che le era balenato nella mente era molto bassa, ma comunque possibile. «Niente. Vai avanti.»
«Ieri pomeriggio Sabrina è stata affiancata da uno dei mannari presenti mercoledì nella Sala del Consiglio: il tizio le ha riferito di aver riconosciuto Jean da una volta in cui l'aveva visto insieme a Carmine» proseguì Mattia, ora con più sicurezza, «suppergiù verso marzo. E...»
Lorianne lo interruppe di nuovo con una breve risatina sarcastica. «Ma tu guarda un po' le coincidenze. Tu lo sai che a marzo Jean ha incontrato un forestiero, è partito insieme a lui e quando è tornato ha smesso di cercare suo padre ed è impazzito?»
«Lori...» Mattia le afferrò i polsi, poi sembrò realizzare di aver agito in maniera troppo avventata e allentò la presa. «Lori. Ascoltami: non ho sufficienti prove per ritenere che Jean abbia lavorato fianco a fianco con Ca- con Mallardo, ma...»
«Dannazione, Mattia, te lo sto confermando.»
«Ecco» asserì lui, concitato, «pertanto Jean sa chi era Carmine e come operava.»
Lorianne lo scrutò dall'alto in basso, nervosa. Quella collera irrazionale e volatile che l'aveva dominata prima era scomparsa: adesso al suo posto era subentrata una ferma apprensione, sia nei confronti di Mattia sia per se stessa. La situazione non prometteva per niente bene. «Mattia, se ritieni che Jean possa... non so, cosa vuoi da lui, che essendo imparentato con Mallardo ti aiuti nel tuo compito di assicurarti la fedeltà dell'intero branco in qualche strana e astrusa maniera incomprensibile a tutti tranne te? Be', allora, se ritieni questo, sei pazzo anche tu.»
Mattia accennò una risata soffiando dalle narici. «Non ho mai detto di non essere pazzo.»
«Raziel, Mattia, e poi sarei io quella testarda!»
Stavolta Mattia rise davvero, ma il momento di spensieratezza durò poco. «Voglio parlargli, Lorianne» dichiarò serio. «Voglio parlargli e vedere come mi risponde. Ho già fatto domanda a Cartwright per ottenere l'autorizzazione. Tanto cosa mi costa?»
Lorianne si passò la lingua sulle labbra. «Potrebbe costarti molto, in verità.»
Mattia seguì il contorno della runa della Chiaroveggenza sul dorso della mano di lei con la punta delle dita. Sembrava tranquillo; non tradiva irrequietezza o preoccupazione come chiunque altro avrebbe fatto nei suoi panni. Aveva già affrontato Jean, realizzò Lorianne, e ne era uscito vincitore: la prospettiva di ripetere l'esperienza non gli faceva né caldo né freddo. «Un rischio in più, un rischio in meno...» commentò. «Mi cambia poco.»
«Sfrontato. Prima o poi ti farai ammazzare.»
Mattia scrollò le spalle, imperturbabile. «Conosci il proverbio. Quando la vita ti dà dei limoni, tu fatti una limonata.»
«Suppongo non sia questo il significato originale.»
«Allora mentre io sono alla Guardia fai qualche ricerca, così potrai correggermi con cognizione di causa.» Mattia le si avvicinò e le sfiorò la guancia con le labbra, per poi premerle appena sulle sue in un bacio che voleva essere di conforto ma che Lorianne percepì quasi come una pugnalata al petto: era consapevole che così lui intendeva rabbonirsela, e le doleva confessare che ci era riuscito. «Ti giuro che tornerò tutto d'un pezzo.»
«Nel fisico, non ne dubito. Nella coscienza, d'altra parte...»
«Starò attento.»
Lorianne tirò un respiro profondo e infine annunciò il suo assenso con un breve cenno del capo. «Sì, sta' attento.»
E mentre Mattia la rassicurava con una carezza fraterna sul braccio e si decideva a cambiare argomento, Lorianne pregò che le buone intenzioni di quel ragazzo d'oro non andassero a lastricare la strada per l'Inferno.
~ • ~
Il Cacciatore che solo pochi giorni prima era stato all'apice della fama e della gloria ora giaceva in una cella fatiscente nei sotterranei della Guardia.
Era l'unico a occupare quella prigione, e il primo da diverse generazioni. Precauzioni erano state prese appositamente per lui: una manetta di adamas assicurava, mediante una corta catena che gli permetteva soltanto piccoli movimenti controllati, il suo polso destro a un anello dello stesso materiale conficcato nel terreno; qualsiasi oggetto gli passassero o gli lasciassero maneggiare era di gomma o plastica o comunque di un materiale non pericoloso per la sua vita; una sentinella lo osservava ventiquattr'ore su ventiquattro, intervenendo ogniqualvolta lo ritenesse necessario, ma anche e soprattutto quando necessario non lo era affatto.
Era peggio che essere l'attrazione principale di uno zoo o un fenomeno da baraccone in un circo del ventesimo secolo. Il pubblico lo avrebbe adorato.
Jean si alzò di colpo dalla brandina appena sentì che i passi veloci che aveva udito nel corridoio gli si stavano avvicinando sempre di più. Magari erano tornati di nuovo a pestarlo: sembravano averci preso gusto, ormai.
Non che il gusto non ce l'avessero avuto sin da subito, ma il loro divertimento perverso era parso aumentare negli ultimi tempi. Con quella prospettiva, lo aspettavano mesi – anni? – alquanto duri. Forse, se lo augurava, un giorno si sarebbero stancati.
Ad ogni modo, si aggrappò alle sbarre della cella per poter restare in piedi e darsi un certo contegno. Era già abbastanza piegarsi alle loro pressioni fisiche; a quei bastardi non avrebbe dato la soddisfazione di vederlo soccombere anche a quelle psicologiche.
Annunciata da un goffo spostamento d'aria e attesa come avrebbe potuto esserlo un terremoto, la figura familiare di Mattia Nardone entrò nel suo campo visivo.
Jean percepì il cuore salirgli in gola: quanto e quale coraggio doveva avere per presentarsi lì?
Un coraggio enorme e sfacciato, perché per uno strano paradosso Mattia appariva, considerò il Nephilim, molto più calmo e rilassato di quanto non fosse stato qualche tempo prima nella Sala del Consiglio: Jean aveva già notato proprio in quell'occasione come il licantropo fosse terrorizzato dal monologo, dal discorso che avrebbe dovuto condurre soltanto da sé, non dal dialogo e dal confronto. Una circostanza come quella era pane per i suoi denti.
Dietro di lui, la guardia che lo accompagnava appese una torcia di stregaluce a un sostegno nel muro e scrutò il lupo con ammirazione, poi sparì. Jean trattenne un'imprecazione tra i denti: ciò significava che Mattia – o chiunque lo stesse appoggiando, quindi gli Herondale, con tutta probabilità – avesse grande influenza e grande potere decisionale.
«Buonasera.» Dopo più di una settimana passata in prigione quasi senza aprire bocca se non per urlare alle percosse dei suoi carcerieri, o forse proprio per quello, la voce di Jean era bassa e gracchiante. «Sei venuto qui per goderti la vista?»
Mattia scosse la testa. Due volte, un semplice destra-sinistra-centro; un gesto pulito come la maggior parte della sua anima. «Sono venuto qui perché sono cattolico, e credo nella redenzione e nel sincero pentimento.»
«Sul serio? Cattolico? Ciò che fai – o, be', vorresti fare – con Lorianne può definirsi cattolico?» Jean si produsse nel suo migliore verso di scherno, e il risultato non fu poi troppo deludente. «Pensavo che voi aspettaste il matrimonio per dedicarvi a certe... attività. Specie se queste attività includono circuirla e persuaderla a spalancarti le gambe. A proposito, il suo nome l'ha già fatta uscire dalla camera di sicurezza? Suppongo di sì, oppure non saresti qui tutto tronfio a farmi la paternale. Salutamela, ora che tornerai da lei. Sarà felicissima di udire mie notizie.»
«Il modo in cui osservo la mia religione non è affar tuo» rispose Mattia, sempre con quella sua calma irritante. A Jean non sfuggì che aveva evitato il resto delle richieste. «Affar tuo dovrebbe essere ciò che offre, la mia religione.»
«Un lavaggio del cervello? La testa piena di stronzate circa un tizio che si è sacrificato per salvare l'umanità intera? No, grazie» gli sputò in faccia Jean. «Di divino e demoniaco so già abbastanza. Non mi serve qualcuno che me lo insegni.»
«Non voglio insegnarti qualcosa di divino e demoniaco. Voglio insegnarti qualcosa di umano.»
«Umano?» Jean rise. Gli faceva male la gola. «Dio, Nardone, nessuno di noi due è umano. Forse io meno di te.»
«È vero» confermò Mattia. «E, inoltre, entrambi siamo stati resi non umani dallo stesso uomo.»
Jean scrollò le sbarre con violenza. Una fitta di dolore gli corse lungo la spina dorsale: muoversi così tanto non era stata una brillante idea. «Vade retro, lupe» sibilò. «Lascia in pace un povero pazzo e risparmiami la predica.»
Con un lungo soffio che Jean sperò fosse di rassegnazione – ma che non lo era affatto – Mattia si sedette a terra a gambe incrociate. Mossa ammirevole, considerato il vergognoso stato di pulizia del pavimento. «Vedi, proprio perché riconosci di essere un povero pazzo ti meriti la predica. Se così non fosse, ti lasceremmo marcire in questa fetida cella fino alla morte e arrivederci e grazie.»
Deciso a non dare a Mattia la soddisfazione di guardarlo negli occhi senza dover sollevare la testa, Jean restò in piedi. Il solo pensiero di torreggiare su di lui bastava per impedire alle sue ginocchia di cedere, perlomeno in tempi brevi. «Che c'è, ti senti responsabile perché hai ucciso il mio disgraziato paparino? Ti ringrazierei, se non fossi troppo orgoglioso per abbassarmi a quel livello. E poi, be', avrei voluto ucciderlo io.»
Mattia sospirò. «Già, infatti sei troppo orgoglioso» concordò. «Tanto orgoglioso da non voler ammettere che hai bisogno di aiuto.»
«Io ho bisogno di un bel niente, Nardone» sbottò Jean. «Oh, aspetta, ho cambiato idea: ho bisogno che tu te ne vada. Presto.»
«Hai pianto, vero?»
La domanda di Mattia lo spiazzò. Non perché credeva che non se ne sarebbe accorto – dopotutto era un lupo mannaro, vedeva benissimo al buio – ma perché nessuno prima di allora l'aveva messo di fronte a quella realtà.
Jean Argentsang non piangeva da quando aveva scoperto che René non era il suo vero padre, ed era ricaduto in tentazione soltanto perché il tradimento di Louis-David, per di più davanti a René stesso, era stato troppo da sopportare per un ragazzino. E piangere per motivi puramente egoistici, con la schiena contro un muro freddo e sudicio, non era proprio il modo più onorevole per tornare a farlo dopo tutti quegli anni.
«Sei disidratato» continuò Mattia. «Hai le labbra secche e gli occhi infossati. Non mangi da parecchio, come dimostrano le guance scavate e le clavicole sporgenti. Stai rantolando, respiri a fatica, il tuo cuore è sotto sforzo. In altre parole, stai da schifo.»
Spossato, Jean si abbandonò contro la parete alla destra di Mattia, accasciandosi nell'angolo come un sacco di patate. «Grazie per avermelo ricordato, ora mi sento meglio.»
Mattia si avvicinò alle sbarre. Anche se avrebbe voluto farlo, Jean non si spostò.
«Quando Lorianne mi ha raccontato di te» sillabò il lupo, «ti ho odiato. Conoscevo Lori da un paio di mesi, ma tenevo a lei. Tengo a lei. Forse... non so, forse la amo persino. Di sicuro potrei amarla. E ti ho odiato per quello che le hai fatto. Non comprendevo come tu avessi potuto azzardare un gesto del genere. Non comprendevo come la vostra relazione avesse potuto trasformarsi in qualcosa di... malato. Di sbagliato, di bestiale.»
Si concesse una breve pausa. Jean si accorse che si era portato una mano allo stomaco. «Poi ho scoperto che Carmine era implicato in questa situazione. E allora ho capito. Non ti odio. So di cos'è capace quell'uomo.»
«Tu ne sai poco, Mattia» sussurrò Jean, battendo le palpebre e infine decidendo di tenerle chiuse. L'aveva chiamato Mattia. «Carmine mi ha mostrato... cose... che non puoi neanche immaginare.»
«Posso, invece.» Mattia deglutì. «Il clan adesso è mio. Passato da un Alpha a un altro come se fosse una casa o una macchina e non un gruppo di persone. E devo pagarne le tasse.»
Mattia lo fissò dritto in volto. Jean percepì la forza di quello sguardo a tal punto da riaprire gli occhi per istinto. «So più di quanto pensi. So tutto. Dev'essere stato orribile venirne a conoscenza... in quel modo.»
Jean formò un sorriso malinconico e per la prima volta guardò Mattia. Era lodevole, rifletté, che fosse uscito così lucido da un'esperienza del genere. Lui non ne era stato in grado.
«Hai davanti a te le conseguenze» gli disse, poi tentò di riacquistare un po' dello sdegno perduto e rimbeccò: «Lorianne?»
«Lorianne sta bene» gli rispose Mattia. «Di sicuro ormai il ricordo di ciò che c'è stato fra voi non la perseguita più.»
Jean inspirò. «Buon per lei che sia così. Vorrei dire che per me è lo stesso, ma mentirei. Non che per me sia una novità, però... però non voglio farlo.»
Si morse il labbro inferiore, facendolo quasi sanguinare. Le parole che seguirono si fecero strada fuori dalla sua bocca a forza, contro la sua volontà: «Per l'Angelo, se ripenso a quello che ho fatto, io...» Esitò. «Avrei potuto metterla incinta.»
«Ma non è successo» replicò Mattia. «E se fosse successo non credo le saresti stato lontano. Non avresti ripetuto le azioni di tuo padre.»
«No, hai ragione» ammise Jean. «Ne sono stato condizionato per tutta la mia miserevole vita e non avrei mai voluto che a qualcun altro dovesse capitare la mia stessa sorte. O almeno, non lo voglio ora.»
«Che cosa vuoi ora?» gli domandò Mattia, sebbene Jean gli leggesse in faccia che si era già fatto un'idea.
«Uscire da qui» rispose subito lui. «Farmi una doccia. Bere dell'acqua fresca. Mangiare qualcosa di... di dignitoso, maledizione, di dignitoso. Anche se comunque potrò chiedere di tutto come ultimo pasto» aggiunse poi, mentre la prospettiva della pena capitale gli si affacciava alla mente. Ma com'era venuta, veloce e imprevedibile come un acquazzone estivo, se ne andò. Niente toccava Jean Argentsang meno della morte, che fosse la propria o quella di qualcun altro.
«Posso farti ottenere tutto» annunciò Mattia, giungendo le mani, «ma alle mie condizioni.»
«Sentiamo.»
Mattia sorrise. Raziel, da quanto tempo non vedeva persone sorridere in quel modo. Era un sorriso vero, sincero, senza traccia di malizia. «Verrò qui ogni giorno. Parleremo per mezz'ora, dieci minuti, anche un'ora se ti va.»
Jean non poté impedire a una risatina sarcastica di sfuggirli dalle labbra. «Parlare. E di cosa dovremmo parlare?»
«Be', potrei aggiornarti sugli ultimi gossip se ti interessa» propose Mattia. «Sui nuovi sviluppi del tuo caso. Oppure potresti insegnarmi come si fa una tarte tatin.»
«Io non so fare una tarte tatin.»
«Ma sei francese e l'avrai assaggiata centinaia di volte.»
«Questo non vuol dire che io la sappia fare.»
«Però sai qual è il gusto, e se, parlando per ipotesi, io la facessi potrei contare sull'opinione di un esperto.»
«Okay, okay, come ti pare» borbottò Jean. «E con ciò?»
«Con ciò» spiegò Mattia, «spero riacquisterai la tua umanità.»
«Non siamo...»
«Non siamo umani, sì» lo precedette Mattia. «Comunque ritengo che il concetto di umanità sia abbastanza relativo, in queste situazioni. Ci sono umani che si comportano come demoni e demoni che alla fine diventano umani; ci sono ora, ci sono stati in passato e ci saranno in futuro. Io credo che ognuno abbia al suo interno il seme del male e il seme del bene: dobbiamo solo decidere quale buttare e quale far crescere.»
«Ottimismo...» commentò Jean. «È una qualità che non mi è mai appartenuta.»
«Io non sono ottimista» obiettò Mattia con una scrollata di spalle. «Più che altro cerco di vedere del buono in chiunque.»
«E ci riesci?»
«A volte subito, a volte con il tempo.»
«E con...» Per Jean era quasi doloroso porgli quella domanda. Come se avesse avuto paura di cosa Mattia avrebbe potuto rispondere. «E con me?»
Mattia lo studiò a lungo. Infine disse: «Né l'uno né l'altro. Sei come un libro di cui ho letto solo il retro copertina: finché non lo apro non so se dovrò leggerlo da sinistra a destra o da destra a sinistra.» Gli lanciò un'occhiata indagatrice. «Tu come ti leggeresti?»
Jean ci pensò su, poi argomentò: «Dall'alto in basso, dal basso in alto e in entrambi i versi della diagonale, cerchiando tutte le maiuscole e anagrammandole in caso possano formare una frase di senso compiuto.»
Mattia accennò una risata soffiando dalle narici e lo salutò con un lieve movimento della testa. «A domani, Jean.»
Jean lo fermò prima che potesse muovere un solo passo. «Un'ultima cosa.»
«Sì?»
«Perché t'interessi tanto a me? Perché mi stai... aiutando?»
Perché sei così sicuro che io non stia fingendo?
Mattia inspirò a fondo. «Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco.»
Su quella nota se ne andò, tanto brusco e repentino quanto subito prima era stato accorato, e la sua ombra pallida e tremolante proiettata sul muro dalla stregaluce portò via con sé la promessa di un vicino, intrigante ritorno.
***
«Vade retro, lupe» → "Vai via, lupo!" (cfr. "Vade retro, Satana!")
«Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» → Luca 7, 47.
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