10. Can I not arise
Inglese: "non riesco a sollevarmi", o "sorgere", o "insorgere".
Non trovo pace, e non ho alcuna guerra da combattere,
Temo e spero, brucio e gelo come ghiaccio,
Volo al di sopra del cielo, eppure non riesco a sollevarmi,
E non ho nulla, e afferro il mondo intero.
[Sir Thomas Wyatt, I find no peace]
Il corpo di Jean registrò lo stimolo doloroso soltanto parecchi secondi dopo che questo gli era stato inviato al cervello. Il braccio gli si mosse allora di sua spontanea volontà, andando a scacciare in malo modo la mano di Daniel Cartwright, che gli stava stringendo il bicipite con un'espressione confusa stampata in volto. Era stato il turno di Jean di perdersi in se stesso, ora che Lorianne era tornata al presente, e il suo viaggio lungo il viale dei ricordi non era certo passato inosservato.
La ragione di quel viaggio sedeva proprio di fronte a lui, nel bel mezzo dell'uditorio, al centro della macchia di teste bionde della sua famiglia. Jean e Louis-David non si trovavano così vicini da mesi, ormai; si erano incontrati subito dopo la rottura di Jean con Lorianne – al tempo erano già passati quasi quattro anni da quell'orribile giornata nella biblioteca dell'Istituto di Saint-Rémy-de-Provence – e si erano frequentati per un po', ma tra il nuovo lavoro di Louis-David e la candidatura di Jean a Inquisitore non avevano più avuto occasione di vedersi. Jean meditò se quello fosse davvero stato un male, per loro due: di sicuro, una relazione seria in quel periodo avrebbe dato a entrambi più problemi che benefici.
Avvertì un brivido risalirgli lungo la schiena. La fiala era vuota soltanto da domenica, ossia da poco più di due giorni, ma gli effetti dell'astinenza si erano fatti sentire sin da subito. Quella mattina aveva dovuto costringersi a non bere caffè, per evitare che i nervi gli salissero ancora più a fior di pelle; dall'altro lato della medaglia, però, la mancanza di caffeina minacciava di farlo crollare dal sonno. Aveva dormito pochissimo nell'ultima settimana e quella notte in pratica non aveva chiuso occhio. Si chiese se anche Cartwright fosse così agitato. Ne dubitava.
Il discorso di Mattia Nardone andava avanti già da qualche minuto. Jean paragonò ancora una volta il licantropo a Louis-David: come lui, Mattia si esprimeva in quel tono a metà tra il partecipato e l'apatico caratteristico di un professore universitario che presenta all'ennesima classe una lezione ormai imparata a memoria, ripetendo sempre gli stessi concetti e sempre nella stessa maniera. E peraltro ciò che Mattia stava dicendo non era neppure qualcosa di nuovo, per lui; era poi già sceso a patti con la consapevolezza che presto o tardi avrebbe dovuto ascoltare quella storia narrata da una voce che non fosse quella della sua coscienza, e aveva portato a termine un'opera di autoconvincimento tale che ormai nessuna delle parole di Nardone aveva il potenziale adatto a scalfire la barriera che aveva innalzato intorno a sé. Lo ascoltava quasi senza prestargli attenzione, ben fingendo un grado di indifferenza che invece non aveva e non poteva avere, tendendo un orecchio a lui e un altro a cogliere le reazioni della platea.
Platea che, al contrario di Jean, stava seguendo Mattia punto per punto. Anche in questo Jean trovò delle somiglianze con se stesso e Louis-David: dapprincipio aveva assecondato l'altro Shadowhunter nella sua dissertazione soltanto perché così gli era stato ordinato di fare, e solo in un secondo momento si era reso conto di essere in effetti interessato alla questione. Sulle prime non ci aveva capito nulla, era vero, e neanche dopo era riuscito a comprendere poi molto, eppure in casi come quello non c'era proprio bisogno di padroneggiare tutti i concetti e fare tutti i collegamenti per poter essere emozionati o colpiti dall'argomento trattato. E infatti ogni singola persona nella Sala del Consiglio, anche afferrando poco o niente delle parole di Nardone, pendeva dalle sue labbra.
Mattia si era allontanato da Lorianne, che adesso lo squadrava da diverse panche di distanza, e stava pian piano guadagnando terreno verso la pedana al centro della Sala. Come un bravo oratore, cercava di farsi vedere e sentire dalla maggior parte del suo pubblico; la donna che prima era seduta al suo fianco ora lo fissava da lontano con un curioso misto di timore e ammirazione.
Fino ad allora, Mattia si era limitato a esporre fatti oggettivi. Nomi, numeri, eventi, tutto quanto di obiettivo concernesse il suo branco. Non era niente di notevole, per Jean; di quelle cose ne conosceva già fin troppe e fin troppo bene. Ma, purtroppo o per fortuna per lui, così non era per il resto dei Nephilim presenti.
I vecchi Console e Inquisitore faticavano a celare la sorpresa e la curiosità: Jean poteva leggerlo dall'espressione delle loro facce. Cartwright, invece, aveva nascosto le mani dietro la schiena e si stava facendo scrocchiare le nocche una ad una, come era solito fare quando voleva trattenersi dal parlare e impedire alla collera di prendere il sopravvento.
Jean aveva già compreso che Cartwright non l'avrebbe mai perdonato. Non l'avrebbe mai perdonato per essere stato incapace di ottenere quelle stesse informazioni che Mattia stava ora rendendo pubbliche.
Il Figlio della Luna aveva ormai quasi raggiunto la fila più bassa; molte delle teste che si erano voltate per scrutarlo erano tornate a guardare in avanti, e un discreto numero di Cacciatori si stava massaggiando il collo. Jean si sentì attraversare da un brivido di rabbia: al licantropo non era bastato sottrargli da sotto il naso l'occasione di vendicarsi per tutti i torti che suo p- lui, in maniera diretta o indiretta, gli aveva inflitto, no; doveva pure rubargli i riflettori.
«Signor Nardone.» In qualche sperduto anfratto dentro di lui, Jean aveva trovato il coraggio e la sfacciataggine necessari per esordire. Allora più che mai, desiderò avere la fiala ancora piena. Non sapeva come sarebbe riuscito a resistere senza; massimo una decina di minuti e avrebbe radunato attorno a sé una folla maggiore di quella che poco prima aveva accerchiato Lorianne. «Mi perdoni se la interrompo, ma cosa le ha fatto credere di avere l'autorità di essere il primo a parlare in quest'assemblea? Le ricordo che a voi Nascosti è stato accordato il diritto di veto, e nient'altro.»
Le labbra del lupo si arricciarono appena. Jean aveva sperato in una reazione migliore, più irritata, più nevrotica. Invano. «Signor Argentsang» lo imitò Mattia. «Neppure lei ne ha l'autorità, almeno non al momento. Mi sbaglio?»
Jean represse un moto di stizza. Era innegabile: Mattia – Raziel, era così difficile da ammettere – aveva ragione. «Non si sbaglia, ma la mia posizione è comunque appena più rilevante della sua, al momento. Sto solo cercando di riportare l'ordine. Non trova?»
Con il ritratto del trionfo dipinto in volto, Mattia scese l'ultimo gradino. L'unico segno del suo nervosismo, la mano destra che giocherellava con il cinturino dell'orologio al polso della sinistra. Dal canto suo, Jean aveva preso a girarsi e rigirarsi l'anello di famiglia attorno al dito: non era proprio la persona adatta a rimproverare gli altri per il loro comportamento rivelatore.
Francis, di fronte a lui, gli scoccò un'occhiata di fuoco. Fallisci, e trascini giù anche me, sembrava minacciarlo. Non lotterò per tornare a galla.
«L'ordine non era mai stato turbato.» Ira Hornstock. Dannato hippie. Non era neanche la sua assemblea, quella; l'elezione del nuovo Ministro avrebbe avuto luogo di lì a due giorni. «È un lupo mannaro, e a mio parere ai lupi abbiamo causato già abbastanza mali. Lasciatelo esporre.»
«Oh, be', se voi Shadowhunters volete raccontare a tutto l'uditorio quanti e quali mali ci avete causato, liberi di farlo» replicò Mattia in un finto tono leggero e scherzoso. «No, io sono qui per parlarvi dei mali causati dai lupi ai lupi, o, meglio, dai lupi all'intero Sottomondo. A mio personalissimo e assai modesto giudizio, dovreste prestare attenzione.»
Al fianco di Jean, Cartwright sibilò: «Personalissimo e assai modesto. Come no.»
Mattia inarcò un sopracciglio. «Mi scusi?»
Cartwright raddrizzò il busto. «Ci sta convincendo ad ascoltarla con subdoli mezzucci psicologici, signor Nardone?»
«Se è quello che serve, sì.» A Jean non sfuggì che da un momento all'altro Mattia aveva smesso di tormentarsi l'orologio: era diventato molto più calmo nell'arco di un battito di ciglia. Era il monologo a spaventarlo, non il dialogo; con il botta e risposta ci sapeva fare, e anche bene. «Sarò parziale, sì, ma ciò di cui ho da rendervi partecipi è di fondamentale importanza sia per la scelta dei nuovi governanti sia per la ratifica degli Accordi. Potrebbe cambiare le carte in tavola e non sto mentendo. E lei dovrebbe sentirsi coinvolto, signor Cartwright, considerato che mi ha fatto pedinare dal signor Argentsang proprio perché aveva dei sospetti su di me.»
A quel punto, Daniel arrossì violentemente. Jean non poté impedirsi di soffiare una breve risata dalle narici: vedere Cartwright umiliato era sempre uno spettacolo ben accetto, persino in tali circostanze.
«E non posso biasimarla: ha avuto un ottimo fiuto. Quasi un fiuto da licantropo, oserei dire.» Mattia attese con pazienza e una buona dose di soddisfazione che la platea finisse di ridacchiare. «Ad ogni modo, mi pare di capire che vogliate sapere perché qui ci sia io e non Carmine Mallardo, giusto?»
Jean spostò il peso del corpo sulla gamba più indietro. Almeno ciò era quanto credeva di aver fatto: in realtà era arretrato di quasi un metro, e pure con una certa urgenza. A chi avesse avuto i suoi occhi su di lui in quel frangente – e per fortuna non ce n'era nemmeno uno nella Sala – sarebbe apparso sull'orlo di una crisi ipoglicemica per l'immediata fuga di colore dalle sue guance.
Sia Cartwright che Hornstock, realizzò, erano in attesa di una sua risposta. Era evidente che ormai Lightwood e la Penhallow avessero lasciato ai giovani candidati l'onere di occuparsi della faccenda: se ne stavano lavando le mani.
Si morse appena il labbro, tentando di riflettere. Mettere a tacere Nardone non era un'opzione contemplabile: ci sarebbero state non poche obiezioni. D'altra parte, non era saggio neanche farlo continuare, o lui ne avrebbe pagato le conseguenze. Porgli dei limiti, allora? No, troppo complicato. Era tutto troppo complicato.
Mentre Jean provava a riordinare i suoi pensieri, il silenzio venne spezzato da una voce femminile: «Lo vogliamo, Figlio della Luna.»
Diandra Kryoanemós, trentenne greca aspirante al posto di Console, la sola donna in tutte le liste elettorali. Era l'unica ad avere la minima possibilità di vincere contro Aaron Nightwalk.
«Parli. La ascolteremo.»
Mattia le rivolse un breve cenno di ringraziamento. Incrociando le braccia sul petto in un inconsapevole gesto protettivo, Jean deglutì.
«Signore, signori» attaccò Mattia, «ve la farò breve. E non soltanto per non tediarvi, ma soprattutto perché vorrei togliermi questo peso dal petto nel minor tempo possibile. Vi ho già citato dei nomi, delle date, degli eventi e un paio di cifre o poco più, e questo è quanto voi tutti abitanti del Sottomondo siete stati e sarete mai capaci di scoprire sul mio branco. Fino a questo preciso istante i miei lupi hanno compiuto le loro mosse fuori dai radar vostri e dei mondani ed è per questo motivo se sono stati in grado di agire indisturbati. Agire a quale scopo, vi chiederete.»
Mattia aveva in pugno tutti i presenti. Li aveva avuti in pugno sin da subito. Jean rabbrividì.
«C'è una cosa che dovete sapere, prima: sono stato morso non per errore, non per fortuita coincidenza, ma per volontà di Carmine Mallardo.»
Quasi comicamente, la folla si produsse in un comune verso di sgomento. A Jean il cuore saltò un battito.
«Il sedici maggio di quest'anno, in pieno giorno e con l'unica protezione della penombra di un piccolo vicolo nel bel mezzo del quartiere storico di Gaeta, quello che credevo essere un cane mi ha assalito e mi ha lasciato diversi bei ricordini su spalla e braccio destro. Brutta cosa, cicatrici del genere, specie se programmi di trascorrere un'estate intera a prendere l'abbronzatura migliore della tua vita.»
Maledetto. Con quelle battutine insulse si assicurava l'attenzione di tutti. Êthos, páthos, lógos. Quanto aveva provato Jean a imparare quell'arte.
«Poche settimane dopo, quando sono andato di mia spontanea volontà a bussargli alla porta di casa, Mallardo mi ha detto di avermi scelto così, per accidente, senza alcun motivo. Solo una tra le sue tante, troppe vittime. Non la prima, non l'ultima. Neppure la più importante.»
Oh, e così Nardone se l'era cercata. Idiota. Ciò considerato, Mattia non aveva il benché minimo diritto di lamentarsi. Se avesse lasciato che gli eventi seguissero il loro corso, tutta quella situazione non sarebbe stata contemplabile neanche da lontano. Era colpa sua. Era tutta colpa sua.
«Poi mi ha infilato in mano una pistola con tre colpi su sei, proiettili ovviamente in argento, me l'ha fatta puntare alla tempia e mi ha ordinato di spararmi. Tutto questo mentre teneva un coltello alla gola di Lorianne Herondale per incentivarmi, volendo usare le sue parole. Ma invece di sparare a me stesso ho sparato a lui. E tutto il resto è storia.»
Mattia aveva pronunciato quelle frasi quasi sputandole fuori, come se parlando con più flemma avesse potuto in qualche maniera pentirsene e rimanere bloccato. L'uditorio dovette impiegare qualche secondo per comprenderne il contenuto e poter reagire con i classici, banali versetti strozzati ed espressioni di circostanza.
Per l'Angelo. Raziel. Oddio. Oh, povero ragazzo. Misero cucciolo. Amore, tesoro, mi dispiace.
Certo, certo. Come no. Dispiaceva a tutti. Chiunque sa essere dispiaciuto. Ma tutto finisce al dispiacere.
Dov'erano, dov'erano loro quando il potere di Mallardo era ancora nullo e impreparato ad affrontare un attacco? Dov'erano quando tale potere era cresciuto e cresciuto e cresciuto, ramificandosi sia nella società mondana che nel Mondo Invisibile e assumendo sempre più controllo? Dov'erano quando Mattia Nardone e tutti gli altri licantropi che avevano avuto la sfortuna di passare vicino a quel pazzoide avevano avuto bisogno di aiuto? Dio, Nardone si era dovuto accontentare di Lorianne Herondale. Come ne fosse uscito vivo era e sarebbe rimasto un mistero.
E soprattutto, dov'erano quando lui aveva avuto bisogno di aiuto?
Nell'attimo in cui Nardone gli puntò gli occhi addosso, Jean realizzò con orrore di non aver soltanto pensato quelle cose. La voce che sentiva non era quella nella sua testa. Era la propria, che urlava sentenze in faccia alla platea.
In faccia a Lorianne, in faccia a Mattia, in faccia a Francis, in faccia a Louis-David. In faccia a René.
Si era scavato la fossa con le sue stesse mani.
«Jean?»
Robert Lightwood. No, no, no, non lui. Quel bastardo gli avrebbe tirato fuori la verità con la Spada dell'Anima. No, no, ti prego, Mellartach no.
Ma Lightwood non era più Inquisitore. Non lo era Cartwright, e non lo era nemmeno Jean. Non ancora, almeno. Ma comunque al momento non c'era, un Inquisitore.
Il francese tirò un sospiro di sollievo. Senza un Inquisitore non potevano, be', inquisirlo. Diede in una risatina nervosa. Se fosse diventato Inquisitore allora che avrebbe fatto, si sarebbe inquisito da solo?
«Jean?» Stavolta era Cartwright, spalleggiato dalla Kryoanemós: «Argentsang? Ti disturberebbe spiegare?»
Jean boccheggiò. Respira, respira, stai tranquillo, respira, gli diceva la sua coscienza. Il timbro era quello di René.
Come rispondere?
... Rispondere?
Non rispondere?
Via libera alle bugie. Molte, molte bugie.
Mallardo lo conoscevo poco. Ci ho parlato una volta o due, quando è venuto a Idris l'anno scorso.
Be', quello non era falso. Non avrebbe aggiunto che poi però l'aveva seguito fuori da Idris.
Ce l'avevate sotto il naso, sciocchi. Ce l'avevate sotto il naso e se foste stati anche solo un po' più svegli l'avreste catturato e ucciso. Avreste evitato tutto. Avreste potuto evitare tutto.
«Oh, sì che lo disturba.»
Jean trasalì. Era la donna che aveva accompagnato Mattia. Sabrina, ricordò. La moglie di Mallardo. Quindi questo la faceva sua...
Raziel.
«Lo disturba spiegare perché ci va di mezzo anche lui, mi sbaglio, Jean?» Sabrina si era alzata in piedi e scendeva le scale per avvicinarsi a lui, creando caos e scompiglio. Jean arretrò per istinto. «Quanti ne hai uccisi, Jean, prima di arrivare a lui, eh? Quanti ne hai uccisi?»
Aaron Nightwalk e Jace Herondale scattarono a trattenere la mannara, che gridava e si sbracciava per liberarsi dalla stretta ferrea degli Shadowhunters. «Lasciatemi, lasciatemi, carogne! È una questione da risolvere tra lupi, o dovrei dire mezzi lupi, non è vero, Jean? Jean! Non è vero?»
Il Cacciatore le diede le spalle ruotando sui tacchi. Inspirava ed espirava forte, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi, tentando di ignorare le invettive di Sabrina, il rombo della folla e quel fastidiosissimo ronzio che gli infestava la mente rendendogli impossibile riflettere con lucidità. Come se la lucidità l'avesse mai avuta.
«E tu secondo lui saresti stato meglio di Adriano, Adriano! Mattia! Mattia, per favore, Mattia!» Sabrina diede uno strillo di dolore quando alcune guardie le avvolsero attorno ai polsi delle catene d'argento evocate da uno stregone e cominciarono a trascinarla fuori dalla Sala. «Mattia! Mattia, l'hai capito? Mattia!»
Jean poteva quasi percepire Nardone osservare la scena immerso in un cupo silenzio. Avrebbe voluto avere anche solo un briciolo della sua calma mortale. Stava tremando e non riusciva a smettere.
«Jean! Quanti ne hai uccisi, Jean? Quanti ne hai uccisi?»
«Lo vuoi davvero sapere?»
In uno scatto fulmineo fu davanti a lei. Non voleva darle quella soddisfazione, ma neppure poteva sopportare oltre. Era ormai giunto al limite della pazienza: essere fuori controllo – essere così fuori controllo, fuori controllo lo era sempre – era terrificante.
«Due» sibilò a un centimetro dalla sua pelle non più tanto giovane. Doveva camminare per poter mantenere quella distanza, dato che le guardie sembravano non voler rinunciare al tentativo di cacciare la donna via da quella stanza e con tutta probabilità anche via da Idris. «Due, prima di arrivare a lui. Tre se contiamo pure il vampiro. E tutti insieme a Lorianne Herondale.»
Alzò di parecchio il tono su quelle ultime parole, così che potesse udirlo chiunque. Registrò compiaciuto l'inconfondibile singhiozzo di Lorianne stessa e il secondo boato dell'uditorio.
Oh, Nardone, spero non ti dispiaccia: mi sono ripreso quello che è mio.
«La questione è quanti ne ho uccisi dopo essere arrivato a lui...»
«Ah, sì, quanti erano, venti?» sbraitò Sabrina, schiumando di rabbia. «Venticinque?»
«Ventisei» la corresse lui per automatismo.
Dannazione.
Si morse la lingua.
Sabrina rise, trionfante. «E tutti in un colpo solo, proprio come il caro, vecchio paparino... Ah, me stolta, me dormiente! Avrei potuto notarlo prima, tutti noi avremmo potuto notarlo prima e niente sarebbe com'è adesso!»
«Smettila» soffiò Jean, le unghie che gli scavavano profonde mezzelune nella pelle sottile dei palmi. «Basta.»
«Uguali, uguali, tu uguale a lui e lui uguale a te, mi sono innamorata dei tuoi stessi occhi, Jean! Dimmelo! Dillo! Ammetti chi sei davvero!»
Jean liberò un urlo di frustrazione e si afferrò la testa tra le mani. «Pazza! Portatela via!»
«Ammettilo!»
«Pazza!» Una guardia dovette agguantargli il braccio: Jean stava per rifilare a Sabrina un bel manrovescio sullo zigomo. Peccato. Quanto piacere avrebbe tratto dal farlo, quanto avrebbe goduto del suono di ossa contro ossa, quanto avrebbe ammirato il sangue coagularsi in un brutto livido violaceo sulla guancia, quanto avrebbe gioito nel sentirsi di nuovo forte e padrone di sé. «Basta.»
«Sei un assassino!» sputò Sabrina. «La mela non cade mai lontano dall'albero, eh?»
«Sono uno Shadowhunter, Sabrina, tutti noi siamo assassini!» replicò Jean, indicando gli altri Cacciatori con un ampio gesto nervoso. «Uccidiamo per lavoro, maledizione!»
«Sì, i demoni, non i Nascosti innocenti!» Dal corpo di Sabrina si spandeva puzza di bruciato: l'argento delle catene le stava corrodendo uno strato di cute dopo l'altro. «Uguale, uguale!»
«Sabrina, smettila.»
«Uguale!»
«Smettila!»
E Sabrina, all'improvviso, la smise.
Jean fissò lo sguardo su di lei. Deglutì: era svenuta. L'argento doveva averle procurato più danno di quanto non volesse dare a vedere.
Le guardie si tirarono dietro le sue membra inermi fino a scomparire oltre le porte. Spariti il fruscio dei vestiti sul pavimento, i passi pesanti dei Nephilim e il tintinnare dell'argento, ora nella Sala non volava una mosca.
«Due» esordì dunque Mattia Nardone, facendo sobbalzare tutti i presenti. Nonostante la tensione sul suo volto, la sua voce risuonava sicura e squillante. «Tre se contiamo pure il vampiro. E tutti insieme a Lorianne Herondale.»
Jean poté giurare di averla sentita sussurrare Tu quoque, Brute!
«Ti disturberebbe spiegare, Argentsang?»
Jean raddrizzò la schiena, tentando di recuperare almeno un po' di contegno. E fallendo. «Mi disturba, perché come ha già appurato la tua partner ci andrei di mezzo anch'io. E Lorianne.»
«Ma ci sei già andato di mezzo. Chiunque adesso sa cos'hai fatto.»
«Oh, no, ti sbagli: nessuno sa cos'ho fatto» mormorò Jean. «Sapete soltanto che ho ucciso due licantropi e un vampiro e Lorianne Herondale è stata mia complice. È solo una minuscola parte della verità.»
La replica di Lorianne arrivò brutale e inaspettata dal fondo della Sala: «Certo, perché la restante parte della verità è che tu mi hai stuprata!»
Terza esclamazione collettiva. Che l'Angelo li salvasse, stavano diventando prevedibili. Almeno il pianto disperato di Lorianne aggiungeva una nota fresca alla solita sinfonia.
«E tu, mia cara, hai attentato alla mia vita!» Jean si infilò le dita nel colletto della camicia e lo spostò di lato, rivelando il grosso taglio raffazzonato alla bell'e meglio che gli era quasi costato la pelle. «Chi è migliore tra te e me, eh? Eh?»
Per quanto lo disgustasse riconoscerlo, era lei la migliore.
Forse sarebbe dovuto morire, quella notte. Forse aveva fatto male a farsi guarire.
Guarire.
Francis.
«La colpa è sua!» gridò, indicandolo. «È lui il mandante, lui! I mannari, il vampiro, persino i ventisei...»
Qui la folla trattenne il fiato. Oh, grazie a Raziel, qualcosa di diverso.
«... tutti gli omicidi, tutti, sono colpa sua! Lui me li ha ordinati! François Argentsang me li ha ordinati!»
Francis scattò in piedi, furibondo. «Fils de pute!»
A quel punto, Jean scoppiò a ridere. «Sì, esatto, bravissimo, figlio di puttana! Sai che ha fatto, quella puttana di mia madre? Lo sai? Si è scopata quel dannato Carmine Mallardo – che peraltro è anche un camorrista – e a quanto pare non conosceva il significato della parola preservativo e quindi è rimasta incinta e perciò vent'anni dopo eccomi qua, signore e signori, Jean Argentsang, il bastardello intrattenitore delle folle che non può fare altro che seguire le orme del padre!» urlò, la gola che gli bruciava. «La volete? Volete la verità, la pura e nuda e cruda verità?»
Puntò gli occhi su Mattia Nardone, ghignando. «Sì, sono stato io. I tre singoli, i ventisei, tutti quanti, li ho assassinati io. Lorianne mi ha aiutato con i primi e a quanto pare io l'ho anche violentata, dopo, perché in fondo è quello che faccio, no? Rovino tutto ciò che tocco.»
Rise ancora, ormai isterico. «Che bisogno c'è di mentire, ora? Tanto, Nardone, voi già sapete tutto, no? Auguri con Lorianne, tesoro: dopo quello che le ho combinato, non aprirà le gambe per te neanche tra dieci anni. Io potrei aprirtele nei prossimi dieci secondi, invece. Fatti un giro sull'altra sponda, Mattia» mugugnò in un finto tono supplichevole. «Sei così carino. E coraggioso. E privo di scrupoli. Io sarò pure uguale all'adorato papino Carmine Mallardo, ma se hai ucciso a sangue freddo anche tu non sei tanto diverso. Non è vero, Mattia?»
Le pupille di Mattia mandavano bagliori. Jean rise una risata scomposta e tronfia. «Oh, guardate, guardate come cado dal mio piedistallo, rallegratevi della mia follia e ringraziate l'Angelo per avermi arrostito il cervello proprio prima che voi mi elevaste a vostro Inquisitore, perché solo lui sa cosa sarebbe potuto succedere se mi avesse fritto la materia grigia dopo. Guardatemi, guardatemi, sto annegando! E se io annego, allora porterò con me almeno Francis e Lorianne. Nardone, se vuoi seguirmi, il posto c'è anche per te. Dritto dentro le mie mutande.»
Si piazzò proprio al centro della pedana, rivolse un'occhiata sprezzante all'uditorio e si inchinò. «Acta est fabula: plaudite!»
E in quel momento, mentre due svegli Nephilim lo afferravano per le braccia e lo costringevano in ginocchio, un altro lo ammanettava e un quarto gli tracciava una runa soporifera, Jean si chiese se quello per lui fosse stato l'inizio della fine o, magari, la fine di un inizio.
***
«Acta est fabula: plaudite!» → "Lo spettacolo è finito: applaudite!", frase con la quale si concludevano le rappresentazioni nel teatro romano. Secondo la tradizione deriverebbe da un passo di Svetonio e sarebbe stata pronunciata da Augusto sul letto di morte.
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