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1.

That bitch is the Devil



30 Novembre 2020


Le suole delle scarpe risuonavano per tutto il piano, la sua furia pareva essere concreta, potevi sentire quanto fosse arrabbiata, potevi quasi toccare quanto fosse arrabbiata, potevi vedere il fumo uscire dalle sue orecchie, avresti voluto dirle di calmarsi ma sapevi che non l'avrebbe aiutata.

Soprattutto perché non c'era alcun modo per sfogarsi, nessuno poteva aiutarla, lei doveva solo ingerire la rabbia perché mica poteva sbraitare contro chi ne era la causa, nessuno aveva mai sentito neanche dare del "tu" alla causa di tutta quella rabbia, figurarsi se ci si poteva arrabbiare.

Lei si guardava intorno, impaziente, l'anno prima era stata così felice di essere stata assunta all' International Biomedical Company, era il lavoro che sognava da tutta la vita, lei che aveva la vocazione per salvare la vita delle persone.

Il piano era partire come stagista, si sarebbe fatta notare e da lì sarebbe stata tutta in discesa, promozioni su promozioni, aveva tre master in fondo.

E invece no, i suoi piani erano totalmente andati in fumo per colpa di quel- di quel- oddio non sapeva neanche come definire ciò che si trovava al diciottesimo piano. Sapeva solo che era una creatura risalita dall'Inferno altrimenti non si spiegava nulla.

Non si spiegava mica le sue parole velenose di un'ora fa – Va a casa tua e cambia quelle scarpe, ti mando da una parte all'altra dell'edificio e non ho alcuna intenzione di sentire quei tacchi un minuto di più- le aveva detto.

Tutti sapevano che lei abitava dall'altra parte di Manhattan e solo un pazzo la avrebbe rimandata a casa sua per mettere le scarpe da ginnastica e rivolerla lì entro mezz'ora, era impossibile e infatti lei non ci era riuscita.

Adesso infatti con le sue Nike ai piedi si preparava ad ascoltare le urla del Diavolo ma Dio, ne valeva davvero la pena?

C'erano altri mille modi per fare il lavoro dei suoi sogni dato che in quella compagnia lei non stava crescendo professionalmente e si limitava a compilare scartoffie, fare caffè e fotocopie e ovviamente soddisfare i capricci di Satana.

Bussò alla porta e un deciso "avanti" le percorse la schiena e la spinse ad entrare.

<<Ho cambiato le scarpe signora Howard.>> Lei alzò lo sguardo per pochi secondi e lo posò sulla sua assistente.

Lo sguardo di Isolde Howard era glaciale, i suoi occhi grigi incutevano terrore, a chiunque.

Potevi essere un contadino o il fottuto Presidente degli Stati Uniti d'America, Isolde Howard ti avrebbe scosso qualcosa nelle viscere, ti avrebbe fatto sentire come se avessi otto anni, lei fosse tua madre e ti avesse appena scoperto con le tue luride mani nel vasetto di Nutella.

<<Marie->>

<<Maggie.>>

<<Cazzo ma mi interrompi pure?>> Tuonò autoritaria e per un istante Maggie temeva che il suo capo le avrebbe sparato lì, nel suo immacolato ufficio dall'arredamento minimalista e moderno.

La povera stagista non ci provava nemmeno a reggere il suo sguardo e aveva fissato gli occhi su una pianta grassa, posta nell'angolo sinistro dietro la stronza -avanti, chiamiamola con il suo nome-.

<<Mi scusi signora.>>

<<Sei in ritardo Marie, di un'ora e mezza.>>

<<Lo so ma è impossibile compiere la strada->>

<<Ti ho chiesto delle spiegazioni Marie? No, non l'ho fatto. Non mi interessa se abiti sulla tua scrivania o nel fottuto Vietnam, se ti chiedo di essere qui in mezz'ora, sei qui in mezz'ora.>>

<<Non capiterà più, si fidi.>>

<<Certo che non capiterà più, mi presenti le tue dimissioni o ti devo licenziare?>>

Aveva tolto dalla sua portata l'IPad a cui prestava attenzione quando Maggie era entrata, poggiava il capo sulle mani mentre i gomiti erano sulla scrivania.

Non ci poteva credere. Per un anno aveva sopportato qualsiasi cosa da parte di quel mostro e adesso lei aveva l'audacia di licenziarla per un ritardo, uno su trecentosessantacinque giorni. Non aveva neanche preso le ferie quel Natale, le avrebbe prese solo quando e se lo avrebbe fatto anche Isolde, aveva cercato di essere perfetta per lei.

Ma ad Isolde era tutto dovuto, se Maggie aveva ritenuto speciale il fatto che avesse sopportato la donna, quest'ultima ne avrebbe trovati altri mille pronti ad umiliarsi per lei, non aveva riconoscenza né tantomeno tempo da perdere. Aveva una conferenza da organizzare e la stronza – sì perché adesso la stronza era diventata Maggie- le stava facendo perdere del tempo prezioso.

O Cristo, aveva persino iniziato a piangere.

Isolde odiava le donne più di quanto poteva fare qualsiasi altro maschilista inutile, nessun misogino poteva arrivare al suo livello perché persino loro alla fine avrebbero ceduto ad una donna e si sarebbero fatti svuotare le palle.

Isolde amava essere una donna ma odiava così tanto le sue simili quando si comportavano da donne.

Diventavano emotive, perdevano qualsiasi briciolo di credibilità e non avrebbero mai potuto reggere il peso che portava lei, sarebbero crollate e piangendo avrebbero chiesto al maritino di mantenerle a vita in modo che la loro manicure non si sarebbe mai più rovinata.

A volte Isolde controllava nelle sue mutande che non le fosse cresciuto il cazzo ma poi si ricordava quanto le piaceva essere una donna proprio perché c'era un buco in mezzo alle sue gambe e quindi finiva per dare la colpa a suo padre.

Suo padre, Tristan Howard –già, aveva chiamato così sua figlia per la storia di Tristano e Isotta-, prima di lei aveva avuto il controllo della compagnia e in assenza di figli maschi aveva educato la sua prima figlia femmina come un uomo: impassibile, spregevole, apatica ed insofferente.

<<Marie devo muovermi, se mi dai le dimissioni le firmo in un attimo e non ti rovineranno il curriculum.>>

<<N-Non vuole ripensarci signora Howard?>>

<<Ti licenzierò io se mi farai perdere altro tempo, chi meglio di te sa quanto sono impegnata?>>

<<Vada per le dimissioni allora, mi dispiace se ci sono state mancanze da parte mia.>>

<<Sì certo, va via adesso, organizzami dei colloqui domani per trovare il tuo sostituto.>>

Maggie voleva mandarla a fanculo, non solo aveva dovuto dare le dimissioni, adesso doveva anche cercarsi il sostituto da sola.

Ma non lo fece, chinò il capo, asciugò le lacrime sulle sue guance e uscì dall'ufficio del suo capo per poi andare alla sua scrivania dove in silenzio svolse il lavoro richiesto.

Maggie pensò che non aveva senso ribellarsi, che qualcuno prima o poi avrebbe dato una bella lezione ad Isolde Howard, ma lei era una semplice umana e non avrebbe mai potuto mettersi contro quella bestia, da buona cattolica quale era si convinse che Dio un giorno avrebbe dato a quella stronza del pane per i suoi denti.

A parlar del Diavolo spuntano le corna.

Alle diciotto in punto Demonio Howard uscì dal suo ufficio nel suo altissimo metro e settanta.

I capelli erano come sempre ordinatissimi in una piega castana, di un castano miele, dolce, un colore che Maggie aveva persino provato ad imitare con una tinta ma Isolde Howard era tutta naturale e per questo era anche unica.

Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni blu scuro con la piega sulla gamba, una t-shirt bianca un po' scollata dove un reggiseno push-up provava ad esaltare la sua seconda, la giacca abbinata al pantalone concludeva l'outfit elegante.

Effettivamente Maggie non aveva mai visto il suo capo rilassata, non l'aveva mai vista con dei vestiti meno formali, non l'aveva mai vista con le scarpe da ginnastica, non l'aveva mai vista con una coda e non l'aveva mai vista struccata.

Isolde si fermò alla sua scrivania con la valigetta in mano e prese a far muovere le sue labbra carnose ricoperte da un sottile strato di rossetto nude.

<<Questo è il foglio per le dimissioni, compilalo e domani lo firmerò, sto andando a casa.>>

<<Signora Howard, ha una riunione tra dieci minuti.>>

<<Ora non più Marie, te l'ho detto sto andando a casa.>>

La guardò con quei suoi occhi grigi e spenti e la solita espressione austera, per un attimo la ragazza pensò che se si fosse tolta quell'espressione così fastidiosa dalla faccia, Isolde sarebbe stata una donna di trentaquattro anni bellissima e dolcissima, una che non ti aspetti mai ti licenzi con quel nasino alla francese.

<<La rimando?>>

<<Non lo so Marie, è il tuo lavoro questo.>>

<<Beh in realtà non lo è più.>>

Un sorrisetto sghembo apparse sul volto della donna ma non disse altro e se ne andò lasciando alla ragazza l'ingrato compito di doversi sorbire le lamentele dei soci quando avrebbero scoperto che Isolde se n'era andata.

Il telefono prese a squillare ma Maggie fece partire la segreteria telefonica, aveva troppe cose da fare.

<<Marie prendi subito questo cazzo di telefono.>>

<<È Maggie, stronza.>> Sussurrò prima di prendere la cornetta.

<<Perché diavolo è partita la segreteria?>>

<<Stavo organizzando il colloquio di domani e disdicendo la riunione, mi dispiace signora Howard non credevo fosse lei.>>

<<Ah cazzo, menomale che ti ho licenziata.>> "Ma allora sei davvero una stronza." Pensò la ragazza. Beh in realtà Maggie pensò molte più parolacce di queste.

<<Comunque chiama l'avvocato del mio ex-marito e digli che deve chiamare il mio, devono organizzarsi per lo chalet, farò le vacanze lì questo inverno e non voglio rischiare di trovarmelo tra i piedi. Sono stata chiara Marie? Se trovo quel pezzo di merda lì ti faccio sbattere in galera, te lo giuro.>>

<<Okay però mi dica il periodo.>>

<<Non lo so ancora.>>

<<Quindi per che giorni dovrei chiedere la libertà?>>

<<Oh cristo Marie! Rendi tutto sempre così difficile! Non lo so ancora ti ho detto! Vuol dire che lo chalet sarà mio tutto l'inverno.>>

<<Ma non cederà->>

<<Sei diventata anche il mio avvocato adesso? Pensa al tuo lavoro e fa ciò che ti ho detto.>>

Come al solito Isolde non aspettò una risposta e chiuse il telefono in faccia alla sua assistente, lanciò il dispositivo sul sedile anteriore del passeggero e poggiò il gomito sul bordo del finestrino della sua Bentley mentre guidava e fumava per tutta Manhattan.

Aveva divorziato dal famoso comico Chris D'Elia due anni prima ed il loro matrimonio era stato fantastico ma li aveva portati ad un sanguinoso divorzio.

Chris faceva ridere la gente e aveva fatto ridere anche lei, molto, tanto che per un periodo aveva creduto che Chris le avrebbe dato dei figli, lo aveva amato con tutta me stessa.

E quando ami così tanto, quando finisce non puoi fare altro che odiare con tutta sé stessa.

Anche Chris l'aveva amata, era stato fiera di tenerla stretta a qualche red carpet ma poi era finita con la stessa frivolezza con il quale era iniziata, si erano ritrovati sposati senza neanche accorgersene, e lo erano stati per ben sei anni.

Lei era bellissima, era intelligente e all'epoca sorrideva ancora – ma solo di rado- e Chris aveva perso la testa, la voleva sua.

Isolde d'altra parte aveva trovato in Chris qualcuno che riusciva ad andare oltre il suo lavoro, non le aveva chiesto nulla soprattutto non le aveva mai chiesto di rinunciare alla sua carriera come spesso gli uomini avevano fatto con lei, l'aveva rispettata prima di amarla e per lei era stato fondamentale, tanto da convincerla a sposarlo.

Eppure anche la loro storia d'amore, che aveva fatto infiammare le riviste di gossip, era naufragata e adesso a stento si parlavano tramite gli avvocati loro due, gli stessi che qualche anno prima non riuscivano neanche a staccarsi per fare colazione dopo una notte di sesso.

In realtà di notti di sesso le avevano avute anche dopo il divorzio ma era mero sesso per sfogare le loro mortificazioni, non era amore, non era come un tempo, anche lì si parlavano lo stretto necessario, per organizzare come vedersi.

Si conoscevano, sapevano come darsi piacere e soprattutto non avrebbero creato scandali il giorno dopo, era sesso sicuro insomma.

Isolde si ritrovò a con il suo telefono in mano dove il contatto Chris D' Elia lampeggiava nella rubrica.

Lei, come una vera maniaca del controllo, aveva salvato tutti con nome e cognome, persino suo padre, sua madre e le sue sorelle.

Anche se non ce n'era bisogno, solo cinquantasette fortunati avevano il privilegio del numero personale di Isolde Howard e si riconoscevano subito.

Dopo un paio di squilli la sua voce virile risuonò nell'abitacolo dato che per guidare aveva messo in vivavoce.

<<Cosa vuoi? Hai idea di che ore siano a Los Angeles?>>

<<Il mio avvocato chiamerà il tuo ma voglio essere buona questa volta e voglio avvertirti con la mia voce.>>

<<Tu non sei mai buona con me Isolde, non scherzare, saresti più buona con Bin Laden che con me.>> E lei dovette trattenere una risata.

<<Tra uomini d'affari ci si intende.>>

<<Uomo d'affari? Bin Laden? Anzi, tu? Se non ti avessi scopata avrei qualche dubbio sul tuo sesso.>>

<<Quest' inverno lo chalet sarà mio.>> Tagliò corto la donna scostano un ciuffo castano dal volto.

<<Okay, per Natale o Capodanno?>>

<<Forse entrambi, sto decidendo, tu nel dubbio tienilo libero per tutta la stagione.>>

<<Cristo Isolde! Sei miliardaria! Te ne puoi comprare centomila di chalet! Perché cazzo devi rompere le palle a me!>> Chris era visibilmente frustrato e ad Isolde questo piaceva, la divertiva vederlo andare fuori di testa.

Era una cosa in realtà che le era sempre piaciuta, solo che prima esercitava il suo potere su di lui con il sesso.

<<Chris non mi interessa, lo sai vero?>>

<<Cosa?>>

<<Tutto, è proprio questo il punto.>>

<<Vai a fanculo Isolde Howard e fammi pure causa per diffamazione, non me ne frega un cazzo.>>

E lei adorava quando Chris non tratteneva più e sbroccava, lo adorava perché lui la temeva, certo, la temevano tutti, ma l'affrontava comunque, era l'unico che aveva le palle di farlo e il coraggio e la sicurezza di un uomo erano sempre stati elementi che le facevano inzuppare le mutande.

<<Chris.>>

<<Cosa vuoi ancora?>>

<<Passi da New York in questi tempi?>> Lo disse con voce languida che non lasciava spazio alle interpretazioni e l'uomo dall'altra parte del telefono sospirò dolorante, come se gli stessero negando l'acqua nel deserto.

<<Non ho alcuna intenzione di venirti a scopare Isolde Howard perché tu non avrai pietà di me in tribunale ma io sì se continuerò a volerti bene.>> Isolde ridacchiò.

Sapeva che il suo ex-marito le voleva ancora tanto bene ed era così anche per lei, solo che nella sua scala di importanza aveva se stessa prima di tutti e non dava mai a vedere le sue emozioni.

<<Come va? Non mi chiamavi da tanto, da quest'estate, era il giorno in cui mi hai sbraitato in segreteria perché avevi trovato un mio paio di pantaloni a casa tua, era una tragedia per te.>> E rise ancora.

Forse doveva ammettere che ancora un po' Chris la faceva stare bene, che erano mesi che non rideva e che a volte pensava a come sarebbe stato se non si fossero mai lasciati.

<<Va tutto bene Chris, ho licenziato una stagista oggi.>>

<<È per questo che va bene? Perché Satana ha potuto sfoderare gli artigli?>>

<<Forse.>>

<<Devo tornare a dormire Isolde, sai domani ho da fare->>

<<Sì, non preoccuparti, ciao.>> Chiuse senza aspettare che rispose –era un vizio per lei – e le sembrò di rinascere quando entrò nel suo attico e si chiuse la porta alle spalle.



NOTA AUTRICE:

Oh shit here we go again. 

Vi giuro, è quello che penso ogni volta che pubblico il primo capitolo di una nuova storia. In questa sto sperimentando la scrittura in terza persona e vi dirò, mi piace, quasi quanto mi piace la mia nuova protagonista.

Spero piaccia anche a voi e lasciate qualche stellina o commento, mi aiutereste tipo tantissimo.

Fatemi sapere come state in questo periodaccio e niente, alla prossima,

Vostra Story_Teller17

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