Capitolo 4
Quando Mavis finì di cenare si alzò dal tavolo e, seguita da William e Emilie, si diresse verso il dormitorio della Sezione 5.
Si sentiva stranamente tranquilla, o forse era solo la stanchezza. Qualunque cosa fosse non sentiva l'ansia o la preoccupazione che aveva avuto parecchie volte durante l'arco della giornata.
Probabilmente si sentiva così perché sapeva di potersi fidare di Emilie e William. Aver trovato due alleati - due amici - all'interno di quel carcere la rassicurava.
In ogni caso era sicura che quello che voleva dire loro non era molto importante, almeno non per il momento. Forse glielo avrebbe riferito il giorno seguente, oppure la settimana dopo... Non sapeva per certo quando, ma un giorno glielo avrebbe detto, ma quello non era il giorno.
A Mavis non importava tanto in quel preciso instante, poiché iniziava a sentire tutta la fatica della giornata scenderle addosso. Sentì il suo corpo diventare debole, una debolezza simile a quella che aveva provato nella stanza bianca, ma molto più lieve e in un certo senso anche piacevole. Le braccia le dolevano per via dello smistamento, che si era rivelato più stancante e faticoso del previsto. Però era un dolore che accettava volentieri; voleva dire che aveva lavorato sodo.
Anche Emilie era visibilmente stanca, lo si vedeva dai suoi movimenti, decisamente più lenti del normale, e dal suo viso. Le palpebre quasi semi chiuse le davano un'aria totalmente diversa dal normale. Era come se la solita Emilie fosse sparita. Non che potesse essere sicura di aver identificato correttamente la ragazza conoscendola solo da quel pomeriggio. Ora che ci rifletteva meglio, era passato solo un giorno da quando era arrivata. Eppure erano successe tante di quelle cose.
William, al contrario della bionda, era indifferente e il suo viso era rilassato e solcato da un grande sorriso.
Arrivati nei dormitori, Emilie si era subito sdraiata sul suo letto borbottando qualcosa che a Mavis era sembrato un: «Notte, brutti imbecilli.»
William, invece, si era messo a sedere sul suo letto sorridendo, quasi fosse sollevato.
Poi si era sdraiato mettendo le mani dietro la nuca, guardando il soffitto sempre con quella specie di strano sorriso.
Mavis non capiva cosa avesse.
Si tolse i pantaloni rimanendo in maglietta, visto che là dentro faceva abbastanza caldo. La stanza era in penombra e le permetteva di rimanere in intimo senza problemi.
Non che le importasse più di tanto.
Si sdraiò su un lato, mettendosi sotto le coperte. Guardava William che sorrideva con gli occhi chiusi.
Le scappò una risatina. Poi, improvvisamente, abbassò per un attimo lo sguardo colpita dalla forte sensazione di aver già visto una scena del genere. Ma non poteva essere vero, dopotutto lei conosceva William solo da un giorno, non l'aveva mai visto prima.
Questo sorrise ancora di più.
«Cosa c'è di così divertente?» chiese.
«Non lo so.» rispose Mavis.«Sei semplicemente buffo.»
William aprì gli occhi girandosi verso di Mavis.
Alzò un sopracciglio.
«Buffo dici?» mise il gomito sul materasso e appoggiò la sua testa sulla sua mano.
Mavis si tirò su appoggiando la sua schiena al muro, per poi annuire.
«Meglio buffo che rompi palle come Malcolm.» ribatté incurvando le labbra in un piccolo sorriso.
«Ti ho sentito, idiota.» si sentì Malcolm borbottare da uno dei letti più vicini alla porta d'ingresso.
William girò la testa nella direzione di Malcolm dicendo:
«Se non volevo farmi sentire stavo zitto.» Malcolm mugolò infastidito facendo sogghignare William.
«Comunque,» disse rivolgendo il suo sguardo nuovamente verso Mavis. «com'è andato il tuo incontro con James?» chiese diventando improvvisamente serio.
«Normale, credo.»
In realtà quell'incontro continuava a tornarle in testa ogni momento, le dava quasi il tormento. James era davvero un soggetto enigmatico. Non riusciva a capire bene da che parte stesse. Era buono? Era cattivo? Era alleato con loro?
Cercò di scacciare quelle domande dalla sua testa, per evitare altri mal di testa.
Tornò a concentrarsi nuovamente sul ragazzo moro.
William annuì, tornando poi a sorridere in quell'insolito modo che Mavis proprio non riusciva a comprendere.
«Come mai sorridi così?» domandò Mavis aggiustandosi le coperte.
«Così come?»
«Così.» gesticolò con le braccia.
William rise. «Vedi, Mavis, quando arriva la sera sono contento perché vuol dire che devo passare un giorno di meno qui dentro.» seguì un sospiro.
«Quanto devi stare qui?»
William si sdraiò sulla schiena mettendosi comodo, così da essere pronto per dormire.
«Quindici anni.» mormorò girandosi dalla parte opposta a Mavis, dandole le spalle, quasi a voler dire "non voglio parlarne."
Si sentì in colpa per aver fatto quella domanda a William. Aveva capito che per lui era un argomento delicato. Probabilmente Emilie e tutti i suoi amici della Sezione 5 dovevano trascorrere meno anni di lui in quel posto e questo doveva distruggerlo. La sola sensazione di dover assistere alla liberazione di tutti i suoi amici mentre lui lentamente rimaneva solo, incastrato lì dentro, doveva essere davvero estenuante.
Anche lei doveva passare quindici anni in quel posto e nonostante non conoscesse molto bene nessuno, si sentiva comunque come William.
Non voleva rimanere sola.
Mavis sospirò capendo che la conversazione era terminata e mentre si sdraiava anche lei - cercando di mettersi comoda - aggiunse:
«Anche io.»
Poi si girò pure lei su un lato, chiuse gli occhi e cercò di scacciare dalla sua testa tutti i pensieri che le rimbombavano da una parte all'altra del cranio, come la conversazione con James e il discorso di Jared.
Per lei erano stati illuminanti.
Aveva intuito come funzionava quel posto in cui avrebbe dovuto passare quindici anni della sua vita. Al momento doveva solo dimostrare se le sue tesi si sarebbero rivelate esatte.
A meno che non fosse riuscita a scappare prima.
Poteva portare William, Emilie e Logan con sé. In seguito, dopo aver denunciato tutto ciò sarebbe tornata a liberare tutti gli altri, e sarebbero stati tutti liberi. Tutti, nessuno escluso.
Purtroppo non era così.
Da quel che William e Emilie le avevano detto era impossibile scappare da lì.
Eppure... Eppure lei c'era già riuscita, lei era già scappata una volta. Tuttavia finché non avesse trovato un qualcosa che le avrebbe dato una mano a ricordare, sarebbe stata dura riuscire a scappare.
Scacciò velocemente quei pensieri. Cercò di svuotare la mente, ma più tentava più tutti i suoi dubbi le tornavano in mente. Senza tutte quelle risposte si sentiva persa, rinchiusa in un limbo senza fine fatto di dubbi ed incertezze.
Non ci volle molto prima che la stanchezza prendesse il sopravvento e si addormentasse profondamente.
***
Il mattino seguente Mavis venne svegliata bruscamente da un'assordante sirena, la stessa che segnalava i pasti.
Aprì gli occhi scattando subito a sedere per lo spavento.
«Ci farai l'abitudine.» le disse William con la voce impastata dal sonno mentre si stirava.
Mavis si guardò intorno, quasi sperasse fosse tutto un brutto sogno, che lei non fosse mai stata in quel posto, ma purtroppo era reale, lei era lì. Si sfregò gli occhi con le mani e poi sbadigliò. Mise velocemente a fuoco intorno a lei e vide tutti che si stavano preparando frettolosamente, come se avessero un orario da rispettare. E molto probabilmente era così vista la fretta che ognuno aveva di vestirsi. Emilie, notò Mavis, era ancora a letto con la testa nascosta sotto il cuscino. William si era ormai alzato e si stava dirigendo verso una stanza in fondo alla camera che, Mavis, suppose fosse il bagno.
Malcolm passò proprio in quell'istante davanti a Mavis e si fermò guardandola.
«Ti conviene muoverti perché,» alzò il dito indice per dire 'uno'.«punto primo, finisce tutta la poca colazione che ci danno e punto secondo,» analogo comportamento per il dito medio, così da avere due dita alzate e dire 'due'. «James ti spedisce nel Buco se fai tardi.» Mavis aggrottò le sopracciglia quando sentì dire 'Buco'. Malcolm capendo, probabilmente, che Mavis non sapeva di cosa stesse parlando, sbuffò rumorosamente.
«La stanza bianca.» spiegò prima di andarsene.
Mavis capì immediatamente come mai Emilie si fosse spaventata tanto quando James l'aveva minacciata di mandarla nel Buco. Si alzò dal suo letto aprendo il baule e prendendo una maglietta e un paio di pantaloni. Osservando la maglietta noto delle scritte sopra di essa: a destra si trovava la lettera S.5. Che stesse per Sezione 5? Sul cuore, invece, stampato a caratteri romani si trovava il numero tredici. Andò velocemente in bagno e vide che c'erano molti lavandini. Notò William che si lavava i denti all'ultimo e intuì che erano numerati anche quelli. Andò all'ultimo lavandino e vide il numero tredici sopra il rubinetto.
Sopra c'erano uno spazzolino, una spazzola e degli elastici per capelli.
Mavis si lavò i denti, si pettinò e si legò i capelli il più in fretta possibile per poi infilarsi i vestiti. Tornata in camera si mise a sedere sul letto per infilarsi le scarpe. Mentre si stava allacciando la seconda scarpa vide William uscire dalla stanza così lo chiamò per fermarlo. Lui rimase accanto alla porta spalancata e si voltò facendole segno di venire. Mavis corse verso William, il quale la salutò sorridendole.
Vide le stesse cose che erano stampate sulla sua maglietta anche su quella di William, anche se al posto del tredici si trovava un dodici.
«Grazie per avermi aspettato.» disse lei mentre si dirigevano verso la sala pranzo.
«Figurati.» alzò le spalle.
Superato il Buco girarono a destra e a Mavis venne in mente Emilie. L'ultima volta che l'aveva vista si stava alzando, poi, nel caos generale, l'aveva persa di vista. Però, quando era entrata nei bagni, non l'aveva vista accanto a William, al suo posto, l'undici. Guardò dietro di sé per cercare di avvistare la chioma bionda della ragazza, ma invano.
Si rivolse così a William.
«Hai visto Emilie in giro?» Il ragazzo si voltò verso Mavis scuotendo la testa.
«Lei non fa colazione, va direttamente alla Sezione per via di quella cosa.» Disse in modo allusivo. Mavis capì che quella cosa era riferito al piano di fuga al quale Emilie e William stavano lavorando. Loro volevano delle risposte, come le volevano tutti quelli presenti in quell'edificio, tranne James, e forse anche Jonas. Per Mavis era logico pensare che loro sapessero qualcosa. E non solo perché James non aveva perso la memoria - al contrario del resto delle persone - ma perché lo si vedeva dal suo modo di comportarsi, di agire. James c'entrava qualcosa. Le restava solo da capire cosa lo coinvolgesse nella faccenda.
Arrivati al tavolo cinque Mavis vide dei grandi piatti con sopra del cibo. Ognuno prendeva qualcosa e poi se ne andava velocemente. Stessa cosa facevano gli altri, incluso William.
Prese un cornetto e corse via, Mavis lo imitò seguendolo.
La Zona Lavorativa era già in piena fase operativa. Ragazzi con grosse ceste metalliche partivano dalle Sezioni uno e due, e ne buttavano il contenuto in un'altra grossa cesta.
E avrebbero continuato così tutto il giorno.
Prima di entrare nella Sezione 5, lei e William finirono di fretta e furia la loro colazione.
Mavis si pulì velocemente le mani sui pantaloni prima di entrare.
Si sentì sollevata nel notare che James non era tra i ragazzi presenti. Non le piaceva per niente. Socchiuse gli occhi per il cambiamento di colore della stanza. Non si sarebbe mai abituata a tutta quella luce. Anche William doveva trovarsi infastidito, infatti si era portato una mano sopra gli occhi come fosse una visiera, per far abituare gli occhi, come se ci fosse stato un sole accecante che splendeva sopra le loro teste.
Ad attenderli all'interno della Sezione 5, c'era una Emilie disperata. Stava davanti al suo computer imprecando con le mani nei capelli.
Gli altri ragazzi della Sezione la imitavano guardando i propri computer.
«Non è possibile!» gridava chiaramente sconvolta Emilie. «Non è possibile!»
Si voltò verso William e Mavis, andando spedita verso di loro. Prese William per la mano trascinandolo verso il suo computer.
Mavis rimase senza parole davanti alla scena che si trovò di fronte: ogni singolo monitor della Sezione 5 aveva un enorme buco al centro. Emilie ci infilò dentro la mano.
«Ci hanno distrutto i monitor!» rigirò la mano nel buco e poi la estrasse, fissando William.
Mavis deglutì. Passò in mezzo alle piccole scrivanie e andò verso il suo computer. Forse quello era era il torto più grande da fare ad un hacker; distruggere il suo computer.
Si chiese chi potesse aver fatto una cosa del genere, anche se aveva già qualche sospetto.
«Ragazzi, manteniamo la calma!» richiamò l'attenzione di tutti Malcolm. Mavis si voltò verso di lui per sentire cosa volesse dire. «Andrò a parlare con James, e mi farò dare dei monitor nuovi.»
Gli altri non prestarono molta attenzione a Malcolm anzi, continuavano a guardare esterrefatti i loro computer. L'occhio di Mavis cadde sull'unità del sistema di un ragazzo che era troppo occupato a pensare al monitor per notare che, anche sull'unità, era presente una grande buco. E questo significava che, se anche la memoria remota era stata danneggiata, ogni singolo dato era andato perduto per sempre, e niente e nessuno poteva recuperarli.
«Oh Dio.» mormorò Mavis. Cercò con lo sguardo William e Emilie che erano sempre al computer di quest'ultima a discutere. Si avvicinò notando il buco anche nell'unità di Emilie. Si sorprese del fatto che nessuno vi avesse ancora fatto caso. Mentre pensava chi fosse stato a fare una cosa del genere e soprattutto il perché l'avesse fatto, si trovò davanti a William.
«C'è un problema.» disse rivolta a William.
«Davvero?» disse sarcasticamente Emilie mettendo nuovamente la sua mano nel buco sul suo monitor. «Non ce ne saremmo mai accorti senza di te, Mavis. Grazie tante.»
Mavis ignorò le parole di Emilie proseguendo il suo discorso.
«Hanno distrutto anche l'unità del sistema.» Emilie esitò, prima di abbassare lo sguardo e imprecare di nuovo.
«Malcolm!» gridò dirigendosi verso di lui. Mavis la vide gesticolare mentre parlava con quest'ultimo. Poi Mavis si diresse verso la postazione tredici rimanendo scioccata.
Non seppe nemmeno lei cosa provò in quel momento: sorpresa, paura, rabbia. Un insieme di emozioni che le fecero venire male allo stomaco.
Ma non fu tanto quello che vide a sorprenderla, fu quello che non vide. Il suo monitor era completamente intatto, nemmeno un graffio. Spostò il suo sguardo sull'unità del sistema: intatta anche quella.
Si sentì mancare, le girava la testa. Si appoggiò alla scrivania, fissando a bocca aperta il suo computer. Si mise le mani nei capelli scuotendo ripetutamente la testa.
«Non è possibile.» mormorò.«Tutto questo non ha senso.»
Perché tutti i computer erano rotti tranne il suo? Cosa aveva lei di diverso dagli altri? Tutte queste domande le rimbombavano in testa, quasi a dirle che tutto ciò era colpa sua. Le mani le tremavano mentre fissava gli altri che, in preda alla rabbia, toglievano dalla loro scrivania il loro computer, mentre lei fissava il suo che non era stato toccato minimamente.
Guardò William che stava togliendo l'unità del sistema dalla scrivania.
«William.» lo chiamò Mavis. Non rifletté sul perché decise di chiamare proprio William, ma sentiva una sorta di familiarità nelle loro discussioni e nel ragazzo in generale.
Lui la guardò dubbioso, poi si avvicinò.
«Guarda.» disse indicando il suo monitor. William rimase con lo sguardo fisso sul computer con le sopracciglia aggrottate.
«Ma che diavolo?» mormorò guardando Mavis.
Quest'ultima scosse la testa.
«Accendilo.» disse indicando il computer. Poi prese la sedia facendole segno con la testa di sedersi; Mavis si sedette titubante.
Accese l'unità del sistema e il monitor, fissando William che teneva un braccio sulla sedia e uno sulla scrivania. Attesero dieci secondi esatti, ma a Mavis sembrarono dieci minuti, come nel Buco il tempo sembrava essersi fermato.
Quando il computer era completamente operativo, William indicò un nuovo file senza nome al centro del Desktop, dicendo a Mavis di aprirlo.
Mavis aprì il file e rimase senza fiato per ciò che si presentò davanti ai suoi occhi.
La foto ritraeva lei e William che venivano arrestati da due persone vestite di nero. Davanti ai due ragazzi si trovava l'anta spalancata di un grande furgone nero. Altre due persone stavano puntando delle grandi armi sulle tempie di Mavis e William. Gli agenti indossavano un casco protettivo e un giubbotto antiproiettile, anch'esso nero. Mavis era vestita esattamente come quando era arrivata là; la stessa maglietta verde e gli stessi identici jeans. Il suo viso era sporco, e presentava anche un grande graffio che le solcava lo zigomo. Si toccò la guancia quasi d'istinto, ma non trovò nulla. Che fosse passato molto tempo dal suo arresto - per cosa poi? - al suo arrivo alla Fabbrica?
Mavis notò delle lacrime sul suo volto, e così come lei piangeva anche William. Si guardavano negli occhi, sforzando un sorriso. Sgranò gli occhi stringendo il pugno.
William era sconcertato almeno quanto lei.
«Ma cosa?» disse indietreggiando di qualche passo.
Ma la cosa che più spaventò Mavis fu la scritta sotto la foto.
"Bentornati alla Sezione 5, Mavis e William"
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