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:: d u e :: da che parte stai?

Io appartengo all'unica razza che conosco, quella umana.

- Albert Einstein

Michael Scofield non smette di stupirmi. È una continua scoperta per me ed ammetto che i suoi occhi celesti come il cielo più limpido mi hanno scosso qualcosa nel profondo.

Quando mi reco a Fox River la mattina dopo, è proprio il mio amico Francisco Santana ad aggiornarmi su ogni cosa che riguarda il detenuto dalle iridi azzurre. Ci sediamo nella saletta delle guardie e, mentre io sorseggio il caffè che mi ha portato l'agente Chris Wilson, Cisco inizia a fare avanti ed indietro per la stanza.

"Patterson mi ha detto che Scofield e John Abruzzi si sono scontrati in cortile. Ci credi? Da un pivello come lui non me lo sarei mai aspettato. Pare che sia riuscito a rifilargli un cazzotto prima che i suoi sottoposti lo fermassero." Esclama Santana passandosi una mano tra i capelli.

"Quel John Abruzzi?" Sul mio volto si apre un'espressione stupita. "In effetti Michael non mi sembra affatto spaventato. Per essere uno che finisce in prigione per la prima volta in assoluto nella sua vita ha un atteggiamento quasi strafottente. Ha fegato per mettersi contro ad un mafioso già il secondo giorno di permanenza in cella."

Francisco annuisce e poi si calca sulla testa il capello della divisa.
Bellick - come ogni mattina - irrompe nella saletta delle guardie e non si lascia sfuggire l'occasione per punzecchiarci un po': "Jones e Santana, non siete pagati per passare il vostro tempo a bere tè e mangiare pasticcini mentre vi pettinate come due principessine."

Alzo gli occhi al cielo e getto il bicchiere di carte nel bidone dell'immondizia, poi mi alzo in piedi scimmiottando un saluto militare verso il mio capo.

"Smettila di fare la spiritosa, Brooklyn, e porta Scofield dal direttore Pope. Lo aspetterà una bella gita nella cella d'isolamento." Mi ordina con un ghigno dipinto sul volto.

Michael mi aspetta in cortile, all'interno del perimetro recintato in cui ai prigionieri è permesso fare la loro ora d'aria quotidiana. Gli altri detenuti sono rientrati già da un pezzo. Louis Patterson mi saluta con un cenno del capo ed affida a me il giovane uomo dagli occhi celesti. Quando il mio collega è lontano, rivolgo la parola a Scofield.

"Hey, pivello. Sei qui da solo un giorno e ti sei messo contro i cattivoni di Fox River. Non hai paura di niente, eh? E per di più sei già stato convocato dal direttore del carcere in persona per ben due volte, anche sé questa non sarà una visita di piacere."

Michael accenna un sorriso e poi mi saluta con voce calda e rassicurante: "Buongiorno, agente Jones. Sono un ragazzo a cui piace rischiare." Mi fa l'occhiolino ed io gli sorrido in risposta.

"Stai attento a non farti ammazzare entro la fine della settimana, ammetto che un po' mi dispiacerebbe." Poi il mio tono diventa serio. "Qualunque cosa sia successa con Abruzzi, stai attento. Quell'uomo ha potere illimitato anche adesso che è dietro alle spalle ed è meglio averlo come amico, soprattutto qui dentro."

"Grazie per il consiglio, agente Jones. Conosco il detto tieni gli amici vicini ed i nemici ancora più vicini."

Lo scorto fino all'ufficio di Pope che si trova in uno dei numerosi edifici che costituiscono il penitenziario di Fox River. Non mi sembra agitato, anzi cammina sicuro di sé al mio fianco. Non sa ancora che rischia fino a 90 giorni di isolamento per essersi preso a pugni con un altro detenuto.

Giunti davanti allo studio del mio superiore, faccio accomodare Michael nella sala d'aspetto e poi chiedo alla segretaria di annunciare che siamo arrivati.
Si siede vicino a me, con la schiena dritta ed un espressione lapidaria. Il mio braccio sfiora leggermente il suo e sento l'epidermide diventarmi bollente, in contrasto con il brivido che mi percorre la spina dorsale.

Becky Gerber è un'elegante donna di mezza età con i capelli a caschetto ed indossa un tailleur dai toni del bordeaux. Prima di entrare nell'ufficio bussa con delicatezza, apre la porta e poi scambia due parole con il dirigente del carcere. Successivamente invita me e Michael ad entrare.

Henry Pope è un uomo tutto d'un pezzo ed è al comando di Fox River da molti decenni. Vede i detenuti come persone da reinserire nella società ed il soggiorno in cella come un modo per espiare i propri peccati. Sa fare egregiamente il suo lavoro, usando polso fermo e metodi efficaci. Punisce, ma senza esagerare e dà fiducia e rispetto.

Mi invita a lasciare la stanza, così da poter parlare in privata sede con Scofield. Non teme di essere lasciato da solo con un detenuto senza manette, anche perché sa che Michael è diverso dalla maggior parte dei criminali rinchiusi qui dentro e ce ne siamo accorti tutti da quando è arrivato.

La segretaria Gerber mi chiede subito se voglio qualcosa da bere, è sempre molto gentile con me - anche perché fa parte pure lei della minuscola minoranza di donne che lavorano all'interno di Fox River. Oltre a noi due, ci sono la dottoressa Sara Tancredi e l'infermiera Katie Welch. La solidarietà femminile all'interno di un carcere maschile è stata di vitale e fondamentale importanza per me, poiché mi ha aiutato a sopravvivere in questa giungla.

"Come sta la piccola Maxine?" Mi chiede con tono gentile Becky, porgendomi un bicchiere di tè caldo al limone. Lo ha appena fatto e dalla tazza si eleva una nuvoletta di fumo bianco.

"Sta crescendo troppo in fretta... Ormai ha già quattordici anni e sta entrando in una fase difficile dell'adolescenza. Il tempo per stare insieme non è mai abbastanza, ma cerco di fare del mio meglio." Un sorriso amaro si dipinge sulle mie labbra, cerco di nasconderlo mandando giù un sorso di tè insieme al groppo che mi si forma in gola ogni volta che penso a quanto sono poco presente nella vita della mia amata figlia. "Sai, Becky, gioca benissimo a calcio e la sua squadra è in finale al torneo femminile dell'Illinois. È il mio orgoglio, la mia piccola Max."

La segretaria mi sorride e poi mi indica che Michael è appena uscito dall'ufficio di Pope. La saluto e mi occupo di portare il giovane uomo nella sua cella. Varchiamo uno dei lunghissimi corridoi di Fox River che a quest'ora del giorno è completamente deserto. I detenuti sono nelle loro stanze, piantonati dalle guardie.

"Non mi sarei mai aspettato che una ragazza così giovane come te avesse una figlia adolescente." Esordisce Scofield guardandomi di soppiatto.

Io continuo a camminare, ma un sorriso spontaneo nasce sul mio volto: "Stai per caso cercando di farmi un complimento, pivello?"

"Ah." Alza le mani in segno di resa. "Mi hai beccato, agente Jones."

Mi mordo un labbro e scuoto la testa. Mi piace avere Michael accanto a me. Poi all'improvviso mi faccio seria: "Ho avuto Max quando avevo quindici anni, non era voluta ovviamente, però è stato l'errore più bello della mia vita. Io amo mia figlia più di ogni altra cosa al mondo, farei di tutto pur di vederla felice."

"Immagino." Mi sorride sincero, deve aver notato che quando parlo della mia bambina cambio espressione: mi diventano gli occhi lucidi e le mie labbra si distendono in un ghigno di felicità. "Quindi sei sposata, suppongo..."

"Hey, Scofield, non ci starai mica provando con me?" Ridiamo insieme per qualche secondo, mi sembra quasi surreale questa scena in cui ci sono io - guarda carceraria - che scambio delle battute con Michael - un detenuto. "No, comunque non c'è nessun marito geloso a casa. Il papà di Maxine non sarà un problema per te." Gli faccio l'occhiolino.

Poi cerco di sviare il discorso, perché parlare di Luke Cooper non è mai semplice per me. Sono consapevole di aver un rapporto malsano con il padre di Max, il fatto che mi abbia usata per tradire la moglie quando si era appena sposato non ha contribuito ad allontanarmi da lui e continuiamo tuttora ad intrattenere una sorta di relazione clandestina.

Luke è un famoso avvocato di Chicago, figlio di un altrettanto noto difensore di giustizia. Suo padre ha pianificato nei minimi dettagli la sua vita: la laurea in giurisprudenza, il matrimonio con una rampolla dell'alta società e l'entrata del mio ex ragazzo come socio nel suo prestigioso studio legale. Ma non ha tenuto conto della felicità di suo figlio, Luke non voleva quella vita. Così dopo qualche settimana che si era sposato con Alexis - una bellissima donna dalla chioma castana e gli occhi verdi che fa la modella - ha incontrato me. Nonostante ci fossero ben 11 anni di differenza, tra di noi è scoppiato subito l'amore.

Alexis sa tutto, sa della mia esistenza e di quella Max, ma non le importa. È interessata solo alla bella vita che conduce accanto a Luke, loro non hanno figli ed è meglio così, perché quella donna ama solo se stessa. Con me Cooper è completamente un'altra persona. Abbandona le vesti dell'avvocato e si cala nei panni del papà modello. Non ha fatto mai mancare niente a nostra figlia, la ama incondizionatamente - proprio come faccio io - e quando siamo tutti e tre insieme, Max è davvero felice.

"Eccoci arrivati, Michael." Solo quando sono davanti alla cella, mi rendo conto che mi sono persa nei miei pensieri. Scofield entra dentro ed una volta che le sbarre metalliche si sono chiuse, si appoggia su di esse. Mi sfiora leggermente la mano, percepisco a malapena la sua pelle sulla mia tanto da sembrarmi quasi un sogno. Per un attimo mi perdo nei suoi occhi celesti come il cielo e mi lascio trasportare dalle emozioni che scaturiscono in me le sue iridi liquide. Dura tutto un solo piccolissimo istante, il tempo necessario a farmi battere un po' più forte il cuore, poi torno bruscamente alla realtà.

Michael Scofield è solo un detenuto.

* * *

Il giorno dopo in carcere c'è una retata, Pope convoca almeno una volta al mese gli agenti con i cani antidroga. Per prima cosa vengono chiusi gli scarichi dei water, per evitare che sostante stupefacenti vengano buttate giù per le fogne. Ma questo scatena sempre il caos visto che i prigionieri gettano tutto ciò che potrebbe costare loro la pena dell'isolamento fuori dalle celle.

Gli agenti della DEA  - Drug Enforcement Administration -passano per i corridoi con ai guinzagli pastori tedeschi che abbiano e ringhiano eccitati, per assicurarsi che tutto sia in ordine.
L'edificio che ospita gli abitacoli dei malviventi è fatto in modo che le celle siano disposte a ferro di cavallo su due piani diversi; in mezzo c'è un piccolo spazio che permette loro di girovagare durante le ore che possono trascorrere fuori dalle sbarre.

Bellick ci fa cenno di irrompere nell'atrio e mi ordina di seguirlo nelle perquisizioni delle celle. Ubbidisco in silenzio, in situazioni come queste meglio non ribattere.
Casualmente si ferma davanti alla 40, dove sono detenuti Michael ed il suo compagno Fernando Sucre.
Scofield è in piedi in mezzo alla stanza e nasconde qualcosa tra le mani, dal bagliore che emana l'oggetto sembra la lama di un coltellino rudimentale. Bradley ordina a Geary di aprire la cella e poi esorta con un sorriso beffardo: "Allora, ci stiamo armando per la rivolta razziale? Dammelo."

Michael rimane impassibile e gli passa il coltellino. Bellick se lo rigira tra le mani e poi continua: "Musi neri contro visi pallidi... Tu da che parte ti sei schierato, figliolo?"

"Da nessuna delle due parti, capo."

"Potresti stare con noi." Il capitano delle guardie lancia un'occhiata nella mia direzione, io osservo la scena con il cuore che mi martella nel petto. Si passa la lama davanti al collo, come per imitare uno sgozzamento. "Anche se l'opzione non è contemplata dal regolamento."

Michael sposta lo sguardo nella mia direzione, io gli rispondo con un'occhiata di rammarico. Non mi sembra un tipo violento e che si lascia andare alle brutali leggi del carcere, alla lotta irrazionale tra detenuti di colore e bianchi. Le differenze razziali dietro alle sbarre aumentano esponenzialmente, rivelando il vero stato animale di questi criminali. Poi mi ricordo che Scofield è dentro per aver rapinato una banca e per aver scaricato due pistole durante il furto.

Il direttore Pope arriva all'improvviso, scortato da due guardie e chiede a Bellick: "Qualche problema?"

"Abbiamo trovato questo." Gli passa l'arma bianca.

Pope guarda il coltellino, poi si rivolge direttamente a Scofield: "È tuo?"

Michael rimane in silenzio, ma sul suo volto si legge chiaramente che sta comprendo il suo compagno. Anche il dirigente carcerario lo intuisce, così gli dice: "Non sei bravo a mentire. Sucre in isolamento!"

Il portoricano esce dalla cella, a testa bassa, guarda prima Michael e poi me - anche se sa che non posso fare nulla per aiutarlo, mi sta simpatico però nessuno va contro il volere di Henry Pope e poi tenere oggetti contundenti è contro le regole del penitenziario.

"Coraggio, muoviti!" Si dirige a Bellick che sembra non intenzionato a lasciar stare Michael. Ce l'ha su con lui dall'episodio avvenuto nello spogliatoio il primo giorno che il giovane uomo è arrivato in carcere e quando Bradley prende in antipatia qualcuno, quella persona non avrà vita facile... Soprattutto se è un detenuto.

"Non ho finito di perquisire la cella." Ribatte il capitano delle guardie. Io mi muovo a disagio, fino ad adesso non mi sono azzardata a proferire una sola parola.

"Ho detto muoviti!" Tuona Pope e poi si allontana. La guardia rimane impalata davanti alla 40.
Le parole che rivolge a Michael sono tutt'altro che amichevoli: "Sei protetto dal vecchio, vero? Beh, devi sapere una cosa: di giorno è lui che dà gli ordini, ma la notte qui comando io." Poi si rivolge a me. "Andiamo, Jones."
Le sbarre si richiudono davanti agli occhi di Scofield, ma il suo volto rimane impassibile. Gli rivolgo un ultimo sguardo e seguo il mio capo.

Al venerdì mi tocca fare anche il turno di notte, ma almeno ho il weekend libero e lo posso dedicare a Max. All'appello delle ventidue - qualche ora dopo la retata - succede il peggio: ha inizio la rivolta razziale. Nell'aria si percepiva già la tensione tra i detenuti delle due fazioni, ma gli scompigli veri e propri iniziano solo questa sera quando un detenuto decide di rompere le riga. I carcerati, durante la conta, sono schierati in due file una di fronte all'altra. L'uomo avanza di qualche passo e dà il segnale che fa scoppiare i tumulti.

Io e le altre guardie ci barrichiamo dietro alla grossa inferriata che funge da porta del Braccio A. Ho paura e sento la pelle ricoprirsi di brividi, però cerco di mantenere la calma. I prigionieri si prendono a botte, a pugni. Qualcuno di loro è armato: un pezzo di legno, un chiodo, un coccio di vetro... Qualsiasi oggetto appuntito può essere usato come lama.

All'improvviso un ragazzo afroamericano viene brutalmente sgozzato da Theodore Bagwell - T-Bag - un uomo che è dentro per aver stuprato ed ucciso dei ragazzini (alcuni dicono non sempre in quest'ordine). Mi si accappona la pelle alla sola idea che qualcuno possa fare una cosa del genere alla mia piccola e dolce Maxine.

"Bellick, fai qualcosa! Si stanno ammazzando là dentro!" Urlo disperata, aggrappandomi alla manica della divisa del mio capo. 

Lui sorride beffardo e ribatte: "Stanno facendo pulizia tra loro, lasciali accapigliarsi ancora per un po', ragazzina." Continua ad osservare i detenuti che si azzuffano tra di loro con un ghigno divertito. Lui trae divertimento nel vedere questi malviventi che si uccido tra di loro. Io invece no. Ognuno di loro ha commesso degli orrori, ha infranto la giustizia, ma non posso vederli che si ammazzano per una una questione così stupida come il colore della pelle.

Decido di intervenire, anche se questo mi costerà un richiamo da parte del capitano delle guardie.
Sotto al pannello di controllo che monitora la sala delle celle c'è una scorta di fumogeni. Ne prendo qualcuno e lo lancio all'interno della stanza. I detenuti, dopo un primo istante di smarrimento, si accorgono del gas e si accalcano per rientrare ognuno nella propria cella. Bellick mi lancia uno sguardo sprezzante e dice: "Questa me la pagherai cara." Dopodiché dà l'ordine alle guardie di irrompere e di riportare l'ordine tra i prigionieri.

Alla fine del mio turno vengo a conoscenza che sono stati uccisi un paio di detenuti durante la rivolta, tra cui il compagno di cella e amante di T-Bag. Ci sono molti feriti, ma a Michael non è successo niente. Per fortuna. Quando vedo che non c'è tra gli uomini che vengono trasportati in infermeria o all'obitorio, rilascio un respiro che non mi ero nemmeno accorta di trattenere.

Henry Pope elargisce a tutti una punizione esemplare e si dice deluso dal comportamento dei prigionieri, perché lui li tratta con rispetto e concede loro il beneficio del dubbio. Impone loro di rimanere rinchiusi in cella senza uscire, niente telefonate, docce e visite per quarantotto ore. Prima di lasciare lo stanzone delle celle consiglia a tutti di imparare ad andare d'accordo, perché altrimenti la prossima volta rimarranno chiusi in gabbia un mese intero. Io assisto alla scena a testa bassa, Bradley ogni tanto mi lancia qualche occhiata che mi non mi lascia presagire niente di buono. Lo ignoro, io ho fatto semplicemente il mio dovere.

Quando finisco il doppio turno del venerdì sera, torno a casa distrutta. Il cielo è terso e scuro come la pece, avvolge tutto come un manto soffocante. In camera mia trovo Maxine accoccolata tra le coperte che dorme tranquilla. Mi tolgo la divisa, indosso una maglietta comoda e mi sdraio accanto a lei nel letto matrimoniale. Prima di chiudere gli occhi le stampo un bacio tra i capelli, contenta di essere viva ed essere accanto a lei.

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