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5. Gwendolen, l'anello candido

Mano a mano che la bottega di Darlen si avvicinava, Scarlett percepiva il cuore sempre più gonfio e pesante nel petto. Stringeva a sé il rotolo di papiro, infilato sotto la piega più esterna della tunica, tentando di non sciuparlo e allo stesso tempo di non lasciarlo sfuggire dalle mani sudate e tremanti: quel pezzo di fibre vegetali, vergato dalla mano sicura e precisa di un romano dall'ingegno sopraffino, avrebbe determinato il suo futuro, quello stesso giorno.

Non appena varcò la soglia della bottega, il respiro le si fece ancora più corto: il sangue le scivolava furiosamente nelle vene, impedendole di comprendere con sufficiente lucidità dove fosse, di ricordare cosa dovesse fare, quale compito l'attendeva al di là della porta.

«Grease Monkey. Mi hai portato il progetto?»

La voce di Darlen, tranquilla e pacata come suo solito, la fece comunque sobbalzare. Datti una calmata, Scarlett, altrimenti non ne esci viva. La ragazza annuì, estrasse il papiro da sotto il braccio e lo posò con attenzione sul bancone del commerciante.

Darlen sorrise, spiegò il documento con le mani callose e iniziò a scrutarlo. L'ansia di Scarlett cresceva di secondo in secondo: se il progetto si fosse rivelato meno interessante di quanto lei aveva ostentato, lo scambio con i caledoni sarebbe saltato, e con esso anche la possibilità di raggiungere il suo unico scopo: imparare.

Pensò per un attimo a Thomas, che non era stato per nulla contento della sua decisione di affrontare quella trattativa da sola. Dopo il colloquio con Euplia, avevano entrambi iniziato a capire che forse il gioco non valeva la candela: se i caledoni con cui Darlen faceva affari erano davvero come la lupa li aveva dipinti, probabilmente non c'era alcuna possibilità di ottenere uno scambio fruttuoso, da loro. Eppure, Scarlett aveva deciso di tentare comunque: non aveva nulla da perdere, se non un progetto non suo, sul quale in ogni caso qualcuno avrebbe messo le mani molto presto.

«Straordinario» mormorò Darlen, arrotolando il papiro e rimanendo a guardarne la superficie candida ancora per qualche istante. «Straordinario» ripetè, puntando le pupille scure contro Scarlett. «I miei contatti arrivano questa notte. Fatti trovare sul retro due ore dopo il tramonto.»

La ragazza annuì d'istinto, senza fermarsi a pensare: era fatta. Quella sera, nel buio che avrebbe avvolto Londinium nascondendone anche le ombre, avrebbe incontrato i suoi potenziali compratori, e allora ci sarebbe stato spazio per fare la sua richiesta. Sempre che l'avessero lasciata contrattare. Non le restava che prepararsi alla dura prova che l'attendeva.

***

Gwen stava seduta in riva al Tamesis e aspettava il momento in cui la chiatta di Lucius avrebbe attraccato al molo. Aveva bisogno di altre ossa per Nunù: le ultime che aveva recuperato le sembravano troppo piccole, e così aveva chiesto al commerciante di bestiame di trovargliene di più simili a quelle di un cane.

«Nunù, stai tranquilla. Prima o poi troveremo qualcuno che rimetterà a posto quelle tue gambine rotte, eh? Fidati di me» mormorò, accarezzando la testa della cagnolina, poggiata sulle assi vicino a lei.

Nunù guaì, leccandole la mano. Gwen si voltò di nuovo a osservare il corso del fiume, e notò che la chiatta tanto attesa era ormai in procinto di superare il ponte di pietra. Il marinaio che la governava si fece spazio tra le altre imbarcazioni e in pochi minuti stava già assicurando la chiglia al molo, usando due robuste funi.

Un uomo alto e biondo scese sulle assi su cui stava seduta Gwen, le porse una mano e l'aiutò a rialzarsi. «Gwendolen, buongiorno.»

Lei sorrise, sentendo il suo nome pronunciato per intero da Lucius: il padre aveva deciso di chiamarla come la regina Gwendolen, che secoli prima aveva regnato sulla terra britannica, con onore e gloria, spodestando l'odioso marito. Le era sempre piaciuta tanto, quella leggenda. E il suo nome le piaceva allo stesso modo: gwen dolen, l'anello candido. L'anello candido di cui portava traccia attorno alla vita, simbolo inequivocabile del suo legame con il padre, che a causa di quell'anello era morto troppi anni prima.

«Ti ho portato quello che cercavi: sono le ossa di un cane da compagnia di un patrizio che ha comprato delle pecore da me, lo scorso giorno di Giove. Secondo me potrebbero essere della misura che cerchi.»

Gwen afferrò con entrambe le mani la sacca che Lucius le stava porgendo, l'aprì e ci infilò dentro il naso. Quando ebbe constatato che le ossa erano proprio quelle che cercava, richiuse lo spago e tirò fuori dalla tasca le monete che doveva al commerciante. «Grazie, Lucius.»

Lui ritirò il denaro, poi la guardò con un'ombra di rimprovero negli occhi. «Prima o poi mi spiegherai a cosa ti servono?»

La ragazzina rise. «Prima o poi, sì» disse, voltandosi e caricandosi Nunù sulle spalle, prima di andarsene velocemente dal molo. Quando Lucius iniziava a fare domande era il momento di lasciarlo solo: non poteva rivelargli né chi era davvero né perché le servivano quelle ossa. Non si fidava abbastanza, di lui, anche se somigliava terribilmente a suo padre. Già si era esposta troppo rivelandogli il suo nome: se Lucius avesse fatto due più due, ci avrebbe messo meno di una settimana a capire chi era, in cosa era invischiata, perché era giunta a Londinium tutta sola... Eppure, quando lo aveva conosciuto, mesi prima, il suo sorriso sfuggente e quei capelli biondissimi le avevano ricordato il padre in modo così doloroso che non era riuscita a evitare di rivelargli almeno quello, di sé: il suo nome, che nascondeva una natura estranea e un'infanzia oltremodo difficile.

Se tu fossi qui, padre, non avrei alcuna preoccupazione al mondo. Staremmo tranquilli, saremmo felici, in campagna, ad allevare. E invece tu te ne sei andato, e io mi sono ritrovata a lavorare per quel pazzo del chirurgo Raghallach.

Gwen rabbrividì, ripensando a quello che aveva scoperto nella sua stanza segreta: le sperimentazioni atroci cui aveva sottoposto Nunù, le sofferenze inflitte agli altri poveri animali...

Non era quello il momento per ricordarsene, però: ora doveva rintracciare Fulvius e chiedergli informazioni. Le serviva il miglior meccanico della città, per rimettere in sesto Nunù e scappare finalmente da Londinium; aveva sentito parlare di una certa ragazza dai capelli rosa che avrebbe potuto fare al caso suo, e Fulvius la conosceva. Le sarebbero bastati pochi minuti per capire dove lavorasse la Monkey di cui tanti discutevano, poi l'avrebbe convinta ad aggiustare le zampe della cagnolina e se ne sarebbe andata.

Tempo un paio di settimane e tornerò a casa, Cillian. Prenderò la strada più difficile, e sarò di nuovo sola come prima, ma è giunto il momento di ripartire da zero. Con o senza papà, ce la faremo comunque. Anche da sole.

Camminando, Gwen accarezzò la testolina di Nunù posata sulla sua spalla, canticchiando sottovoce le strofe di una ballata che il padre aveva composto apposta per lei, prima di essere portato via per sempre.

«Hūs bīdeþ sēon dohtor
Mannes feondēs stedes
Leng biþ veg
To wuduweald blācan blōstmes» *

***

«Entra, donna.»

L'attesa di quell'istante aveva pesato come un macigno sulla testa di Scarlett, che per tutto il giorno si era sentita rintronata, pazza, sconvolta. Adesso, finalmente, i caledoni erano lì, per incontrare lei e comprare il progetto che lei aveva rubato.

La voce che la chiamava, dura, aspra, appuntita come una roccia, la spinse a entrare nella saletta in cui si era seduta il giorno prima, quando Darlen le aveva parlato per la prima volta di quel possibile incontro. Ora era finalmente lì, ma la paura le attanagliava il petto e ogni passo sembrava essere l'ultimo che i suoi muscoli avrebbero potuto sopportare.

Invece, incredibilmente, riuscì ad avanzare nella penombra, fino a sistemarsi davanti al tavolino centrale. Di fronte a lei, l'uomo – uomo? O «animale selvaggio e feroce», come aveva detto Euplia? – che le aveva parlato sedeva composto, le spalle ritte e il volto nascosto da una toga di un grigio scurissimo tirata sopra la testa.

«Darlen ci ha detto che hai qualcosa che potrebbe interessarci. Possiamo vederlo assieme, ti va?»

Scarlett annuì piano, timorosa anche solo di muoversi. Davvero stava facendo tutto quello solamente per un robot? Per poter costruire un misero robot da vendere poi ad altri? Non riusciva a capacitarsi della propria stupidità. Sono davvero una ragazzina. Non merito gli anni che porto addosso, se mi lascio trascinare da un sogno fino a scendere a patti con personaggi simili.

Il caledone afferrò senza tante cerimonie il papiro che Darlen gli stava porgendo, lo appiattì contro il tavolo e lo scorse velocemente. «Siamo interessati» disse poi, serafico, diretto.

Scarlett rimase per un attimo in silenzio: come aveva fatto a capire di cosa si trattava in pochi sguardi? E perché parlava al plurale? C'era qualcun altro dei suoi, lì dentro? Come mai lei non l'aveva notato, entrando? «Posso costruirlo» mormorò poi, cercando di dare alla propria voce una sicurezza che non aveva.

L'uomo parve ridere. «Lo sappiamo bene, che lo sai costruire. E lo costruirai per noi. In cambio otterrai il materiale necessario e un po' di denaro extra rispetto a quello di una normale riparazione.»

Scarlett ebbe la tentazione di accettare immediatamente l'offerta: non voleva passare un secondo di più in quella stanza buia, alla presenza di un essere tanto minaccioso. Dentro di lei, però, la voglia di scoprire dell'altro era troppo forte per essere messa a tacere: «E se io lo costruissi senza chiedere in cambio nulla di materiale? Vorrei soltanto poter imparare da voi.»

Il silenzio calò, freddo e implacabile, sopra le loro teste. Darlen balbettò un singhiozzante «cosa stai dicendo?», e pochi istanti dopo due mani nerborute si fecero avanti, sopra il tavolo, per scostare la toga dagli occhi del caledone.

Il volto che ne uscì era pallido, quasi lattiginoso nel chiarore che la lampada diffondeva tra loro; gli occhi ghiacciati e vitrei erano fissi nei suoi; dei tagli profondi disegnavano le guance e gli zigomi, distorcendo i tratti con linee bluastre e muscoli atrofizzati. Scarlett, sopraffatta da tutti quei dettagli, fu costretta a distogliere lo sguardo: quale popolo, quale belva avrebbe potuto segnare un volto in un modo così atroce? Aveva ragione Euplia, non si trattava di esseri umani, ma di mostruosi viventi che si divertivano a fare a pezzi la gente. L'idea di imparare qualcosa da loro era la più stupida che le fosse mai venuta in mente, ora lo capiva con chiarezza.

«Donna, non siamo qui per contrattare con te. Se non stai alle nostre condizioni, non accetteremo lo scambio» disse il caledone, la voce profonda e tagliente.

Scarlett si costrinse a guardarlo di nuovo, cercando di capire se ci fosse ancora uno spiraglio per lei: aveva paura, una paura tremenda, soprattutto davanti a quel volto sfregiato, ma ancora non era disposta a cedere del tutto al proprio sogno. «Fatemi venire con voi. Voglio solo conoscere i popoli al di là del Vallo, non interferirò con i vostri commerci. Mi basta un trasporto fino in Caledonia, poi mi arrangerò da sola.»

La guancia destra dell'uomo si tese in uno spasmo, rendendo ancora più evidenti le ferite scure. «Cosa ti hanno raccontato di noi, donna? Hai sentito parlare di magie, di incantesimi, di sacrifici umani

Pietrificata da quella smorfia cruenta e dalla voce del caledone, Scarlett non riuscì a rispondere. Si sentiva stranamente distacca dal corpo, le sembrava quasi di riuscire a percepire sé stessa al di fuori della pelle, dei vestiti, di quell'ambiente scuro e freddo. Era la paura, a farle quell'effetto?

«Noi siamo altro da voi. Noi siamo più di voi. Se vuoi davvero scoprire chi siamo, donna, dovrai darci qualcosa in cambio.»

«Cosa?»

«Rosso. Qualcosa di rosso. Un rosso vento che ci minaccia.»

«Non capisco» mormorò Scarlett. Non capiva davvero ciò che l'uomo stava dicendo, e il senso di spaesamento si faceva ogni istante più forte.

«Non serve che tu capisca: noi sappiamo. Verrai con noi, ma poi dovrai onorare il tuo debito.»

Scarlett non avrebbe saputo spiegare il motivo, ma si sentì improvvisamente più forte, più coraggiosa, cosciente di ciò che le stavano chiedendo: una voce, da qualche parte dentro di lei, le sussurrò che ciò che volevano, di rosso, era il suo sangue. «Non voglio essere in debito con voi» ribatté, decisa

«E allora il patto rimane invariato.»

«Devo rifiutarlo. Non mi interessa quello che mi offrite in cambio del progetto, non voglio prendere il poco che mi volete dare» disse. «Preferisco morire di fame, che non lavorare per voi ottenendo in cambio qualche spicciolo mentre rischio la testa alla quaestio perpetua de maiestate, se qualcuno mi scopre, perché sarei condannata per alto tradimento dell'Impero. Non è questo che volevo da questa transazione.»

Tutto il volto del caledone sembrò improvvisamente contrarsi, muovendosi sotto le cicatrici blu notte come in preda a una corrente magnetica. «Bene. Come desideri. Ma rifiutare la nostra offerta non servirà a nulla, ora che ho visto il progetto: ti verremo a cercare, ti schiacceremo finché non rimarrà solo rosso, di te.»

In tutta risposta Scarlett afferrò il papiro e lo rimise al sicuro, contro il proprio petto. «Schiacciatemi. Io resisterò. Non siete i primi a minacciarmi» rispose Scarlett, animata da una forza che non conosceva ma sembrava parlarle da dentro, spiegandole cosa dire, come comportarsi.

«Stai compiendo la mossa sbagliata, donna» mormorò il caledone, tirandosi nuovamente la toga sopra il volto.

«Non potete comprare ciò che io voglio con offerte di denaro e materiale, con minacce, con soprusi. Non potete, perché quello che voglio è gratis: è la scoperta del mondo. E non mi servite certo voi, per scoprirlo» sussurrò piano Scarlett, alzandosi in piedi.

Guardò attorno a sé, cercando eventuali altri uomini pronti a fermarla, ma non riuscì a scorgere nessun'ombra nel buio: così piegò la testa, si voltò e uscì dalla bottega.

Quando si fermò, decine di minuti dopo, ormai giunta sulla soglia di casa, le sembrò di essere finalmente uscita da una bolla che l'aveva tenuta sospesa nel tempo e nello spazio: cos'aveva fatto? Maledetta quella voce, quella forza d'animo che l'aveva pervasa prendendo possesso del suo corpo e delle sua mente: si era cacciata in un sentiero talmente pericoloso da non lasciarle via d'uscita. E per cosa? Per quello stupido papiro con disegni geometrici? Cosa ne sarebbe stato di lei, adesso? Cosa valeva quel foglio, in confronto alla sua vita? Stupida, stupida!

Ora non poteva tornare a casa, né andare da Thomas: lei era in pericolo, e con lei anche le persone che conosceva. Doveva fuggire, ma per farlo aveva bisogno dell'aiuto di qualcuno: da sola non poteva riuscire a lasciare Londinium. Doveva scendere a patti con la propria rabbia profonda, ma sapeva che quella era la sola scelta rimasta. Sarebbe andata a cercare quella persona, l'unica in grado di fornirle la giusta direzione.

***

«Grease Monkey, certo. Si chiama Scarlett. Lavora nell'officina di suo zio, Chackie Mugridge. È giù in città, sulla strada verso il Tamesis.»

Seduta su uno sgabello nell'unica stanza della casa di Fulvius, Gwen ascoltava le parole dell'uomo, carezzando la testa di Nunù mentre la sua lingua le pendeva, sghemba come sempre, sulle ginocchia. «Va bene. Tu dici che mi potrà aiutare?»

«Se non lei, non conosco altri. È davvero in gamba, un piccolo genio nascosto nel corpo di una donna.»

Gwen sbuffò, irritata. «Perché? Noi donne non possiamo essere intelligenti?»

In quel mentre una figura alta, avvolta in una toga rossiccia, entrò dal varco d'ingresso rendendo ancora più piccolo lo spazio – già infimo – del locale.

Fulvius si voltò di scatto e un sorriso radioso gli si aprì sul volto. «Maude. Sei tornata prima.»

La figura svolse la stoffa, liberando una tunica scura, sottile, che copriva solo in parte un bellissimo corpo deturpato da una gamba meccanica. 

Gwen osservò la donna, i suoi lunghi capelli rossi e gli occhi attenti, crudeli. «Piacere, Maude, sono Gwen» si presentò.

La donna lasciò correre lo sguardo su di lei e su Nunù, poi scosse la testa. «Va bene. Hai finito, qui? Ti serve altro? La stanza è piccola ed è casa mia, ho da fare.»

Gwen sollevò la cagnolina, se l'assicurò sullo zaino e poi si alzò in piedi. «Tolgo il disturbo. Grazie delle informazioni, Fulvius» concluse, muovendosi con circospezione per arrivare sulla porta senza ribaltare cassettoni e oggetti vari.

«La gamba mi sta facendo impazzire» sentì allora sussurrare a Maude, che si era appena seduta sul pavimento di terra battuta.

Gwen, spinta dal sentimento irrefrenabile di puro amore che la legava alla medicina – e che l'aveva portata nella maledetta casa di quel chirurgo, anni prima – si fermò di scatto. «Posso aiutarti. Sono un chirurgo» esclamò, tornando sui propri passi.

Fulvius, accosciato vicino a Maude, le fece cenno di avvicinarsi. «La pelle le si macera ogni giorno di più e l'unguento che si prepara non serve a niente. Aiutala.»

Gwen si inginocchiò, posando le dita sui tiranti metallici della gamba e sulla pelle rossa e purulenta del ginocchio. «Hai bisogno di buttare fuori tutto questo, altrimenti rischi un'infezione grave.»

Maude non la guardava: fissa con gli occhi su Nunù, non sembrava ascoltare ciò che diceva.

«Maude, ho bisogno di sapere chi ti ha operata, e cosa ti hanno fatto. Altrimenti rischio di tagliare la sutura e farti stare solo peggio» mormorò, cercando una risposta da parte della donna.

«È successo dieci anni fa» iniziò a dire Fulvius, ma la mano con lunghe unghie rosse di Maude frenò le sue parole, artigliandolo alla gola.

Gwen scattò indietro, impaurita. Chi era, quella donna?

«So raccontare da sola la mia triste storia, Fulvius. Smettila di fare le mie veci» sibilò, lasciandolo andare con uno strattone. Lanciò uno sguardo alla gamba, poi tornò a fissare Gwen, con gli occhi scuri di odio e dolore. «Un legionario mi ha colpita con il suo gladio. Il polpaccio è stato squarciato a metà, e così mi hanno dovuto tagliare da sotto il ginocchio per mantenermi in vita.»

«Perché ti ha ferita?» mormorò Gwen, timorosa.

«Perché stavo fuggendo, volevo andarmene.»

«Da dove?»

«Dalla prigione in cui lavoravo come coppiera» sibilò Maude.

«Mi spiace. Quell'uomo non era un vero soldato, se ha fatto questo» disse la ragazzina, cercando di trovare le parole giuste per non offendere la donna.

«Oh, sì che lo era. Era il migliore: Titus Pistor, figlio di un panettiere di Roma entrato nelle fila dell'esercito e divenuto il più abile legionario di tutta la Britannia.»

«Mi pare di aver già sentito questo nome, è vero» rispose Gwen, pensierosa. La storia di quel Titus era forse quella che si raccontava nelle tabernae di campagna, dove era solita recarsi con il padre quando lui girovagava in cerca di un'occupazione?

«La cosa curiosa» spiegò Fulvius, allargando la bocca in un ghigno strano, «è che Titus Pistor era il padre di quella Grease Monkey che vai tanto cercando.»

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* "La capanna attende la figlia
Dell'uomo nemico del villaggio
Il cammino è lungo
Verso il boschetto dei fiori neri"

Precisazione: non sono una linguista, per scrivere questa "canzone" mi sono avvalsa di un dizionario italiano-inglese antico su glosbe, che riportava anche le declinazioni dei nomi e le coniugazioni dei verbi, ma certamente non è un lavoro né attendibile né filologico...

Tutta questa spiegazione non è scritta per giustificarmi, ma per dirvi che il tempo è stato poco (ritagliato a forza nel mezzo della preparazione di due esami super importanti) e che le indicazioni da seguire erano tante e assai complesse. Ogni prova è stata sempre più difficile della precedente, e articolare tutta la vita della mia Scarlett così velocemente (siamo già in semifinale!) è diventato davvero un compito fuori dalla mia portata (io, che sempre sviscero le cose in millemila righe, a scrivere una storia in 5 capitoli??). Spero di essere riuscita a fare qualcosa di decente, in caso contrario non importa: ho dato tutto quel che ho potuto e amo da impazzire ogni essere che mi è uscito dalla testa. 

Tornando a questo capitolo: come da richiesta sono presenti sia Scarlett, che Maude, che la nuova Gwendolen (ringrazio infinitamente @weirdsoul99 per avermi permesso di mutare di poco il nome della sua fantastica Guendalina ♥️), c'è una canzone che fa da filo conduttore e una serie di versi di una canzone creata ex nihilo proprio per Gwen... Meglio di così non è venuto, ma so che i miei personaggi non me ne vorranno troppo (almeno, lo spero!)

Grazie a tutti per aver letto fin qui. Era importante per me dirlo, far capire a chi si è avventurato in questa storia che non era così che desideravo andasse... si è dimostrata più grande di me, questa faccenda.

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