Capitolo 8
-Non lo dico giusto per buttare aria...ma tu hai realmente bisogno di trovarti una.-
Quando per l'ennesima volta Sam aprì bocca per riattaccare con quel discorso, Alex, che pur essendo l'uomo più paziente del mondo, non riuscì a stare zitto e a non alzare gli occhi al cielo. Era stanco ma soprattutto voleva che quel maledetto biondino del cazzo, chiudesse quella bocca di rose che si ritrovava una volta per tutte.
-Mi dispiace dirtelo, ma...stai buttando aria.-
Erano minuti ormai che Sam non la smetteva di parlare di cose che per Alex, erano senza senso. Non aveva il tempo per se stesso, figurarsi per stare dietro ad una donna.
-Ma dammi retta, russo. Tu hai bisogno di allontanare un po' tutta questa negatività che ti porti dietro come un ombra, da un po'. Sbaglio coglione?- e dicendo questo, si girò a guardare il ragazzo che sedeva dietro.
Donovan risultava spazientito e stufo di sentire la sua voce, tanto quanto Alex. Alzò infatti gli occhi al cielo solo perché sapeva che non poteva essere visto, gli occhiali a specchio lo proteggevano.
-Si, hai ragione Sam.- rispose alla fine solo per accontentarlo.
Infatti il biondino ne fu subito felice. Quasi troppo anche.
-Cazzo, un'altra parola e giuro che ti butto fuori dalla macchina a calci in culo!-
Il ragazzo rise di gusto, abbandonando anche la matassa di ricci all'indietro.
-D'accordo Alex, ci deve essere un'unica spiegazione a tutto ciò. Ti piace la banana!-
Il silenzio che si era venuto a creare precedentemente fu tagliato da quell'espressione che Sam, tutto convinto si era lasciato sfuggire di bocca. E risero tutti, perfino Alex.
-Di certo non la tua.-
Il biondo di tutta risposta spostò la mano dalla coscia alla patta dei pantaloni.
Poi si girò di nuovo verso Donovan.
-Eh tu coglioncello? A te piace la mia banana?-
A quella domanda Donovan diventò tutto rosso.
Alex si portò una mano sulla faccia, sospirando di frustrazione.
Aveva raccomandato l'amico di lasciare il lavoro sempre fuori, perché poi sarebbe arrivata la gelosia e con essa le discussioni, spesso costanti e che avrebbero poi mandato tutto all'aria.
Ma Sam niente, cocciuto fino alla fine.
Vedendo la reazione di Donovan, che non era di certo passata inosservata a Sam, i due uomini si girarono ognuno nella direzione del viso dell'altro, un gesto così naturale per loro, perché si capivano al volo e spesso, non avevano nemmeno il bisogno di utilizzare le parole, poiché sarebbero risultate banali.
Dal canto suo Alex, trapassò con quello sguardo gelido l'amico per fargli capire il suo punto di vista. Sam invece con un sorrisetto sghembo sulle labbra, gli faceva il verso rispondendogli che a lui non interessava minimamente il pensiero dell'amico e che se avrebbe voluto, l'avrebbe rifatto altre cinque o sei volte.
Quello che Sam voleva, Sam otteneva.
Fortuna per lui, erano arrivati a destinazione.
Erano arrivati nel locale di John, il vecchio che gli aveva tenuto la cocaina per un po', mentre loro attendevano che il capo contrattasse con gli italiani, circa la vendita e il trasporto dritto nel bel paese.
Quando entrarono trovarono l'uomo e la cameriere dai capelli rossi. Ma non c'era traccia di quella dai capelli verdi. Questa cosa però, fu notata solo da Sam.
Salutarono John e con esso si diressero verso il magazzino, dove l'uomo teneva nascosta la roba.
-Hai avuto problemi di qualsiasi tipo, vecchio?- Alex usava quel dispregiativo non per ferirlo ma in maniera bonaria, quasi affettuosa. Soprattutto non avrebbe mai voluto usarlo in quel modo, non alla sua età, non dopo averne viste tante. E John ne aveva viste di cose. Passaggio di capo in capo, cambiamento della periferia da anno in anno, e la seconda guerra mondiale che gli aveva portato via il padre a solo trent'anni.
Curvo in quelle spalle dolorose, corrose dal tempo ma con quegli occhi verdi ancora animati dalla vita, da chi dentro non sente i suoi sessant'anni se non solo fuori, contornati da rughe di espressioni varie sulla faccia incorniciata da capelli argento.
-No, nessuno problema russo.- ma il tono di John era freddo e distaccato e amareggiato. Li odiavo. Lo odiava e a questo in qualche modo era abituato.
Poi John gli fece vedere la porta di emergenza che collegava la stanza del magazzino all'uscita, in modo tale che gli uomini avrebbero potuto trasportare quei pacchi tranquillamente.
Quando ebbero fatto, salutarono John e spediti tornarono alla base.
Il carico sarebbe stato trasportato il giorno successivo, tramite un draghetto che dall'America trasportava magliette e altre cianfrusaglie del genere. Avrebbe poi attraccato a Roma e da li la droga sarebbe dileguata come una macchia di inchiostro nero, su tutta la penisola. Nessuno escluso.
-Possiamo andare a bere, ora?- chiese Sam mentre cercava la canzone perfetta per quel momento alla radio. Il Suv fu percorso dalle note di What I've done dei Linkin Park.
-Mi dispiace amico ma dobbiamo incontrare gli irlandesi per le armi.-
Sam sbuffò, Donovan rise ed Alex fece lo stesso.
Amava vedere l'amico insoddisfatto.
-Dai, potrai rifarti questa sera...magari in uno di quei locali sadomaso che ami frequentare.-
-Sai Alex, dovresti venirci anche tu...molte di quelle puttane te la darebbero gratis!
Così tanta roba per un coglione come te!-
Alex lo guardò con il sorriso beffardo stampato sulle labbra sottili. Anche gli occhi per un attimo furono percorsi dalla sua allegria, ma tutto durò poco, perché poi tornarono ad essere pezzi di ghiaccio impenetrabili. Nemmeno il sole riusciva a scaldarli.
***
Hazel quella mattina aveva ottenuto il giorno libero.
Tutte le ragazze ne avrebbero approfittato per poter andare in giro per negozi a fare shopping, ma non lei.
Richiamò Clash e decisero di incontrarsi per vedersi davanti ad una cioccolata calda.
-Allora tesoro, cosa ti affligge questa volta?-
Pioveva fuori. La pioggia scendeva delicata e silenziosa. Alcune goccioline si andavano a scontrare contro il vetro trasparente della finestra. La gente presa alla sprovvista correva da una parte all'altra, cercando un riparo per non essere colpiti da quelle piccole goccioline di h2o.
Girava continuamente il cucchiaino nella tazza, quando ormai lo zucchero si era sciolto da tempo. Quando il ragazzo parlò e gli fece la domanda, fu costretta a prendere di petto la situazione e chiedere quello che voleva sapere dall'amico. In fondo lo aveva chiamato proprio per quello, no?
-Voglio sapere più informazioni possibili su l'uomo.-
La bomba era stata sganciata e la sua mente, come il suo corpo, si stavano preparando a ricevere la risposta a quelle domande che le flottavano da un po' nella mente.
Il ragazzo rassegnato sospirò. Ma tanto lo aveva immaginato.
-Ha origine russe, ma questo l'avrai capito dal cognome...- si fermò per un attimo guardandosi intorno, passando in rassegna i volti delle donne e degli uomini che sedevano tranquilli su quelle sedie, a parlare allegramente con compagni o amanti. Continuò soltanto quando constatò di non correre nessun tipo di pericolo. Nel cuore di Hazel, intanto una strana ansia cresceva come una morsa di ghiaccio, andando a stringergli le budella.
-È un criminale, uno che ci sa fare nel suo lavoro.-
Che cosa voleva dire con quello? Che sapeva ammazzare così bene la gente come un panettiere fa bene il pane o le brioche?
-Quando ha cominciato a fare carriera come...- non ci riuscì. Non continuò, la spaventava scoprire quelle cose, saperle vere e reali, le facevano venir voglia di vomitare. Ma lui capì lo stesso.
-Credo dieci o quindi anni fa. Adesso però ho io una domanda per te, posso?-
La ragazza fece un segno di assenso e lui continuò, guardandola dritta negli occhi.
-Perché ti stai interessando a lui? Che cosa hai fatto?-
Inizialmente non rispose, come poteva spiegarli che per una volta che l'aveva visto gli era rimasto tatuato addosso, che si portava continuamente dietro il ricordo del suo odore, un misto tra miele e lavanda, perché se mai fosse esistito un qualcosa che etichettasse Alexander, quello era il profumo di miele unito alla lavanda. Come avrebbe fatto? Era da pazzi attaccarsi così tanto ad una persona fittizia, che non sapeva nemmeno della tua esistenza che ti aveva visto si e no due volte. Ma la sua psiche le stava dicendo qualcosa, le stava rivelando, chiedendo di andare a fondo a quella storia, di scoprire i suoi più oscuri, volutamente dimenticati segreti. Le stava dicendo: Hazel è ora di diventare grandi.
-Non mi crederesti perché non ci credo nemmeno io, ma c'entra qualcosa con il mio passato e tu devi aiutarmi a scoprirlo. Sei l'unico che sa e che può. Sto impazzendo Clash!-
La verità era che all'epoca non avrebbe mai immaginato a cosa la sua mente si stesse riferendo. L'oscurità l'aveva inghiottita dieci anni prima, l'aveva resa la ragazza ribelle, la ragazza che odiava tutto e tutti, la ragazza solitaria e triste, la ragazza solitaria che vive in un appartamento che affittava l'estate. La ragazza che aveva passato la sua infanzia a cavalcare cavalli, purosangue neri dalla chioma lucente, nelle grandi praterie del Texas, con quella terra sabbiosa e l'odore di essa attaccata ai vestiti comodi.
Tutto questo in quel caffè, lei non poteva nemmeno immaginarlo.
A quell'epoca credeva ancora che avesse dimenticato e perdonato tutto.
A quell'epoca non sapeva nemmeno che la vedetta avrebbe avuto il sapore rugginoso e ferroso del sangue. Il sapore violento della passione.
SPAZIO AUTRICE
Lo so sono in un ritardo pazzesco, avrei dovuto aggiornare venerdì ma ho avuto molto da fare, tipo andare di corsa a comprare qualcosa da mettere per la cena dei 100 giorni o andare al cinema a vedere Allegiant.
AnyWay, ditemi cosa pensate del capitolo (ormai manca poco al vero incontro tra quei due e credetemi se vi dico che ne vedrete delle belle) magari lasciate anche una stellina, mi farebbe tanto piacere, anche perché la storia non ne riceve molte anzi, quasi per niente.
Alla prossima con la storia di Hazel!
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