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Capitolo 7

Aveva seguito alla lettera quello che l'amico la sera precedente le aveva suggerito.

Doveva cercarlo, capire chi era. Ma con i tipi come lui non era facile.
Era andata in giro di qua e di la, a fare domande a chiunque abitasse o risiedesse nella zona circostante alla discoteca. Ma non aveva ottenuto un bel niente, se non sguardi allarmati e cambi di tono nelle persone. Così aveva tentato un altro approccio. Così si era finta una che voleva comprare la droga, con quello si andava sempre sul sicuro.

Proprio mentre aspettava in un vicolo puzzolente l'arrivo del venditore, le si avvicinò una ragazza. Capelli sporchi e di un color mogano ormai smorto, due profonde occhiaie a contornargli gli occhi e sguardo distante.

Rabbrividì.

Anche lei stava per diventare come quella ragazza, se non fosse arrivato Gesù Cristo a tirarla via da quel baratro.

Se la ricordava bene la rota.

Troppo deboli per fare qualcosa ma attivi se si trattava di andare a compre il nettare con cui il dolore sarebbe sparito. E poi ricordava che le ossa le diventavano carta vetrata, gli organi le sembravano esplodere e staccarsi, per non parlare del dolore intenso che si provava quando si respirava soltanto.
Ricordava soprattutto la miriade di cazzate che rifilava a se stessa e agli altri
"No, Chris io ne uscirò!" oppure "Io mi faccio una volta ogni tanto!" e poi giù nel vicoletto buio ad aspettare trepidante il veleno per il mar rosso. Diventavi senza volerlo, un cadavere ambulante. C'erano poi quelli che provavano pena per te, quelli che invece avrebbero voluto ucciderti e che provavano disgusto, ed infine quelli che avevano paura di te e quindi ti evitavano come la peste bubbonica. In verità ti giudicavano ma nessuno ti aiutava, scappavano e basta.

Si guardavano. Si studiavano. Una vedeva la mossa dell'altra. Una che aspettava la morte e l'altra che aspettava di trovare la verità, dietro tutte quelle bugie. Poi il ragazzo arrivò. Con sua grande sorpresa rivide Clash, il suo personale spacciatore e quello che gli passava l'hashish quando era ancora nel giro. Non conosceva il vero nome di Clash, ma sapeva che lo chiamavano così per il suo amore morboso per la band punk ma soprattutto perché era uno dei pochi punk che ancora risedevano li a Brooklyn.

-Guarda, guarda chi si rivede. Allora eri tu la nuova ragazza!- il ragazzo le si avvicinò e si abbracciarono in nome dei vecchi tempi.
-Clash dammi la roba e poi puoi pure scopartela nel vicolo, non mi interessa.-
Entrambi si girarono nella direzione della ragazza, la tossica che poco prima le stava facendo compagnia. Si vedeva che ogni minuto che passava senza la merda, era un pesante macigno da tenere stretto tra le braccia magre e smunte. Aveva ritrattato sulla fronte ampia la parola MORTE.

-Abigail è sempre un piacere fare affari con te. Ma dimmi a quante overdosi stai?-
La ragazza rise anche se quella di Clash non era proprio una battuta, lei però lo faceva perché aveva paura che il ragazzo non gli avrebbe venduto niente, e lei sarebbe rimasta a fare i conti con quel dolore che le contorceva le budella, in una morsa di ferro.
Clash fece uscire un pacchettino dalla tasca posteriore dei jeans e gliela passò. La ragazza parve ritrovare la felicità all'istante e con mani tremanti le diede i soldi stropicciati e sudaticci che agguantava in una mano.

Quando avvicinò i soldi, Hazel notò che la mano era disseminata da buchi, alcuni erano neri altri invece andavano via via, guarendo.
Si guardarono di nuovo, gli occhi spenti della ragazza gli fecero pena, ma a lei sembrò non interessare perché si ritrasse e se ne andò nell'angolo più buio di quel posto che puzzava di umidità.
-Abigail, vai in un cazzo di bagno, ma non farti qui! Se la polizia arriva ci piscia a tutti quanti!-
-Vaffanculo Clash, io mi faccio dove voglio!- e mentre urlava di rimando al ragazzo, aveva già tirato fuori l'occorrente per cucinare il tutto.

-Senti ho poco tempo. Non sono qui per la cocaina o per l'erba, sono venuta perché ho bisogno di chiederti una cosa.-

Il ragazzo gli fece un sorriso e poté notare in quelle pupille un po' arrossate dall'erba, un muto ringraziamento di soddisfazione a Dio.
-Spara!-
Hazel spostava il peso da un piede ad un altro, perché non era facile fare quella domanda così a freddo, ma le serviva aiuto e Clash in quel momento, contro ogni previsione, poteva darglielo. Per un attimo guardò quella ragazza che in fondo al vicolo, era distesa inerme sulla strada bagnata e sporca. Nessuna emozione trapelava dal suo giovane viso. Quella era la parte più bella. Non sentivi niente, solo te che stavi in ecstasy, niente dolore, niente compassione, niente di niente. Poi però, quando l'effetto finiva, allora stavi punto a capo. Era un circolo che chiedeva sempre di più, che si stringeva sempre di più, ogni qual volta la tua pelle, le tue vene cozzavano con il freddo dell'ago argento.

-Mi sai dire chi è un certo...Alexander?-
Il ragazzo al suono di quel nome si irrigidì all'istante. Aveva capito al volo.
-Hazel tesoro dimmi, che cosa hai fatto di male per conoscere quell'uomo?-
Sul viso della ragazza apparve un sorriso beffardo. Il viso del ragazzo invece, era divenuto bianco.-------Deduco che tu lo conosca.-
-Si che lo conosco, ma non è un fatto positivo.-

Il ragazzo sembrava non voler far uscire niente su di lui da quella bocca, quindi doveva trovare un escamotage.

-Devo fare alcuni lavoretti per l'uomo e quindi...-

-Convincimi con altro, Hazel!- il tono derisorio del ragazzo la fece incazzare, ma non perdere la pazienza.
-Ti devo pagare per cavarti una parola, Clash? Mi ricordo che prima non eri così silenzio e riservato.-Lui sorrise e si portò la braccia incrociate al petto.
-Si chiama Alexander Nikolai Krylov, tutto quello che vedi attorno qui, è suo, o meglio del capo per cui lavora. Questo ti basta?-

Quello lo sapeva già, il punto era, che voleva sentirselo dire, perché detto verbalmente, era tutta un'altra cosa. Sentì montare dentro di se di nuovo una strana e sinistra paura. Aveva finalmente aperto gli occhi. Per la prima volta si era accorta di che razza di gente aveva a che fare. Gente pazza, cattiva, cinica, gente che non provava pena per niente e per nessuno,gente che dava solo se riceveva in cambio qualcosa, gente che guadagna sulle debolezze e sulla codardia talvolta, degli altri. E lo aveva capito guardando gli occhi impauriti di tutti quegli uomini e di tutte quelle donne, a cui aveva chiesto informazioni. Ma nonostante sapesse, questo sembrava non fermarla minimamente, anzi, più si avvicinava al fuoco e più sentiva scottarsi, ma non cedeva, non indietreggiava.

Si guardarono per istanti. Si sorridevano. Il sorriso di Hazel voleva dire "grazie", quello del ragazzo invece un poco convinto "prego".
-Se hai bisogno di me, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi.-

E poi se ne andò, uscì da quel vicolo e con le mani nelle tasche raggiunse la sua moto.

Uno strano senso di appagamento la investì in tutto il corpo, quando uscendo da quel vicolo e lasciando che quel sole di fine ottobre la invadesse con i suoi raggi, si rese conto che sapeva come si chiamava. Ora doveva passare a scoprire perché la sua mente, inconsciamente, continuava a dargli segnali su lui.
Anche se, una mezza idea se la stava già facendo.

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