Capitolo 6
Dal giorno in cui quegli uomini erano entrati in quel locale, le cose per Hazel mutarono. No nel senso fisico o caratteriale, certo stava diventando sempre più silenziosa e pensierosa, ma era il suo animo ad essere cambiato. Sentiva che doveva fare qualcosa, sentiva che l'unica via per rimediare a quello che da sola non era riuscita a fare, era provare per la via della giustizia.
Andare dalla polizia però rappresentava un grande rischio. Ma questo sembrava non fermarla.
Così un lunedì mattina, particolarmente ventilato, si ritrovò a guardare la stazione di polizia e a trovare dentro di se il coraggio per aprire quella dannatissima porta, andare da un poliziotto e dire "degli stronzi hanno minacciato il mio datore di lavoro, degli stronzi che complottavano dell'omicidio di un uomo, in un sudicio bagno di una discoteca. Se volete posso dirvi il nome di uno di loro".
Era semplice, rischioso ma giusto.
Eppure qualcosa la frenava, e non si trattava della paura o del terrore di essere perseguitata e poi uccisa. C'entrava qualcos'altro. Qualcosa di cui non ne sapeva l'esistenza.
Il vento le faceva svolazzare i capelli che erano diventati verdi, i suoi occhi grigi scrutavano ma non guardavano veramente quello che aveva di fronte. Quel casermone di cemento. Il vento gelido le trapassava il parka verde con le maniche in pelle, che aveva deciso di indossare quella mattina, ghiacciando la sua pelle, i muscoli e le ossa.
Cosa vuoi, Alexander?
Alexander.
Quel nome le risuonava in testa, gli rimbalzava come una pallina da ping-pong tra le pareti del cranio, si cicatrizzava sul cervello e non usciva più. Era sempre li, mentre una macabra voglia di rivederlo, le si vestiva addosso. Non sapeva però, se volesse rivederlo perché aveva una voglia matta di sputargli addosso tutte le parolacce più brutte esistenti sulla faccia della terra, oppure perché voleva di nuovo guardarlo negli occhi, famelicamente attratta da quel blu così intenso. In quei momenti si malediceva e facendo finta di andare in bagno, sbatteva delicatamente la testa sulla porta e si ripeteva che lo odiava, che doveva stargli alla larga, che era l'uomo più imperfetto, l'uomo più sbagliato sulla faccia della terra.
Ma tutte le volte che il suo affascinate viso si insinuava la notte in un sogno, mentre lo rivedeva con gli occhi chiusi e si materializzava li, come un fantasma senza anima accompagnato solo dal quel dolce e forte profumo.
Non riusciva a darsi una spiegazione plausibile a quello che le stava accadendo, sapeva solo che era legato a quel qualcosa.
Legato a quel maledetto ricordo che non tornava alla mente, che la stava facendo impazzire.
Ormai viveva per quello.
Ma ora eri lì, e di fronte aveva forse, l'unica salvezza verso la perduta sanità mentale.
Di fronte a lei aveva la caserma.
Di fronte a lei aveva la possibilità di aiutare John e mettere a tacere la sua coscienza.
Guardò un ultima volta la caserma e poi decise di entrare.
Mosse le gambe, attraversò la strada, tolse i capelli che gli erano andati sul viso e poggiò la mano sulla porta.
Si fermò improvvisamente.
I piedi le si bloccarono, la mano ferma aspettava ordini e i capelli non si mossero più per via del vento. Tutto parve fermarsi. Tutto parve muoversi al suono del suo cuore. Al suono ritmico e cadenzato del suo cuore che batteva rumoroso.
Si ridestò e ritirò la mano, poi si girò e scese gli scalini correndo.
Non sapeva nemmeno lei perché si fosse fermata, ne era convinta ma poi aveva vacillato, e se l'era data a gambe.
Che stupida che era stata.
Credeva che la paura fosse rimasta li, a dormire nel suo cervello, ed invece l'aveva fregata un'altra volta.
Ma non aveva paura per la sua persona, ma per John e sua moglie, quei due erano troppo anziani per avere problemi di alcun tipo, voleva che vivessero i pochi anni che gli restavano in perfetta serenità.
Ma era davvero quella l'unica motivazione?
In fondo, in fondo non ci credeva neppure lei.
La sera aveva raccontato tutto a Chris che si era limitato ad alzare le spalle e a riassicurarla dicendo che lui avrebbe fatto lo stesso, se fosse stata al suo posto.
Andarono così a dormire, lei nella sua stanza e lui nella sua.
Il viso di un uomo.
La percezione di un profumo intenso di lavanda che si trasforma in una nube bianca trasparente.
La nube che diventa una macchia. La macchia che comincia a sanguinare.
La percezione del profumo intenso del sangue.
Le sue mani sporche di rosso.
Aprì gli occhi, sbatte le palpebre un po' di volte e regolarizzò il respiro.
Una patina di sudore accecante le ricopriva tutto il corpo, mentre un intensa vampata di calore freddo le risalì dai piedi fino ai capelli sudaticci. Il sudore ormai si era asciugato e penetrato sotto pelle.
Si alzò perché quella stanza in quel momento, le sembrò la tana perfetta per perdersi di nuovo nella paura. Perdersi tra i suoi pensieri. Decise così di andare da Chris.
Quando entrò lo vide dormire a pancia in giù e un sorriso flebile le ricoprì il cipiglio critico della sua faccia. Le si avvicinò facendo il minimo rumore e poi le si sedette accanto. Lo scricchiolio delle molle l'anticipò, mentre poggiava una mano sulla spalla dell'amico per svegliarlo. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno. Ne aveva il disperato bisogno perché altrimenti sarebbe impazzita, non avrebbe retto un altro sogno del genere, un altro incubo e un altra notte.
-Chris.-
Lo chiamò mentre gli picchiettava con la mano sulla spalla.
Niente. L'amico sembrava viaggiare tranquillo nel mondo dei sogni.
Allora ci riprovò. Questa volta in maniera più drastica.
Il secondo tentativo fu quello giusto, perché il ragazzo lentamente aprì gli occhi.
La guardò. I suoi occhi grigi sembravano impauriti e vagavano nella stanza senza sosta.
Capì che qualcosa nella sua amica non andava.
-Che cosa succede, Haz?- e mentre le chiese ciò, le passò una mano tra i capelli così lisci e morbidi grazie alla crema per capelli.
Sospirò e poi lo guardò dritto negli occhi –Ho fatto un sogno, anzi dovrei dire un incubo...- non riuscì a continuare perché ci pensò Chris, a farlo per lei.
-L'hai sognato ancora, vero?-
E allora spiegò quello che poco tempo prima era apparso in sogno. Quello che gli appariva in sogno da due mesi ormai. Sempre la stessa tortura.
Lo vide concentrarsi e corrugare la fronte. Si stava concentrando nelle parole dell'amica nonostante i suoi sogni, lo stessero richiamando.
Dopo il racconto si alzò e gli diede la mano. La ragazza, che precedentemente si era sdraiata sotto le coperte con l'amico, afferrò la mano ed insieme si avviarono in cucina.
Chris, mentre lei si andava a sedere sul divano nero in pelle rivestito da una pesante coperta multicolor in stile indiano, preparava il tè alla vaniglia per lei, e ai frutti rossi per lui.
-Secondo te cosa vuol dire?- chiese con voce flebile la ragazza mentre soffiava aria sulla sua tazza con ritratto il logo dei Nirvana, così per far raffreddar un po' il tè bollente.
-Non lo so. Purtroppo non sono laureato in psicologia e interpretazione dei sogni, però se fossi in te, farei qualche ricerca sull'uomo. Magari è il tuo amore segreto.- scherzò il ragazzo.
Già, il suo amore che di lavoro minacciava gente o forse faceva anche cose peggiore dell'intimidazioni. Questo però Chris non lo sapeva, un po' perché voleva tenerlo al sicuro da quello che lei conosceva e che rappresentava un grande fardello da portare, e questo lei lo sapeva bene. Ma non aveva nemmeno potuto dirglielo perché John se l'era fatto promettere, aggiungendo che meno persone sapevano, e meglio era non incontrare di nuovo «quel pazzo di un biondo».
Al solo ricordo del ragazzo biondo il terrore le immobilizzava le articolazioni.
Di tutta risposta, la ragazza sorrise.
-Hai ragione.-
-È il tuo amore segreto?- il ragazzo a quell'affermazione sgranò gli occhi stupito.
-Ma che...io dicevo per la ricerca.-
A quel punto il rosso tirò un sospiro di sollievo e le si avvicinò, sedendole vicino.
-Per un attimo ho avuto paura che anche tu avessi perso la bussola.-
-Sei un idiota, Chris.- e lo spinse leggermente di lato.
Mentre rideva con il suo amico, i suoi occhi incontrarono il quadrante che fungeva da orologio vicino il frigorifero basso giallo.
3:22
-Chris cazzo è tardissimo, andiamo a dormire. Altrimenti domani nemmeno le sirene antiaereo riuscirebbero a svegliarmi.-
Detto questo getto le due tazze da tè nella lavastoviglie e se ne andò a dormire, seguito dall'amico che nel frattempo aveva perduto tutto il sonno a causa della ragazza dai capelli verdi.
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