Capitolo 5
Non si pensa mai alla reale esistenza di alcune persone fino a quando non ti imbatti in esse.
Vederle alla televisione e sentir parlare di loro ai notiziari è sentirle lontane.
Ma quando le vedi e le senti con i tuoi occhi e le tue orecchie, allora tutto sembra divenire vero, tangibile, quasi toccabile con mano.
Capisci che hai vissuto fin a quel momento in uno stato di fanciullezza. Come nel caso dei bambini, che non riescono a riconoscere chi è il cattivo e chi è veramente il buono, se non viene loro detto.
Ci pensava continuamente.
Quando andava a dormire, quando entrava in un negozio, quando prendeva il pullman e guardava distratta la strada che assumeva le sembianze di quegli uomini, o quando era diretta a lavoro. Era diventata d'un tratto troppo silenziosa.
La cosa che più rodeva dentro di sé, non era l'aver incontrato quegli uomini, ma l'omertà di cui si era vestita. Ma non sapeva nemmeno da dove poter cominciare, quelli erano uomini esperti. Non le rimase che tentare senza successo, di dimenticarli.
Cominciò quindi, a uscire più spesso, magari il venerdì sera a bere una birra con gli amici. Sembrò funzionare per un po', fino a quando un giorno, mentre stava prendendo l'ordinazione ad un tavolo, lo rivide entrare, con la sua andatura calma e posata, le mani nelle tasche del giaccone grigio scuro e i capelli castani tirati all'indietro. Con la sua spavalderia a seguirlo come un cagnolino.
Lui sembrò però non riconoscerla, mentre lei si ritrovò a fare i conti con la sua coscienza.
Era il suo uomo.
L'uomo del tavolo e l'uomo del bagno. Lo stesso uomo di cui non sapeva nemmeno il nome o dove abitasse, lo stesso uomo che per giorni aveva invaso e distrutto la sua mente.
─ Cerco John. ─ esordì guardandola dritta negli occhi, come se non avesse paura di niente e di nessuno, con il suo accento straniero. Di nuovo quegli occhi blu, profondi e piatti.
─ Te lo vado a chiamare.
Mentre rispose il campanello trilló e fece la sua entrata un altro uomo, un ragazzo che non poteva avere più di venti anni, biondo e riccio, occhi neri come la pece, sguardo da psicopatico. Seguito da un altro ragazzo delle stessa età con la sola differenza che superava di almeno due spanne il primo e con occhi dolci color caramello.
Sembravano stare a loro agio in quel locale, come se fossero loro i reali padroni e non quel poveraccio di John...
A proposito di John doveva avvisarlo subito.
Si recò così nella mensa dove trovò l'uomo che puliva una pistola.
Fece un passo indietro impercettibilmente, ma fu qualcosa di cui non poté farne a meno.
Era spaventata e allarmata da quella visione. Non avrebbe mai potuto immaginare neanche lontanamente, che anche John fosse un uomo di quelli che avevano con se pistole o fucili solo per l'apparente sicurezza personale.
Accortasi della presenza della ragazza, si girò nella sua direzione tendendo stretta ancora tra le mani quel pezzo di ferro.
Si scrutarono per vari minuti mentre Hazel si riprendeva da quello stato di intorpidimento, lentamente.
─ Ci sono tre uomini che ti stanno cercando. Penso che quella ti servirà. ─ disse indicando la pistola nelle mani dell'uomo. Quest'ultimo prima guardò l'arma e di seguito la porta.
Uscirono insieme da lì, ovviamente con la pistola nascosta nel retro dei pantaloni di John.
─ Mio carissimo amico John! ─ con un gesto teatrale, allargando le braccia come per ricevere un abbraccio, il biondino si alzò.
─ Che cosa vuoi, Alexander?
John sembrò però rivolgersi a l'altro uomo, a quello che era entrato per primo, a quello che aveva invaso i suoi pensieri per molti, molti giorni.
L'uomo allora cominciò nella sua testa, a prendere una reale consistenza. Ora sapeva il suo nome, oltre al fatto che fosse un criminale.
Alexander.
─ Ci serve un favore.─ rispose lui indifferente alla punta di fastidio che trapelava nella voce e nell'atteggiamento di John.
Ma tutto quello che John fece, fu restare muto e fermo sulle gambe, mentre i pugni furono stretti e le nocche divennero bianche.
─ John caro lo sai benissimo che è meglio assecondarci, perché altrimenti...─ fu il biondino a continuare e ad reinserirsi nel discorso, mentre con quei suoi occhi neri trafiggeva John con un solo sguardo.
Dei brividi di freddo percorsero su tutta la pelle di Hazel e non era stato lo spiffero di aria fredda che si era insinuato tra le ante della porta, come spesso succedeva quando un cliente non chiudeva bene la porta.
No, quelli erano brividi di un freddo diverso.
Di nuovo la paura.
Paura provata guardando quegli occhi così tetri, che risplendevano di luce propria, di una propria luce oscura e di follia.
Deglutì e sperò che nessuno se ne accorgesse, che nessuno badasse al suo cuore che stava impazzendo, che batteva forte tanto da staccarsi nel petto. Sembrava che fosse pronto a squarciarle il petto e a volare via, su quel cielo che prometteva pioggia.
─ Non mi interessano le tue minacce e non mi interessa nemmeno del favore che devo farvi. Io non vi devo un bel niente!
Non aveva mai visto John così adirato. Aveva urlato quelle parole con disprezzo e con il fuoco negli occhi. Di tutta risposta i due uomini dapprima si guardarono in faccia regalandosi uno sguardo di intesa e poi il biondo si alzò e cominciò a passeggiare di qua e di la per il locale, fino ad arrivare al grande acquario che fungeva da pezzo di arredamento del locale.
Picchiettó due tre volte sul vetro per attirare l'attenzione dei pesciolini che ignari di quello che stava per accadere, nuotavano felici anche se in gabbia.
─ Che bello questo acquario.
Poi si interruppe dal picchiettare sul vetro ed estrasse un oggetto che da dove Hazel stava ferma, non riusciva a decifrare bene, perché non lo vedeva.
Si girò verso John e con sarcasmo continuò, – Chi sa quanto ti è costato stupido di un vecchio. ─ detto questo, con gli occhi e lo sguardo colmi di una profonda pazzia, ruppe il vetro.
L'acqua si riversò tutta sul pavimento inondando le scarpe di camoscio dell'uomo, mentre i pesci dalla pelle colorata, si dimenavano zampillando sul pavimento in cerca del loro di ossigeno e di un po' d'acqua.
Erano appena andati distrutti 2500 dollari e dalla faccia bianca come un lenzuolo di John, si evinceva tutta la sua frustrazione e tutto il suo rammarico.
Si passò una mano sulla fronte sudaticcia e si rivolse poi ad Hazel, che impietrita stava dritta vicino la porta che divideva la mensa dal bancone.
─ Fa uscire tutti, non abbiamo bisogno di un altro spettacolo.
La ragazza non riusciva a parlare e quindi si limitò solo a fare un cenno di assenso, mentre svelta muoveva quei suoi piedini e cercava di ritrovare una certa compostezza per poter rassicurare e parlare con i pochi clienti che c'erano quella mattina.
Si avvicinò ai tavoli avvertendo su di se gli occhi del biondino, che con un ghigno poco umano, la osservava in ogni suo movimento.
Quando tutti se ne andarono e il locale rimase silenzioso, lei si avvicinò alla porta e girò il cartello, quello che avvertiva i visitatori da aperto a chiuso.
Stava poi per prendere la giacca che sentì qualcuno toccargli il braccio.
Istintivamente lo ritrasse e alzò il viso, pronta a sferrare qualche pugno.
Era il biondo che la guardava stranamente divertito.
Un moto di paura si impossessò del suo corpo, tanto da frenarla, da ghiacciare ogni cellula e particella del suo corpo.
─ Dove pensi di andare ragazzina?
In quel momento non risultò il pazzo e sadico ragazzo che aveva mostrato pochi secondi prima, ma risultava essere solo un bulletto di periferia, incazzato con i suoi genitori e con il mondo. Perfino la sua bellezza lo tradiva, lo faceva sembrare gentile e buono.
Era un essere enigmatico, lui, e sapeva bene di esserlo, così mischiava continuamente le carte mandandoti in continua confusione.
Non riuscì a rispondere, era ancora immobilizzata dalla paura, quella maledetta bastarda che in altre situazioni l'aveva sempre aiutata ad andare avanti, ma non quella volta.
─ Non te l'ha detto nessuno che è buona educazione rispondere alle domande che gli altri ti pongono? Ancora con quel ghigno stampato su quella faccia da angelo.
Non sapeva bene dove, forse era nascosto tra le piaghe del suo cervello, ma riuscì a ridestarsi e a trovare quel maledetto coraggio di spiccicare almeno un si o un no.
─ Pensavo che...
Non gli diede il tempo di finire la frase, che intervenne con una sommessa risatina isterica e poi riprese a parlare.
─ Tu non devi pensare. Tu fai quello che ti dico io. ─ ed il tono divenne duro.
Le mise le mani sulle spalle e poi la girò di schiena.
Mentre nella testa di Hazel stavano passando mille stramaledette immagini di distruzione del suo corpo - compreso di stupro e di violazione di dignità - l'uomo la solo fece sedere su una di quelle poltrone vicino ai tavoli, mentre Sally, la sua collega, faceva lo stesso.
Le due si guardarono.
Su gli occhi dell'una e dell'altra traspariva terrore.
Su quelli di John invece, risentimento e rabbia, ma soprattutto impotenza ed infine rassegnazione.
Hazel avrebbe tanto voluto aiutarlo ma non sapeva bene come fare. Con rammarico si accorse che non avrebbe mai potuto aiutarlo, in quella situazione. Quella era gente su cui non si poteva nemmeno fare una battuta fuori posto, perché con loro si poteva morire con un semplice si e con un semplice no, detto di fretta o sbagliato.
─ Allora John, adesso ti è tornata la voglia di ascoltarci?
Era sempre lui che dopo aver distrutto l'acquario, dopo averla spaventata a morte solo con la sua vicinanza ed era sempre lui che in quel momento aveva preso a beffeggiare il pover uomo, che vedendosi messo con le spalle al muro, si rassegnò a quello scherzo che la vita gli stava presentando.
Gli uomini volevano che John tenesse per una settimana, massimo due, delle casse che contenevano del tè molto speciale. Non ci voleva di certo un genio per capire che quello non doveva essere tè, perché uno non fa tutto quel casino, minaccia e distrugge solo per un po' di infusi di erbe profumate. Doveva essere qualcosa di grosso e di illegale.
Al solo pensiero di poter essere scoperta le fece comprimere ancora di più quello stomaco già chiuso dall'ansia.
Se ne andarono e i tre rimasti nel locale - lei, John e Sally, si guardarono per un lungo istante poi si alzarono e presero a fare quello che facevano normalmente, solo con un fardello bello grande e pesante sulle spalle.
Infine riaprirono il locale e la gente riprese ad entrare.
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