Capitolo 4
─ Due caffè al tavolo 4, Sally!
Era il suo ultimo turno e tra un'ora circa, avrebbe staccato per tornare poi a casa.
Il sabato sera il locale era quasi sempre pieno di gente che consumava il proprio appuntamento parlando del più e del meno, giusto per conoscersi meglio; oppure di gente che aspettava l'apertura della discoteca e quindi nel frattempo, entrava nella caffetteria ordinava un caffè, a volte due, e aspettava trepidante di eccitazione, per quella che sarebbe stata la conquista della notte. E lo vedevi seduto che scherzava con l'amico fidato su come sarebbe stata la ragazza, sulle forme del corpo di lei, dando poi dei consigli - quasi sempre fasulli - su come accaparrarsela tra tanti sudaticci e insaziabili uomini, che mentre ballavano la circondavano come se avessero paura che scappasse o andasse chi sa dove, quando lei era nata per fare quello e per stare lì, ad essere ammirata da quegli uomini malati di un male incurabile: il maschilismo.
In un attimo però si rivide a diciotto anni, a fare la stessa identica cosa della ragazza, che come lei, lo faceva sempre e solo per essere ammirata, per farsi guardare, per voler far credere a quegli uomini che sarebbe stata loro e per un secondo, un dannatissimo di quel fottuto secondo, si sentiva amata e desiderata , ma poi li guardava e non trovava in nessuno dei loro occhi famelici e lussuriosi, qualcosa per cui valesse davvero la pena amare o solo condividere. Erano tutti lì per lei ma allo stesso tempo erano lontani da lei, solo vicini al suo corpo. Niente anima, solo corpo. Allora si malediceva e se ne andava. Poi di punto in bianco aveva smesso, aveva mandato a fanculo quella vita insignificante e povera. Quando Chris gli aveva chiesto se volesse venire a quella maledetta serata, lei aveva accettato perché in cuor suo sperava di rivedere l'uomo dagli occhi di ghiaccio, era quello il motivo principale, non ce ne erano degli altri e poi comprare dell'erba e fumarla. Solo erba, non sarebbe mai più cascata nell'obblio della dipendenza. Era un errore che mai e poi mai avrebbe rifatto, in fondo lo aveva promesso a se stessa.
Guardò per un attimo sullo schermo del suo cellulare che ora fossero, quando si accorse di aver ricevuto un messaggio.
Da: Chris
Allora, questa sera sei sempre dei nostri? Non è che hai cambiato idea, vero?!
Dio non si era ricordata che quel sabato sera, era questo sabato sera.
Guardò per un attimo quei ragazzi, quelli della discoteca e urlò loro:
─ Ehi, a che ora apre, ─ cercò di fare appello alla sua memoria per ricordare quale fosse il nome della discoteca e poi apparve finalmente un nome, ─ l'Elephant?
Il ragazzo dai capelli biondo cenere prima di rispondergli la guardò, o meglio, studiò la sua formosità. Dal canto suo, Hazel alzò gli occhi al cielo, perché odiava e detestava quel genere di atteggiamento.
─ Allora che c'è? Hai forse perso le parole?
Il ragazzo sembrò non essere minato minimamente nell'orgoglio da quella affermazione dispregiativa, anzi, fece si che si formasse sul visino sprezzante, un sorrisetto strafottente.
─ Se vuoi ti ci accompagniamo noi, è proprio dove dovevamo andare questa sera.
─ Ma Carl, avevi detto che saremmo andati al Los Santos.
─ Sta zitto coglione!
Ma ad Hazel quel comportamento immaturo non interessava affatto, nemmeno ci badava.
Quindi li riportò sui binari giusti.
─ Allora Carl?! A che ora apre quella maledettissima discoteca?
Carl rosso in viso rispose, –A 00:00 come tutte le discoteche, tesoro! ed ecco tornato il ragazzo strafottente di sempre.
La ragazza però aveva altri problemi a cui pensare, come per esempio arrivare puntuale all'appuntamento e non far restare male il suo unico e migliore amico.
Così marciò dritta da John che in quel momento si stava occupando di preparare i cornetti per il giorno successivo, mentre Sally, con il vassoio contenente i due caffè, si avvicinava a due ragazzi che parlavano tra di loro fittamente dal minuto in cui avevano messo piede nel Diner.
─ Cosa c'è Haz?
Fu John a precederla, dettato dalla conoscenza dei suoi polli.
─ Mi devi un favore...te lo ricordi?
John ricordava tutto, nonostante l'età che era quel che era, lui ricordava tutto.
E sapeva che la ragazza si riferiva ad un episodio accaduto qualche sera fa, quando l'uomo aveva chiesto ad Hazel di poter chiudere il Diner al posto suo, "solo per questa volta" aveva detto, aggiungendo poi "in cambio potrai chiedermi qualsiasi cosa", perché sapeva bene che quel favore non era stato remunerato come di dovere, su volere anche della cameriera.
─ Cosa ti serve, dolce ragazza? ─ chiese nuovamente l'uomo.
─ Tecnicamente dovrei uscire tra un'ora...però mi sono appena ricordata di un impegno...e quindi mi chiedevo...cioè insomma...se mi fareste uscire prima ─ lo aveva detto tutto di un fiato, e adesso aspettava con ansia la risposta che avrebbe dato il suo superiore. Era strano e nello stesso tempo faceva anche ridere, sentire la sua voce così tremendamente insicura, mentre utilizzava pure il lei. Dio che razza di figura del cazzo che stava facendo!
Intanto John aveva finito con quei cornetti e stava valutando la situazione. Hazel non chiedeva mai favori e ne rinfacciava qualcosa che sapeva bene essere finita nel dimenticatoio per lei, soprattutto se si trattava di farlo verso amici o persone che conosceva da tanto tempo. Così, se la ragazza aveva chiesto un favore perché non concederglielo?
In fondo al suo vecchio cuore, c'era un particolare riguardo per quella strana ragazza dagli occhi grigi metallo e i capelli colorati.
─ Va bene. Tanto c'è Sally che mi aiuterà. ─ detto questo regalò un sorriso gentile alla giovane e si incamminò verso il bancone, pronto a prendere il suo posto.
La ragazza invece, andò dritta agli spogliatoio cambiandosi alla velocità della luce, intimorendo persino il super eroe Flash.
─ John io vado. Grazie ancora per il permesso!
E fu subito fuori, mentre uno strano vento invernale si alzava dalla strada buia.
Non era ancora nemmeno arrivato ottobre, e già si prevedeva un inverno rigido!
Non fu di certo un po' di venticello freddo a fermare la caparbietà di Hazel, anzi, spinta dalla paura - anche se non lo avrebbe mai ammesso a se stessa - di girare per quelle strade solitarie e poco illuminate, cominciò a correre, sperando di vedere all'orizzonte la fermata del pullman, e prendere poi il bus che odorava di inevitabilmente di umani, quell'odore che per forza di cose, rimaneva attaccato alle pareti di metallo e sui sedili in plastica rivestiti di pelle o imbottitura scolorita, annerita.
Ci arrivò dopo dieci minuti, un record per lei e poi guardò finalmente l'orologio.
22:10
Quindi tecnicamente il pullman doveva arrivare a momenti.
Fu in quel preciso istante che si maledisse, di non aver mai avuto tempo e denaro per poter entrare in una qualsiasi autoscuola della regione e prendere quella dannatissima patente. Ormai sarebbe stata a casa già da un pezzo, e invece doveva aspettare sotto un lampione che ricordava solo nitidamente la luce del sole, forse anche più accecante degli stessi raggi, quel maledetto maleodorante e vecchio pullman newyorchese.
Dei fari blu la costrinsero a coprirsi gli occhi con una mano.
Era finalmente arrivato e lei si accinse ad entrare, non prima di aver pagato il biglietto.
Si sedette sul sedile della penultima fila, mentre si accomodò dalla parte del finestrino e poggiò nel sedile di lato la borsa per renderlo libero fino alla sua fermata. Non voleva che nessuno si sedesse di fianco a lei. Era una delle sue tante paranoie, dettate dalla poco mancanza di fiducia nel genere maschile, solo maschile. Lei, da femminista più che convinta, era stata per un bel pezzo di tempo anche gay. Non che tutte le ragazze femministe fossero gay, ma semplicemente perché a lei piace sperimentare sempre cose nuove, sentire quella felicità che ti pervade il corpo e che accade solo quando non si conoscono fino in fondo le cose. Ecco la cosa che più le piaceva fare - perché la parte più bella di una storia, è la parte iniziale, quella che ti fa conoscere giorno per giorno una persona, e nell'altrettanto momento, te la fa amare per i suoi difetti, per i suoi pregi ma anche per il suo passato e per quei sogni ad occhi aperti di cui parla incessantemente, con gli occhi che brillano di eccitazione e speranza, e che inevitabilmente diventano anche tuoi.
C'era stato una sola volta, nel suo passato remoto, che aveva avuto il pregio di provare quelle sensazione. Lei si chiamava Claire, e Claire era bellissima, con quei suoi capelli rossi e le lentiggini disseminate per tutto il suo corpo bianco e smunto. Si erano conosciute ad un concerto rock, eppure ricordava ancora oggi, perfino in quel momento, seduta sul quel sedile giallo pallido, ricordava ogni momento bello o brutto passato insieme a lei e non c'era nostalgia o malinconia nei suoi ricordi, ormai per lei Claire era diventata un tatuaggio scolorito. La loro storia era durata solo sette mesi, ma Hazel, che era abituata a stancarsi subito di quelle cose nuove quando ormai le aveva conosciute a fondo, non si era mai stancata di stare con lei, mai, neppure un minuto. Spesso si era interrogata su che cosa fosse realmente l'amore. Eppure era arrivata lei e stava bene. Ma come era arrivata se ne era anche andata, nonostante questo, lei non la odiava, non l'aveva mai fatto.
L'altra eccezione era rappresentata dal suo migliore amico Chris ormai suo inquilino e confidente, l'unico di cui si fidasse come le sue tasche.
Poi non c'era più niente, oltre ai suoi capelli blu.
Si accorse a momenti che stava per passare la sua fermata, che fortunatamente si trovava proprio sotto il palazzo dove abitava.
Chiamò la fermata e l'autista, con i capelli bianchi e le rughe disseminate lungo il viso, grugnì prima di aprire la porta.
Uscì di fretta e altrettanto velocemente percorse le strisce pedonali che dividevano il suo marciapiede da quello della fermata.
La casa, un mono locale composto da cinque stanze compreso di soggiorno, si trovava nella periferia più lontana dal centro di Brooklyn, dove non si dividevano solo le mura ma anche le finestre. La porta di ingresso dava direttamente sul soggiorno e per andare nella sua stanza, doveva attraversarlo in lungo.
Il disordine era predominante in quella stanza.
Letto disfatto dalle lenzuola bianco sporco ruvide e armadio ad ante scorrevoli strapieno di vestiti messi alla rinfusa. Solo lei sapeva districarsi e muoversi in mezzo a quel casino.
Si lavò molto velocemente e altrettanto velocemente indosso una gonna nera a tubino in finta pelle che gli fasciava i fianchi, per abbinarla con un top molto corto e a dir poco striminzito, che gli lasciava la pancia piatta scoperta. Poi prese il cappotto e le scarpe con il tacco e fu fuori, mentre aspettava l'amico arrivare con la sua utilitaria grigia.
Finalmente arrivò, puntuale come sempre, e i due si incamminarono verso la discoteca.
Quando arrivarono, il ragazzo attento a non graffiare il suo gioiellino, parcheggio vicino ad una macchina rosso fuoco, una cinquecento per la verità.
─ Ricorda il posto, perché forse questa sera sarai tu a riportarmi qui. Sarò troppo ubriaco anche per camminare.
Hazel sorrise al ricordo dell'amico ubriaco che non aveva intenzione di smettere di parlare.
─ Già, ma per me e per le mie orecchie, sarebbe meglio che non parlassi.
─ Smettila di rinfacciarmi l'unica volta che mi hai visto ubriaco.
─ Fortunatamente per me. ─ rispose e uscirono dalla macchina mentre il ragazzo, falsamente offeso da quello che l'amica gli aveva detto, chiuse la macchina.
─ Ti offrirei il braccio da bravo gentiluomo quale sono, ma se lo facessi non rimorchierei nessuno.
Chris era gay dichiarato e a dire la verità, conquistava più cuori lui che un playboy di provincia. Era brillante e simpatico, ma nonostante fosse un tipo, non uno stramaledetto ragazzo che ti facesse mozzare il fiato per la bellezza, lui riusciva lo stesso a farcela. Il problema però, era la mancanza di volontà ad avere una storia solida e duratura. Forse c'entrava il fatto che sua madre lo aveva abbandonato a se stesso da adolescente, quando stava imparando a scoprire lentamente chi fosse il vero Chris, oppure che il padre era sempre troppo impegnato con il lavoro, o forse perché semplicemente non aveva ancora incontrato la persona giusta; egli preferiva le botte e via al "e vissero per sempre felici e contenti". Ma anche Hazel, al solo suono di quelle parole, le saliva su un prurito da paura.
Mentre in fila indiana, attendevano il loro turno per poter entrare nella discoteca sotto il freddo della notte, potevano sentire il rumore di quella che veniva chiamata musica, arrivargli alle orecchie già da fuori.
Dietro di loro due ragazzine parlottavano allegramente tra di loro, soprattutto di quanto i ragazzi alle loro spalle fossero carini. Sorrise nel ripensare a quando anche lei aveva la loro stessa età. Non avevano più di diciotto anni e nella discoteca ci sarebbero entrate sicuramente con un documento più falso dei soldi del monopoli. Erano così ingenue ma allo stesso tempo dannatamente sfrontate, che per un attimo Hazel provò invidia per loro e per la loro giovane età, ovviamente.
La fila si muoveva al ritmo di quella musica rumorosa e assordante.
In lei stava nascendo una strana agitazione. Il riscoprire quella vita la terrorizzava e intimoriva. Non ci entrava più da un po', dal giorno in cui era entrata in riabilitazione e poi aveva promesso a se stessa che non sarebbe accaduto mai più. Adesso la cosa che la spaventava non era tanto la droga o l'alcol, ma era quel mondo animale, il vampiro sempre pronto a mietere vittime per i suoi oscuri desideri.
Chris la guardò per un istante, tanto da accorgersi dei sentimenti che trasparivano su quei lineamenti da quindicenne su un corpo da venticinquenne.
─ Andrà tutto bene.
Ma non parve rassicurarsi e quindi continuò.
─ Ehi facciamo così. Se qualcosa dovesse andare storto o meglio, se non te la senti, basta che me lo dici e ce ne andremo.
La ragazza fece si con la testa mentre un leggero sorriso le si accese sul viso.
Era tutto come se lo ricordava. Era tutto stampato nella sua mente: il bancone strapieno di gente che beveva, che offriva da bere, che si dimenava sulla pista da ballo mentre con presunzione, si addossava alla ragazza la cui unica sfortuna era stata mettere una gonna e della calze.
Si sentì svenire mentre una forza dentro di lei, forse il super io, le diceva di affrontare quella tormenta e uscirne immune, fortificata.
Fece qualche passo verso il bancone e chiese del whisky.
─ Che cosa ci fa una ragazza così bella tutta sola? ─ ecco il playboy della serata, quello che era entrato lì non per ballare, stare con gli amici o ubriacarsi fino ad andare in coma etilico, no perché se era lì era per rimorchiare e quindi di conseguenza inzuppare il suo biscotto in uno dei tanti caffè presenti in sala. Pensare che un tempo l'avrebbe accettato, che ci sarebbe stata senza ripensamenti. Un tempo lontano, quando tutto gridava odio e disprezzo.
─ Beve. ─ detto questo si allontanò, perché non aveva voglia ne di starlo a sentire e ne di assecondarlo con la sua pazzia.
Decise quindi di trovare un tavolo libero, sedersi e rimanere lì per tutta la sera.
Prese il suo bicchiere a andò alla disperata ricerca di quel tavolino.
Dopo una manciata di minuti e dopo aver sopportato con poca pazienza gli sguardi del pater maschile, trovò un tavolino su cui non era seduto nessuno allo scuro e lontano da quel mondo fittizio.
Trascorse un'ora a guardare i protagonisti di quella favola bizzarra e a ridere nel vedere alcuni ballare in un modo tutto loro. Poi si alzò per andare in bagno.
Si districò tra rami fatti di braccia sudaticce, corpi caldi, sguardi frivoli e parole urlate, ma che risultavano silenziose sotto quella musica assordante. Finalmente giunse alla sua meta. Spinse la porta ed entrò.
Il silenzio lì la faceva da padrone, accompagnato solo dal ronzio sommesso di quella che doveva essere la ventola del riscaldamento. Non ci badò e raggiunse una delle porte della toilette. Quattro porte bianche. Scelse la prima che si richiuse non appena lasciò andare la presa su di essa, dimenticandosi però, di girare il chiavistello. Uno dei difetti che si portava dietro era quell'ingenuità che nonostante tutto quello che avesse passato, non si era allontanata da lei.
Sentì il rumore della porta principale aprirsi e delle voci maschili rompere il silenzio.
Inizialmente pensò di aver sbagliato bagno ma poi guardandosi attorno, realizzò che quello non sembrava per niente essere il bagno dei ragazzi, c'era il cestino per gli assorbenti vicino al water.
A sbagliare allora erano stati gli uomini lì fuori. Quando stava per aprire la porta, la voce di uno dei tanti uomini - perché le voci parevano essere multiple e di diverso timbro - le ghiacciò il sangue nelle vene.
Si avvicinò alla porta poggiandogli poi un orecchio e stette in silenzio ad aspettare che gli uomini parlassero o meglio, riprendessero a parlare. Non aveva il coraggio nemmeno di respirare. Pensava che se lo avesse fatto avrebbe creato del rumore e l'avrebbe poi così scoperta, e allora chi sa cosa gli avrebbero fatto dopo.
─ Abbiamo un altro compito per te.
Silenzio. Poi un bisbiglio che non arrivò alle sue orecchi e poi di nuovo il silenzio.
Non sapeva cosa le stesse accadendo, ma uno strano moto di paura misto a terrore si stava espandendo nelle vene andando a macchiare il sangue.
Non riusciva a capire da cosa provenisse quell'assurda paura, forse lo sapeva e faceva solo finta di non vedere, di pensare il meglio di quegli uomini e di aver capito male le parole dette da uno di quegli uomini.
Nella sua mente apparvero tante intuizioni, tante domande e poche risposte, sempre le stesse "non sta capitando a me, sto solo sognando".
***
Alex aveva incontrato lo scozzese fuori dalla discoteca di sua appartenenza e di conseguenza, di appartenenza al club.
In quel momento si trovavano nel bagno delle donne, chiuso precedentemente al pubblico e a detta dell'uomo, sicuro e al riparo da occhi indiscreti.
Era a lui che il generale affidava il compito di impartire i vari compiti tra gli uomini del club e ad Alex non rimaneva che obbedire e portare il suo lavoro al meglio, cosa che gli veniva facile quando il suo braccio destro altri non era che un pazzo intelligente come Sam.
─ Di che si tratta?
Non avevano perso tempo, erano fatti così; loro arrivavano diritti al punto e non ci giravano mai intorno.
─ Un altro uomo. Crediamo che c'entri con la sparatoria dell'altro giorno al bar qui dietro.
Il bar di loro proprietà, come tutta la contrada era sotto il loro controllo, sotto il loro potere.
─ Okay ci andremo io e Sam.
Stavano per andarsene quando l'uomo li fermò, ─ E quello nuovo.
Alex si girò di nuovo verso Clay, ma fu il suo compagno a precederlo.
─ Non se ne parla, non è ancora pronto. È con noi da meno di una settimana.
L'uomo non parve prendersela per il tono aspro usato da Sam e rispose con un alzata di spalle.
─ Adesso andiamo, la gente comincerà a pensare male e a cambiare discoteca solo perché non hanno un posto in cui scopare come furetti.
I tre risero e uscirono da lì, seguiti dagli uomini di Clay che si portava come protezione sempre dietro.
─ Rimanete ragazzi?
I due si guardarono e l'uno lesse nei pensieri dell'altro.
─ Passiamo per questa sera.─ e salutato l'uomo uscirono da quella baraonda e confusione.
Alex odiava quel posto, più di suo padre.
Non seppe perché di quel gesto ma si ritrovò a girare la testa dietro le sue spalle, alla calca e alla gente appiccicata, addossata l'una su l'altra.
Ma in mezzo a quel trambusto, a quella confusione, vide una ragazza dai capelli blu, la stessa forse che qualche sera addietro si era ritrovata noncurante ad attraversare la strada, che stava per ammazzare tra le altre cose.
Appariva trapelata quasi impaurita. Forse pensò, qualcuno aveva provato a baciarla e lei aveva rifiutato perché si vedeva che era una tipa a posto, non una di quelle troiette del cazzo pronte ad appiccartisi addosso al primo istante. No, sembrava che qualcuno avesse provato a possederla con violenza e lei si fosse arrabbiata e avesse combattuto per la sua dignità, uscendone vincitrice.
In quell'istante avrebbe tanto voluto andarle incontro e congratularsi con lei, per la donna coraggiosa e forte che era.
Ma la verità era che quella ragazza dai capelli blu e dalla pelle diafana si chiamava Hazel e aveva ascoltato tutto quello che si erano detti, lui, Clay e Sam.
SPAZIO AUTRICE.
Allora è la prima volta che scrivo qui, ma mi sento in dovere ringraziarvi per il supporto che questa storia sta ricevendo, cosa che non mi sarei mai aspettata.
Ringrazio quindi tutte le persone che hanno trovato il tempo di leggerla e dargli un'occhiata.
Se vi è piaciuto il capitolo, mettete una stellina e fatemi sapere le cose che invece non vi sono piaciute.
Ringrazio tutti!
Un bacione.
Stay hungry. Stay Foolish.
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