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Capitolo 35

La porta venne aperta.
La signora Mary venne avanti. Gli occhiali tondi le nascondevano tutto il viso. Le labbra erano tese a formare una smorfia. Le mani le tremavano e i passi erano titubanti, di chi si preparava a morire.
Hazel le era davanti. Gli occhi sbarrati e le guance pallide, mentre il sangue nelle vene si era ormai congelato.
La ragazza non le vide le due ombre scure portatrici di morte, materializzarsi dietro la povera cinquantenne. Lei no, ma gli altri due sì.
Quelli tirarono fuori una pistola, mirarono la canna con il silenziatore incastrato e fecero fuoco.
La lente degli occhiali della signora Mary si ruppero, mentre una crepa dalla forma di un buco ovale si macchiò di sangue; sangue che schizzo anche sulla faccia di Hazel insieme a pezzi di cervello della povera donna.
La cinquantenne dai capelli corti e tinti di un dolce mogano, cadde per terra come un vecchio indumento ormai dismesso. Il sangue cominciò a fluire e una pozza si allargò sotto la sua testa.

In tutto questo trambusto, Hazel non riuscì ad emettere un suono, un lamento o un singolo singulto. Era come se si fosse già abituata a tutta quella violenza, come se la morte della pettegola signora Mary, fosse già stata annunciata dal momento in cui aveva suonato alla porta. L'unica cosa che riuscì a fare, che il suo corpo riuscì a fare, fu chiudere istintivamente gli occhi subito dopo lo sparo.
Si sentì tirare indietro e senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò gettata per terra.
Alexander l'aveva salvata ancora e lo avrebbe fatto per sempre, se solo avesse potuto.

Nel momento in cui la donna cadde morta a terra, Alex pensò soltanto ad Hazel e al fatto che  sarebbe potuto accaderle lo stesso e non riuscì più a pensare a niente.
Entrambi uscirono allo scoperto, con le pistole puntate davanti ai visi e i primi colpi pronti ad esplodere. Gli altri due fecero lo stesso, semplicemente entrando senza aspettare alcun invito dalla proprietaria.

Le ombre si materializzarono, dipingendo il viso di una donna e di un uomo.
Alex si accorse con malcelato sdegno che si trattava di Amber, una sua collega.
Con quelle sue gambe lunghe, fasciate da calze nere, venne avanti, scavalcando il cadavere della povera donna; subito dietro c'era l'uomo che si premurò di chiudere per bene la porta.

Amber tolse gli occhiali da sole. Due diamanti verdi trafissero Alexander, resi felini da una perfetta striscia nera di eyeliner. La bocca tinta di rosso fuoco con il piccolo neo sul lato destro del labbro, la facevano sembrare una donna venuta da un'epoca passata. Il pesante cappotto mostrava uno stretto tubino nero che le fasciava i fianchi mettendoli in risalto.
Era bellissima, la donna più bella che Hazel avesse mai visto. Tanto bella, quanto pericolosa. Stringeva tra i guanti neri una pistola, la stessa che aveva fatto partire il colpo mortale e che aveva ucciso la signora Mary, un innocente che aveva pagato il prezzo più alto di tutti.

─ Amber, è un piacere rivederti.

La donna sorrise malefica.

─ Il piacere è tutto mio, mio caro russo.

Alex scosse il capo, lasciandosi andare ad un sorriso sarcastico. Ma durò poco, perché in un baleno tornò serio.

─ Perché sei qui?

La donna prese a guardarsi intorno, poi, dopo aver trovato quello che stava cercando, mosse dei passi e si lasciò cadere sulla poltrona. Accavallò le gambe e pose le mani sui lati dei braccioli della poltrona. Vista da quella posizione, sembrava una regina nel giorno di visite: paziente a sentire lagnare i proprio sudditi. L'altro uomo, quello che era venuto con lei, l'aveva seguita e si era posizionato alla sua destra, con le mani incociate sul davanti.

─ Divertente il fatto che ti debbano spiegare tutto. Che c'è, russo, hai perso l'olfatto?

Alex sorrise di nuovo. Certo che sapeva perché era venuta lì, certo che non aveva perduto l'olfatto ed era anche certo del fatto che quella pallottola sarebbe dovuta toccare a lui. Alexander era consapevole di molte cose.

─ È impossibile, lo sai.

La risposta della donna fu solo un'alzata di sopracciglia.

─ Okay, mi avete rotto i coglioni. Che vuoi Amber, perché ti hanno mandata qui?

Sam, che se ne era rimasto per tutto il tempo sulla porta, zitto, ora aveva perso la pazienza, quella stessa che non aveva mai avuto.
A quel punto la donna puntò gli occhi con fare svogliato sul biondino.
Alexander lo osservò, come stavano facendo gli altri, e si disse che c'era qualcosa di strano in lui. Doveva essere successo necessariamente qualcosa, poiché l'amico non era solito mostrare le proprie emozioni, belle o brutte che fossero.  Sam era più infastidito del solito, più scuro del solito, pronto a saltarti addosso per un non nulla. E tutto era ritratto sul suo viso angelico. 
Sospirò, non poteva occuparsene ora, c'erano altre cose a cui dare priorità, così tornò a concentrarsi sulla donna. 

─ Sam, scusa, ma non ti avevo visto ─ esordì con fare ironico, solo che nessuno rise, nemmeno il suo uomo. Tutti aspettavano la risposta alla domanda del killer.

Hazel se ne stava poco distante da Sam a guardare la scena e a studiare quella donna. Era decisamente una tipa abituata a comandare, in qualsiasi ambito. Sapeva farsi rispettare e il suo tono si adattava alla situazione: ora tagliente, ora sensuale, ora divertito. E poi si muoveva con una tale consapevolezza, da far impallidire qualsiasi uomo alfa. Era lei, e solo lei lì, la donna alfa. Ma Sam non si scompose, anzi sembrò proprio non farci caso.

─ Ero che la diva che è in te ha l'attenzione di tutto, potresti smetterla con queste puttanate e arrivare al punto? Non ho tutto il giorno...

La donna sorrise e si limitò ad un'alzata di spalle. Poi tornò immediatamente seria e passo allo scandaglio dei suo grandi occhi verdi, prima Alexander, poi Sam ed infine Hazel, verso la quale vi si soffermò più del dovuto.

─ Credo che avrete capito perché sono venuta qui.

─ Uccidere la ragazza? ─ rispose Sam che diventata ogni secondo più nervoso. Lo si notava soprattutto dai ripetuti sbuffi che faceva.

─ Anche.

A quel punto Sam si raddrizzò e cacciò le mani dalle tasche.
Alexander invece si limitò a un sussulto, ma rimase fermo al suo posto, a fingere che andasse tutto bene, come di chi si fosse aspettato tutto quello.
Tutti sembravano aver colto il senso di quelle parole, perfino Hazel, che tremava più di tutti e che cercava di nascondersi il più possibile. Se avesse potuto, sarebbe scappata il più lontano possibile da quella casa che era diventata un antro dell'inferno, da quelle persone che parlavano di morte con una tale semplicità da far paura e anche dal suo maledetto passato, perché se quella notte Alexander avesse avuto il coraggio di premere il grilletto e ucciderla, lei non avrebbe sofferto, non avrebbe vissuto una vita da eterna vittima e magari lui non si sarebbe trovato in pericolo.
Certo era che il destino di tutti e tre, era appeso ad un filo.
Hazel si chiese se anche loro avvertivano il fantasma della canna di una pistola puntata sulle tempie. O forse tutto quello era legato ad una parvenza di umanità che loro sembravano aver perduto molto tempo fa.

─ Fammi capire bene, ti avevano ordinato di ucciderci ma tu non solo non lo fai, ma sei anche propensa ad aprire la bocca, a usare quella tua lingua piena zeppa di parole e metafore e cazzate varie. A che gioco stai giocando? ─ chiese Alexander mentre si accendeva una sigaretta, sbuffando fumo e parole.

─ Al gioco che mi porterà a vincere.

A quel punto Sam, stanco del modo di fare vago della donna, prese una sedia dalla cucina, la fece scivolare sul pavimento, andando a perforare i timpani dei presenti con quello stridente suono acuto, e vi si posizionò di fronte.

─ Che.Cazzo.Sta.Succedendo? ─ chiese a denti stretti, con le gambe divaricate e la fronte a sfiorare quella della donna.

Lei, per niente intimorita dal gesto dell'uomo, si fece ancora più vicina e guardandolo negli occhi, si prese il tempo necessario, da brava stronza quale era, per rispondergli.

─ Siete diventati troppo furbi, troppo liberi e non vi vogliono più nell'organizzazione.

Vedendo che nessuno rispose, con un sospiro frustato continuò.

─ Siete pericolosi, le vostre menti lo sono. Chathelyn non ha più il controllo su Alex, il suo uomo fidato, quello che si scopa ogni tanto e che è stato fino ad ora al suo servizio. Dall'altro lato ci sono i messicani, gli irlandesi e tutta quella fecce di gente che vuole quello che siamo noi. E lei non riesce a gestirlo, anzi, per i suoi cazzi e quelli del fratello, sta mandando tutto a puttane.

─ E qui entri in gioco te: eliminare noi, per fare da esempio a tutti gli altri, ─ Alex fece una pausa, si grattò la testa, proprio come un gesto abitudinario, e poi riprese a parlare: ─ solo che non capisco perché ci credi i vincenti. Voglio dire, io e Sam siamo tra i migliori, ma non abbiamo tutto questo potere...

─ ... di ucciderla e diventare la nuova lei. Ed è qui che ti sbagli mio caro. Tu solo puoi prendere il suo posto.

Poiché vide che non era del tutto convinto, cercò di giocarsi il tutto per tutto.

─ Senti, sarò molto franca e sincera come non lo sono mai stata.

E così Amber cominciò a raccontare che un gruppo di killer, interno proprio alla famiglia, avvertiva questo malessere. Non erano più convinti dell'operato di Chathelyn e la volevano fuori. Amber era una di quelle. A lei piaceva la sicurezza, il conto in banca pieno e la vita facile. Aveva paura che un giorno, a causa della guida ormai sbagliata del suo capo, che aveva servito per tutti quegli anni senza fare domande, quella quotidianità si sarebbe distrutta. A detta del nuovo gruppo di "killer ribelli" – come li aveva indicati – lui era l'uomo perfetto: ligio al dovere, distaccato da ogni emozione e crudele quanto basta. 
Alexander aveva inteso bene tutto, fin troppo bene tutto. Era lui che avrebbe dovuto ucciderla, era lui che avrebbe dovuto prendersi le responsabilità su tutto e comandare quegli uomini, che come aveva notato, si erano rivelati non proprio fedeli, anzi, alla prima difficoltà avrebbero fatto carte false per farlo fuori. E questo solo nell'eventualità che fosse riuscito a liberarsi di Chathelyn. L'astuta Chathelyn. Si stava infatti parlando di una donna che con le minacce, le torture e i giochetti psicologici, aveva mandato avanti la baracca fino a quel momento. Non la prima pivella che si incontrava per strada. Una grande stratega. Una che un'anima forse non ce l'aveva mai veramente avuta. Una che se avesse avuto di fronte la persona che aveva cercato di fotterla, di questa persona non ne sarebbe rimasto niente, nemmeno i denti. 
Sorrise frustrato e diresse lo sguardo verso Hazel. In quel fiume di pensieri e di parole appena partorite, non c'era spazio per la ragazza. Alexander lo aveva inteso benissimo.

Tu, ma non lei.
La sua vita, in cambio della morte di qualcun altro.

I due si guardarono. Occhi blu e occhi grigi. Hazel aveva seguito tutto il discorso fatto, aveva compreso e aveva tratto le proprie conclusioni. Si era abituata a quell'uomo rude ma paziente, sempre pronto a proteggerla, senza pensare minimamente alle conseguenze. C'erano stati alti e bassi in quel loro strano e atipico rapporto, ma erano riusciti a superare qualsiasi ostacolo. Aveva l'impressione che il destino non li voleva separati, perché quando succedeva di perdersi, in un modo o nell'altro, si rincontravano e si riunivano. Eppure, in quel momento, aveva una strana sensazione allo stomaco, come una grande bolla d'aria, che non sapeva bene inquadrare a cosa fosse dovuta. Cercò allora di concentrarsi su altro. Dovette abbassare gli occhi su Alex però per poterlo fare. A quel punto anche Alex fece lo stesso e si rivolse direttamente ad Amber.

─ Suppongo che hai già un piano. 

─ Supponi bene, ma preferisco discuterne in privato, ─ poi si alzò con tutta la classe che la contraddistingueva e si avviò verso la porta, ─  mi faccio viva io. 
Amber concluse la frase rivolgendosi non ad Alex, ma bensì ad Hazel. La incastrò con quei suoi occhi cattivi, decisamente feroci. Hazel ebbe paura. Era la stessa intensa paura che aveva provato con Sam alcuni mesi prima. Le sembrava che quella donna avrebbe potuto toglierle la vita soltanto con quelle sue unghie lunghe e affilate. "Io non ho nemici, sono tutti sottoterra"  sembravano volergli dire quegli occhi. Rabbrividì. 
L'uomo che le faceva da ombra, la raggiunse ed insieme se ne andarono. 
Il silenzio che ne seguì dopo fu più assordante di un concerto heavy metal. 


***


Non appena se ne fu andata, Alex non perse tempo. Doveva andare via da lì e portare Hazel in salvo, ma prima aveva delle questioni in sospeso da risolvere. Innanzitutto dovettero occuparsi  del corpo della signora Mary, che fece la stessa fine degli altri. Hazel invece cominciò a pulire i pavimenti e i muri di tutto il soggiorno con della candeggina. Il liquido le aveva infiammato le mani, che erano diventate rosse, e fatto lacrimare gli occhi, ma aveva continuato a strofinare come un treno. Paradossalmente il lavoro manuale l'aveva aiutata a non pensare e a concentrarsi su altro. Aveva chinato il capo e non l'aveva più rialzato, senza fare domande, anche se non capiva bene del perché di tutta quella fretta di uscire da casa sua. Non correva più nessun pericolo, vero? 
Poi arrivarono anche i due uomini ad aiutarla. In un'ora erano riusciti a ripulire e a mettere in ordine tutto l'appartamento. Stava per albeggiare e loro dovevano uscire il prima possibile, perché spostare tre sacchi neri, di quelli che la scientifica usa per portare via i cadaveri di qualche sparatoria, non era una cosa semplice, soprattutto perché dovevano cercare di passare inosservati.  

─ Dobbiamo muoverci, ─ fu il commento lapidario di un Sam più nero del solito.

Alex controllò se nei vestiti di Hazel ci fossero delle tracce di sangue. A quel punto la ragazza schizzò in camera si cambiò e butto i vestiti nella lavatrice. Prese il suo zaino, i risparmi che aveva e senza farsi vedere la busta di Donovan, contenente il passaporto con un nome falso, il biglietto aereo e il biglietto con le indicazioni da seguire una volta arrivata lì, se sarebbe mai arrivata lì. Scosse la testa a quel pensiero e tornò dai due uomini. 

─ Andiamo ─ fu il commento di Alex, mentre si dirigeva verso la porta. 

Prima di uscire però, Hazel si accorse che Sam non si era mosso dal suo posto, per questo trattenne per un braccio Alex, che sentitosi toccare, si girò nella sua direzione fermandosi.

─ Haz non abbiamo tempo...

─ Perché Sam non viene?

─ Perché devo buttare la spazzatura ─ rispose Sam con una certa ironia macabra. La ragazza disgraziatamente di girò a guardare i sacchi e terribili brividi le percorsero ogni centimetro di pelle.
Deglutì, fece un segno di assenso con la testa e poi impose ad Alexander di uscire da lì. Fece la scale quasi correndo. Sentiva il bisogno di portarsi il più lontano possibile da quello che era stato per molto tempo il suo unico rifugio dalle brutture del mondo: la sua piccola ma accogliente casa.
Una volta fuori il vento invernale la investì, ma riuscì anche a darle refrigerio.
Hazel aveva sempre amato l'inverno. Quel freddo, la neve, il vento, l'aria gelida nei polmoni... Tutto le dava pace. L'estate invece, con quel caldo e le notti animali, obbligatoriamente felici, le mettevano solo tristezza. Avesse avuto un'altra esistenza forse, avrebbe amato l'estate e odiato l'inverno, ma quella non era la sua realtà.

Entrarono nel SUV di Alexander con una certa irruenza e con la stessa velocità il russo mise in moto. Si immerse nella strada già abbastanza trafficata. Il suo piano era quello di portarla a casa sua, restare con lei per tutto il giorno e poi prendere l'ultimo aereo per una meta a cui aveva pensato, ma non sapeva se fosse effettivamente la strada più giusta. 

Mentre ingranava le marce, buttò lo sguardo verso la ragazza. Come sempre se ne stava in silenzio, con la cintura attaccata all'addome che la faceva sembrare ancora più piccola, ma la forza che aveva dimostrato bastava a riempire tutto l'abitacolo. Aveva le mani strette in grembo e la testa verso il finestrino. Tolse la sua dal cambio e strinse quella della ragazza. Hazel sentì il tocco caldo dell'uomo e girò lo sguardo nella sua direzione. Si guardarono dritti negli occhi. Le parole in quel momento erano superflue. Hazel aveva bisogno di saperlo vivo e Alexander aveva bisogno del suo calore e della sua anima, di vederla a posto, di concederle secondi di pace.
Poi però, dovette tornare alla strada.

Arrivarono a casa di Alex quando il sole era quasi del tutto sorto. Si mossero velocemente. Portone d'ingresso, ascensore, casa. Per tutto quel tempo Hazel non osò aprire bocca, anche se di domande ne aveva moltissime.

─ Siediti ─ le comandò Alexander, una volta entrati,  e lei, troppo stanca per iniziare qualsiasi lotta, buttò lo zaino ai piedi del divano e vi ci sedette sopra. Alexander nel frattempo aveva raggiunto la sua stanza, aperto l'ultimo cassetto del comodino attaccato al letto e ricaricato la pistola. Con il bottino tornò nel salotto.
La prima cosa che fece, fu poggiare l'arma sul piccolo tavolino di fronte il divano mentre si sedeva. Poi rilasciò un sospiro e si massaggiò la nuca. Adesso era pronto a qualsiasi interrogatorio.

─ Lo so che muori dalla voglia di farmi mille domande, quindi ti anticipo io.

─ Sono tutta orecchie, ─ disse lei, mentre un sorriso dipinse il viso contratto dalla stanchezza del russo.

─ Ho pensato che fosse meglio prendere l'ultimo volo. Ora è troppo rischioso. 

─ Un volo per dove? Che stai dicendo A...

Per tutto il tempo Hazel aveva mantenuto lo sguardo basso, puntato sulle punte delle scarpe, troppo immersa in quella testa, soffocata dai suoi stessi pensieri. L'aveva alzata solo a quelle parole, strane, che non riusciva a comprendere fino in fondo. Ma non era loro quelli che avevano superato qualsiasi scoglio? Che cosa voleva dire scappare? No, non poteva essere!
Vedendo però che l'uomo non rispondeva, che non la guardava, il significato di quella frase apparve più violenta di una pallottola sparata o una pugnalata al petto. Con il cuore che martellava chiese:

─ Tu resterai qui vero?

Alex se le era aspettate quelle parole, infatti non si scompose, si prese il tempo per rispondere e poi parlò.

─ Sì, moja luna.

Silenzio.

─ Io non voglio andarmene... ─ scandì con voce rotta, quasi a cercare di tenere a freno le proprie emozioni, quasi a trattenere le lacrime. Hazel infatti era stanca di sentirsi così, continuamente sull'orlo del burrone, ad attendere che qualcuno la buttasse giù o la tirasse indietro.

─ Lo so, qui hai la tua vita, con il tuo lavoro, il tuo amico... ─ ma il russo non riuscì a terminare la frase perché la ragazza con un balzo fu subito in piedi, con gli occhi sgranati e delle imprecazione che le uscivano da quelle labbra che Alex amava assaggiare.

─ Che succede? ─ chiese l'uomo, imitandola ed alzandosi più lentamente.

─ Non ho salutato Chris, non lo sento da questa mattina! Se non mi vedrà quando tornerà a casa, allora penserà che sono morta! Hai capito, MORTA! E lui questo non se lo merita, lui... lui...

Fece dei passi indietro, così da distanziarsi maggiormente dall'uomo.
Intanto i singhiozzi si facevano sempre più violenti, le scuotevano il petto, le mozzavano il respiro, le restringevano i polmoni. Hazel si sentiva soffocare. Le mani si erano fatte nervose: se le passava sul viso umidiccio dalle lacrime, tra i capelli scompigliati, le labbra screpolate e la fronte aggrottata.
Alex che da lontano la osservava inerme, subire così malvagiamente questo attacco di panico, sentì un gruppo in gola, tipico di chi sapeva di essere la causa di tutto quel malessere. 

Se solo non avessi ucciso la tua famiglia. 

Pensieri però, che ormai non servivano più a niente. La realtà, quella che avevano cercato di allontanare per tutti quei mesi, si era riversata prepotente ora, e chiedeva il saldo del conto, che non si era mai chiuso veramente. Tutti i desideri, le aspettative, le speranze, se ne erano andate quella sera stessa, nella pallottola che era stata sparata alla signora Mary, l'ennesima innocente che pagava per le malignità del suo egoismo, e quell'attacco di panico, che non era solo il riflesso di una psiche danneggiata, ma anche la metafora di una vita vissuta continuamente in apnea. 

Quello che accadde dopo, furono solo gesti meccanici.
Alex che riuscì a calmare Hazel.
Loro che fecero una doccia insieme.
Loro che fecero l'amore, non una ma tre volte, e tutte le volte  con la consapevolezza che quella sarebbe stata l'ultima, e allora le emozioni si facevano più avide, più irose, sempre più prepotenti. Poppavano passionali quei momenti che non sarebbero mai più tornati. 
Loro che si prepararono, senza la sensazione di essere stanchi. Tanta era l'adrenalina. 
Loro che salivano in macchina.
Loro che stavano in silenzio.
Alexander che sfiora con lo sguardo Hazel.
Hazel che guarda Alexander, per l'ultima volta, con la dolorosa consapevolezza che quel tempo infame stava correndo troppo e che non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Doveva ricordare tutto: i suoi occhi, il modo in cui accendeva la macchina, mangiava, si arrabbiava, scopava, la guardava, rideva; lei tutto quello se lo doveva stampare in testa, doveva cercare di combatterlo quel tempo che si porta via tutto, specialmente i ricordi; lei infondo, lo sapeva, non avrebbe mai potuto dimenticarlo quell'uomo, che l'aveva ferita e salvata. Anche volendo, era impossibile. 

Loro che fecero una cosa che non facevano mai: si sorrisero, con un dolore lacerante nel petto. 


Spazio autrice:
Ciao a tutti, o per lo meno a quei lettori che aspettano questo capitolo da molto, molto tempo. L'ultima volta che pubblico saranno stati tre anni fa, o qualcosa in più. Inutile dire che quando avevo smesso di pubblicare, era perché questa storia non mi dava più stimoli. Nessuno la leggeva, ed effettivamente sarebbe tutta da riscrivere, alcune cose non hanno senso, quindi lo capisco. Poi ho cominciato a scrivere altro e quindi sentivo che questo tipo di narrativa non mi rappresentava. C'è una cosa che non sono riuscita però a fare: cancellarla, perché farlo avrebbe significato dimenticare tutte le cose belle che mi ha portato, quella parte di adolescenza, i primi veri e proprio personaggi che ho creato. Perché Hazel e Alexander saranno sempre i miei preferiti. 

Poi questa estata qualcuno ha cominciato a leggerla, a votarla, colpa di questi strani algoritmi di wattpad, e quindi l'ho ripresa, e anche rimollata, perché gli esami sono la cosa più importante per me. Questo è hobby, piacere. 
Succede però che ieri arriva il mio nuovo PC (dovete sapere che il mio vecchio computer ha dieci anni, ormai è lento e soprattutto obsoleto, tanto che si bloccava spesso) e decido di inaugurarlo. Come? Scrivendo! E niente, capitolo finito alle 2:00, riletto e pubblicato. 

Grazie a tutti quelli che lo hanno letto, a cui è piaciuto, che hanno aspettato e che ci sono sempre stati. Non so se aggiornerò mai più, ormai non programmo più niente, perciò grazie per avermi ridato la spinta di ricominciare a scrivere la storia. 

Daje! 

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