Capitolo 34
Avvertiva solo un profondo e agghiacciante suono, che andava a scorticare i timpani, a farle sanguinare le orecchie.
Era come quel fastidioso bip metallico che avvertiva i dottori della dipartita del paziente.
Un suono prolungato, continuo, asfissiante.
Le palpebre venivano sbattute ritmicamente, mentre gli occhi si concentravano sul rosso impiastricciato sulle mani, tra l'incavo delle dita e sotto le unghie.
Più guardava quel corpo riverso per terra e più la voglia di scappare in bagno e vomitare tutto, perfino gli organi interni, aumentava.
Hazel aveva visto solo un corpo senza vita: quello di suo fratello. Nella sua mente credeva che il cadavere con la bocca aperta e gli occhi spalancati di Charles, fosse stato un ricordo dimenticato per sempre. Invece, quegli occhi di ghiaccio spalancati, le fecero tornare a galla tutto il dolore.
E poi il puzzo del sangue era nauseabondo; la stava soffocando lentamente, facendo scivolare in un buco nero da cui ne sarebbe potuta uscire, forse, solo dopo anni e anni di seduta dallo psicologo.
Era rimasta a guardarsi le mani per ore, senza contare delle macchioline di sangue che le erano andate a finire sulle guance e che si stavano pian, piano cicatrizzando sulla sua pallida pelle.
Le gambe non reggevano più lo scheletro. Gli occhi minacciavano lacrime. La mente non produceva nemmeno un pensiero che non fosse oscuro come la morte, quella stessa morte che in quel momento le veniva sbattuta in faccia.
E in tutto quel trambusto che stava facendo la sua anima, Alex telefonava a qualcuno, puntava gli occhi annoiato sul cadavere, di quello che le aveva fatto credere di amare veramente, e poi tornava a guardare impaziente l'orologio al polso. Forse quel qualcuno a cui aveva telefonato. Ad un tratto il russo alzò gli occhi verso la ragazza e la vide, forse per la prima volta, dopo interminabile minuti che erano trascorsi dal momento in cui lui aveva premuto il grilletto.
Gli bastò uno sguardo per capire che Hazel stava per avere un attacco di panico, attacco che in quel momento non poteva permettersi.
Si diresse a grandi falcate di fronte a lei e cerco di farla tornare nel mondo terreno, quello dei vivi che ammazzano altri vivi.
─ Hazel, per favore, vai in camera tua e prepara un borsone con le tue cose.
Ma lei sembrò non ascoltarlo. Alzando gli occhi al cielo, Alex decise di scuoterla.
─ Haz! ─ le urlò con fredda disperazione.
Solo a quel punto Hazel parve risanare. Lo guardò, cercando di non urlare, di rimanere dove stava, di non sputargli addosso tutta la bile che minacciava continuamente di venire su.
Alex parve capire quali fossero i suoi pensieri e, per il suo bene, cercò di tranquillizzarla.
─ Lo so che vorresti darmi un cazzotto in faccia, lo vedo dal tuo sguardo, ma ti prego Haz... Ti prego... Ora devi starmi a sentire.
E prese quindi a indicargli le direttive da seguire.
Hazel cercava di mantenere quel poco di lucidità che avevo ritrovato e che gli era rimasta, anche se non era facile stare dietro alle parole del russo; le sembravano tutte così strane e la portavano continuamente a chiedere a se stessa perché le stesse dicendo di farlo. Ma se aveva imparato una cosa da quegli uomini, in quei mesi, era non stupirsi più per niente.
Nel frattempo Alex si era allontanato, forse raggiungendo l'altro corpo disteso inerme in camera da letto.
I piedi si staccarono finalmente dal pavimento e raggiunsero il corridoio, ma le gambe si dovettero fermare perché dovevano lasciare la precedenza ad Alex che trascinava stancamente il corpo. A quel punto il conato fu inevitabile.
Si piegò sulle ginocchia e gli occhi sembravano volergli uscire dalle orbite. Hazel apriva e chiudeva la bocca, incanalando l'aria stantia di sangue, alla ricerca di qualcosa da buttare giù.
E poi un rutto precedette l'inevitabile.
Hazel vomitò quel sandwich tonno, maionese ed insalata, che aveva mangiato a cena.
Alex, che bel frattempo aveva posizionato l'altro cadavere vicino al biondo, corse da lei.
Nel momento esatto in cui Hazel aveva rimesso tutto e stava per rialzarsi, un capogiro la investì, e lui prontamente, prima che finisse nella pozza di vomito, la sorresse tra le braccia.
La portò in camera da letto e la fece sedere su di esso.
Poi si abbassò alla sua altezza. Cominciò a spostarli i capelli sudaticci all'indietro e cercò i suoi occhi.
I polpastrelli di Alex erano caldi sul mento gelato, un bel contrasto che le lanciò un brivido che corse sulla lunghezza della spina dorsale.
Finalmente alzò gli occhi su di lui e si perde in quel blu, che come sempre, non lasciavano entrare nessuno.
Eppure Hazel ci era entrata, anche solo per un secondo, ma aveva toccato l'anima più profonda di quell'uomo che l'aveva portata alla rovina.
─ Hazel, tesoro, so che è difficile, ma devo chiederti di rimanere il più lucida che puoi, altrimenti...
Altrimenti ti uccideranno.
Ti strapperanno dalle mie braccia e io non posso pensare di continuare a vivere su questo pianeta senza di te, senza la tua voce, i tuoi occhi, il tuo calore, e senza quei vestiti strani, comprati all'usato e che sanno terribilmente di te.
Ma quelle parole Alexander lo tenne per se; erano troppe veritiere e cattive per essere pronunciate.
Per questo i polpastrelli di lui le stavano scavando solchi rossastri sull'epidermide bianca. Poi fece scontrare con delicatezza la sua fronte sulla sua.
─ Haz, se non lo vuoi fare per me, fallo allora per tuo fratello ─, sussurro lui ad un palmo da quelle labbra sottili che aveva bramato e amato tanto.
Lei lo guardò intensamente e fece un accenno con la testa, non debole o appena percepito. Passo una mano sulla mascella liscia dell'uomo e azzerò le distanze.
Non era il momento, ma Hazel aveva bisogno di conforto, di alzarsi e fare quell'ultimo step che l'uomo gli chiedeva di fare.
Quando Alex percepì la lingua di Haz che cercava la sua per approfondire il bacio, lui si stacco e alzandosi, le lascio un tenero bacio sulla fronte.
Le concesse la mano e l'aiutò ad alzarsi.
E dopo ci furono solo gesti dettati dalla mente, gesti meccanici e sconnessi.
Lei non pianse. Non uscì un singulto dalla sua bocca. Hazel sembrava essersi freddata, sembrava aver accartocciato l'anima e averla butta in qualche posto in mezzo a quel casino di vestiti nell'armadio.
Prendeva i pantaloni, li arrotolava e li posizionava nello zaino, e così via per le altre cose, fino a quando lo zaino fu pieno.
Alex nel frattempo aspettava con una punta d'ansia l'arrivo dell'amico Sam.
Doveva far sparire i corpi e ripulire l'appartamento. Nel frattempo doveva scoprire perché due sicari si erano indotti a casa di Hazel.
Che qualcuno avesse scoperto il suo segreto?
Prese ad ispezionare il corpo del primo sicario che aveva ucciso, quello freddato nella camera di Haz.
Completo elegante e costo. Mani pulite e curate, di uno che non aveva mai lavorato in vita sua.
Aprì con uno scatto la camicia, facendo saltare tutti i bottoni e non vide il segno di nessun tatuaggio, se non qualche vecchia cicatrice.
Sospirò, ma non si diede per vinto.
Decise quindi di controllare le tasche dell'uomo per trovare un eventuale portafoglio. Setacciò prima le tasche della giacca e poi, non trovando niente, passò a quella dei pantaloni eleganti.
I polpastrelli toccarono la pelle fredda e liscia di quello che, tirandolo fuori, sembrò essere l'oggetto che stava cercava.
Se lo rigirò tra le mani. Ne saggiò la consistenza.
La pelle costosa che profumava di nuovo, le cuciture disegnate perfette sulla superficie e le venature che interrompevano il tratto liscio.
Trasse un profondo respiro. Per la prima volta, dopo tutto quel tempo in cui si trovava immischiato in quel campo, ebbe paura. Paura di aprire quell'oggetto perché c'erano troppe verità nascoste lì dentro, perché se lo avesse fatto poi non sarebbe mai più ritornato indietro, sentiva che la verità si nascondeva dietro quello strato di pelle liscia.
In un barlume di puro coraggio, si decise a farlo.
Per prima cosa controllò il nome. Prese la carta di identità e si accorse che non si trattava di un uomo americano, ma ben sì di un irlandese.
In un attimo il pensiero volò a Kent, ma se lo tolse immediatamente dalla testa: lui non sapeva nemmeno che ci fosse una certa Hazel in circolazione. A quel punto il pensiero volò agli unici irlandesi che conosceva: la famiglia Stan, ovvero le persone per cui lavorava.
Decise di parsi passare dalla mente quest'ultima ipotesi e si rialzò in piedi, con stretta nella mano destra il portafoglio nero dell'uomo ormai nell'oltre tomba.
Continuavano a non quadrare molte cose in quella storia.
Il fatto stesso che qualcuno fosse entrato per uccidere Hazel per il segreto che nessuno conosceva, a parte lui e... già, e chi anche?
Preso considerazione di ciò si avvicinò alla stanza della ragazza perché voleva parlargli.
Nel frattempo inviò un messaggio a Sam, per cercare di capire se stesse arrivando.
Quando la vide piegata sullo zaino da trekking nero, le sembrò la persona più indifesa del mondo. Il modo in cui aveva incasellato le spalle nel collo, i capelli che le ricadevano arruffati oltre le spalle, quel suo modo cantilenante di dividere e di piegare accuratamente i vestiti nello zaino, tutto gli faceva tenerezza e gli faceva venire voglia di proteggerla. Fu quando si alzò che Alexander si ricordò che era anche una delle persone più forti, più intraprendente che avesse mai conosciuto. Nel suo essere estremamente chiuso, lei riusciva comunque a farsi valere. E lo aveva capito pure lei molto bene, soprattutto quando aveva scelto sempre lei davanti a Maria.
─ Haz ho bisogno di sapere a chi hai raccontato la tua vera storia.
Lei, che era rimasta tutto il tempo di spalle, si girò all'improvviso sentendo la sua voce, sempre così roca e calma.
Deglutì, perché guardarlo faceva sempre molto male. Alex era bello sia fuori e nella sua visione distorta delle cose, aveva imparato ad apprezzarne la bellezza anche interiore, nonostante tutto, nonostante quel lavoro che ora li aveva messi in pericolo perché era partito tutto in quel lontano venti settembre del 2003.
─ Nessuno.
Prima di tornare in cucina lui, la guardò intensamente negli occhi e poi le chiese se avesse finito con lo zaino. Hazel fece solo un cenno di assenso con la testa.
Quando tornò nella stanza attigua, il cellulare trillò. Lo cacciò fuori dalla tasca dei pantaloni e si accorse che si trattava di un messaggio di Sam, il quale lo avvertiva dicendogli che aveva appena parcheggiato l'auto sotto casa della biondina.
Cinque minuti dopo entrò in casa
Aveva una faccia strana e Alex se ne accorse subito, non appena varcò la soglia di casa. Ma non fece nessuna osservazione e soprattutto, non gli fece nessuna domanda perché aveva già troppi problemi a cui badare.
Sam cominciò un attimo a guardarsi intorno, fermandosi poi a guardare i corpi di quegli uomini. Quando riconobbe Viktor, aggrottò la fronte e si girò a guardare l'amico con le braccia conserte.
Intercettando il suo sguardo, Alex scrollò le spalle e non ci fu bisogno di nessuna domanda.
Sam sospirò e sciolse le braccia, ficcando le mani nelle tasche dei jeans scuri.
─ Okay non starò qui a chiedervi che cosa è successo perché posso immaginarlo da solo, ─ poi si avvicinò alla porta e prese lo zaino che aveva appoggiato al muro. Aprì la zip e vi estrasse un pacco di guanti in lattice bianchi, comprati sicuramente in qualche discount e poi delle buste nere usate per la spazzatura.
Hazel sentì mille brividi percorrerle le braccia, ma non sentì il bisogno di andare in bagno e vomitare. Con sorpresa rimase ferma lì dove si trovava.
─ Che cosa gli farete? ─ chiese con voce ferma, priva di ogni inflazione.
Sam avanzò verso i corpi dei caduti, e nel sentire quella domanda, sorrise leggermente.
─ Fidati, non lo vuoi sapere veramente.
Lei deglutì senza ribbatere
Ed era vero. Quello che Sam aveva detto era la pura e semplice realtà.
Sentiva su di sé, la colpa e il sangue di quegli uomini morti. Quella domanda era lo specchio riflesse della propria coscienza che cominciava a ribollire di indignazione. Però era evidente che se l'immaginava la fine di quei cadaveri, sciolti da qualche acido o dati impasto alle fiamme.
Socchiuse leggermente gli occhi.
Sii forte e non piangere, non correre in bagno a nasconderti.
Sei cattiva! Cattiva! Alla fine sei lercia tanto quanto loro due!
Nel frattempo Sam, aiutato da Alex, aveva disposto i tre cadaveri all'interno delle buste, non prima di aver indossato i guanti. Prima di chiudere con un corda i sacchi, Alexander vi lanciò dentro anche le pistole e poi, si fermarono a riflettere davanti a quella torretta fatta di plastica nera e corpi senza vita.
─ Che pensi? ─ chiese Sam.
─ Non sono semplici sicari prenotati su qualche sito sul Deep Web. Sembrano appartenere a qualche clan ─ rispose Alex grattandosi la barba corta e ispida.
─ Patrick?
─ No.
─ E come fai ad esserne sicuro?
─ Non erano per colpire me, erano venuti per Hazel. Io sono stato solo l'imprevisto ─ e dicendolo, girò lo sguardo verso la biondina, che se ne stava attaccata allo stipite del corridoio con le braccia conserte.
Lei era immersa nella conversazione, tanto quanto loro. Per questo quando Alex parlò di lei, e di quello che era successo, si staccò da lì e lo raggiunse, ponendosi alla sua destra.
Entrambi la osservarono fare quei gesti così naturali, ma nessuno le prestò veramente attenzione.
Alex rilassò le braccia lungo sospirando.
C'erano troppe cose che sembravano non tornare e in quell'immenso casino, la testa cominciava anche a dolergli. Si massaggiò la fronte e mentre ripeteva quei gesti, sentì la mano di Hazel toccargli il braccio, quasi a volerlo fermare. Si girò di scatto nella sua direzione, facendo tornare il capo eretto e si costrinse a guardarla.
Aveva gli occhi rossi, ma rimaneva sempre spettacolare.
In quell'istante il mal di stesa parve placarsi un poco. Come se Hazel avesse voluto dividere equamente quella frustrazione e quel dolore, che sentiva anche un po' suo. Dovette girare il viso dall'altra parte, se non voleva attirarla a sé e stringerla fino a fare mattina, fino a dimenticare quello che era stato costretto a fare davanti a suoi occhi. Eppure nonostante tutto, lei non l'aveva respinto e si era lasciata guidare da lui. E guardandola ora, con quegli occhi che dimostravano una forza che nemmeno immaginava potesse possedere, si accorse che forse era stata lei a guidare lui, a farlo calmare. Hazel aveva un immenso potere su di lui ed era arrivato a capirlo solo adesso, quando la fine era vicina.
Scuotendo la testa si riscosse e si rivolse nuovamente a Sam.
─ I suoi documenti dicono che è irlandese e così l'altro, tranne... Tranne ovviamente... ─
─ Viktor? ─ lo riprese Haz, intromettendosi nella conversazione per la prima volta.
La sua mascella fece un guizzò, ma passandosi la lingua sul labbro inferiore rispose: ─ Sì, quell'infame del cazzo!
Sì, quello che ti sei scopata perché io te l'ho detto di fare. Quel coglione del cazzo che ha preso in giro tutti noi!
─ Non starai pensando a quel testa di cazzo di Kent?! ─ rispose visibilmente irritato e divertito Sam, allargando le braccia, mentre un riccio gli andava a coprire l'occhio sinistro, che lui spostò prontamente con un soffio.
─ No! Lui non mi preoccupa.
A quel punto tutti e due stettero in silenzio.
La verità aleggiava nell'aria come un cielo che minacciava pioggia, così grigio e tetro, da sembrare i protagonisti di un romanzo gotico. I due si stavano studiando, saggiando il momento in cui uno dei due sarebbe caduto per prima, avrebbe ceduto alla trappola costruita e in cui erano caduti. Solo che il coraggio veniva meno, perché quella loro vita, così nera e violenta, a quanto pare si fondava su una grossa menzogna.
─ Non possono essere stati loro. Andiamo A! Tu sei il loro miglior uomo e Cath stravede per te! ─ l'incredulità di Sam traspariva in quella sua voce che usciva stridente, come un verso di un cornacchia.
─ È un ipotesi a cui nemmeno i posso credere, però tutto quadra.
Hazel era molto confusa. Quei due parlavano di qualcuno, visibilmente alterati, abbattuti e arrabbiati. Sembravano increduli alle loro orecchie e lo sguardo di Sam, per la prima volta vulnerabile, bastava da solo a mostrare quanto la situazione fosse delicata. Per questo decise di prendere coraggio e chiedere che diavolo stava accadendo.
─ Scusatemi, ─ e si fermò, schiarendosi la gola per attirare la loro attenzione. QUando questo accadde, allora riprese da dove si era interrotta. ─ Di chi state parlando?
Sam e Alexander la guardarono, dopo la domanda, spostarono contemporaneamente gli sguardi fino a raggiungersi.
Dovevano decidere se dirglielo oppure no. Ma fu Alex il primo a cedere.
─ Al diavolo Sam! Ha diritto tanto quanto noi di sapere la verità.
Sam si girò dall'altra parte, contraendo la mascella sbarbata e scrollando le spalle come a dire "Va bene, fa pure frattello!"
─ Si stratta degli Stan, quelli per cui noi lavoriamo.
Come da copione, Hazel alzò un sopracciglio, al quanto sorpresa mentre la confusione aumentava nella sua mente. Ma poi tutto divenne più chiaro e la lampadina nella sua testa venne improvvisamente a rischiarare le tenebre.
Ovvio. Lui aveva salvato lei, andando contro un ordine perentorio e loro adesso mettevano in atto quelle che erano le leggi della criminalità.
Improvvisamente uno strano senso di colpa la investì. Mille sé cominciarono a pesarla addosso come catene infuocate: sé non lo avessi conosciuto, sé lui non mi avesse salvato, sé lei non avesse accettato la sconveniente richiesta di Sam...
Come se non ci furono bisogno di ulteriore parole da esprimere, Alex le si fece vicinissimo, andandole a prendere il viso tra le mani e costringendola a guardarlo.
─ Ehi, ehi, ehi, non pensare minimamente che sia colpa tua. Non hai fatto niente, siamo solo stati sfortunati ad incappare in questa vita, in questo destino che gioca a carte con noi.
Lei non riuscì a dire una sola sillaba, mentre gli occhi cominciavano a divenire lucidi. Si impose che piangere non serviva, non serviva proprio a niente e che se voleva uscire viva da quella incresciosa situazione, doveva spegnere il cervello e rimanere ferma, salda, impassibile.
Chiuse le palpebre, si prese del tempo e poi le riaprì.
Una strana forza, simile ad una fiammella viva, la sorprese e le inondò quel coraggio che le era necessario.
Con un sorriso tirato, i muscoli facciali che un po' si ammorbidirono, scuote la testa e Alex la lasciò andare.
─ Adesso che cosa succederà? ─ chiese Hazel.
Il russo si aspettava quella domanda. Tutte quelle parole, quelle domande portavano e conducevano tutte lì, a quella candida osservazione.
E adesso si combatte. Non abbiamo camminato per queste strade per niente. Non abbiamo faticato per morire come dei coglioni, sotterrati o sciolti in qualche sostanza chimica. Siamo scesi a compromessi, abbiamo ingoiato rospi immondi, abbiamo mandato a quel paese cretini, digrignato e stretto i denti; abbiamo pianto, amato, provato dolore doloso o colposo, e tutto questo non per esalare adesso l'ultimo respiro su questa terra arsa di cattiveria e buonismo.
─ Non muori oggi, te lo posso assicurare.
Sul viso di Hazel apparve fioco l'ombra di un tenero sorriso.
In quell'istante avrebbe voluto dirgli tante di quelle cose, ma la voce era stratta, compressa, chiusa in gola e non riusciva ad uscire. Tutto quello che riuscì a fare, fu stringergli le braccia intorno al bacino e inebriarsi di quell'odore dolce, quell'odore che li aveva legati ancora prima di essersi trovati. Tutto era partito da lì e da lì, lo sapeva, sarebbe finito.
Alex aveva bisogno di toccarla e quindi fece la stessa cosa.
Era come se si stessero dicendo addio, ma non c'era rammarico in quei abituali gesti. Si stavano dando la giusta forza per affrontare quell'ultimo capitolo, poi, i destino avrebbe fatto il proprio corso. Sciolsero in contemporaneo l'abbraccio e Alex, prima di lasciarla definitivamente andare, le schiocco un tenero bacio.
─ Non vorrei interrompere, ma il tempo corre in fretta.
Sam era arrivato a distruggere quella bolla che si era creata tra di loro, e li aveva fatti piombare di nuovo in quella tetra realtà.
─ Haz, corri a prendere lo zaino. Dobbiamo farti sparire. Ho pensato che... ─ ma la voce della ragazza arrivò prima che lui riuscisse a finire la frase. ─ La Scozia... Andrò in Scozia ─ e lanciò uno sguardo di sottecchi nella direzione di Sam, che furbo come un gatto, l'aveva intercettato. Fu uno sguardo strano, quello di Sam. Hazel ebbe come la sensazione che sapesse, che avesse perfettamente capito il significato nascosto dietro i suoi occhi. Un brivido le affiorò sulla schiena: ad un tratto ella ebbe paura per Donovan. Per questo distolse immediatamente lo sguardo dal ragazzo e si incamminò verso la camera da letto, lì dove aveva lasciato lo zaino con le sue cosa.
Alexander non volle approfondire la questione, anche se quella risposta molto impulsiva di Hazel, lo aveva un po' stranito.
Nell'attesa che lei tornasse, prese a massaggiare le tempie. Quel mal di testa che sembrava essersi assopito, a quanto pare rappresentava solo una dolce illusione.
E poi si avverti l'eco dei passi sulla scale.
Alex alzò immediatamente gli occhi verso Sam, che fece ovviamente lo stesso.
I passi si fecero più vicino, e nel frattempo anche Hazel tornò da loro. Il russo scattò nella sua direzione e le intimò, con l'indice, di fare silenzio.
Poi caccio fuori dai pantaloni la pistola e fece scattare lentamente la sicura. Sam lo imitò ed entrambi si avvicinarono silenziosi, e con un passo felino, verso la porta.
E poi i passi si fermarono.
Il drin del campanello risuonò come un boato per tutta la casa. Hazel stava trattenendo involontariamente il fiato.
Che sta succedendo?
Guardò stranita e, allo stesso tempo, spaventata, in direzione di Alex che le fece segno di dirigersi verso la porta. La ragazza mosse i primi passi timidamente e si protrasse verso la porta.
Si alzò sulle punte e si accertò, dallo spioncino rotondo, chi li avesse disturbati.
Trasse un profondo sospiro nello scoprire che non si trattava di un killer, ma della signora Mary.
Porta la mano alla maniglia, ma nell'esatto momento che i polpastrelli toccarono il ferro, una mano la fermò. Si girò di scatto e si ritrovò Alex a mezzo centimetro dal suo viso.
Lui gli fece segno con la testa di non aprire e lei, con la fronte aggrottata, mimò con le labbra che non c'era alcun pericolo.
Vide che alzò gli occhi al cielo. Aveva una vena pulsante ritratta sul collo massiccio. Lo vide innervosito e perciò indietreggiò.
Vedendo che nessuno però apriva la porta, il campanello riprese a suonare.
─ Hazel, tesoro, sono io, Mary.
C'era titubanza nella voce della docile e dolce signora Mary. Sam e Alex scattarono sugli attenti, ma Hazel parve non farci caso. A quel punto i due si misero al lato della porta che avrebbe fatto da nascondiglio una volta aperta. E poi, con le pistole pronte sotto i loro visi, intimarono ad Hazel di aprire.
Nonostante la paura, la gola secca, gli arti tremanti e lo stomaco in subbuglio, Hazel si fece coraggio e accontentò la signora.
Intanto mangiucchio tra le labbra una preghiera.
Signore, fa che non muoia. Ho ancora troppo da vivere.
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