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Capitolo 33

Per tutta la durata della cena, Sam non aveva fatto altro che fissare le labbra di Donovan, mentre un insaziabile voglia di sbatterlo sul tavolo e strappargli i vestiti di dosso, gli stava rendendo la serata più difficile del previsto.

Calma Sam, calma i bollenti spiriti.
A fine serata potrai farci tutto quello che vorrai con quel corpo muscolo, tanto è tutto per te.

Ma quando vide il giovane e sexy cameriere servirgli una maestosa fetta di Red Velvet, l'attesa si allentò un pochino, quanto bastava per calmarsi e fantasticare su come far finire la serata.

─ Se hai finito, pago e andiamo a casa.

A quelle parole seguì un lungo silenzio, mentre Donovan alzava gli occhi al cielo, stanco e sopraffatto da una situazione che gli era decisamente sfuggita di mano, che gli andava ormai stretta.
Era cominciato una sera di qualche mese fa.
Il moro si era lasciato convincere a restare a dormire a casa di Sam, dopo di ché tutte le notti – ad eccezioni di quando Sam aveva da fare con Alex o altre sue faccende che lui definiva "private", ovvero qualche omicidio commissionato – loro due prima facevano sesso (spesso come piaceva a Sam) e poi finivano per addormentarsi l'uno tra e braccia dell'altro.
E questo era bello, ma per Donovan veniva a mancare quella giusta porzione di libertà, indispensabile per una storia ben riuscita.

─ Sam, ne abbiamo già parlato...

─ Sì, e io ti ho già detto che non me ne frega un cazzo delle tue lagnose paure.

Ma vedendo che il ragazzo non mutava di espressione corrucciata, lui allora, massaggiandosi con le dita la base del naso, prese un grande respiro, e cercando di mantenersi calmo, lo guardò dritto negli occhi. Ma tutto quello che riuscì a fare, fu lanciare l'ennesima minaccia, cosa che fece capitolare anche Don.
Ormai aveva imparato a convivere con la cocciutaggine non proprio pacifica di Sam.

─ Ti aspetto in macchina ─ disse mentre si alzava e si infilava il cappotto.

Sam annuì e di rimando si alzò, avvicinandosi alla cassa per pagare.

Quindici minuti dopo, erano nell'attico di Sam.
Non appena vi misero piede, il biondino bloccò al muro Donovan e lo fissò dritto negli occhi, con le pupille dilatate dalla rabbia.

─Che cosa cazzo di sta succedendo, Don?

─ Niente, che cosa dovrebbe succedermi.

─ Non dirmi cazzate, sono giorni ormai che sei strano e sembra quasi che tu non voglia stare più con me, ─ e poi catturò tra le mani il mento non sbarbato di Don. Sembrava che gli volesse leggere dentro, scavargli la mente e venire a conoscenza di quel segreto che tanto lo stava tormentando. ─ C'è un altro? Perché se è così devi dirmelo...

─ Ma vaffanculo, non c'è nessuno. Sono solo molto stanco perché quello che considero ormai il mio compagno, non fa altro che fottersene di me e dei miei bisogni, mettendo sempre al centro i suoi ─ e poi se lo scansò di dosso, togliendosi con uno scatto rabbioso il cappotto per andare poi a sedersi sulla sua parte del letto.

Sam lo osservava mentre si prendeva la testa tra le mani, mentre si lasciava andare a borbottii di frustrazione.
Il fatto era che lui non aveva mai avuto un fidanzato, perciò non sapeva mai come comportarsi; lui sapeva solo comandare, minacciare, sentirsi dire solo di sì e uccidere. Certo, sapeva anche scopare molto bene, ma quello che metteva in scena, quando danzava tra le lenzuola con Don, era altro. Molti definivano l'atto di divenire una sola cosa come fare l'amore, perché si implicava mischiare, oltre alla pelle, anche i sentimenti. E questo lo spaventava tremendamente. Non replicò a quelle dure parole, ma semplicemente cominciò a spogliarsi e a mettersi a letto.
Dopo poco, anche Donovan fece lo stesso, mentre il materasso si abbassava e le molle scricchiolavano felici sotto di lui.
Entrambi supini, ascoltavano il rumore della notte, del silenzio e dei loro respiri.

─ Mi dispiace per prima, ─ ruppe il silenzio Don, che si girò su un fianco, mentre le lenzuola frusciavano sotto di lui.

Sam si girò a guardarlo. I respiri che si mischiavano, la voglia di entrambi di saltarsi addosso trattenuta gelosamente.

─ Don, io non so come si ama però ci sto provando e lo so che faccio schifo, ma è questo quello che riesco a fare, ─ e poi appoggiò il proprio palmo della mano sul petto di Don, proprio dove vi era incastrato il cuore, che sotto la sua pelle, batteva leggiadro. ─ Voglio solo che tu mi aiuti.

E poi Don sorrise, gli carezzo la guancia sbarbata e Sam se lo tirò addosso, divorandogli la bocca, costringendolo a lasciarsi andare, ad accettarlo per come era, perché nonostante tutto, il suo era uno di quegli amori puri.
Sam salì sul suo bacino, gli afferrò entrambe le mani e gliele portò sulla testa, e poi scese a baciargli il mento, il collo e a mordergli una spalle. Era il suo marchio, quello. Era come se volesse dire agli altri che avrebbero fatto meglio a stare lontano dal suo uomo, oppure li avrebbe uccisi.
Sentì il desiderio di Don accrescere e sorrise.

─ Dimmi quanto mi vuoi! ─ gli ordinò rabbioso, senza però abbandonare il suo amato ghigno.

Don era smanioso di lui, non riusciva più a capire che cosa stesse accadendo, semplicemente voleva affondare in lui e farlo per sempre.

─ Ti prego... Non resisto ─ urlò quasi, lasciandosi andare ad un grugnito che sapeva più di animalesco che di umano.

E soddisfatto, gli calò i boxer, lo contemplò nudo, gli diede un bacio, per poi girarlo e affondare in lui, rude, minaccioso, cattivo.
Quella sera però, mentre si scambiavano le colpe, le anime e i corpi, entrambi sentirono qualcosa frantumarsi e non bastò il sudore, l'amore di entrambi a colmare quel vuoto che si andava a formare nei loro stomaci.
C'era che Sam, si spingeva in lui perché non respirava, perché doveva imprimersi nella sua mente i gemiti di Don, doveva tatuarseli nella memoria, come un tempo che mai e poi mai sarebbe ritornato; allora entrava e usciva dal suo corpo con sempre più ardore, con una vemenza che faceva ballare tutto il letto, e solo quando arrivò l'orgasmo a travolgerli, si accorse di non avere più respiro.
Mentre Don era accucciato al suo petto imperlato da goccioline di sudore e si era addormentato con l'orecchio premuto sul cuore, si concesse di dirgli che lo amava e lo avrebbe sempre fatto, nonostante tutto e tutti.

***

Faceva freddo, quella sera. Troppo freddo, solo a pensarlo.
E Sam, nonostante il riscaldamento, sentiva i denti battere da soli.
Ascoltava assorto il silenzio dell'abitacolo, mentre il ronzare incessante del riscaldamento, lo stava lentamente cullando e rimbombando fastidiosamente nel cervello.
Ma Sam aveva un fuoco dentro che ardeva.
Era come se si fosse ritrovato dentro il ciclone di una tempesta di neve; si era come accucciato per terra, tra il gelo della neve a bagnargli i vestiti, con le unghie a grattare sul manto nevoso e il vento che gli soffiava arcigno in viso.
Non sapeva come uscirne, anche se la soluzione era proprio dietro l'angolo.

Se li era sentiti quei momenti come se fossero i più belli della sua vita, e non gli era mai sfiorato il pensiero che quel ragazzo, che aveva imparato a conoscere come le sue tasche, potesse anche solo con il pensiero, farglieli odiare, detestare. Si era sempre sentito quello inadeguato tra i due perché estraneo a quella situazione.
Si era sentito desiderato, l'unico, il centro del mondo per qualcuno, ma niente ora faceva più male di una pugnalata alle spalle.
Stringeva convulsamente il volante dell'auto, fino a sentirne il cuoio entrargli nelle ossa, fino a farsi del male, ma niente sembrava cambiare.
Donovan era davanti a lui, così vicino eppure così dannatamente distante.

Lo sentiva che era diventato strano, fin troppo taciturno e spesso preferiva evitarlo, stargli lontano. E queste cose, se uno sta insieme ad un altro, mica accadono. E allora la pulce nell'orecchio gliel'aveva fatta saltare proprio il suo compagno un giorno, quando gli parlava e lui non gli rispondeva, quando era sempre troppo distratto per stargli dietro, e anche scopare era diventato un gesto noioso.
Non la notte di due sere fa, perché entrambi si erano scoperti a fare l'amore con il cuore e con tutta l'anima, o almeno era quello che sperava Sam, dato che non gli avrebbe permesso di pisciare su quel ricordo.

Ma Sam se la sentiva la rabbia salire su per l'esofago, fargli andare in tilt il cervello, rendere il respiro pesante, furioso; tutte le cellule del suo corpo erano contratte, così come il corpo era un fascio di nervi, pronto a scattare come una molla.
Sentiva bruciare all'altezza del cuore. Era come se qualcuno glielo avesse strappato, incidendo una grande cicatrice con un vecchio coltellaccio. Ogni volta che i suoi occhi incontravano l'incavo in cui si era rifugiato Don come un ladro qualunque, il petto vibrava e faceva male, come una scarica elettrica non desiderata.

Aveva fatto finto di andare da Alex, si era appostato in macchina, nascosto quando il ragazzo con aria colpevole si era ficcato nella sua macchina ed era sfrecciato via. Con il cuore che martellava ansioso, aveva cominciato a seguirlo e poi aveva visto ciò che il cuore temeva maggiormente, ciò che il suo amore non voleva vedere, ciò a cui la sua anima non voleva assistere. Ed era diventato di ghiaccio, era caduto, si era fatto in mille diversi pezzi proprio come i fiocchi di neve che avevano ripreso a scendere placidi e calmi dal cielo, in netto contrasto con il suo spirito.

Don era sceso con le mani in tasca, il viso di un ladro e si era intrufolato in un'altra auto, – nei pressi del parcheggio dell' aeroporto di JF Kennedy – Sam ne aveva riconosciuto il proprietario, e con esso un cartello invisibile con su scritto "Ti ho fottuto".
E quel ragazzo lo aveva fatto in qualsiasi termini, in qualsiasi modo si vedessero le cose.
In quel momento c'era rimasto solo lui, in quel deserto di macchine, mentre le luci del grande casermone in cemento e vetro risplendevano la strada. Ma era comunque solo, a fare i conti con quello che avrebbe dovuto fare.

Si rese presto conto, che doveva andare immediatamente a fare rapporto di quanto visto al suo capo, e poi avrebbe dovuto prendere provvedimenti seri, molto seri. Ma in quel momento voleva solo sbarazzarsi di quelle viscide immagini del poliziotto e della spia, cacciarseli fuori dal cervello quei ricordi che sapevano di crudeltà. E poi tornare a fare la vita di sempre, guardare Donovan come se fosse la cosa più giusta della sua vita, amarlo in silenzio, senza farsi sentire e poi stringerselo addosso, ascoltare il battito candido del suo cuore, baciare la sua bocca, sfamarsi con il suo sapore.
Ma Sam era troppo sveglio. Troppo cotto da quella vita meschina, indurito dalle vite che aveva spezzato, dal sangue che aveva versato, godendone appieno.
Il killer chiuse prepotentemente gli occhi, calò la fronte sul volante senza mai togliere le mani da esso.

Stette in quello stato per svariati minuti, aspettando che qualcuno gli dicesse cosa fare e poi il cellulare in tasca vibrò. Tornò dritto con i reni, gli occhi spalancati. Cacciò malamente dalla tasca lo smartphone e poi lesse il contenuto del messaggio, il cui mittente altro non era che Alex.

"Ho bisogno di te. Corri da Hazel."

Tirò su con il naso, venne trafitto dalla secchezza delle parole del russo e poi avviò il motore, con un milione di domande che gli frullavano in testa.
Accese lo stereo, un vecchio cd dei Metallica gli quasi distrusse i timpani e poi alla velocità della luce uscì dal parcheggio.
Mentre il paesaggio notturno gli sfrecciava di fianco, sentì che la cosa migliore da fare era tenere tutto per sé, affrontare Donovan a quattr'occhi e poi lasciare il muoversi delle azione al destino, in questo caso comandato da lui.

Solo che si sentiva tradito, calpestato perché nessuno mai gli aveva fatto una cosa del genere; la cosa che forse più gli rodeva era il fatto di non essersi accorto prima di quello che stava succedendo, di aver pensato di più con il cazzo e meno con il cervello. Per questo le mani presero a prudere e i pensieri velenosi affogarono quei pochi sentimenti d'amore, che si era sentito arrivare addosso come un maremoto. Sam seppe in quell'istante che voleva la sua testa e il suo sangue a macchiargli le proprie mani, così ogni volta che le emozioni positive sarebbero riapparse, il suo pensiero sarebbe corso immediatamente a Don e a tutto quello che aveva significato per lui, e così sarebbe tornato a pensare con il cervello.
Ma non c'era l'ombra di un sorriso sulle labbra di Sam, forse non ce ne sarebbe più stato uno.  

Spazio Autrice

Ci siamo, stiamo per arrivare alla fine, ancora qualche capitolo e poi finirà l'avventura con Hazel and co.
Sono riuscita a regalarvi ora questo capitolo perché sono stata a casa in questi giorni e quindi ho avuto il tempo di scrivere, nonostante avrei dovuto studiare. Però ne ho approfittato adesso, un senso di ottimismo mi ha pervasa tutta ;)

Alla prossima (forse al finale).

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