Capitolo 30
Due settimane dopo.
Era stata una settimana davvero dura, quella appena trascorsa.
Aveva dovuto fare i conti con l'inettitudine di alcuni suoi collaboratori e poi con se stesso, ma il lavoro più grande aveva dovuto farlo con se stesso.
Per questo aveva dovuto fare un grande lavoro di ritrovamento del suo io più nascosto.
Aveva per ciò ricominciato a partecipare alle missioni in prima fila; si era lasciato sedurre come una vecchia prostituta dal fascino delle feste in discoteca, e per questo doveva ringraziare Sam.
Le sue giornate ormai scorrevano tranquille, tra una sparatoria in cui a rimetterci erano sempre i messicani e un giro in discoteca, dove finiva sempre in quello squallido bagno a pisciare o a scoparsi la ragazza carina che ci stava.
Non ci stava capendo proprio più un cavolo!
Sparava, ammazzava, non sentiva niente, si puliva il sangue via dal corpo e si ubriacava, ballava, scopava e poi tutti da capo.
Ma silenziosamente, come l'ombra che si nasconde al buio, la teneva al sicuro, quella cazzo di stronza abissale che lo aveva stregato. Perché lui Hazel l'amava e pure tanto, ma il problema era sempre stato lui, quello stesso lui che non faceva minimamente per lei. Questo però non voleva dire lasciarla in mezzo a due pazzi assassini che, pagati da qualcuno, volevano ridurre in poltiglia il suo bellissimo cervello. Avrebbe dato la vita per lei.
Nel frattempo, mentre i pensieri vagavano a quello che erano stati, si sfogava sul sacco da boxe.
In casa aveva fatto costruire in una delle tante stanza, che lui considerava inutili, una palestra. Ci aveva fatto appendere anche il sacco da boxe, in questo modo si sarebbe tenuto in allenamento.
Aveva fatto judo, karate, ma niente era come la kick boxing.
Aveva partecipato qualche volta alla gabbia perché lì pagavano bene; era riuscito anche a mantenersi per un po' con quello, prima che fosse trovato dalla mafja per giungere a quello che era oggi: un killer per commissione nel tempo libero, un mafioso il resto del tempo.
In quel momento stava picchiando il sacco immaginandoci qualcun altro e più calciava i piedi, più batteva sulla pelle i cazzotti coperti dalle fascette bianche e più il bisogno saliva. Era incazzato. Ma era come se stesse prendendo a pugni la parte di sé che l'aveva lasciata andare, quella che l'aveva trascinata dritta, dritta, tra le braccia di un altro, decisamente più giovane di lui e più scaltro.
Nella sua mente tornavano sempre le immagini di capodanno.
E lei era sempre lì, anche se non c'era, lui la faceva rivivere nei suoi pensieri.
Alexander si era lasciato convincere da Sam ed era finito ad aspettare il nuovo anno in una discoteca del quartiere.
Aveva bevuto già due birre e si accingeva a sfondarsi lo stomaco e l'esofago di vodka, suo grande amore.
Sam se la rideva mentre senza pudore setacciava con la lingua ogni centimetro di bocca di Donovan.
Lui nel frattempo si era lasciato abbordare da una finta mora, con un davanzale più che prosperoso e un vestito che non lasciava niente all'immaginazione.
In tutto quel frangente Alex si era davvero divertito a ballare, ad avere il sudore fin su le mutande, a toccare a più non posso quei corpi seducenti e a farsi toccare da quelle mani esperte e avide, affamate.
Aveva dimenticato quanto elettrizzante fosse stare lì, travolto da quella marea di persone senza anima, ma solo corpo.
Il dj continuava a mettere su hit del momento e la gente si fermava solo per bere un sorso, per poi ripartire e ricominciare più alticci e più carichi che mai.
Ad un certo punto la tipa lo condusse su per il bagno e si chiusero dentro.
Nemmeno si era interessato a chiedergli il nome, tanto sarebbe passata proprio come l'orgasmo che stava per avere.
Con una botta di reni ella chiuse la porta, inserendo poi la serratura a scatto.
Il bagno era strapieno di scritte colorate, volutamente voluto dal capo che andavano a coprire il nero delle mura.
Quel posticino che sfornava soldi tutti i fine settimana e forse oltre, era proprietà di un tedesco, un certo Klaus Meyer, che era finito a combattere qualche anno prima una guerra spietata tutta sulla droga contro i russi; quella era stata una guerra che il tedesco aveva finito per perdere. I russi erano decisamente il triplo rispetto a loro e quello, per non vedersi esplodere il locale, aveva accettato la tregua che gli era costata la piazza più grande di cocaina: ora era costretto a dare quasi il sessanta percento delle entrate della polvere ai russi.
Il gabinetto puzzava di piscio marcio, ma quella era troppo cotta per rendersene conto o per fregarsene minimamente. Tanto anche quelli del water affianco stavano facendo lo stesso.
Alex sorrise e si lasciò andare a quella ritrovata allegria data dal sesso con gli estranei.
Erano mesi che non entrava in una discoteca per fare quelle che solo gli ubriachi e chi si sentiva un modello professionista, con gli ormoni a palla, faceva. Per questo si lecco le labbra avidamente quando quella si slacciò il vestito rivelando due seni floridi.
─ È raro vedere uomini come te in questo posto. Sono tutti dei bambini ─ vociò la mora con voce roca, cercando di essere il più sexy possibile mentre gli andava a sbottonare la patta dei pantaloni.
Il cervello di Alex era già andato in tilt. Il sangue fluiva in una direzione, tutto era stato spento. Non stava pensando nemmeno più a lei.
─ Ah sì? E chi ti da la sicurezza che so fare bene il mio mestiere? ─ rispose scherzando il russo con la voce bassa, ma alterata dall'eccitazione. Quella non rispose, ma sorrise furba. Tanto non ci credeva nemmeno lui alle parole che aveva appena pronunciato.
Il killer capì le sue parole quando con uno slancio deciso gli abbassò i boxer firmati Calvin Klen e gli fece il più degli elettrizzanti lavoretti con la bocca che una donna mai prima di allora gli aveva fatto.
Quando anche la mora si rivestì, uscirono insieme da lì.
Nell'esatto momento anche l'altra porta del gabinetto si aprì e rivelò la figura di due ragazzi entrambi con i capelli biondi e gli occhi chiari, se non fosse che gli occhi di lei bruciavano diamante puro.
Alex guardò con un intenso sentimento di stupore il viso leggermente arrossato di Hazel e si incupì quando vi lesse serenità.
Il tizio che si era scopata era l'ucraino, quel Viktor.
E lui lo aveva conosciuto molto bene, semplicemente hackerando il server della polizia di New York. Il ragazzo aveva solo un precedente per furto, ma niente più. Si poteva dire uni apposto.
Lei non fece finta nemmeno di provare gli stessi sentimenti.
Prima ci fu lo sgomento, poi la furia di vederlo uscire da un bagno con una ragazza che era lontana anni luce da lei o da Maria, e Alex lo sapeva che il fuoco della gelosia le stava divorando le budella. Per questo sorrise dentro, anche se era sbagliato, anche se si era imposto di lasciarla andare, perché la sua felicità veniva prima di tutto. Ma in quel momento, entrambi lo sapevano bene, quel sentimento era lontano anni luce.
Quei due, la felicità non l'avevano nemmeno mai sfiorata.
Quando Viktor la strattonò dalla mano che aveva rinchiuso nella sua, allora lei tornò velocemente alla realtà e ancheggiando, nel suo mini dress pagliettato argentato e velato a V in vita, uscì da lì con il suo nuovo fidanzato. A volte a sentire quella parola rideva pure lei. Quello gli aveva detto fin da subito che l'amava, tanto, con tutto il cuore e lei aveva sorriso e lo aveva baciato, facendo tutto con la dovuta circostanza. Era un altro che voleva.
Tornarono entrambi in pista e non fecero altro che strusciarsi addosso ai relativi partener nel momento in cui i loro sguardi si incrociavano. Era come se si stessero sfidando a chi dei due fosse più bravo a mentire e a far ingelosire l'altro. Sembravano due ragazzi, due poppanti che si lanciavano continuamente stupide frecciatine solo per il gusto di farlo. Ma nell'ombra qualcuno tramava alle loro spalle.
Poi fu il turno della mezzanotte, del conto alla rovescia, delle urla del dj, del delirio della gente e dello champagne.
Nel frattempo il russo aveva scoperto che la mora si chiamava Acacia, che era di Miami, Florida, e che era lì solo per vacanza. Aveva un vitino stretto e le cosce in forma. Era sicuro che passasse più tempo in palestra che a casa.
Poi i suoi occhi incontrarono finalmente Hazel e nel caos del momento, riuscì a staccarsi la cozza di dosso - tanto era troppo ubriaca per capire cosa stesse accadendo - e si avvicinò alla biondina.
Scivolò tra il fiume in piena di tutti quei corpi sudati e alticci. Sentiva il tanfo di alcol dei loro respiri sul collo, sul viso, sulla mascella malamente sbarbata.
Quando l'ucraino si allontanò, per conversare allegramente con un suo amico, Alex allungò un braccio e le cinse la vita, facendo aderire il proprio petto con la sua schiena.
Tutti si fermò.
Il chiasso della musica, delle grida, delle risate dai toni alterati.
Tutto sembrò andare in rallentì.
Hazel e Alexander avevano il cuore che batteva all'unisono.
Lei aveva gli occhi sgranati, di un grigio più intenso.
Le sue mani intorno alla sua vita erano calde e sapevano di casa.
Si aggrappò poi ai suoi avambracci.
Poi il suo collo venne sfiorato dalla barba di Alex, che gli alitò dolcemente vicino il lobo dell'orecchio.
─ Sei bellissima, moja luna. Bellissima e dannatamente mia ─ e gli lasciò un bacio nell'incavo del collo.
E poi, così come era arrivato, se ne era andato.
Hazel sentì di nuovo quel vuoto dentro di sé e niente poté Viktor e le sue amabili carezze colmare.
Si fermò. Con le mani afferrò il sacco e vi appoggiò la fronte sopra.
Era madido di sudore: si era tolto la maglietta ed era rimasto solo in pantaloncini sportivi, quelli neri della Nike.
Per tutto il tempo aveva immaginato di prendere a pugni la faccia di Viktor, ma non era servito a niente, se non a farlo stranire ancora di più.
Sospirò. Si accorse che ormai non faceva altro che sospirare. Sospirava e subito il pensiero correva a lei. Per questo fu costretto a chiudere gli occhi.
─ Sono tre ore che cerco di rintracciarti su quel cazzo di telefono senza ricevere risposta. E poi vengo qua, entro e che cosa vedo? Uno che sembra l'ombra di quello che è stato un tempo Alexander il russo!
Alex aprì di scatto gli occhi e li puntò verso la sua direzione.
Sam era sempre il solito stronzo, ma quello che sapeva leggerlo dentro meglio di tutti.
Lui lo sapeva perché aveva dovuto lasciare Hazel.
Lui lo sapeva quanto significasse la ragazza per lui.
Come Alex sapeva che quelle parole non erano impregnate di veleno, ma volevano solo scuoterlo.
─ Che vuoi?
Il biondo lo guardò stranito, quasi lontano. Quella sua mente puramente macabra, venduta o scambiata al diavolo, stava partorendo uno dei suoi pericolosi pensieri.
Sì, perché quando Sam pensava questo era un atto decisamente cancerogeno. Come quando pensò di uccidere un uomo mettendo del filo spinato intorno ad una mazza da baseball; il viso dell'uomo era gonfio come una palla da calcio e dello stesso colore del succo ai frutti rossi, mentre un occhio destro era uscito leggermente fuori e la mascella completamente lacerata dalla seghettatura del filo. Era uno spettacolo raccapricciante, ma da Sam. Lo aveva letto in un fumetto.
In quel preciso istante, Alexander si stava chiedendo se dovesse o meno preoccuparsi.
─ Ha chiamato Kit e ha detto che è tutto tranquillo.
Alex apprese la notizia di quelle parole con estrema lentezza, mentre accennò ad un mezzo masticato si con la testa.
Aveva assoldato alcuni "bodyguard" che controllassero costantemente Hazel, in questo modo l'avrebbero tenuta al sicuro da qualsiasi minaccia esterna, o almeno ci avrebbero provato.
Però era lo stesso molto preoccupato, al quanto pensieroso.
Che fosse sempre e solo lui il problema? Ormai aveva finito per auto-convincersene.
─ Sam, perché secondo te non si muovono più? Che cosa cazzo stanno aspettando?
─ Un ordine da qualcuno, mi verrebbe da dire A.
La risposta del killer fu eloquente: diede un gran bel pugno con il braccio teso al sacco nero da box, che se ne stava appeso tramite un gancio di ferro al soffitto.
Il cigolio della catena era l'unico rumore udibile nella stanza, ma che riusciva a riempirla tutto in e ugual modo.
─ Il tempo di farmi la doccia e usciamo ─ e poi, prese l'asciugamano lasciato per terra e asciugandosi la fronte dal sudore, raggiunse il bagno.
Ma intanto qualcos'altro si era mosso. I russi si erano mossi e quella sera si erano decisi a dargli ascolto. Attraverso il suo amico Andreij, che aveva dei rapporti abbastanza stretti con Ruslan, il figlio del boss, dopo un mese era riuscito quindi a far muovere le acque. Tutto questo per abbeverare la sua sete di vendetta, sete che durava ormai da un intera vita. Ormai era quasi tutto pronto, nel momento in cui gli avrebbero comunicato il giorno e l'ora, a Dimitri sarebbe toccato solo che l'inferno.
Quando uscì dalla cabina armadio, con pantaloni neri e camicia bianca, si diresse verso il soggiorno, dove un Sam al quanto annoiato, stava aprendo qualsiasi mobile della cucina in mogano chiaro, perché aveva sete di super alcolici.
Alex alzò gli occhi al cielo e si abbottonò l'ultimo bottone bianco perla della camicia, e subito dopo si schiarì la voce solo per farsi sentire dal biondo, che in un attimo richiuse con uno scatto al quanto manesco lo sportello inferiore del cucinino.
─ Ci sono novità sugli irlandesi? ─ esordì il russo con tono freddo e concitato.
─ Stanno trattando con i messicani. Avranno un incontro, ma non sappiamo quando.
─ Sono quasi sicuro che dovremmo fare una visitina al caro e vecchio Kent.
─ Lo sai, sei ancora più allettante quando vuoi fare l'ironico newyorchese.
Alex gli rispose tirandogli addosso il cappotto color cammello di tremila dollari.
Quando uscirono dall'appartamento di Alex, entrambi decisero di recarsi al pub con l'automobile di quest'ultimo. Ma prima di andare, fecero un giro di ricognizione delle armi.
Aprirono il porta bagagli del SUV nero. Come catapultati in un film di Tarantino, entrambi furono investiti da una luce accecante, quasi dello stesso colore dell'oro e subito dopo i loro occhi misero a fuoco il borsone delle armi.
Ma prima di aprirlo, i due killer si scambiarono un'occhiata che rasentava il compiacimento.
C'era un intera fabbrica russa rinchiusa lì dentro.
C'erano pistole, due fucili a canna liscia semiautomatici, rivoltelle, varie armi narcotizzate, una carabina ad aria compressa e come la deliziosa fragola sulla torta panna e cioccolata, spiccava invincibile un lanciarazzi.
Sam ne tastò la consistenza. Era freddo. Sentì i peli del braccio contrarsi e un sorriso sinistro dipingersi in volto: era elettrizzato.
─ Cazzo amico, e questo dove lo hai preso? Hai per caso svaligiato China Town?
Alex sorrise e fiero di sé alzò le spalle, mentre si portava una sigaretta alle labbra, combattendo con quel misterioso vento per accenderla con lo zippo argentato.
Prese una bella boccata di fumo, aspettò che venisse inghiottita e poi con il suo solito tono piatto, ma che tradiva un certo divertimento, rispose: ─ diciamo che i russi sanno come far felice un uomo! ─ e con la mano destra che aveva libera, richiuse la zip del borsone e subito dopo il cofano dell'auto.
Finalmente salirono in macchina e si diressero verso i pub di proprietà del club: era ora di riscuotere quello per cui venivano pagati.
Mentre erano in auto, Sam accese la radio e premette il tasto play del registratore.
All'interno vi era inserito un vecchio CD dei Linkin Park.
La voce del cantante, Chester, riempì l'abitacolo con il suo potente timbro.
Alex ricordò di essere stato una volta ad un loro concerto e si era divertito da matti. Si ricordava delle birre che aveva buttato giù, del caldo nonostante fuori nevicasse, del rumore assordante che trapanava le orecchie e quella sensazione di eterno benessere. Era a Berlino, in Europa e tutto era così diverso dalla realtà americana. Tranne forse per la neve sporca per via dello smog.
Ci era andato perché era stato invitato da una amica berlinese, che a quel tempo era solo qualcuno da usare per il sesso e aveva deciso di portarsi dietro pure Sam. Fu proprio lì che il biondo riuscì a confessargli di essere gay, nonostante l'amico l'avesse capito da tempo.
─ Sam, posso farti una domanda?
La sua voce, quella strana richiesta, arrivarono così inaspettate alle orecchie del giovane, che sentì il cuore aumentare di un battito, eppure era una domanda semplice: doveva rispondere solo sì o solo no.
─ Dimmi.
─ Perché hai deciso di entrare nel clan? Voglio dire, tu sei un ragazzo di buona famiglia, tuo padre fa l'imprenditore, è un milionario...
─ Appunto, lui è un milionario. Io era solo una persona che era capitata nel suo percorso per caso, così come il matrimonio, le cene forzate della domenica dai nonni, i ricevimenti con a seguito il fardello della famiglia, perché intendiamoci, lui lì ci andava solo per scopare con quelle troiette che loro stessi pagavano. Mio padre fa schifo come padre, così come il tuo, eppure lui voleva per me un futuro brillante. All'inizio ci stavo pure, ma poi capii cosa ci fosse sotto: doveva fare sfoggio di me come un cazzo di trofeo davanti a quei rotti in culo dei suoi amici. Per questo ad uno dei tanti ricevimenti, dove anche io avevo scoperto il piacere del sesso, avevo mollato quel cazzone del figlio degli Stannis - un azionista di mio padre e mezzo legato al triplo K - e decisi di darmi un altro uomo. Era forse uno degli uomini più belli presenti nella sala, e tutte quelle frustrate donne di mezz'età gli rivolgevano occhiate incenerirtici. Cazzo se se lo stavano mangiando con gli occhi! ─ e rise, dando un colpetto al braccio di Alex che nel frattempo lo ascoltava assorto.
─ E questo venne da me, mi mise una mano sul culo mentre si accingeva a parlare con mio padre di affari; il vecchio però aveva qualcosa di diverso nello sguardo: era come se si stesse cagando addosso. E poi io e quell'uomo finimmo in bagno, ma non sto qui a raccontarti di certo i particolari. Mentre lo sto per spogliare, questo mi ferma, mi da uno strattone e mi inchioda alla porta del cesso. Ma era troppo tardi perché io la pistola l'avevo già toccata. All'inizio pensai fosse un buttafuori, ma ai buttafuori non è permesso conversare con gli invitati. Gli parlai, vide che non ero spaventato ma solo molto curioso. Il giorno dopo volli sapere chi fosse quell'uomo. Mio padre sapeva che fossi gay e quello fu il giorno in cui riuscì a buttarmi addosso tutta la merda che provava per le persone "come me" ─ e fece il gesto delle virgolette, mentre un sorriso tirato, che sapeva di delusione, si incastrò sulle sottili labbra, ─ ma nonostante ciò, scoprii il nome di quell'uomo... ─ e mentre stava per dire il suo nome, Alex lo anticipò.
─ Era quello stronzo di Damon, vero?
Sam sorriso compiaciuto e fece un segno di assenso con la testa, poi riprese il discorso.
─ Insomma, Damon o Rob, mi insegnò tutto ed io entrai nel clan. Tanto avevo già istinti omicidi da bambini.
Poi, mentre Alex imboccava obbligatoriamente la strada di sinistra, entrambi scoppiarono a ride.
Finalmente erano giunti nel quartiere newyorchese che veniva chiamato anticamente Five Points, ricca, anzi piena zeppa di criminalità, mentre oggi una delle vie più antiche di New York, con la strada ancora in acciottolati e una serie quasi infinita di pub, ristoranti, dal sapore di una vecchia Irlanda ormai andata. Era Stone Street Historic District a due passi dall'elegante Wall Street e vicino al South Ferry, nel distretto finanziario.
Con passo deciso, dopo aver parcheggiato la macchina lì vicino, cominciarono a percorrere quel viale che sapeva di una New York dei primi anni del proibizionismo, ma che comunque, cozzava contro gli alti bastioni di cemento, che tra un tetto e l'altro, si intravedevano alla debole luce del sole.
Erano le sei e mezza di pomeriggio, e nella grande mela solo i turisti occupavano le strade, così come quella strada che si andava via, via riempendo di energia, vivacità, colore.
Certamente, quello che spiccava maggiormente, era l'odore acre della birra.
In velocità i due passarono il pub Dubliners, Ulysses, tutti sotto gli occhi attenti dei proprietari che sapevano bene chi fossero quei due strani individui vestiti completamente di scuro, con gli occhi carichi di una strana, ma al quanto sinistra energia. Faceva freddo in quei giorni in città, ma la neve era stata ormai sporcata dalle macchine, dallo smog ed era finita col divenire grigia. Eppure, nel momento in cui quel bizzarro e mostruoso duo era sceso dalla macchina, il cielo aveva ripreso a buttare giù piccoli batuffoli di cotone gelato.
Alex si concesse un affrettato, sciatto e disinteressato sguardo a quegli occhi che li osservavano famelici, ma brucianti di impotenza. E poi si fermarono di fronte l'Irish Pub e semplicemente si fermarono. Alex si aggiustò meglio il bavero del cappotto e Sam invece scioglieva i muscoli del collo come se quello che stesse per affrontare fosse un incontro di boxe.
Poi, lanciandosi uno sguardo, entrarono.
Kent non si sarebbe mai aspettato un affronto così a muso aperto.
C'era della gente nel locale, così come c'era gente fuori dal locale.
Però tremava, nonostante sapesse che quei due non agivano così frettolosamente perché non erano stupidi; quella era gente che prevedeva perfino il numero esatto di pallottole da sparare.
Per questo stette al proprio posto, senza dire o muovere un solo muscolo, ma con l'unica volontà rimastagli di poter pregare.
─ Allora Kent, adesso farai esattamente quello che noi ti diremo e nessuno ti farà del male, intesi?
Vedendo che l'uomo non dava nessun segno di vita, Alex si schiarì semplicemente la voce e aggrottò la fronte, ma fu subito messo a tacere dal debole acconsenso uscito dalla bocca dell'irlandese.
─ Bene, adesso fa uscire tutti e chiudi il locale.
L'uomo cominciò a sudare freddo e in un impeto di coraggio, ma dato dalla paura, si girò in direzione di suo fratello Bob. Lo sguardo che gli lanciò fu decisamente eloquente. In quel gesto così semplice e abitudinario, gli stava intimando di pregare per lui, di aiutarlo, di provare a difenderlo, di sottrarlo alle mani di quei divoratori di anime, demoni incastrati in corpi di uomini. Ma il fratello sembrava incastrato, esattamente come lui, in quella lavatrice di lame appuntite. Perciò Kent vi lesse solo rassegnazione.
I due, sempre molto lentamente e cautamente, si diressero verso i commensali e uno per uno - quest'ultimi con l'espressione di profondo sdegno e disapprovazione - si alzarono; ad alcuni sfuggirono dalla propria bocca epiteti poco carini.
Kent vide tutte le fatiche di una vita andare distrutte, cadere a terra come cocci vecchi senza poterli fermare.
Si erano ormai frantumati. Schiantati su quel lurido pavimento in legno, che portava ritratti i segni di mille storie diverse, di mille personalità distanti le une con le altre.
I due criminali si avvicinarono, una volta chiuse le porte, verso il grande bancone in legno posto all'entrata del locale e si sedettero su uno degli sgabelli lì presenti.
Così, una volta che Alex si tolse il pesante giaccone e lo ripose, piegato ordinatamente, sullo sgabello di fianco, si schiarì la voce e poggiò i gomiti sulla superficie liscia, con le mani incrociate a mo di preghiera.
─ Dunque, Kent, ci hanno riferito che hai dei contatti con i messicani.
L'uomo non rispose, si limitò soltanto a posizionare due shot di whisky sul bancone.
Poi, solo dopo aver riposto la bottiglia sulla mensola anteriore, l'uomo rispose.
─ E se anche fosse? Non avevo mai firmato alcun contratto con i lupi verdi ─ e si fermò, mentre puntava gli occhi in direzione di Alex, tradendo però, una certa preoccupazione.
Tutto si stava muovendo come si era aspettato.
L'irlandese aveva sempre questa sua arrogante superiorità da soldato della grande repubblica irlandese, anche se voleva celare quella sorda paura che tutti, vecchi e giovani, sentivano nello stomaco ad un passo dalla morte.
─ Non sono qui per sentire cazzate e ne tanto meno per raccontarle. Adesso o ti decidi a parlare oppure te lo faccio fare io al tuo posto ─ tuonò autoritario, mantenendo quella sua assoluta compostezza.
Sam nel frattempo si era alzato, aveva raggiunto l'altra parte del bancone, quella dove solitamente stavano i camerieri e i barman, e prese ad affogare lo stomaco con altro whisky irlandese, della migliore fattura.
─ Che cosa vuoi sentire Alex? Che sono arrivati e hanno minacciato di uccidere me e la mia famiglia? Di bruciarmi il pub e la casa? È questo quello che vuoi, dannato di un comunista del cazzo!
E c'era tutta la rabbia, tutto il rancore di non aver il potere di sottrarsi a questi uomini letali, senza riserva alcuna, senza religione, senza morale o pudore. Dei dannati bastardi senza anima.
─ Perfetto, se la metti così ─ e tirò fuori dalla fondina la sua Glock e la sbatté senza alcun ritegno sul lucido bancone e semplicemente lo fulminò con uno sguardo.
Poi prese dal pacchetto una sigaretta e senza curarsi minimamente del cartello appeso al muro, sopra le mensole dove vi era riposto l'alcol, se la portò alle labbra per poi accenderla.
Tirò, ingoiò il tabacco bruciato e poi lo sputò fuori, lasciando andare una nebbiolina grigiastra alzarsi in cielo.
─ Vedi, Kent, la vita è tutta una questione di scelte. Io ho fatto la scelta di uccidere, tu quella di vendere ed obbedire. È semplice come concetto no? È Sam, è semplice no?
Il biondo si limitò a scolarsi un sorso dal bicchiere e poi ad annuire, sbattendo il vetro sul tavolo.
─ E quindi saprai anche che sta per accadere adesso, no?
Alex non crede nel destino, nelle seconde opportunità, in una vita facile, al lavoro redditizio senza compromessi, ad una sana e senza infamia politica; lui crede nella realtà nuda e cruda, al sole che cala e alla luna che appare, allo sbrigarsela da soli, al crescere con un padre bastardo e ai soldi facili. E poi crede nella potenza delle armi automatiche, nelle minacce, all'amore che uccide il cuore e ti rende sordo, cieco, debole. E lui quella cazzo di debolezza se la stava sentendo proprio adesso, mentre una strana sensazione saliva su per le punte dei piedi.
Per questo dovette togliere la sicura alla sua migliore amica, puntarla dritta sulla fronte dell'irlandese e mantenere saldo l'indice sul grilletto.
─ Che cosa volete che faccia? ─ disse in una voce che sapeva più di preghiera che di altro, mentre il pover'uomo - che tanto angelo non era - prese a balbettare.
─ Da questo momento in poi tu farai tutto quello che diciamo noi, e se questo vuol dire dover fare un pompino a qualcuno, tu cazzo se lo farai!
Lui assentì con la testa energicamente e poi Alex abbassò la pistola e rimise la sicura, ma senza smettere di guardarlo.
─ Ora tu dirai a Patrick che sono venuti i Green Wolf, che ti hanno fatto domande sul carico, ma devi dirgli che tu non gli hai detto niente e che allora loro hanno preso a picchiarti per farti parlare ─ e prima che l'uomo afferrasse appieno il senso di quelle parole appena pronunciate, Sam gli fu vicino e lo colpì con il tira pugni in pieno viso.
L'uomo cadde a terra strillando dal dolore, ma venne ripreso sempre dal biondino, che lo tirò per i capelli: sulla faccia un evidente striscia in diagonale rossa, che arrivava a toccare anche l'occhio sinistro.
─ Ma tu non hai resisto, l'età è quel che è ─ e si fermò un attimo, giusto il tempo per sputare fuori il fumo e controllare chi diavolo fosse al telefono. Quando vide che si trattava dei russi, allora riprese il discorso da dove lo aveva interrotto, ─ per questo ti sei inventato una cazzata sul momento.
Kent nemmeno prestava attenzione, non più oramai. Il dolore pulsava sulla faccia come una lama che entrava ed usciva.
Ma comunque fece sì con la testa.
─ Ora, noi ce ne andremo, ma prima devi vedere questa lista e verificare se le armi che quegli stronzi ti stanno vendendo siano tutte. Bada di non fregarci.
Kent prese il foglio con mani tremanti, mentre il foglio bianco veniva pasticciato dal rosso del sangue.
L'irlandese lesse tutto e una volta fatto, ripiego il foglio sul tavolo, restituendolo ad Alex, che nel frattempo aveva buttato il mozzicone di sigarette in un punto imprecisato del pavimento. E tirò su con il naso.
─ Nella lista manca il bazuka.
Alex lanciò uno sguardo sorpreso a Sam ─ hai sentito Sam, hanno anche un bazuka ─ e nel tirare fuori un altro foglio questa volta di colore giallo, di quelli fatti con la carta riciclata, sorrise tirato.
─ Questa è invece la lista dei nomi che sono immischiati nell'affare dell'IRA.
Ma Kent lesse i nomi in religioso silenzio e non aggiunse altro.
─ Sicuro Kent? ─ chiese il russo, quasi come se nella stanza ci fossero stati solo loro due; lo sguardo questa volta era più attento, puntato verso quello di Kent come a volergli intimare di continuare a parlare, come se entrambi i killer sapessero e nonostante ciò, stavano dando un'altra possibilità al vecchio, possibilità che lui non seppe afferrare.
─ No, è tutto lì ─ rispose con voce rotta dal dolore, mentre si portava una mano verso la ferita sanguinante.
Alexander e Sam si guardarono senza aggiungere altro.
─ Perfetto, allora dovrai solo dirci a quando lo scambio e noi toglieremo il disturbo.
─ Lunedì, all'ex zona industriale, alle 10:00.
Alex riprese i fogli, li ripose in tasca e poi indossò la giacca. La pistola nella fondina ascellare in pelle nera. Tirò giù l'ultimo sorso di whisky e poi finalmente si alzò.
Nel frattempo anche Sam si era fatto vicino, accompagnato da un forte odore di rum.
Prima di uscire Sam si rivolse verso il vecchio: ─ Buona giornata, soldato.
Kent tremò e si appoggiò al bancone, mentre il dolore pulsante sulla guancia sembrava essere improvvisamente sparito.
Nel frattempo i due si incamminarono verso il posteggio dell'auto, mentre tutti li osservavano quasi rapiti, con astiosa ammirazione.
─ Il vecchio ci ha mentito, sulla lista mancavano i nomi di Gonzales e di Grey.
─ Lo so, Sam, lo so.
Chi sa perché ma dal giorno in cui i due amanti si erano detti addio, Alexander era diventato più rabbioso che mai. Era come un cane che era stato tenuto per lungo tempo rinchiuso in una gabbia e poi improvvisamente il cancello di quest'ultima si era aperto, rivelando la libertà. Era tornato ad essere il lupo azzannatore e senza morale di un tempo.
Un telefono prese a squillare. Era per il russo.
─ Priviet Aleksander, a kak diela?
─ Andrej che novità hai?
─ Oh, caro mio, non puoi nemmeno immaginare che cosa ho per te.
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