Capitolo 3
Il ragazzo che il club dei lupi verdi gli aveva affibbiato aveva dalla sua sola l'altezza, per il resto non c'entrava veramente niente con quel lavoro. Ma se il ragazzo era stato affidato ad Alex il russo, l'uomo dagli occhi di ghiaccio, un motivo c'era.
Eh sí, perché Alex ero uno dei pochi che sapeva svolgere il proprio lavoro al meglio ma soprattutto uno dei pochi depravati, sia pazienti che tolleranti.
Sam non era ancora arrivato, ma questo era tipico di lui: farsi aspettare.
Intanto aveva però scoperto che Donovan aveva 21 anni, proveniva da una famiglia borghese americana del profondo sud dell'Alabama, aventi origini scozzesi.
Alto, pelle diafana, sorriso splendente, occhi marroni e capelli color corvino, anzi no, puro petrolio.
Non aveva ancora avuto l'onore di scoprire quali fossero le cicatrici che si portava dietro. Non quelle fisiche che si incontrano con gli occhi, ma quelle interne, quelle che lo avevano spinto a fare questo passo.
─ Da quanto stai nell'organizzazione? ─ domandò Alex mentre il ragazzo davanti a lui, stava seduto dritto con la schiena attaccata alla poltrona di pelle rossa.
Era troppo aristocratico per poter svolgere quel lavoro, constato nella sua mente.
Erano nell'ufficio del vice capo e aspettavano con pazienza, fin troppa anche, Sam.
─ Un anno circa. E da un anno mi sto allenando per le missioni.
Fece un cenno con il capo, anche se sapeva che il ragazzo gli dava le spalle e che quindi non poteva vederlo.
Un rumore acuto, come se qualcuno stesse dando un calcio e la porta si aprì sbattendo contro il muro. Sembrava che volesse cavarla quella maledetta porta. Lo aveva già detto che odiava la teatralità del compagno?
─ Buongiorno gente! Scusate il ritardo ma ieri sera sono andato a dormire veramente tardi. Comunque dov'è il coglione di cui saremmo i babysitter?
Se fino a quel momento Alex aveva tenuto gli occhi fissi sulle scarpe nere, a quel punto dovette alzarli. Puro ghiaccio.
─ Noi?! Vorrai dire, Alex dovrà fare da babysitter, coglione!
Il ragazzo biondo non sembrò prendersela minimamente, anzi, sembrava proprio che tutta quella situazione lo divertisse.
─ Oh, il russo che fa il simpatico. Devo fare ritardo più spesso allora.
Si lanciarono uno sguardo che voleva dire tanto e niente, allo stesso tempo.
Alex che sicuramente, una volta usciti da lí, lo avrebbe picchiato e Sam che avrebbe fatto altrettanto. Poi sarebbero andati a bere e tutto sarebbe tornato come prima. Funziona così tra loro.
─ Piacere, Donovan il coglione.
Il biondo si girò nella direzione della voce che aveva appena interrotto quello scambio di occhiate tra i due e guardò con disgusto la mano che l'altro gli porgeva, facendo così scomparire quel sorriso di scherno sulla faccia del ragazzino.
─ Piacere, Sam lo psicopatico. Devo dire Donovan, che il primo soprannome è quello che non si scorda mai. E penso che il tuo non lo farò di certo.
Nel guardarli da fuori coms fa uno spettatore al cinema, Alex si accorse che non c'era solo del divertimento in quelle pozze nere, ma alleggiava l'ombra di qualcos'altro. Sembrava quasi che fosse davvero felice di conoscere Donovan, quasi volesse andare oltre la conoscenza del nome, ma diceva anche che non voleva la sua mano stretta nella sua, ma la sua mano in un altro posto del suo corpo.
─ Sam ti affido Donovan per domani sera, io ho delle questioni da risolvere, ma oggi gli farò vedere come funzionano le cose qui.
Fu Alex con il suo tono autoritario nella voce a parlare, tagliando con forbici invisibili quella bolla che si era creata tra i due ragazzi poco prima.
─ D'accordo, ma so già come funzionano le cose qui. ─ rispose con un certo orgoglio il ragazzo, portando il petto asciutto in avanti e alzando la testa, da vero duro.
Di male in peggio. Pensò Alex.
─ No, invece. E quando ti dico di fare una cosa tu prendi, stai zitto e cazzo se non la fai.
Secondo Alex le parolacce servivano ad attirare l'attenzione pienamente su di se, perché in quel modo, non si rincorreva a fraintendimenti e si arrivava con meno difficoltà al punto desiderato.
Il ragazzo annuì semplicemente, riabbasando la testa.
─ Bene, adesso scusaci ma io e Sam dobbiamo parlare in privato. Aspettaci fuori.
Così fece. Con la coda tra le gambe, si incamminó e uscì dalla stanza, non prima di aver riservato un ultimo sguardo al biondo.
─ Smettila di provarci, non pensarci minimamente.
Il ragazzo perse tutta l'allegrai di poco prima, lasciando spazio ad un viso serioso e dai lineamenti contratti. Era qualcosa che andava a scontrarsi con quel viso gioviale e giovane.
Alex ostentava sempre una fredda indifferenza, in ogni stante. Sam pensava se in quegli anni di conoscenza con l'amico, l'avesse mai visto accennare ad un sorriso o semplicemente fare una smorfia di dolore, poi ci pensava ed era costretto a dissentire. Mai un emozione che trapelasse da quegli occhi così belli e incantatori, tanto quanto gelidi ed inespressivi.
Non avrebbe tentato minimamente di far finta di non capire, perché sapeva che non avrebbe funzionato, non con l'uomo che più di ogni altro gli aveva dato una mano quando serviva. Non con l'unico amico che aveva e che lo conosceva davvero come le sue tasche.
─ Perché no, lui ci sta e si vede. Non vedo dove sia il problema.
Ma ad Alex quella risposta non piacque per niente, come non piacque l'atteggiamento altezzoso dell'amico.
─ Invece il problema c'è e come,- rispose guardandolo dritto negli occhi, ─ è un tuo collega e nel lavoro le storie non debbono esserci.
Il ragazzo sentì dentro di se nascere un miscuglio di emozioni diverse. Prima fastidio, per l'amico che si impicciava dei fatti propri, poi rabbia perché nessuno mai, si era azzardato a dirgli cosa fare nella vita in generale e nelle situazioni private, ed infine prevalse la consapevolezza della verità dietro quelle parole. Fece solo un cenno di assenso e il discorso finì lì.
Ma non per Sam, a cui venne in mente un idea, per l'amico ovvio.
Uscirono e trovarono il ragazzo a pochi metri di distanza, seduto su una sedia, mentre i due uomini non poterono non scambiarsi una fugace occhiata. Fu Alex il primo a muoversi dei due, e fu sempre lui che torreggiava con la sua corporatura e la sua altezza, su i ragazzi.
Scesero nel garage e presero la macchina di Sam, un utilitaria nera con vetri oscurati.
─ Dove stiamo andando? ─ era lecito che Donovan chiedesse ed era preoccupante se non lo facesse.
─ A bere qualcosa, tu non hai sete Alex? ─ fu Sam a rispondere, mentre Alex si accomodava sul sedile del passeggero, vicino al guidatore.
─ Molta, Sam. Ma ho scordato il portafogli, paghi tu?
─ No, caro forse può prestarceli Donovan.
Il ragazzo che era stato ad ascoltarli in silenzio per tutto quel tempo, sbuffo sonoramente e guardò fuori dal finestrino, fregandosene della domanda che gli avevano appena posto.
─ Deduco che sia un si! ─ riprese con fare scherzoso Sam.
─ Già.
Finalmente giunsero ad un bar piuttosto fuori dalla zona di Brooklyn.
All'entrata c'era questa scritta al quanto vecchia , una luce al neon, con mancante delle lettere ma che comunque ci si poteva arrivare.
"Benny's"
Nome pittoresco. pensò Donovan.
-Qui vendono il miglior bourbon della città.- fece Sam scendendo dalla macchina.
Il tintinnio della porta avvisò il proprietario dell'arrivo dei nuovi clienti, che come di consueto, li accoglieva con un sorriso sulla labbra. Ma non quella volta. Il chiacchiericcio che è cosa normale per i luoghi pubblici, sparì quando quelle tre figure, vestite rigorosamente di nero o di altri abiti scuri, fecero il proprio ingresso nel locale.
Loro parvero non accorgersene, forse Donovan, che si stava domanda perché quel silenzio che si riserva solo ai morti, ma poi i conti tornarono. Sapeva dal principio chi erano quei due uomini che ad una prima occhiata potevano sembrare come tutti gli uomini regnanti sulla terra, con una normale famiglia, una casa normale ed un lavoro umile ma normale. Ma non per Sam e Alex. Non per loro due, che di mestiere facevano i killer.
Si sedettero ad un tavolo, distante dalla porta di entrata e immediatamente, come posarono i sederi su quelle poltrone che puzzavano di pelle e di vecchio, arrivò il proprietario, questa volta con il sorriso un po' tirato, ma stampato su quella faccia rugosa che ne aveva viste tante.
-Cosa vi porto ragazzi?- chiese teso ma in tono gentile.
-Il solito- rispose Sam, senza nemmeno guardarlo in faccia, mentre era più interessato al paesaggio desolato del grande finestrone a destra.
-Ti starai chiedendo come mai, sembra un cimitero e non un bar.- il silenzio fu spezzato dalla voce cadenzata e con un accento strano, da Alex, che aspetto che il proprietario si allontanasse per rivolgersi verso Donovan. Il ragazzo moro annui e lo guardò incuriosito.
-Beh, questo è un bar di nostra proprietà, o meglio, di proprietà del club.-
E così per l'ennesima volta, Alex si ritrovò a spiegare la storia dei bar e del club.
Il bar all'esterno, di solito vicino la porta, aveva ritrattato una sorta di simbolo, che fungeva da riconoscimento di proprietà. Era normale non farci caso se non si veniva fatto notare, lo sarebbe stato se si fosse notato subito. Il simbolo del loro club di appartenenza era una X in grassetto nera, il club invece era una sorta di clan mafioso, ma quella parola non veniva mai menzionata, ne in privato e ne tanto meno in pubblico, sembrava spaventarli, dare l'idea agli altri di essere mostri assassini assetati di sangue. Ma loro non erano come i mafiosi italiani, loro erano un'altra specie. Molti di loro, un esempio riguardava sia Sam che Alex, venivano assunti da uomini, di solito in giacca e cravatta, per uccidere e quindi si trasformavano in sicari oppure si occupavano di comprare e poi rivendere la droga, o ancora del traffico di armi, ma mai dello smaltimento dei rifiuti perché per loro, quello voleva dire essere veri e propri mafiosi. Poi controllavano le zone e con essi i bar o i negozi, li affittavano e i proprietari pagavano il riscatto. Spesso quei bar venivano utilizzati come depositi per le armi o per la droga.
-Non è il pizzo?- domandò Donovan.
-Se lo fosse non ci sarebbe il riscatto. Vedila come una sorta di affitto di casa o di negozio, alla fine uno che fa? Paga l'affitto per non essere cacciato. La sola differenza è che avvolte chiediamo a questi bar, di scrivere delle cifre, che non hanno guadagnato, ma che devono tenercele per conto nostro, solo per poco tempo.- spiegò Sam, mentre finiva il suo terzo bicchiere di Bourbon.
-Capisco.- rispose il ragazzo ma poi continuò –e oggi siamo qui, perché immagino dobbiate riscuotere.-
-Bravo, sei molto sveglio, questa è una dote fondamentale se vuoi fare questo lavoro.- rispose Alex, mentre beveva l'ultima goccia e andava verso il proprietario, che in quel momento era diventato più bianco del solito.
Alex vestiva sempre di nero, ma se c'era una cosa che odiava era quella giacca di pelle che doveva indossare perché sopra c'era cucita questa grande toppa rappresentante una faccia di lupo, con zanne affilate che usciva da un cerchio fatto di pistole.
Si sedette sullo sgabello e rivolse il suo sguardo al tavolo dove sedeva poco prima, lanciando di volta in volta, un occhiata anche agli altri tavoli. Riconosceva nella faccia di quegli uomini i clienti abituali, c'era di fatto Lenny che se ne stava a bere birra dalla mattina alla sera, cosa che aveva cominciato a fare da quando era uscito di galera, ovvero più di tre anni addietro, però gli era di grande aiuto per quanto ricordava gli avvertimenti verso i nemici. Al tavolo di fianco a quello di Lenny c'erano Stanis e Alfred che se la litigavano per una partita persa con le carte dove uno accusava l'altro di aver barato. La sua espressione cambiò quando i suoi occhi si posarono su quello che sembrava un nuovo cliente, troppo sulla difensiva per essere uno che se la stava godendo in quel momento, sembrava quasi che dovesse schizzare fuori da un momento all'altro.
-Chi è quell'uomo Frederich?- chiese Alex, distogliendo per un attimo gli occhi dall'uomo vestito di nero.
Frederich capì al volo l'uomo, tant'è che non ebbe nemmeno bisogno di guardare nella direzione dello sconosciuto.
-È entrato questa mattina ed è li da un po', ma mi dispiace, non so minimamente chi sia.-
Alex fece si con la testa e poi un'altra domanda fece capolino nella sua testa.
-Ha pagato?-
-Si ed in contanti anche.-
Un uomo misterioso, l'unico che indossava un cappotto nero di panno e non una camicia da boscaiolo li dentro, un uomo che non faceva parte del suo club e che per di più aveva già saldato il suo conto e lo aveva fatto in contanti. Si, doveva per forza essere qualcuno pagato per spiare Alex e Sam. E sapeva anche, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, che quell'uomo faceva parte del club di Patrick, i Dumbster.
-Cambiando discorso, il pacco è pronto?-
Con l'espressione " il pacco è pronto" ovviamente si intendevano i soldi, la paga, insomma l'affitto, quello per cui Alex e co., erano li, in pieno giorno.
I due si guardarono per pochi istanti e poi il vecchio rassegnato si avvicinò alla cassa, estraendo poi da essa una busta chiusa color senape.
La diede ad Alex e quest'ultimo la nascose nella tasca interna del giaccone di pelle. Diede un ultimo saluto a l'uomo e poi si avvicinò al resto della sua compagnia. Mentre il barista riprese a pulire con un panno bianco i bicchieri per le pinte.
Intanto Sam era arrivato a bere cinque bicchieri di Bourbon mentre Donovan era assorto nel guardare fuori dalla grande finestra. Alex ancora una volta si chiese cosa ci facesse quel ragazzo li, cosa c'entrasse lui in quella vita, fatta di violenza e sangue. Uno apposto, un ragazzo così per bene. In che casini si era andato a cacciare?
-Andiamo, il vecchio ha saldato il conto e qui dentro c'è compagnia che non mi piace.-
Dicendo quelle parole guardò dritto negli occhi di Sam, che si fecero subito comprensivi. Il biondino si alzò e si rimise il giaccone che aveva poggiato in precedenza sullo schienale della poltroncina mentre diedi un calcio leggero da sotto il tavolo, sul piede di Donovan, per farlo svegliare da quell'intorpidimento di cui era protagonista.
-Andiamo bello, forza su.-
Detto quello lasciarono il locale, non prima di aver regalato un sorriso e un saluto all'uomo vestito di nero in fondo al locale, che parve improvvisamente sbigottito da quel saluto.
-L'uomo è quel che penso...russo?- chiese Sam mentre si avvicinavano alla macchina, parcheggiata a qualche isolato di distanza.
-Si, che cogline. Pensava forse che non ce ne saremmo accorti?-
Mentre loro due parlavano e inveivano su l'uomo, deridendolo anche, Donovan era in uno stato confusionario e per la millesima ed una volta, si chiese cosa ci facesse tra quei due, ma si chiese soprattutto cosa sarebbe diventato. Un pazzo psicopatico come il biondino dagli occhi catrame oppure un apatico come il russo? In entrambi i casi quella realtà fatta di intimidazioni, non gli stava poi così tanto simpatica. E pensare che voleva fare l'anarchico lui.
-Sam, dammi le chiavi.-
Sentire la voce di Alex lo fece ancora una volta tornare a dove si trovava.
-Perché? Ti ricordo che la macchina è la mia.- rispose Sam con il suo solito tono da bambino viziato.
-Sei ubriaco e non possiamo permetterci di farci prendere dalla polizia. Abbiamo un lavoro da svolgere.- rispose Alex con la sua solita compostezza, che faceva ogni volta, mandare in bestia Sam.
-Sam è un ordine. Dammi quelle dannatissime chiavi.- ancora niente rabbia solo e sempre calma.
Si guardarono per un attimo e poi Sam cedette le chiavi e con esso anche la vittoria.
Entrarono e Alex, quando si furono accomodati, accese il motore e partì.
-Abbiamo compagnia, amico.-
Certamente doveva essere l'uomo di poco prima e per capirlo non ci voleva un fottuto genio.
-Dio che coglione. Gliel' abbiamo pure fatto capire che sapevamo della sua presenza, ma lui è troppo coglione evidentemente, per afferrare questo semplicissimo concetto.- era stato ancora Sam a parlare perché aveva portato i suoi grandi occhi verso lo specchietto retrovisore.
Alex sorrise nel sentire i rimproveri dell'amico sapendo anche che lui avrebbe tanto voluto adottare altri provvedimenti, in merito al lasciare messaggi.
Ma sapeva bene che per sbarazzarsi dell'uomo, ci voleva un solo modo, usare la violenza.
-Lo sai cosa si dice dei pazzi, Sam?-
Si guardarono e si sorrisero all'unisono.
Ma non era uno di quei sorrisi di divertimento, era un sorriso gelido senza ironia, almeno la loro di ironia.
-No, Alex cosa si dice dei pazzi?-
-Che debbono essere sempre accontentati.-
Detto questo sterzò a destra entrando in un vicolo che di notte era poco raccomandabile per le ragazze che giravano da sole. Uno di quei vicoli della periferia dove ogni sera, si consumavano ingenti quantità di droga.
Poi verificarono se il tizio dietro di loro li stesse seguendo e a quanto pare, era stato davvero tanto stupido da farlo.
Il piano consisteva di portarlo in uno dei loro garage (dove la gente faceva finta che non esistessero).
-Donovan, a quanto pare, assisterai ad un concerto anche prima della data stabilita. Sei contento, ragazzo?- Sam si rivolse al ragazzo che dietro di loro, assisteva allibito ed interessato alla scena. In un certo senso, in cuor suo sapeva cosa sarebbe accaduto a quell'uomo che si era messo di mezzo tra i due ragazzi ma non voleva accettarlo, per lui tutte le vite erano un dono prezioso, ma però si ricordava per quale motivo si trovasse li e allora tutto cambiava. La morte diventava cosa buona e giusta, e nello stesso tempo la violenza veniva giustificata.
Come era quel detto?
Ah già!
Il fine giustifica i mezzi.
-Contento, Sam. Contento.-
Dal canto suo, il biondino sorrise e i suoi occhi si accesero di una luce sinistra.
Che avesse già in mente il modo più doloroso per mandare all'altro modo il coglione?
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