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Capitolo 28


Alexander non era riuscito ancora a chiudere occhio. Nonostante fossero tornati insieme a casa sua - su richiesta di Hazel, poiché sapeva che una volta rientrata a casa, avrebbe dovuto dare spiegazioni a Chris, spiegazione che in quel momento non avrebbe potuto dare - era rimasto tutto il tempo a fissare il soffitto con gli occhi spalancati.
Sentiva in modo distratto le macchine sfrecciare fuori dalla stanza e i passi pesanti dei condomini al piano di sopra. Ma il silenzio che si respirava era decisamente troppo opprimente. Per questo decise di alzarsi.

Con solo i boxer indosso, andò alla ricerca di una qualche maglietta ripiegata ordinatamente nel cassetto. Aiutato dalla sola luce lunare, acchiappò al volo una t-shirt con il logo dell'hard rock caffè di Dublino e si diresse poi dove le gambe lo portarono, ovvero nella stanza degli ospiti dove vi era coricata Hazel.
Quasi in punta di piedi si avvicinò alla porta e l'aprì, lasciando entrare un cono di luce proveniente dal freddo corridoio.
Quando i suoi piedi tastarono la morbidezza del tappeto si fermò.
La osservò dall'alto dei suoi centimetri e semplicemente ascoltò il respirare basso e cadenzato del suo petto. Poi il frusciare delle lenzuola pulite e gli occhi grigi-verdi puntati sui suoi. Anche lei, proprio come lui, non era riuscita a prendere sonno.

─ Alex... ─ disse lei con la voce impastata dal sonno, roca e bassa.

L'uomo semplicemente sorrise e si avvicinò. Scostò le coperte e mentre Hazel si faceva da parte, capendo quelle che erano le sue intenzioni, si accomodò vicino a lei. Con un braccio poi, l'attirò a sé e l'abbracciò, mentre Hazel andava a poggiare la propria testa sull'ampio petto di lui.
Sentiva il cuore di lui battere placido dentro la gabbia toracica, mentre i suoni intorno a lei si facevano ovattati.
Prima del suo arrivo aveva tenuto per tutto il tempo gli occhi spalancati, mentre si rigirava nervosamente tra le lenzuola che sapevano di mandorla. Adesso invece era bastato stare vicino a lui, ascoltare quella calma che lo contraddistingueva e si era rilassata. Sentiva di star bene tra le sue braccia.

─ Alex, che cosa sta succedendo?

A quella domanda il russo parve sussultare e semplicemente strinse a sé il corpo caldo della ragazza, quasi a volerla difendere, quasi a risponderle.

─ Non lo so Hazel.

Ma invece lui sapeva perfettamente cosa stava succedendo. Se l'era portata a quella maledetta cena credendo che in quel modo sarebbe stata al sicuro perché l'avrebbe controllata meglio. Invece si era fatto mettere nel sacco. Un killer addestrato come lui, con la sua esperienza, si era fatto raggirare malamente da un sicario di basso livello, incapace perfino di uccidere una donna disarmata e terrorizzata.
Hazel alzò la testa e lo osservò con gli occhi ben inchiodati nei suoi, quasi a voler leggere la menzogna mal celata.

─ Non mentirmi, A. Lo sai che non lo sopporto ─ decretò con insolenza.

Alex sospirò sconfitto e con dolcezza le accarezzò una guancia, facendo sciogliere di poco il broncio di Hazel.

─ Andrà tutto bene, te lo prometto ─ ma a quelle parole appena pronunciate non ci credeva nemmeno lui. Certo che non sarebbe andato tutto bene perché stava andando tutto male. Si stava avvicinando alla fossa passo dopo passo e la colpa era solo la sua: non era riuscito a prendere di petto la soluzione quando ne aveva avuto l'opportunità.
Ma non poteva certo dirglielo, era troppo impaurita e preoccupata per poter ascoltare quelle sudici parole. 
Lei continuò ad osservarlo ancora per un po' e poi si avvicinò al suo volto.
Ora erano talmente vicini che i loro respiri si toccavano.
E poi Alex azzerò le distanze. Con uno slancio le prese il viso tra le mani e poggiò con irruenza le labbra sulle sue. Hazel rispose immediatamente al suo bacio, come se non stesse aspettando altro da tutta la sera. E un po' con quel contatto, oltre che all'abbraccio di prima, lei cominciava a sentirsi più protetta e soprattutto, a ritrovare un po' di quella serenità che se ne era andata con la pupilla del vigliacco che voleva ucciderla.

Fu Alex a staccarsi, ma non ad allontanare le mani dal suo viso.
Non lo disse, ma lei un po' ci rimase male.

─ Vado a fumare in terrazza, vieni con me?
E lei, nonostante stesse bene tra le sue braccia, acconsentì ad andare.

Alex sgusciò dalle coperte subito dopo Hazel e mano nella mano, si diressero  in camera sua per recuperare il pacchetto di sigarette e lo zippo metallico. Mentre stava per lasciare la stanza però, lo schermo dello smartphone prese ad illuminarsi. Guardò Hazel che in quel momento stringeva forte la sua mano. Decise infine, guardando i suoi occhi limpidi, di ignorare il cellulare ed uscire dalla stanza. Avrebbe risposto dopo al messaggio, che come il sole sorge dopo la notte, si doveva trattare di Sam.

La luce del corridoio era l'unica fonte luminosa che si poteva udire nella casa. Alex e Hazel attraversarono il salotto facendo gli stessi passi e quando si fiondarono fuori, il vento gelido smorzò la loro voglia di stare lì, in piedi a guardare l'orizzonte di luci artificiali.
Hazel, che non aveva indosso un paio di pantaloni lunghi ma solo corti, era quella dei due che stava trattenendo gli spasmi irregolari dettati dal freddo. C'era stato un momento in cui aveva perfino battuto i denti.
Il russo invece, dopo essersi acceso la sigaretta, poggiò meglio i reni alla panchina in ferro del terrazzo e depositò sul tavolino dal piano in vetro, il pacchetto bianco con lo zippo.
E poi, sbuffando fuori uno sputo di nicotina simile alla nebbia, si perse nell'osservarla. Nel vedere quanto si fosse rannicchiata in se stessa, cercando di coprirsi alla bell e meglio, sorrise divertito.

─ Hai freddo?

La ragazza alzò improvvisamente lo sguardo sull'uomo seduto dall'altra parte del tavolo e arricciò di poco la bocca. Non le piaceva essere presa in giro e in più non gli piacque per niente il sorrisetto sulle labbra dell'uomo.
Per questo alzò le spalle come indifferente e si perso a guardare l'orizzonte chiassoso, della città che non dorme mai.

─ Dai, non fare così! ─ la riprese lui mentre continuava a trangugiare la nicotina.

─ A fare così come? Non sto facendo niente! ─ rispose lei sempre più stizzita, tornando però ad osservarlo.

─ Non è da deboli dire di aver freddo.

─ Tu hai freddo?

Lui dapprima tragiversò e poi, inchinandosi verso il tavolo per smorzare il mozzicone della sigaretta nel posacenere a forma di conchiglia marina, le rispose, nel modo più naturale possibile.

─ In questo momento no.

E poi si guardarono e basta. Il silenzio che veniva smorzato dai clacson delle macchine o dal sibilo lontano del vento.
Alex voleva una sola cosa da lei in quel momento, ma sapeva che sarebbe stato immorale, innaturale. Ma più ingoiava saliva e più la voglia cresceva. In quel momento seppe, solo guardandola, che non ne avrebbe mai avuto abbastanza.

─ Voglio fare sesso, A. Con te, in questo istante, anche su questa panchina, se questo ti fa stare più tranquillo.

E adesso quella sfacciataggine da dove era venuta fuori? Che ne era stato dell'Hazel impaurita, introversa e insicura? Quell'uomo, quegli uomini la stavano cambiando. E lei non faceva niente per fermarli, anzi li lasciava fare, come se non le importasse, come se non fosse lei a subirne le conseguenze.

Alex si sorprese e per reprimere un mugugno, si passò la lingua sulle labbra, quasi a bagnarle.

─ Stavo proprio pensando la stessa cosa.

Non gli diede tempo di rispondere. Si avventò sulle sue labbra e la tirò a sé. Le poggiò le mani sui fianchi magri e la issò, mentre Hazel agganciava le gambe alla sua vita.
Si ritrovarono in camera di Alex, immersi nel guanciale di piume d'oca di lui. Tutto intorno allegiava il profumo sensuale di Alexander, in un misto tra lavanda e profumo di bosco, di whisky, d'inverno e di foglie mosse al vento.
Amava respirare il suo sapore, se ne sarebbe cibata per sempre, perché per sempre, gli sarebbe bastato.
Volarono vestiti, parole sommesse, sospiri. Ma dietro quei gesti si nascondevano tante verità diverse che mai sarebbero emerse.

─ Alex...

Ja tebja lublju.
(Ti amo)

Ma Hazel non capì e non volle chiedere: temeva quello che sarebbe successo dopo.

Il giorno venne prestissimo e dalla tapparelle alzate si vedeva una New York tutta nuova, che si abituava a lascare andare la notte burrascosa e ad accogliere il giorno, decisamente più energico.

Hazel aveva dormito stretta tra le braccia del suo uomo, al caldo, mentre aveva lasciato fuori le preoccupazioni della sera precedente.
Scostò il viso di lato, giusto per accertarsi che stesse ancora dormendo e a quel punto si alzò. Ma una mano la tirò scattosa a dove era prima.

─ Credevo stessi dormendo ─ sussurrò Hazel, nonostante in casa non ci fossero che loro due e basta.

Alex aprì lentamente​ gli occhi chiari e la trafisse con un solo, gelido e trasparente sguardo.

─ Dove stavi andando?
E quella domanda suonò alle orecchie della ragazza come una sorta di minaccia. Lei non sarebbe andata da nessuno parte. Eppure, perché sembrava che stesse sfuggendo da lui? Le parole che uscirono subito dopo dalla sua bocca furono inaspettate pure per lei, che le stava dicendo.

─ Alex io non ti amo.

Sentì il corpo di Alex irrigidirsi e anche se non lo stava guardando, poteva affermare con certezza che avesse anche irrigidito la mascella.
Ma inaspettatamente Alex cominciò a sorridere.

─ Già, ─ ma subito dopo riprese a parlare ─ ho notato.
Poi senza dare il tempo ad Hazel di aggiungere altro, si scostò da lei e con niente indosso raggiunse la cucina.

La ragazza ricadde sbuffando sul cuscino. Aveva sbagliato. Le sembrò che lo avesse tradito nell'orgoglio. Eppure era sicura di quello che aveva detto, ci aveva inaspettatamente creduto. Eppure perché​ sentiva uno strano sasso incastrato tra le scapole e il cuore?
Decise quindi di alzarsi, ma mentre stava per dare un calcio alle coperte, lo vide rientrare e rovistare nella stanza alla spasmodica ricerca di un paio di boxer.
Quando li trovò, buttati alla rinfusa sul pavimento, aggirò il letto e vi si sedette sopra, dando le spalle ad Hazel.

─ Ho preparato il caffè. Se vuoi è lì.

Hazel si issò a sedere in un baleno.
Che cosa stava succedendo?

E mentre stava per ribattere o cercare di costruire almeno nella sua mente una frase che avesse un senso compiuto, l'uomo si alzò dal letto e si dileguò verso la cabina armadio interna nella camera.
A quel punto decise di alzarsi.
In un lampo scansò con un colpo di gambe le coperte e buttando i piedi sul morbido tessuto del tappeto, si avvicinò velocemente verso di lui. Lo trovò intento a scegliere quale camicina indossare in mezzo a tutte quelle stoffe, cha da sole, rappresentavano il valore remunerativo di Hazel.
Rabbrividì nell'incontrare con gli occhi le sue grandi spalle muscolose, mentre una cicatrice quasi bianca, gli andava a deformare il fianco sinistro, di quelle spalle che niente avevano da invidiare a quelle delle star del cinema americano.

Fece un bel respiro e cercò di puntare gli occhi verso le camicie.

─ Che cosa stai facendo?

Ma lui, senza nemmeno girarsi a guardarla in viso, gli rispose continuando a staccare dalla gruccia or luna or l'altra maglia.

─ Mi vesto, che cosa dovrei fare?

Hazel arrivò a toccare con il dito la goccia che fece trasbordare l'intero vaso.
Con i pugni stretti lungo il corpo, si mosse scattante verso l'uomo, appigliandosi con le unghie, graffiando con esse la carne debole e lo fece finalmente girare dalla sua parte.

Gli occhi erano nella giusta direzione ora. Si guardavano, si studiavano e come sempre riuscivano a darsi quelle risposte che tanto assiduamente volevano far venir fuori.

E Hazel, in quegli occhi nevosi, ci lesse tutto una scia di angusto risentimento.
Si allontanò da lui come se si fosse improvvisamente scottata.

L'aveva ferito: nell'orgoglio e in quello che aveva fatto lui per lei, ma soprattutto perché quelle parole avevano stilettato l'anima di Alex a metà, facendogli aprire malamente gli occhi – da troppo tempo forse – tenuti chiusi.

─ Io...Io...Mi dispiace.

Proprio a quel punto, mentre Alex lasciava cadere a terra una delle sue costosissime camice, quel risentimento si trasformò in collera, che divenne fastidio e rabbia.

─ E perché dovrebbe dispiacerti? Hai per caso fatto qualcosa di sbagliato, mia piccola luna?

Il tono con cui pronunciò quelle parole fu dei più duri. Sembrava uno sputo d'astio, di puro rancore, ostilità.

Vedendo che la biondina non spiccicava più una parola, forse perché si stava strangolando nel suo stesso subconscio, con i sensi di colpa che l'uomo gli aveva inconsciamente trasmesso, riprese la gruccia della camicia caduta e la rimise al suo posto, tra le sue immacolate sorelle.

─ Dove stai andando?

Di nuovo si fece forza e dopo essersi ripresa gli fece quella domanda che aveva sulla punta della lingua da un po'. In un baleno – forse perché stufo e stanco di quel suo comportamento – Alex la fulminò con un solo intenso e lungo sguardo.

─ Se ti dicessi da Maria, tu che cosa faresti?

Ad Hazel parve che la terra si aprì sotto i propri piedi. Si sentì mancare al solo suono di quel nome. Come poteva fargli una cosa del genere? Dopo tutto quello che gli aveva detto, dopo tutte le promesse fatte. Fu in quell'istante, mentre sgranava gli occhi d'acciaio, che la pagina ormai scribacchiata si aprì su una tutta nuova: lei non gli aveva mai promesso niente e pure a lui quel suo silenzio era sempre bastato.

─ Se imparassi ad amarti tu resteresti con me?

Ma lei non doveva tradirsi così. Lei non doveva imparare ad amarlo. Lei doveva continuare ad odiarlo, a volere il suo sangue, la sua vita per tutto il dolere che gli aveva dato. Per quella famiglia e quell'infanzia distrutta come se non avesse nessun valore.
Per questo si riprese in un attimo, schiacciò quei pensieri semplicemente scrollando la testa e correndo fuori dalla stanza.
Ma ben presto si ritrovò l'uomo stargli dietro, afferrarla per un polso e sbatterla malamente al muro del corridoio.

─ A che gioco stai giocando ragazzina? ─ e alzò l'indice schiacciandolo contro la sua fronte , forse troppo forte, perché un mugugno di dolore fu strappato dalle labbra serrata della biondina, ─ ricordati sempre che io non sono i tuoi amici.

─ Infatti, tu non sei un mio amico ─ rispose con astio lei, mirando a Clash che era sparito dalla piazza già da un po'. Come se non lo sapeva che era tutta opera del russo.
Lui infatti sorrise sghembo, ma finì tutto sul nascere. Se mai gli avessero domandato a cosa pensasse quando gli veniva in mente la Russia, lei avrebbe sicuramente risposto con "il viso di Alex".

─ Già, perché tu non ti scopi gli amici.

─ Lo faccio solo con persone che reputo discutibili.

Alex prese con irruenza nel palmo della mano la faccia di Hazel, che schiaccio contro il muro. La ragazza era diventata mercé nelle mani di quel sadico killer; avrebbe potuto farle tutto quello che voleva. Lui gli prese le mani e da dietro la schiena gliele immobilizzò, in una salda e stretta presa. Hazel aveva il seno che spingeva duramente contro il muro liscio. E poi avvertì distrattamente l'erezione di Alex prevalere da dietro, impudicamente coperta da un sottile strato di stoffa firmato Calvin Klen.
Hazel cercò di scrollarselo di dosso, ma l'uomo era troppo forte per lei.
Lo sentì sorridere e gli fece schifo.

─ Sei un sadico maiale del cazzo! Lasciami stare!

─ Oh no, non credo proprio. Vedi Hazel ho appena iniziato ─ e dicendo questo, la prese e la buttò come se fosse un sacco della spazzatura per terra.

Hazel non si trascinò via di lì, non cercò di scappare da lui, restò invece attaccata al muro, aspettando la prossima mossa di quell'uomo che in quel momento aveva preso le sembianze di una bestia. Era proprio in quegli istanti che non riusciva a riconoscere il suo adorato Alexander.
L'uomo rimase come fermo in quella posizione per lunghi secondi, aspettando la mossa sbagliata della sua vittima, che però sembrò non arrivare mai. Alexander sorrise. Hazel era troppo furba e troppo intelligente, e poi lo capiva come non erano mai riusciti a fare gli altri. Ricordò improvvisamente che la prima volta che i suoi occhi annacquati dalle lacrime lo osservarono, non lo fecero con cattiveria. Lei era sempre riuscita a dimostrarsi migliore di tutti.
A quel punto si abbassò alla sua altezza, puntellandosi sui talloni.

─ Hai questa sorprendente abilità di fare del male alle persone e di abbracciare per curare queste loro ferite, che non ho mai visto in tutti questi anni. Non ci sono al mondo molte persone come te, luna. Eppure hai questo dono e non riesci a capirlo, ad accettarlo.

E si fermò, cominciando a puntargli il dito contro mentre con uno slancio si alzava. Gli occhi, da sempre tenuti fermi nella loro unica espressione, presero a saettare scintille di fuoco. Per la prima volta da quando lo conosceva ad Hazel sembrò che l'uomo fosse arrabbiato. Deglutì, sentendosi in colpa.

─ Non riesco a capire perché hai sempre questa maledetta paura addosso. Sembra che sia la tua seconda pelle.

─ Io non ho paura...

L'uomo la guardò torvo, sguardo che riuscì ad azzittire Hazel.

─ Lo sai che c'è Haz: favvanculo.

E quella triste conversazione, che più che un dialogo sembrava un monologo, si interruppe sul nascere, con un Alexander in preda alla rabbia più sorda, inspiegabile tra le altre cose, agli occhi di Hazel, che si aggirava per la camera da letto intento a borbottare tra sé e sé, e a chiudere i bottoni della camicia nera, proprio come il suo umore.


***

Il russo da qualche parte stava andando, ma non avrebbe di certo potuto dirlo ad Hazel, perché la riguardava e riguardava soprattutto quello che era successo la sera precedente.
Era arrabbiato prima con se stesso e poi con Chathelyn. Per questo si diresse a casa della "marchesa senza titolo" – come la chiamavano tutti – a cercare di ottenere delle spiegazioni.
Ora si trovava nel grande e sfarzoso salotto di quella maestosa e immensa villa. Alexander osservò come nulla fosse fuori posto, come i fiori fossero sistemati in modo asimmetrico nel vaso di porcellana cinese, come il legno risplendesse alla luce del sole e la pelle bianca dei salotto profumasse di disinfettante; la stanza risplendeva di una gaia festosità, e non lasciava intravedere quelli che erano stati i segni di una notte da leoni.

─ Scusami per averti fatto aspettare, ma non ero ancora pronta. Il gala è decisamente andato molto bene, abbiamo raccolto molti soldi da devolvere ai più poveri.

Gli stessi che spolpiamo giorno dopo giorno, pensò Alexander .

Alexander se ne stava comodamente seduto sul divano con la schiena completamente appoggiata allo schienale e un braccio adagiato sulla superficie di esso.

─ Non ho fretta. Non badare a me.

La sua voce era una maschera di acido corrosivo. C'era tutto quello che faceva presagire il peggio. Alex sapeva che quella subdola, fine e borghese donna dagli occhi da pantera, sapeva più di quanto faceva finta di non sapere. Lei controllava tutto e tutti. Nessuna notizia trapelava se lei non voleva e nessuno faceva qualcosa che non fosse comandato o anche solo pensato da lei. Per questo sapeva che andando lì, avrebbe ottenuto tutte le risposte che desiderava.
Ad un certo punto nella stanza entrò una cameriera con in mano un grande vassoio strapieno di dolci, che depositò sul piccolo tavolo da tè posto al centro del tappeto, tra i tre divani in pelle vera e subito dopo si dileguò, come se non fosse mai entrata.
Chathelyn si sedette sul divano di fronte al suo. Indossava una striminzita veste da camera floreale rosa e nera, che le lasciava scoperta la giarrettiera di pizzo nero e il reggiseno dello stesso materiale e colore. Tra le dita lunghe e affusolate stringeva sensualmente una sigaretta, che offrì poi al russo, il quale accettò senza riserva.

─ Allora, che cosa ti porta qui? 

Come se non lo sapesse già. 

─ Saprai già che cosa è successo ieri sera, te lo avrà sicuramente già detto Sam.

Si riferiva al messaggio arrivatogli da Sam, la quale gli comunicava l'avvenuta riuscita della decomposizione artificiale del corpo. 
Lei infatti, come volevasi dimostrare, fece finta di niente. 

─ Andiamo Cathy cara, lo sai benissimo a cosa mi sto riferendo ─ e una cicca della sigaretta che stava fumando, sfiorò il costosissimo divano forse disegnato seguendo il volere della metodica e abbiente cliente,
─ comunque sia, non sono venuto qui ad arrabbiarmi per la negligenza dei vostri uomini posti alla sicurezza, piuttosto sono venuto per cercare di capire che cosa è accaduto.

Lei non mosse un dito. Lo fissava e lui fissava lei. Chathelyn stava pensando quale sarebbe stata la prossima mossa del russo e quali metodi lei avrebbe dovuto adottare di conseguenza. Una cosa la sapeva però: l'uomo si stava facendo troppo impertinente.
Chathelyn non riusciva più a tenerlo sotto controllo. Da quando si era interessato a quella biondina da quattro soldi non aveva più occhi e orecchie per altro. Sembrava che degli affari e del suo lavoro non gli interessasse più niente. Prima era tutto preso dai suoi compiti, faceva tutto con Sam e spesso era lui a fare gli extra anche per conto di altri. Adesso sembrava aver perso di interesse tutto. Chathelyn sapeva che se avrebbe continuato così, le cose per il suo amato russo si sarebbero davvero messe male.

─ So solo che era messicano.

E poi stettero in silenzio, mentre la mora si sporgeva – e con essa il suo abbondante davanzale – per spegnere la cicca nel posacenere, un souvenir direttamente da Londra.

─ Che cosa esattamente stai cercando?

─ La verità, cerco di andare a fondo alla questione per scoprire la verità ─ ma Chathelyn seppe, solo osservando i suoi occhi, come quelle parole fossero una bugia. Lui non stava cercando la verità. Lui stava cercando il giusto pretesto per intavolare una vendetta con i fiocchi. Ma aveva fatto i conti senza l'oste.

─ Alex a che gioco stai giocando?

─ A nessuno. Voglio solo la verità.

─ Non mentirmi, lo sai che odio sentire frottole uscire dalla bocca dei miei uomini.

E Alexander stette muto.
Capì che doveva prenderla in un altro modo.
Chathelyn aveva capito che non era più manovrabile perché era come se avesse spezzato i fili che lo tenevano legati a lei. La burattinaia aveva appena perso una delle sue migliori marionette.
Per questo un attimo dopo si alzò e si diresse verso di lei. Si sedette proprio attaccata alla sua spalla. Poi gli prese le gambe accavallate e se le mise in grembo. Quando si leccò il labbro inferiore, Chathelyn sentì il via libera per attirarlo a sé.

Gli erano mancate le braccia di Alex. Gli erano mancate anche le labbra, le gambe, il tocco delle sue dita ruvide sul suo corpo scolpito e la passione che ci metteva nel fare qualsiasi cosa.
Quando Alex affondò ogni nervo teso, ogni bugia celata, ogni tentativo di vendetta in lei, rivide per un attimo il viso accaldato e in preda al piacere più puro di Hazel, e per un attimo vacillò. Ma le spinte si fecero sempre più forti, sempre più crudeli e a Chathelyn piaceva la violenza. Alexander gli stava dando solo quello che lei voleva e che meritava. I sentimenti erano stati lanciati insieme al tanga di lei.
Solo che gli era mancata. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, ad Alex quella pura e teatrale aggressività, era mancata. Ma era mancata anche l'irruente esperienza di Chathelyn e le sue toniche gambe, il suo sedere sodo e la sua quinta di reggiseno. Gli era mancato fare sesso.

Quando si rivestì, sempre con fare seducente, si aprì a lui come un bocciolo appena sfiorito.
Scoprì che il sicario era stato mandato da qualcuno che lavorava all'interno dell'organizzazione, ma a detta sua, non sapeva minimamente chi fosse.
Ma ci fu una frase che più lo fece riflettere.

─ Alexander caro, ricorda che tutti abbiamo dei segreti, anche le persone che indossano​ un paio di ali bianche e si spacciano per angeli. Non abbassare mai la guardia, o ti ritroverai gambe all'aria. Non fidarti mai di nessuno, nemmeno di chi ha due paio di occhi blu e capelli biondi.

─ Che cosa vorresti dire con questo? Che penso solo con il mio cazzo?

─ Lo sai benissimo a cosa alludo ─ e si alzò, sistemandosi con finto sentimento di vergogna la veste e si diresse fuori da lì.
Alexander se ne fregò dei passanti della casa che li avevano sicuramente sentiti, l'unica cosa a cui pensava erano le parole di lei. Avevano risvegliato qualcosa in lui.
Che il vecchio Alexander il russo fosse tornato?

Spazio Autrice.

Salve miei cari lettori, come state?
Io bene, ma molto impegnata con l'università.
Ma nonostante questo il mio cervello partorisce storie come se non ci fosse un domani. E qualcosa bolle in pentola, anche se è ancora presto per dirlo.

Ringraziò veramente tutti e vi dico adios. Ci vediamo alla prossima. Anche perché le avventure di Alex&Co. stanno per giungere alla fine. 😋😊




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