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Capitolo 27 (parte II)


Quando si allontanarono dalla donna, perché essa doveva accogliere e salutare gli altri suoi ospiti, i due si diressero verso un'altra stanza, dove una serie di tavoli rotondi erano stati sistemati sulla base di cinque file, ognuna contenenti cinque grandi tavoli diversi, tutti agghindati a festa, con la tovaglia color dell'oro aventi ricami barocchi e come tante piccole e graziose statue in miniatura di uno scultore famoso, vi erano bicchieri di cristallo appartenuti forse, a qualche conte.

Sul pavimento vi era il marmo, non semplice e bianco, ma piastrellato di schizzi di pitture rossastra, mentre al centro della sala, al centro dell'impetuoso soffitto, come l'attrazione del giorno, vi era posizionato un lampadario di cristallo, con stalattite dai mille riflessi che scendevano morbidi verso il pavimento, quasi a volerlo sfiorare.

C'era qualcosa di fiabesco in quella sala e qualcosa che lasciò ancora una volta senza parole Hazel, abituata come era allo scempio della povertà.
Si sentiva sempre di più in imbarazzo.
Era come se l'aver varcato quella porta, nonostante indosso avesse un vestito costosissimo, le provocasse disagio. Come quando un ricco guarda un povero dall'alto in basso e non sente, non può capire cosa voglia dire una fame di stenti, di ristrettezze. Non può farlo, non si sforza neanche di farlo e se ne compiace, con la sua valigia da ricco, i suoi abiti da ricco, i suoi pensieri da ricco.
La condizione economica in cui versi ad un certo punto della vita, diventa il biglietto da visita per la tua persona, e si cicatrizza perfino nella mente; allora arrivi a pensare come un ricco, se sei ricco e come un povero, se sei un poveraccio.

Alexander percepì l'inquietudine di lei e come a sentirla tremare sotto il suo braccio, cercò di darle un po' di conforto, magari facendola distrarre.
Pensò allora di portarla fuori, verso la grande finestra aperta che dava su un portico esterno.
Hazel si lasciò guidare dall'uomo, troppo tesa per poter formulare un solo pensiero che avesse un senso compiuto.
Quando furono fuori, ad accoglierli fù  l'aria fredda, mentre il sole aveva definitivamente lasciato il posto alla luna, e il cielo azzurro, a una coperta nera, costellata di rifiniture argento.
Hazel guardò il cielo, trovandolo troppo poco luminoso. Sospirò.

─ Che cosa succede Haz?

Lei, che se ne era stata tutto il tempo a fissare un punto lontano, persa tra il buio spettrale della notte e l'oscurità del giardino arso dal freddo di dicembre, al suono di quella voce di velluto, tornò alla luce della grande casa.
Il profilo di Alex in penombra lo mostrava per quello che era: un uomo oscuro, con un passato torbido, un presente sanguinoso e una luce folgorante nascosta nella parte più buia del suo essere.
Si prese ancora qualche minuto per osservarlo senza imbarazzo e poi decise di rispondere, optando, questa volta, per la verità.

─ Mi sento debole qui dentro. Sento che potrebbero scoprire chi sono realmente, far cadere questa maschera che sto indossando e sento che potrei restarci male; sento che potrei ferirmi e non rialzarmi più.

C'era però, in quelle parole che provenivano direttamente dalla coscienza, un fondo di verità assoluta. Dietro a quelle parole stava nascondendo altro, quel segreto che si portava dietro da tempo, da troppo tempo e che aveva scoperto coinvolgere anche il russo, quell'animale da battaglia, che le si stagliava di fronte pronto ad attaccare non appena ne avrebbe sentito la necessità.
Un brivido freddo le percorse la schiena scoperta.
Di nuovo la paura, di nuovo il terrore e questa volta in quel mix di emozioni orrende, si andavano ad innescare anche altre emozioni a cui lei non riusciva a fare un nome.

─ Fino a quando ci sarò io con te, nessuno ti ferirà, nessuno scoprirà chi sei, e se pure dovessero scoprirti, ti farò rialzare, giuro su Dio Hazel che lo farò! Tu...─ ma non riuscì a terminare la frase.

In verità quello fu l'unico momento in cui Alexander si sentì in dovere di abbassare il muro fatto di mattoni di sicurezza. Non ce ne sarebbe mai più stato un altro. In quel momento però, glielo doveva.
E il modo in cui glielo fece capire, scritto nero su bianco nelle pupille azzurro mare, riuscì a far vacillare Hazel e con essa, anche le ramificate considerazioni che aveva su di lui.
Per la prima volta la ragazza entrò a contatto con il lato umano di Alexander. Era quello un lato tutto nuovo, fatto di fragilità, di insicurezze e di paure.
Il russo la stava mettendo davanti alla realtà dei fatti: c'è un lato esile in me Hazel e tu sola hai potuto riconoscerne i tratti, tu sola ha potuto toccarne i fili scoperti.
Ma durò poco, il tempo di quell'alito di vento che muoveva fiaccamente le foglie degli arbusti.
Il vociare nella sala si fece poi sommesso, sempre più incalzante e quella scintilla come era nata si riassopì, con la promessa che fece poi a sé stesso che non ce ne sarebbero state più le occasioni per poterla solo riaccendere.

─ Andiamo, a breve inizierà la cena.

Quando rientrano, un cameriere, stretto nel suo frac nero, gli indicò il posto in cui erano stati assegnati.
Da bravo gentiluomo quale era, Alexander spostò la sedia ad Hazel e attese che lei vi ci sedesse sopra.
E poi fu il suo turno. Si ritrovarono così a sedere vicino. Ancora una volta Hazel lo osservò di nascosto, mentre la mascella di lui vagava nella stanza, alla strana e spasmodica ricerca di qualcosa. Poi, come accortasi del lungo sguardo, si girò nella sua direzione. Hazel per la prima volta non si tirò indietro, semplicemente lo assecondò, volgendo, questa volta, interamente gli occhi verso di lui.
E si sorrisero.
Di un sorriso sincero, rassicurante, delicato, dolce, significativo.

─ Buonasera piccioncini, vedo che siete già arrivati al dessert!

Al suono di quella voce la magia si sgretolò e tutto tornò alla normalità della cose.
Hazel arrossì, a causa del  colorito commento di Sam.

─ Buonasera ragazzi.

E Donovan arrivò - come sempre - dietro il suo compagno, con quella finezza e quella leggerezza anomala per uno del suo mestiere.
E poi, mentre il rumore stridulo delle sedie si inarcava nella sala, Hazel partorì un sinistro pensiero: possibile che quelle mani da conte, così morbide e bianche, avessero potuto impugnare, con tale sfrontatezza, un così oggetto macchinoso e letale; furbo e cattivo; freddo e potente?
Come accortasi dello sguardo di sdegno e confusione della ragazza, Donovan la guardò con quei suoi occhi nocciola spalancati, colpevole di un male che considerava necessario e semplicemente alzò le spalle. Non sapeva come potersi scusare e fuggire da quell'occhiata di rimprovero.

─ Come è andata?

Alex ruppe il silenzio con una domanda rivolta al biondino che nel frattempo, si era seduto e aveva appoggiato gli avambracci sul tavolo, sbuffando annoiato di tanto in tanto.
In quel momento Hazel ne approfittò per osservarlo meglio. Aveva la pelle bianca, tanto che due enormi occhiaie nere facevano capolino intorno agli occhi e un cespuglio di capelli biondo scuro. Non aveva niente dell'eleganza di Alex - nonostante fosse fine nel suo completo nero con la giacca bordeaux. Sam aveva una sfrontatezza tutta sua, che lo faceva sembrare viziato, perennemente annoiata della vita e degli uomini, ma con un atteggiamento di superiorità che mostrava perfino verso la regina Elisabetta II. Poi decise di distogliere lo sguardo dal ragazzo.

─ Come al solito: alla fine cantano tutti. ─ e dicendo questo, si rivolse con lo sguardo ad Hazel, che nel frattempo se ne stava rigida, seduta sulla sedia rivestita di cuscini bianchi, a guardare qualcosa - o qualcuno verso la porta, con una maniacale attenzione.
Sorrise sornione quando si accorse che lo sguardo era rivolto a Cathelyn, tutta imbellettata nel suo vestito rosso fuoco.

─ Che cosa guardi cerbiattino, qualcuno di così interessante? Forse un bell'uomo?

Vide Alexander, che nel frattempo stava giocherellando con il fondo del bicchiere​, smettere di muovere le dita e alzare gli occhi magnetici su Sam, per dirigerli poi verso Hazel, con la mascella che si stava per staccare, per quanto essa era stata contratta. Riuscì ad ammorbidirsi solo quando i suoi occhi incontrarono la figura di Chathelyn. Mentre lasciò andare un boccone d'aria che aveva trattenuto, si accorse che una mano era andata a toccare il braccio nascosto dal tavolo e dalla tovaglia della ragazza.

─ No, ─ e si fermò, con gli occhi inconsciamente sognatori, perché sentì i polpastrelli gelidi del russo, che seduto vicino, le stringeva il braccio scoperto, con una punta di possessione. Poi riprese a parlare, quasi a volergli dire che non c'era nessun altro, non ci sarebbe mai stato nessuno altro nella sua vita, ─ guardo la donna che ci ha accolto.

─ E perché mai? ─ riprese di nuovo il biondino.

─ Perché è bellissima.

Alexander non si mosse di un centimetro, teso stava seduto sulla sedia e teso vi rimase. Aveva voglia di urlargli che non era così, che la bellezza è altro nella vita, che sia Chathelyn, che lui, Sam o perfino Donovan erano stati dannati ad un bruttezza eternamente bella; che invece le persone come lei e Maria, quelle sì che erano le persone preziose, quelle persone meritevoli di tale complimento. Ma non fece niente, solo trascinò la mano spostandola dal braccio alla coscia di lei, senza fare niente.
Poi la porta fu varcata da una persona che Hazel riconobbe subito.
Si trattava della ragazza dell'albergo, quell' italiana, Maria, in compagnia di un uomo molto alto, dal fisico asciutto e vestito completamente di nero, cosa che metteva in risalto maggiormente il suo colorito bianco e gli occhi chiari.

─ Hey russo, guarda lì chi c'è? ─ fece ad un tratto Sam, visibilmente allarmato e divertito al tempo stesso.

Alexander si girò a guardare l'entrata e vide che Chathelyn lo stava fissando sorniona, con quel suo solito ghigno stampato sulla faccia.
Come se qualcuno gli avesse appena buttato addosso un grande secchio contente acqua fredda, accolse gelidamente il nuovo arrivato.
Era Igor. Ad Alex parve sentire dentro le vene, il sangue che prima si condensava in un ammasso di ghiaccio e subito dopo diventava bollente.
Si disse che doveva rimanere calmo, al suo posto, stringere Hazel tra le sue braccia, lasciar perdere Maria e il russo. Però era davvero complicato, soprattutto perché gli sedeva davanti gli occhi, dall'altra parte del tavolo.
Come volevasi dimostrare, l'aria che girava al tavolo, all'arrivo di quei due, si fece pesante, tagliente, decisamente soffocante.
Quella che sembrava​ rimanere fuori da quella strana bolla grigia era proprio Hazel, che se ne stava a guardare quello strano scenario dietro le pesanti tende di velluto rosse del teatro, ignara di tutto.

─ Саша.
(Sasha)
─ Игор.
(Igor)
─ А как дела?
(Come stai?)
─ Спaсибo, хорошо.
(Bene, grazie)

E poi la conversazione tra i due si interruppe all'istante, mentre scuro in viso Alex - o come lo aveva chiamato prima Igor, Sasha, rivolse uno sguardo di puro sdegno verso Maria, che accortasi dell' occhiataccia, si fece porpora in viso, come ad ammettere senza scusa alcuna quello che aveva fatto: accettare l'invito da parte del nemico del moro solo per vendetta personale perché​ sapeva bene che lui ci sarebbe rimasto decisamente male. Volevo ferirlo come lui aveva ferito lei, quando aveva accolto la ragazzina in camera con occhi diversi. Perché Alexander guardava Hazel in uno strano modo, tutto suo, come se al di fuori di lei non esistesse nessun altro.

─ Buona sera, signori e signore. Prima che le pietanze vengano servite, volevo solo ringraziarvi per essere venuti e per aver contribuito a questo grande atto di solidarietà nei confronti di chi non è fortunato come noi. Detto questo, vi auguro una piacevole serata, ─ e poi diresse lo sguardo direttamente ad Alex che freddo e impassibile come sempre, l'ascoltava, ─ con i vostri amici.

C'era qualcosa di strano in quelle ultime parole, qualcosa di strano in quello sguardo perfido. Chathelyn aveva pronunciato quelle parole sapendo perfettamente dove stessero andando a  colpire; sembravano quasi una minaccia nei suoi confronti.
Ma non ci diede peso, o per lo meno, quella sera aveva intenzione di non pensare alle brutture e di concentrarsi solo sulle cose belle.

I camerieri, come grandi formiche nere, si districavano tra ragnatele di legno, accontentando or l'uno or l'altro commensale, e di tanto in tanto, raccogliendo quelle briciole che quest'ultimi si portavano dietro.

Alexander e Hazel se ne stavano come sempre in silenzio a commensurare quella bontà che gli veniva presentata nelle magnifiche stoviglie di porcellana ottocentesca.

Così dopo le fettuccine rigorosamente made in Italy all'astice, compreso di chela, seguì il carpaccio sul letto di patate. Quando giunti alla fine della cena, mentre al tavolo una febbre era salita per via del dolce, che si dicesse essere una novità del cuoco italiano, Hazel si allontanò per poter andare a "riordinare il trucco" nella toilette, sperando che a nessuno fosse venuto in mente di fare lo stesso.

Barcollante nelle sua calzature alte e con lo stomaco decisamente pieno, si fece indicare da un cameriere dove dovesse raggiungerlo, quest'ultimo avendo immediatamente notato la sua fine bellezza giovanile, si fece tutto altezzoso, e vicino nel comunicare quella semplice informazione per la quale era stato interrogato. Hazel non ci fece neppure caso, solo che mentre si accingeva ad avvicinarsi alla toilette, il suo sguardo cadde sulla donna in rosso. Lei semplicemente le sorrise flebile, ma si trattava piuttosto di un sorriso di circostanza; quello che le rivolse la donna era invece un vero e proprio ghigno malefico, travestito dagli occhi da volpe pennellati di nero.

Fortuna per lei, tutte le donne nella sala aspettavano con ansia che il dolce venisse servito, perciò a parte una donna che si era già intrufolata prima che lei arrivasse nel bagno, non le fu di impedimento aspettare qualche manciata di secondo. Mentre era in fila per il bagno, le passo accanto un uomo che le lanciò uno sguardo languido, soffermandosi, forse troppo, sui suoi occhi. Un brivido percorse la schiena nuda di Hazel, che come a proteggere se stessa, si accostò le braccia alla vita, come ad abbracciarsela.

Sentì il chiaro rumore dello sciacquone dell'acqua che veniva tirato, mentre si andava a creare un mulinello innocuo.

La donna – che notò non avere più di quarantacinque anni – ne uscì poco dopo, mentre con rapidità si incamminò per tornare al proprio tavolo, con quel suo vestito verde scuro con lo scollo a cuore, le balze in vita e i capelli corti mori, che le solleticavano teneramente il collo alto e pallido.

Hazel fece qualche passo avanti, premette i polpastrelli sul metallo freddo della maniglia in ottone e spinse la porta marrone verso di lei. Nel momento in cui mise un piede nella stanza e stava per richiudere la porta, rivide di sfuggita con lo sguardo l'uomo di prima, ma non fece in tempo a completare la manovra che questo avanzò con due falcate nella sua direzione, intrufolò un piede tra lo stipite e la porta e cominciò a fare pressione sulla porta, nell'atto di far cadere la ragazza.

Hazel tentò con tutte le sue forze di trattenerlo fuori, graffiando con le unghie la porta, come se volesse oltrepassare la durezza del legno lavorato, ma fu tutto inutile: la forza dell'uomo prevaricò sulla sua.

In un batter d'occhi si era ritrovata a sbattere i reni contro la penisola di marmo del lavandino, avvertendo un acuto dolore lì dove vi erano posizionate le ossa del bacino, ma tentò ugualmente di non dare la soddisfazione all'uomo di prendere coscienza di aver colpito nel segno, e semplicemente assottigliò gli occhi e si morse il labbro inferiore.

La porta venne chiusa con uno scatto rabbioso, mentre il rumore della vaschetta che tentava di ricaricarsi, si fondeva con quella della chiave che veniva girata nel chiavistello.

Hazel improvvisamente non avvertì più il fastidio causato dalla botta, ma sentì chiaramente il cuore che prendeva a battere nervosamente, le mani sudare freddo e l'ansia le andò a sciogliere come lava incandescente le meningi.
Quando l'uomo si girò nella sua direzione, le gambe presero a divenire molli, quasi le ossa avessero lasciato lo scheletro. E più questo si avvicinava nella sua direzione, e più il suo cuore aumentava i battiti, mentre con coraggio cercava di spostarsi verso il centro dalla stanza, con la schiena rasente il marmo del lavandino.

Il viso dell'uomo non mostrava nessun tipo di emozione. Vestito di nero, il suo sguardo metteva ancora più timore, di quanto già non ne mettesse.

─ Che cosa volete da me? ─ chiese Hazel con voce tremante, inumidita dal panico e dallo sgomento.

Quello non disse niente, semplicemente continuò ad avanzare. Più lui avanzava verso la sua direzione, più lei si allontanava di alcuni passi da lui. Ma quelli erano passi maledetti, dettati dalla paura, che la portarono a sbattere il corpo contro il freddo del muro bianco.

In un istante, mentre quello sempre più vicino cacciò fuori una grossa pistola con tanto di silenziatore e gliela puntò addosso, lei rivide i momenti più significativi della sua vita.
Erano sprazzi di memoria lontana, di quando era piccola, di quando aveva conosciuto Chris e di quando aveva fatto l'amore con Alexander.
In quel momento sperò che l'uomo la salvasse, che risolvesse i suoi più oscuri problemi per lei, perché lui era forte, era il braccio su cui avrebbe saputo appoggiarsi per sempre, fino a quando non avesse esalato l'ultimo eterno respiro. Quello stesso respiro che stava per buttare fuori.

L'attaccamento alla vita era però, in quel momento, troppo forte. Così quando giunto vicino a lei, l'uomo premette la canna sulla sua fronte, non si sarebbe mai aspettato una mossa contraccettiva.
In un baleno Hazel, senza nemmeno curarsi se il vestito si sarebbe potuto rompere, mentre l'assassino sembrava sicuro di risolvere la faccenda in meno di un secondo, Hazel impiegò tutta la forza, tutto il coraggio che il momento necessitava e gli diede una ginocchiata all'inguine, scrollandosi di dosso il killer, che nel frattempo aveva gettato l'arma a terra, in preda ad un orrendo dolore.

Hazel sgusciò fuori da quella barriera in cui era stata confinata e prese a camminare più velocemente verso la porta. Ma non vi giunse mai. L'uomo alle sue spalle, la prese per un gomito e la tirò indietro, di nuovo nel tentativo di intrappolarla. Nel farlo però Hazel calpestò con il tacco a spillo un lembo del vestito che si era lacerato, e in baleno cadde sbattendo però prima la fronte sul marmo. Cominciò a vedere formicole di luce girarle intorno mentre un'ombra nera la inghiottì tutta. Una goccia di sangue cominciò a colare silenziosa giù dall'attaccatura dei capelli.

Il killer si piegò sulle ginocchia, poggiandosi sui talloni e piegò la testa verso sinistra, mentre sul suo viso, sui suoi occhi, non lasciava trasparire l'ombra di un'emozione.
Una singola e piccola goccia di sudore freddo, attraversò in lungo la schiena scoperta di Hazel, mentre la pelle si  increspava di mille piccoli brividi. Lo stupore che aveva dipinto in faccia fece sorridere l'assassino che tornò all'attacco. Una volta ripresa la pistola in una salda presa nella mano destra, fu svelto a puntargliela in faccia. Era pronto, aveva persino tolto la sicura e non restava che premere il grilletto, portare così a termine quella missione. Ma un tonfo brusco alla porta lo fece destare.

─ Hazel, sei ancora lì dentro?

Era Alexander, avrebbe riconosciuto la sua voce fra mille persone tutte uguali. Il suo cuore prese a battere rumorosamente e non perché fosse spaventato, ma piuttosto fu la speranza a ridargli quel giusto vigore antico di cui aveva bisogno.

─ Alex aiuto... ─ ma non riuscì mai a terminare la frase perché venne zittita dall'orrido uomo che scoprì avere origine sud americane, dato lo sproposito con cui la rimbeccò preso da un attacco d'ira improvviso.

Ma quella piccola frase, forse un po' biascicata, era riuscita a portare assegno il punto. Infatti, dopo pochi secondi, Alexander cominciò a prendere a spallate la porta. Quel silenzio che si era andato a formare precedente, venne spezzato dall'intensità di quel torbido rumore forse un po' troppo violento, ma che racchiudeva l'unica salvezza per Hazel.

Il killer nel frattempo aveva intuito che quella porta non sarebbe durata a lungo, non sotto l'onta burrascosa dell'uomo che vi stava dietro e quindi si fece più vicino, sempre più vicino, talmente tanto vicino che Hazel sentì addosso il caldo respiro dell'uomo ed inorridì. Ad un certo punto avvertì il tocco gelido di quella che immaginò essere la pistola, proprio sulla tempia sinistra e saettò gli occhi sgranati verso l'assassino.

Era finita, nonostante Alex fosse arrivato in suo soccorso, ormai era troppo tardi. L'assassino aveva già il dito sul grilletto, pronto ad afferrare la propria vita, a incidere un altro nome sulla propria lista. Hazel deglutì. Nella sua testa si innescavano scenari diversi, dove la vita si andava a mescolare inesorabilmente con la morte, così come la speranza che non voleva abbandonare il proprio cuore. Forse fu proprio quest'ultima a prevaricare perfino sul terrore, tanto che risvegliò il ruggito della combattente assopito nello spirito avvelenato dall'orrore. Di nuovo tentò di dare un pugno al sud-americano, questa volta cercando di scrollargli di dosso la pistola, ma per sua sfortuna, l'uomo non aveva lasciato niente al caso e non si fece abbindolare, anzi, rimase fermo al suo posto mentre con un grugnito animalesco le diede una sberla che gli fece girare il viso dall'altra parte.

Quanto scottava sulla pelle quello schiaffo? Quanto il suo orgoglio di donna era stato contaminato?

Le sue domande furono messe a tacere quando la porta venne spalancata di colpo. I cardini in alluminio ruzzolarono nella stanza come il tappo della bottiglia di champagne che veniva aperto. Pezzi di legno dello stipite giacevano ai piedi delle scarpe in vera pelle lucida di Alex, mentre quest'ultimo – raggiunto tempestivamente dal fidato amico Sam – posò gli occhi cristallini e freddi come l'inverno sul sud-americano, che nel frattempo si era alzato in piedi e aveva ritratto sul viso la stessa espressione di Alex.

Il russo non parve nemmeno fare caso ad Hazel, si limitò soltanto a cacciare fuori dalla cintola una pistola nera. Quando gli sguardi dei due uomini alfa furono allineati, mentre la musica fuori toccava le sue note più alte, entrambi premettero il grilletto.

Hazel non riuscì ad urlare, nemmeno quando si vide buttati addosso diversi schizzi di sangue. Aveva avuto a malapena il coraggio di alzarsi da terra e ora, mentre stringeva convulsamente il lavandino in marmo su cui si era appoggiata, guardava disgustata, forse? La scena da film horror che le si presentava davanti. Poi, con una forza che non immaginava nemmeno di possedere, alzò gli occhi verso Alex che stava dando alcune direttive a Sam. Quando si accorse di essere osservato diresse gli occhi cristallini verso la ragazza. Dopo di ché, contraendo la mascella puntò lo sguardo verso il cadavere ai suoi piedi, mentre la stanza veniva infossata dal puzzo di sangue rosso.

─ Sam per favore pensaci tu, io riporto Hazel a casa.

Hazel venne letteralmente trascinata fuori dal bagno, mentre la punta del vestito che si era rotto precedentemente sul di dietro, assorbì il sangue dell'uomo steso atterra da una pallottola che si era andata a conficcare dritta nell'occhio destro. Oramai il bulbo bianco aveva lasciato spazio a un buco vuoto grondante di sangue, che stava scendendo piano piano lungo il viso come fossero lacrime salate.

La ragazza era rimasta rigida per tutto il tempo, soprattutto era rimasta scioccata non tanto per aver visto per la prima volta nella sua vita un cadavere così da vicino, quello che più l'aveva scossa nel profondo era stata toccare con mano la freddezza con cui Alexander aveva affrontato la situazione.
Nel giro di poche falcate si ritrovò nel guardaroba, confinata a forza da un Alex quasi irrequieto che tornò dopo poco tempo con in mano il suo cellulare, seguito da un Donovan decisamente preoccupato.
I due presero a chiacchierare animatamente ma con il tono di voce basso. Ad un certo punto i due smisero di chiacchierare mentre una ragazza fece il suo ingresso nella cabina.
Altri non era che Maria.

─ Che cazzo vuoi?!

─ Vaffanculo​ Alex, sono solo venuta a vedere che cosa sta succedendo! ─ urlò Maria in preda alla delusione più totale.

Alex la guardò fissa per alcuni secondo poi scuotè il capo e si passò una mano tra i capelli gelatinati portati indietro in un'acconciatura elegante. Era nervoso, ansioso e soprattutto non vedeva l'ora di andare via da quel posto.
Lanciò uno sguardo verso Hazel e non vi lesse niente nei suoi occhi chiari, se non sgomento.
Tirò un sospiro e trattenne aria nei polmoni. Se disse che doveva assolutissimamente riprendersi per lei, per loro e per tutte quelle persone presenti in sala in quel momento. L'ordigno doveva rimanere inesploso.

Perciò nervosamente prese il suo cappotto e quello della ragazza. Cauto poi la raggiunse in quel mare di disperazione in cui era crollata e che non avrebbe mai ammesso nemmeno a se stessa poiché era troppo orgogliosa. Nell'esatto momento in cui lui stava per avvolgere le sue esili braccia nel pesante​ cappotto di panno nero, Hazel alzò gli occhi e lo trafisse nel profondo. Alex sentì come se il pavimento fosse sprofondato nel punto più profondo della terra.

Quegli occhi raccontavano sempre troppo. Erano devastanti, riuscivano a scavarti nel profondo e a lasciarti penetranti solchi. Delle volte ti proprio uccidevano, non ti lasciavano scampo.

Alex sentì un moto devastante di rabbia sviscerargli le budella e non poté fare a meno di prenderla dalle spalle e scuoterla. Si disse che quella non era di certo l'Hazel che lo graffiava mentre facevano l'amore, che quando c'era da urlarsi contro lei era la più brava a farlo. Quella non era la ragazza di cui si era innamorato.

─ Ehi Haz mi senti? Ci sono io con te, ci sarò sempre io con te! ─ gli urlò contro, mentre il corpo di Hazel venne sorpreso da spasmi irregolari e le guance bagnate dall'intensità delle lacrime che le stavano sporcando tutto il viso. E poi gli buttò le braccia al collo e lui l'abbracciò forte, mentre lei riversava tutto il suo sconforto nell'incavo del collo di lui.
In quel momento perfino l'odore della lavanda e dei biscotti al miele che sapevano di lui, la stavano lacerando.

Se un fotografo avesse scattato con una polaroid una foto in quell'esatto momento, a quelle due anime ribelli persi inesorabilmente in loro stessi, vi avrebbe sicuramente scritto sopra la parola RITROVARSI. Ma quei due, perfino con un abbraccio riuscivano ad azzannarsi, a ferirsi, ad uccidersi.

Spazio Autrice
Buonasera e di nuovo scusate per l'ennesimo ritardo, oramai sarà sempre così! Speriamo di finire entro quest'anno questa storia perché ne ho tante altre da farvene leggere.
Bene tornando a noi. A me il capitolo piace molto e mi sono accorta che sto evolvendo nello stile (forse sarà stata l'influenza della Pelle di Curzio Malaparte) e perciò ho cercato di curarlo al meglio. Spero che il risultato sia buono.

Vi lascio alla visione di questo video (non so che linguaggio sto usando) dove i protagonisti sono Frances e Reggie (il mio bellissimo Tom Hardy 😍😍😍 che in questo film ha dato il meglio di sé) e secondo me si avvicina molto alla storia di Hazel e Alexander.

До Свидания 😘

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