Capitolo 27 (parte I)
─ Quindi ti ha invitata ad uscire con lui?
Hazel aveva dovuto chiedere aiuto e l'unica persona che le era sembrata più adatta a cui rivolgersi in quella precisa circostanza, era stato Chris, il suo unico e più caro amico.
Il ragazzo non se l'era fatto ripetere due volte, perché amava quelle questioni di cuore e voleva bene a Hazel, come si vuole bene ad una sorella.
─ Diciamo di sì.
E come avrebbe potuto dirgli che lo stava facendo perché c'era un pazzo in giro che la voleva morta? Non sarebbe stato sicuro e soprattutto intelligente, mettere in pericolo lui, la persona che più la capiva e l'amava, di un amore fraterno, di quell'amore che Hazel ricordava con scorci di ricordi annebbiati dal tempo e dal dolore.
Seduto sul letto, con i pantaloni strappati sul ginocchio e una maglia enorme nera, la guardava cercando di studiarla.
I capelli erano ormai diventati arancioni, segno che si era stancato del rosso e che stava cercando il giusto colore che avrebbe ridato slancio al suo look.
─ Perché ho come l'impressione che ci sia dell'altro?
Hazel per un attimo sentì il suo cuore cominciare a battere forte, ma cercando di mantenersi fredda, gli dedicò un debole sorriso.
Non doveva assolutamente entrare a contatto con quella verità.
Lui era forte, ma non come lei. Aveva ancora tanto da imparare dalle ferite e dal dolore che esse procurano. Doveva imparare a modulare il dolore, a non lasciare che esso prevalga sui sensi. Il suo DNA era ancora debole e non sarebbe stato in grado di resistere a quell'uragano mortale.
Perciò era compito di Hazel - poiché aveva imparato molto bene a ricucire le ferite fuori, anche se quelle da dentro continuavano a dissanguarla - proteggerlo.
─ Lo sai che te lo avrei già detto, se ci fosse stato qualcos'altro sotto.
Quanto si vergognava Hazel in quel momento.
Era la prima volta che mentiva così spudoratamente a Chris e sapeva che la coscienza non ce l'avrebbe fatta per sempre a stare zitta.
Si morse il labbro inferiore e spostò gli occhi dal viso dell'amico, per trasferirli verso le ante spalancate del suo armadio.
─ Ma ce l'hai qualcosa di decente da indossare?
─ Secondo te il velluto andrà bene?
Chris la guardò di sottecchi, come cercando le parole giuste per avvertirla del fatto che nemmeno la biancheria intima sarebbe andata bene per quella occasione.
Hazel a quel punto sospirò e fece vagare lo sguardo sui vari abiti riposti sulle grucce.
Che fare?
I soldi per un vestito da sfilata di moda lei non li aveva e nemmeno li avrebbe mai chiesti ad Alex, quindi non le restava che accontentarsi.
Stava per ribattere, quando il campanello della porta prese a trillare esuberante.
Hazel guardò Chris, come a chiedergli se stesse aspettando qualcuno, ma lui chiaramente scosse la testa.
Però decise ugualmente di alzarsi e di andare a vedere alla porta chi fosse il misterioso ospite.
Hazel sentì tutto sommessamente dalla sua camera, seduta sul bordo del letto disfatto, ancora da rifare, con le lenzuola spiegazzate, accartocciate su se stesse e l'ombra della notte ritratta sul bianco cuscino.
Capì che si trattava della signora Mary, che scherzosamente gli faceva notare che lei non era la postina di nessuno, menzionando languidamente che in quella casa si ricevevano più pacchi che ospiti.
Chris era confuso, ma non lo diede a vedere, continuò invece ad assecondarla, e poi chiuse la porta e si diresse verso l'amica, imbracciando tra le mani un voluminoso pacco bianco e una busta altrettanto capiente.
Lei vi lesse una strana S interrotta poi nel mezzo, da tre piccoli trattini ordinatamente in verticale.
Non si era nemmeno accorta di aver aperto la bocca mentre cercava di intercettare il logo ritratto su quella busta, sicura che fosse di qualche maison famosissima e altrettanto costosissima.
─ A quanto pare non ci sarà più bisogno di quello straccetto di velluto!
Hazel lo guardava inebetita, non capendo ancora quello che stesse realmente accadendo.
Quando si alzò, strappò dalle mani di Chris la scatola e subito dopo la busta di carta rigida opaca, poi buttò tutto malamente sul letto.
Visti così quegli oggetti presero a perdere valore, a divenire come tante cose omologate a tutti quegli abiti, quelli che una ragazza della scintillante Manhattan avrebbe sicuramente definito come "straccetti", non curandosi del fatto che ogni oggetto, ogni tessuto di cotone riposto in quell'armadio, rappresentava il sudore e la fatica che Hazel aveva buttato per poter andare avanti, alla ricerca di un'esistenza normale, anche se piena di buche. Quei comodi vestiti rappresentavano una vita normale.
Titubante e anche molto terrificata, tirò fuori dalla busta un'altra scatola di cartone lucida, con ritraente lo stesso simbolo.
Fece un bel respiro e poi aprì il coperchio.
C'era della carta velina, sottile, talmente tanto da aver riportato delle contusioni che avevano preso la forma delle striature.
Come una bambina davanti all'albero ricolmo di doni il giorno di natale, Hazel con gli occhi che brillavano per la magnifica sorpresa, prese a scoprire cosa si nascondesse di così prezioso dietro quel muro gracile, trasparente. Dischiuse così tutta la carta e si imbatté in quello che le sembrò essere un vestito nero, saggiandone la delicatezza degli orli, del tessuto lastricato di piccoli filamenti in argento, con quei polpastrelli quasi sorvolò.
Non stando più nella pelle, lo tirò fuori dalla scatola scoprendosi meravigliata davanti a tanta eleganza.
Mentre scendeva carponi dal letto, tenendo saldamente tra le mani quella preziosa reliquia, con la bocca spalancata si girò a guardare Chris, notando che anche l'amico aveva ritratto sul viso la sua identica espressione.
─ Chris, chi sa quanto sarà costato?!
─ Qualcosa che noi non potremmo permetterci nemmeno tra dieci anni... ─ gli rispose il ragazzo con aria sognante, lontana.
Poi si riprese e si schiarì la voce, avvicinandosi alla scatola, quella che Hazel non aveva ancora aperto.
La scritta sulla scatola recitava Jimmy Choo e una volta aperta, quello che i suoi occhi incontrarono furono dei meravigliosi sandali gioiello neri, alti, con il cinturino in pelle da allacciare alla caviglia. Ma non c'era solo quello. Quando aveva estratto dalla sacca in tela grigia le meravigliose scarpe, si era accorta che sul fondo vi era riposto una busta bianca, con emittente - scritto sul retro - il nome di Alexander.
Mise per un attimo da parte le scarpe e richiamò l'attenzione di Hazel, che presa ad osservare il suo vestito nero lungo, aveva lasciato tutto il resto fuori da quella bolla scintillante, e proprio per questo Chris dovette richiamarla un paio di volte, era davvero frastornata da tutta quella eleganza.
Hazel aprì la busta della lettera con una certa esitazione ma doveva pur sapere cosa le volesse dire il suo benefattore.
Hazel,
Sapevo che non mi avresti mai chiesto l'aiuto per questa sera e poiché sono stato io a metterti in questa situazione, ho pensato che tutto sommato ricevere un regalo ti fosse gradito.
Ho chiesto aiuto ad una commessa, lei è stata tanto gentile da consigliarmi diversi abiti molto belli, ma quando ho visto questo indossato da uno scialbo manichino, ho pensato a come sarebbe stato indosso a te, a come avrebbe calzato alla perfezione le tue forme che ti ostini a nascondere per paura. So che sarai bellissima.
Ti passo a prendere alle 20:00.
Rimase ancora per qualche secondo ad osservare il foglio, poi, come se avesse assorbito tutto da esso, decise di riporlo nel cassetto del comodino, quello dove aveva nascosto la foto.
─ Che dice?
Hazel sussultò non appena l'amico ebbe pronunciato quelle parole. Ancora una volta l'uomo era stato capace di farla allontanare dalla realtà.
Non appena chiuse il cassetto si girò nella sua direzione, guardandolo dritto negli occhi.
─ Dice che passa a prendermi alle 20:00.
Chris si aprì in un sorriso al quanto sinistro, qualcosa che non presagiva nulla di buono.
Infatti due ore dopo, Hazel uscì dalla parrucchiera con uno chignon basso elegante e un trucco leggero, con una tinta rosso vermiglio a colorarle le labbra.
─ Non sarà troppo appariscente questo colore per una serata del genere? ─ proruppe lei, mentre rientravano nell'appartamento che sapeva di cucinato.
─ Ma ché! È un colore molto di moda e poi non ti fa battona, ma con un trucco minimal era necessario una tinta del genere.
A volte si stupiva di quanto il suo amico ne sapesse più di lei in fatto di donne e in tutte quelle cose che le ragazze amano.
─ Devi sbrigarti, tra poco saranno le 20:00, non vorrei che il tuo uomo ti abbandonasse. ─ gli ricordò l'amico scherzando guardando l'orologio al polso.
In un baleno fu in camera, seguita da Chris e cominciò a vestirsi.
Sentire indosso quel tessuto prezioso, quel tessuto che le andava dolcemente ad abbracciare le forme, era una sensazione al quanto strana, quasi frizzantina.
Hazel si rimirava allo specchio, sorpresa di quello che lo stesso rifletteva: il profilo di una donna elegante, affascinante, sicura di sé stessa.
L'abito le lasciava scoperte le spalle e la schiena, mentre tutto il resto era coperto, ma non c'era niente di casto in quella mise.
Lei era semplicemente meravigliosa.
─ Stai benissimo.
Chris la fece sussultare, quando cauto le arrivò alle spalle, senza che lei se ne accorgesse, troppo presa ad ammirare quella donna riflessa nello specchio, che vagamente le ricordava se stessa. E invece era lei, nonostante gli occhi truccati, nonostante le labbra appariscente, nonostante quelle scarpe davvero troppo scomode. C'era sempre la solita introspettiva Hazel, dietro quello sfarzo.
Stava per ribattere, con le guance leggermente rosee, quando il citofono prese a trillare intensamente.
Il cuore prese a martellare nel petto, lo stomaco a chiudersi e le mani a sudare freddo.
Sì incamminò verso il telefono e senza nemmeno verificare chi fosse, schiacciò il pulsante di apertura del portone condominiale.
Qualche minuto dopo, il russo fece il suo ingresso nell'appartamento.
Sembravano una vecchia fotografia, quei due.
Fermi, con il respiro mozzato e gli occhi spalancati, a osservarsi, in contemplazione di quello che stavano vedendo.
Alexander era bellissimo nel suo completo in velluto nero, griffato Tom Ford, con la camicia bianca e l'accenno di barba scura.
Ma quando i suoi occhi si erano posati su Hazel, aveva avuto come la sensazione che il suo immobile e sporco cuore nero, avesse prese a battere più intensamente.
Non si dissero niente per infiniti secondi, poi a spezzare il silenzio fu proprio la ragazza.
─ Prendo la giacca e andiamo.
Lui si limitò a fare un cenno di assenso con la testa e a scendere di sotto, lì, dove lo aspettava il proprio autista che aveva parcheggiato la propria limousine nera.
Hazel prese il cappotto nero, forse troppo casual e usato per quell'occasione. Suonava come una nota distorta in un concerto dell'opera. Chris l'aiutò ad indossarlo e a ripetergli che era davvero bella, tanto quanto lui, anche se lo sapeva che il russo era riuscito ad attirare più attenzione.
Si guardarono un'ultima volta.
Hazel cercava conforto e Chris era lì per offrirgli il proprio braccio, perché lui sarebbe stato sempre al suo fianco, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, lei avrebbe sempre saputo di aver un posto nel mondo, e che questo posto sarebbe stato sempre dolce.
A quel punto scese le scale e con un ultimo, ampio respiro, aprì il portone principale ed uscì.
Alex l'attendeva paziente, con il volto rivolto verso la strada, senza accorgersi che lei era scesa. Sembrava assorto nei suoi pensieri, come se ci fosse qualcosa che lo disturbasse.
Hazel non riusciva a capire che cosa potesse essere successo.
Con cautela, mentre le scarpe con i tacchi anticipavano le sue mosse, lo raggiunse. Gli picchiettó con delicatezza sul bicipite destro e quello alla fine si girò.
Le sembrò di rivivere un flashback, e la mente la riportò al giorno in cui lo aveva conosciuto, a come sedeva sul divano, a come il suo atteggiamento fosse di un uomo altezzoso e sicuro di sé, mentre lei aveva le sembianze di una foglia mossa dal vento, tremante e colpevole.
Alex gli restituì un flebile sorriso e poi la sorpassò, andando ad aprire lo sportello di quella costosissima macchina, offerta gentilmente dal clan.
Hazel vi si accomodò all'interno, cercando di tenere a bada, per quanto potesse, lo spacco verticale anteriore.
Poi fu il turno di Alexander, che con il suo elegante portamento, gli si andò a sedere di fianco.
A quel punto l'autista poté partire.
All'inizio i due si erano trovati seduti a centimetri di distanza.
Hazel che guardava assorta fuori dal finestrino, un po' imbarazzata per la situazione che si era creata in macchina e un po' perché non si sentiva per niente a proprio agio vestita in quel modo. Se poi il pensiero volava al perché lei fosse seduta in quella lussuosissima macchina, allora lo stomaco si faceva uno straccio.
Alex invece, non sapeva nemmeno lui perché si era comportato in quel modo, sin dal primo momento che gli occhi l'avevano incontrata.
Sospirò frustrato e con la coda dell'occhio la osservò.
Le gambe sottili, bianche, lasciate scoperte in parte dalla stoffa nera del vestito che lui le aveva regalato.
La curva del sedere, il contorno rettilineo della schiena, il leggero rigonfiamento del seno.
Il collo sottile, le labbra dal perenne broncio che questa volta avevano preso il colore del rosso scarlatto, il naso alla francese, la fronte alta, un filo di capello ribelle scappato dalla magra acconciatura.
Come infastidita da quell'occhiata troppo intensa, non di un uomo semplice, ma di chi è abituato ad osservare la vita con occhio clinico, si voltò di scatto verso lui.
I due tornarono ad essere quella vecchia fotografia scattata senza preavviso, di quelle che non ti aspetti nemmeno di quanta intensità possano trasmettere.
Alexander allungò il braccio destro e dopo aver catturato il braccio esile di lei, la tirò verso di lui, in un abbraccio rude e gentile, di quelli che solo Alex sapeva regalarle.
In un primo momento lei si ritrovò stordita e forse un po' irrigidita, ma poi quelle braccia, che avevano agguantato tante persone diverse e per tanti motivi diversi, le sembrarono il posto più sicuro sulla faccia della terra.
Rabbrividì a quel pensiero.
Le mani che avevano tirato pugni fino a far stordire.
Le mani che avevano impugnato un corpo inanimato, freddo, il cui unico compito era quello di stordire e di far del male, di ferire.
Chiuse gli occhi, mentre avvertì un fuoco risalire dal basso ventre e il cuore prese a battere più intensamente.
Quello che fece dopo non le apparteneva, o meglio, sarebbe appartenuto alla vecchia Hazel.
Cominciò ad accarezzargli la guancia barbuta, il collo, per arrivare alle lebbra serrate.
Puntò i suoi occhi solo su quelle piccole strisce di sorriso e con una leggera pressione delle dita gliele fece aprire.
Alex si lasciò andare a quel tocco fatato, mentre il corpo veniva pervaso da una sensazione confortante.
Il respiro si fece sempre più pesante, sempre più sofferente, sempre più rovente.
Aprì la bocca, rilasciò la presa sulle dita magre di Hazel, a cui brillavano come due fiamme incandescenti gli occhi e lei capendo al volo quello che stava per accadere le ritrasse con estrema lentezza.
E poi la fiamma divenne sempre più forte, sempre più calda e i sensi furono intorpiditi, le voglie risvegliate.
Eccoli gli animali che vengono liberati, che prendono a rincorrersi nel fitto bosco, fino a quando uno dei due non cede, cade nel tranello, viene imprigionato dalle zampe affamate dell'altro. È sempre il più forte però a vincere, al perdente di fatto, non rimane altra scelta che perire.
E così anche per quei due.
Alexander la prese dai fianchi, la sdraiò con forza sul sedile di pelle e cominciò a baciarla, di quei baci brutali e da cacciatore esperto che tanto la stordivano. Era mai possibile che quell'uomo potesse sempre essere così violento? Così devastante?
Hazel si dimenticò del vestito, dell'acconciatura, del rossetto che tanto non sarebbe andato facilmente via, del trucco, delle scarpe; in quel momento c'era soltanto il desiderio di appagare il suo istinto animalesco, che aveva il colore rosso della lussuria.
Tutto si fece distante quando l'uomo insinuò la mano gelida tra lo spacco del vestito, risalendo lentamente, in una carezza gentile.
E le lingue continuavano a braccarsi, i corpi a sentirsi sempre più stretti e le mani a tastare ogni muscolo.
Hazel ad un certo punto spinse il petto dell'uomo all'indietro.
Alexander si fece guidare da lei, ritrovandosela poco dopo, seduta a cavalcioni su di lui.
Si staccarono.
I petti che si alzavano e si abbassavano all'unisono.
Le labbra segnate da quell'attimo di passione cocente.
Hazel porto lentamente le mani dietro la nuca e semplicemente sciolse il bottone, che alla base del collo, teneva sù il vestito.
Gli occhi di Alex si fecero più luminosi, quando si accorse di quello che la ragazza aveva appena fatto e le sue emozioni, come volevasi dimostrare, confluirono tutte sotto la cintola.
Nemmeno si accorsero di quello che stavano facendo. Se ne fregano perfino dello spettatore silenzioso, che con un occhio sulla strada e l'altro puntato alla specchio retrovisore interno, li guidava verso il gala.
A nessuno dei due amanti erano passati inosservati gli occhi dell'autista e a nessuno di loro due dispiacque. Animati da quello che stava accadendo, si spinsero oltre e fecero quello che solitamente una normale coppia faceva in completa privacy.
Hazel aveva spento il cervello perché voleva solo sentirsi completa e appagata, dall'unico uomo che sapeva gli avrebbe potuto dare ciò.
Per questo si lasciò toccare il seno con irruenza, per questo i sospiri aumentavano e la pelle era sempre più bollente, accaldata.
Le mani di lei scesero poi verso il basso, lì dove sciolse poi la cintura di pelle vera di lui, acquistata in qualche costosissimo atelier. Alexander si fermò. Entrambi si fermarono e si guardarono, nell'attesa che uno dei due compisse almeno un gesto.
Ancora silenzio, rotto ogni tanto dai caldi respiri, lussuriosi, affamati, quasi ingordi.
Hazel odiava non avere quel coraggio impavido necessario per potersi buttare, cogliere l'attimo dietro l'episodio che la vita gli metteva di fronte. E così, perfino in quel momento, dove tutto sembrava essere dovuto, fu Alex a prendere in mano la situazione. Fu l'uomo nero a sganciare la catena che legava stretto il suo lupo, quell'animale affamato di sangue e carne viva.
Nessuno dei due osò chiudere gli occhi. Avevano troppa paura di farlo, di non poter cogliere la debolezza dell'altro, la sottomissione del proprio animale.
Alex non si lasciava sfuggire nessun suono, anche se il suo corpo e i suoi occhi azzurri parlavano per lui. Hazel invece cercava da appigliarsi alle grandi spalle di lui e le stringeva, vi puntava nella tenere epidermide le unghie pennellate da un rosso scarlatto, lasciandovi piccole scie di linee rosse.
Quando non resistette più urlò, quasi liberandosi di un pese troppo grande e pesante che gravava sulle sue spalle, incurante degli occhi di uno spettatore silenzioso, che li aveva visti per la loro nudità, che non li aveva lasciati soli nemmeno per un istante.
Dopo poco si rivestirono e mentre lo facevano si guardavano sorridendo, mentre tutto acquistava un altro sapore.
Lei si risistemò, per quanto poté, il vestito e l'acconciatura.
Nonostante questo, i corpi portavano ancora addosso l'odore del sesso, di quella passione travolgente che si era consumata come una fiamma di una candela, animata dall'ossigeno.
Alex chiuse l'ultimo bottone della camicia, che si era dischiuso all'improvviso, mentre sorreggeva lei e con una scrollata delle spalle, per poter lisciare le pieghe della giacca in velluto, tornò a poggiare la schiena sulla soffice pelle nera, mentre riprendeva il suo solito modo di fare, come se niente fosse accaduto.
Hazel lo osservava e un po' ne fu mortificata.
Si accorse come l'uomo avesse messo di nuovo sù quel muro che alzava, ogni qual volta sentiva di esporsi troppo. La sua amarezza proveniva dal profondo della sua anima.
Lei non era tutti, lei non era nessuno; lei era quella ragazza che lo aveva fatto aprire all'umanità, che gli aveva fatto riscoprire l'umanità. Quella stessa che però macchinava alla sua spalle segretamente, ancora convinta di volerlo ferire, di abbeverarsi del suo sangue.
Quanto si sbagliava, quanto ancora doveva imparare dalla vita!
Ancora una volta si ritrovò a guardare il paesaggio che le sfrecciava vicino, mentre avvertiva un senso di vergogna, nel prendere coscienza di quello che era stato, con gli occhi dell'escluso ospite, puntati sulla loro nudità, non solo corporea.
Finalmente la macchina rallentò e si fermò in prossimità di una vecchia casa coloniale ristrutturata e rimodernata, con il lusso che si respirava tutto in torno, come se vi avessero impresso sopra due gocce di Chanel n.5
Hazel scese subito dopo Alexander, mentre il cappotto di panno nero le scendeva uniforme, andando a coprire parte della coscia.
L'uomo invece se ne stava impettito, con il busto eretto e la mano destra a riagganciare il secondo bottone della giacca, come voleva il galateo.
E poi prese la mano della giovine che gli concesse dolcemente.
Sembravano tante cose, quei due mentre si avvicinavano all'impetuoso portone di ingresso, coperto da un portico lastricato di marmo bianco e colonne dello stesso materiale e colore.
Sembravano vecchi amanti, persone che avevano condiviso insieme un tempo lungo della propria vita, sembravano anche che si amavano.
─ Stammi sempre vicino, ricordati perché sei qui.
La voce che le arrivò all'orecchio destro fu flebile ma sicura, e le servì soprattutto a ridimensionare i suoi pensiero fiabeschi che si era costruita, senza nemmeno accorgersene, tipiche di tutte le ragazzine.
Si chiese ancora una volta, perché nelle vicinanze di Alexander lei si dimenticasse di chi fosse, di quanti anni avesse e tornasse ad essere un'adolescente.
Con un cenno della testa, cercò di scacciare quei pensieri assurdi quanto lontani dalla realtà oggettiva delle cose.
Finalmente salirono gli scalini che dividevano il viale in ghisa dall'ingresso, con la sua mano a stringere fortemente il bicipite di Alex, alla ricerca di quella forza che le sarebbe servita per affrontare la dura serata tutta lustrini e abiti costosi.
Quanto rimpiangeva in quel momento il pesante turno di notte alla caffetteria, con la stanchezza a scendere e le palpebre dure da tener su.
Per un attimo le sembrò di rivedere casa sua, quella in Texas.
I ricordi li aveva strettamente tenuti fuori dal suo cervello, e tutto per suo volere. Ma quando varcato la soglia della dimora, i ricordi erano sgusciati via e le si erano presentati in bianco e nero davanti agli occhi, quasi fossero una vecchia pellicola muta.
Vide il soffitto alto, puntellato da piccole luci gialle incassonate nel soffitto, la scalinata in marmo bianco, lucidissimo, quasi da poter essere considerato come uno specchio, sintomi dell'immensa fatica che una colf - certamente tunisina o messicana - aveva fatto nello strofinare tenacemente il pavimento per tutto il giorno, il tutto corredato da un corrimano in legno di rovere lavorato e quasi in stile liberty, di quello stile tipico ottocenteso.
E poi al centro della sala vi era una donna, ma non una semplice donna.
Sembrava una statua, una riproduzione di qualche dea greca, con quei capelli neri come il petrolio, quella pelle di porcellana, dove sul collo si notavano in rilievo le striature delle vene violacee, con la bocca in una smorfia che sapeva di cattiveria pudica e nascosta.
Gli occhi furono però la cosa che più colpì allo stomaco Hazel.
Perché quelle pietre celestiali la stavano violando, lacerando dentro, alla spasmodica ricerca di qualcosa che neppure lei sapeva di nascondere.
Indossava un vestito rosso sangue, lungo e stretto, che si apriva a campana sotto, giusto per dare la possibilità alla dama di poter camminare e ballare.
Il vestito aveva inoltre, una scollatura a barca sul davanti che lei aveva arricchito con un grande collier di pietre nere, che le andavano a coprire la pelle di porcellana scoperta.
Alexander le fece una leggera pressione nella parte posteriore della schiena, all'altezza del bacino, invitandola a camminare.
Hazel si sentiva come se la testa potesse scoppiare da un momento all'altro e non capendo bene cosa stesse accadendo, si lasciò guidare dalla mano dell'uomo.
Qualche passo avanti, si ritrovò ad ammirare da vicino quella dea greca, di uno splendore antico, etereo e inarrivabile.
La donna disse qualcosa, ma lei non riuscì ad afferrare il senso di quel monologo, perché perfino la voce le ricordò uno di quei versi musicali tipici della poesia decadente di Baudelaire o di D'Annunzio. Sembrava pura simbologia, quella donna.
Poi Alexander - che non aveva mai visto così cortese, come un nobile, che per un attimo gli ricordò di quegli amanti di qui Madame Bovary si era perdutamente innamorata, fino ad avvelenarsene, gli baciò il dorso della lattea mano, curata nei dettagli e nelle lunghe unghie laccate di nero.
E poi, quegli occhi famelici, si rivolsero verso di lei e Hazel ebbe paura. Uno spasmo involontario le fece aprire e chiudere di scatto la bocca, e per rimediare al danno causato, sorrise, ma si trattava di un ghigno, più che di un sorriso.
La donna allungò la sua mano elegante e di nuovo gli disse qualcosa, allora Hazel cercò invano di rilassarsi e questa volta il sorriso sulle labbra migliorò.
Allora con incertezza, mentre avvertì la mano di lui di nuovo sulla sua pelle come a dargli sostegno, si lanciò a stringere la mano della donna-angelo.
─ Quando Alexander mi ha detto che avrebbe portato una donna con sé, ne sono rimasta decisamente colpita, tanto che non aspettavo altro momento che quello di incontrare la famosissima ragazza che è riuscita a far perdere la testa a uno come il russo. E devo dire che ha fatto la scelta giusta, sei davvero bellissima, ─ poi parve pensare a qualcosa, tanto che la fronte truccata si dispiegò in tante piccole rughe, per poi rilassarsi non appena trovò quello che stava cercando, ─ Hazel giusto?
Un fuoco si accese nelle budella già contratte di Hazel. Non si trattava certo di quello che aveva affermato a proposito del suo amore inesistente che Alexander provava nei suoi confronti, ma del fatto che quelle parole le erano sembrate ipocrite, cattive, una stilettata in mezzo al petto.
C'era qualcosa nel discorso di quella donna che l'aveva fatto rabbrividere le ossa, come se sapesse la verità che Hazel aveva tentato di nascondere per tutta la vita. E di nuovo si sentì violata dei suoi ricordi, delle sue verità, del suo amore che la stava consumando giorno per giorno, nei confronti dell'uomo più sbagliato sulla faccia della terra.
Forse Alex, se avessimo avuto la possibilità di conoscerci in un'altra epoca, in un'altra vita, niente sarebbe stato sbagliato.
Niente sarebbe stato così difficile. Niente sarebbe stato impossibile.
Ma se saremmo nati cinquant'anni fa, ci saremmo davvero amati così?
Avremmo forse imparato insieme a combattere i nostri demoni, i nostri fantasmi del passato?
Spazio Autrice
Che dire, saranno passati due mesi, ma credetemi se vi dico che scrivere questo capitolo è stata una lunga epopea.
Ero indecisa su delle cose, poi sarò stata ferma a leggere le parole che avevo scritto e non sapevo come continuare il tutto.
Insomma a quelli che sono rimasti chiedo perdono. 🙏
Ora vado a studiare e ringrazio tutte quelle persone che impiegano il loro tempo nella lettura di questa storia.
E ovviamente, stellinate e commentate a voi piacimento.
Alla prossima.
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