Capitolo 2
─ Amico te lo ripeto una terza volta, perché ti dico...amico...che non ce ne sarà una quarta...quindi, dicci tutto quello che sai o ti infilo questo su per il culo. Sono stato abbastanza chiaro, amico?!
L'uomo che aveva appena parlato, agguantava tra le mani una spranga di ferro già macchiata dal viscido color rosso della povera vittima, che quella sera, si era ritrovato a martoriare.
Vicino a lui, Alexander stava con le braccia conserte e il viso calmo.
Sam, un grande testa di cazzo di come non ne erano saltati fuori mai prima di allora. Un sadico, un pazzo e un perfetto stronzetto dell'alta borghesia americana.
Alexander non aveva mai capito cosa ci facesse nel loro gruppo, in un gruppo di spiantati come loro. Ma era anche quello più bravo nel lavoro di sicario, nel trovare la gente e nel spiarla, senza farsi vedere o sentire. Era oscenamente portato per il male.
C'era però una cosa che odiava del collega (non che amico), la sua repulsione nei confronti del genere femminile e il suo essere completamente, esasperatamente un melodrammatico di natura.
Ogni volta che doveva uccidere un uomo o una donna, impiegava tutta la teatralità di cui il suo animo più che nero ne era fornito. E quindi minacciava solo per poter vedere la paura emergere dagli occhi delle vittime, poi cominciava a torturarli, per vedere trasformata quella paura in dolore e in sofferenza, poi soddisfatto, li ammazzava. Nei modi più barbari che conosceva magari facendo anche riferimento a qualche libro sui serial killer o su film di impronta horror.
Alexander, Alex, invece andava dritto al sodo, preferiva farlo con una pistola perché procurava meno dolore e perché non si perdeva poi molto tempo. Insomma il trucco era tutto lí, rilegato nella polvere da sparo che in un attimo fa e disfa, seguendo solo il suo di caso, aiutato senz'altro, della mano che gli indica la via, che gli da quella spinta di cui necessita per poter ferire senza rammarico. Ma questo non voleva certo dire che lui non avesse un anima nera ed oscura, anzi, rispetto al ragazzo che aveva vicino, lui era anche più cinico perché se doveva ammazzare un intera famiglia, non si tirava di certo indietro nel farlo, solo che lo faceva con meno sadismo. Quello era tutto. Era anche la cosa che più fregava il ragazzo. Perché chi era meno sadico riusciva a ricoprire un posto più alto nella loro organizzazione di assassini regolarmente pagati. Il club voleva solo persone si cattive, nel senso letterale del termine, ma le voleva anche lucide e sveglie, pronte a tutto. A tutto quello che gli si ordinava di fare.
─ Dal tuo stupido silenzio deduco che sia un no, e questo vuol dire che ancora non hai capito con chi hai a che fare, con che razza di gente hai a che fare. Bene, presto lo capirai perché vedi, gli equivoci non mi piacciono per niente...no, proprio per niente.
E prese a picchiarlo con il bastone non una ma due, tre, quattro, cinque volte.
L'unica cosa che si udiva in quel garage erano i rumori delle ossa rotte, le grida strazianti dell'uomo, che respiro dopo respiro stava per lasciare la terra per incontrare il padre eterno, in una pozza di sangue, per mano di quel ragazzo riccioluto dall'aspetto angelico ma dall'animo di un dannato, di uno che ha venduto per niente o per poco la propria anima al signore dei peccati e delle tentazioni.
Si poteva dire benissimo che Sam era il diavolo, perché se egli avesse avuto una faccia certamente quella, aveva i lineamenti dolci e ancora acerbi di Sam, con i suoi ricci biondi e gli occhi neri, maligni, sadici e pazzi.
Tutto quello sarebbe stato risparmiato se l'uomo - la vittima della serata - avesse azzardato una parola, anche la più insignificante, quella che gli avrebbe aiutati, salvato la serata e la sua sofferenza. Quel compito spettava proprio ad Alex.
Si mosse appena, come un puma, allungò un braccio verso il ragazzo che come scottato si ritrasse e buttò a terra l'arma.
─ Sai perché sei qui...George Tone? ─ l'uomo parlò con calma e freddezza quasi stesse raccontando a qualcuno di quanto bello e interessante fosse il film appena visto.
George, la vittima, si teneva stretto al petto un braccio, mentre un osso faceva capolino dalle pelle lacerata che stava buttando giù un fiume di liquido rosso.
Cautamente fece no con la testa così Alex riprese a parlare.
─ Perché sai delle cose che al mio amico e soprattutto a me, interessano.
Quel povero pazzo se ne stava a terra, osservandolo e facendosela sotto dalla pura. Alex a tal proposito lo trovava al quanto ripugnante, gessato nella sua merdosa omertà che lo stava portando soltanto a scivolare verso il baratro. Basta quel sassolino sotto il tacco della scarpa e sarebbe diventato una miscela tra terra e organi spacciati.
─ Non so niente ─ piagnucolò l'uomo a terra.
Come non detto.
Alex butto fuori un bel po' d'aria ma non era ancora spazientito, era solo dispiaciuto che la tortura per lui stava per ricominciare.
Guardò Sam e l'amico capendo cosa i suoi occhi gli stessero dicendo, fece un sorrisetto e prese a pestare George. Cinque colpi ogni qual volta l'uomo non rispondeva o faceva il finto tonto, come poco prima.
─ Adesso ti è tornata la memoria George?
Freddo e distaccato. Questo era Alex.
─ Guarda che non li reggi altri cinque colpi, tesoro. ─ a parlare fu Sam che intanto aveva portato la spanna di ferro sulla spalla, quasi stesse aspettando di tirare la palla nel gioco del baseball.
─ Avete sbagliato uomo, vi prego lasciatemi andare, giuro che non dirò niente a nessuno, ve lo garantisco.
Supplichi inutilmente, pensò invece Alex.
Odiava quando le vittime si riducevano a non avere più palle o coraggio. Lui era sempre stato abituato a combattere per l'unica vita che aveva, ma anche per ottenere da essa tutto quello che aveva o possedeva, o semplicemente pensava di poter ottenere.
Non era un tipo che si dichiarava vinto anzi, lui non perdeva mai una sfida, figurarsi una guerra.
─ Certo che non dirai niente a nessuno, perché se continui così, l'unica cosa che vedrai sarò io, il mio amico e l'unica cosa che udirai, sarà il rumore delle tue ossa rotte, forse anche del tuo collo. Quindi, prima che mi incazzi, parla porca troia!
Non era arrabbiato. No, per queste cazzate non si arrabbiava mai, lui era solo stanco dell'uomo e della sua omertà.
Quello strano monologo canzonatorio, aveva sorbito un effetto allucinegeno su Sam, che si stava impegnando a ridere. Ma, mentre Sam rideva, l'uomo cominciò a piangere e più lui piangeva e più Sam rideva come un pazzo.
Non per altro Sam era per tutti Joker.
Fu quel comportamento dell'amico a portare l'uomo a parlare.
Terrore e paura, non era stata la violenza che aveva fatto parlare quell'uomo.
Ma la pazzia di Sam. E come dargli torto. Perfino il più perfido dei demoni aveva paura del biondino quando era elettrizzato dal sangue e dalla morte. Lui amava vedere la morte e la paura dipinta sulla faccia delle persone. Un puro orgasmo di piacere.
Come se avesse capito tutto, Alex cominciò con le domande.
─ Lavoro lí da più di due anni e posso dirvi che Patrick ha in mente di rovesciare dall'interno una delle organizzazioni criminali, di cui non so il nome.
─ Chi è Patrick?
─ Il nuovo capo.
─ E Jeremy?
─ L'hanno fatto fuori. Lui è suo figlio.
Poi prese dalla tasca posteriore dei pantaloni una pistola e soddisfatto di quello che aveva ottenuto - che era poco, ma comunque qualcosa - puntò la pistola nella bocca dell'uomo e fece fuoco.
Il corpo ormai senza vita della vittima cadde all'indietro, mentre altro sangue si univa a quello causato dalle mazzate.
─ Fa sparire il corpo. ─ ordinò con la stessa compostezza con cui aveva premuto il grilletto poco prima.
Poi mentre si incamminava verso la sua macchina, come ricordatosi di qualcosa, si girò verso l'amico che intanto cospargeva il corpo del tizio con del liquido trasparente, che stava facendo alzare una grande nube di fumo bianco e stava corrodendo l'uomo. Acido.
─ Dalla prossima volta saremmo in tre, ci hanno affidato un nuovo pivello da lavorare e fortificare, queste sono state le parole di Damon.
Il ragazzo annui e continuò a fare quello che stava facendo.
Alex intanto raggiunse il SUV nero che aveva parcheggiato a cento metri di distanza dal garage.
Un vento gelido di pioggia si stava alzando costringendo l'uomo, ad alzare il bavero del cappotto nero che indossava.
Un cappotto di Gucci nuovo di zecca.
Estrasse dalla tasca le chiavi e aprì la macchina con un click. Ci si fiondò dentro, un po' per il freddo e un po' per la voglia di tornare a casa e farsi una doccia. Poi mangiare ed infine andare a dormire. La ricerca della vittima gli era costata una settimana intera. Era andato più di una volta presso l'ufficio dove l'uomo lavorava e lo aveva spiato da lontano. In verità aveva spiato tutti i movimenti che aveva fatto l'uomo dandosi il cambio di tanto in tanto con Sam.
Era veramente triste sapere che dei poliziotti fossero d'accordo con criminali che appartenevano a diversi clan, o comunque che gli passassero delle informazioni. Se perfino la polizia era venduta di chi ci si poteva fidare allora? Ma senza di essi, senza i loro nomi sui libri paga, non sarebbero mai diventati quelli che erano oggi. Uno dei clan più rispettati di tutta Brooklyn.
Sospirando mise la chiave nel cruscotto e quando stava per accenderla, sentì il suono provenire dal suo cellulare, cellulare che gli era costato più di quattrocento dollari.
Da: FastHand
Sabato sera festa all'Elephant. Sei dei nostri Ice eyes?
Che nel loro gergo voleva dire:
Ha cantato l'uomo, Alexander?
Dovevano usare quei messaggi in codice perché in quel modo non correvano nessun pericolo di essere rintracciati o peggio, scoperti.
A:FastHand
Certo che sono dei vostri!
Ora?
Quello scambio di messaggi, voleva dire che l'uccellino aveva cantato ma aveva comunque puntualizzato l'ora, perché dovevano incontrarsi e parlare della questione Patrick.
Ripose il cellulare sul sedile in pelle vicino al guidatore e accese finalmente il motore.
Tredici ore di sonno ininterrotto lo attendevano a casa.
***
Andava veloce, lo sapeva bene, ma nonostante tutto, quello sembrava non fermarlo.
Continuava a macinare metri senza rendersene conto, mentre stralci di palazzi o strade grigie o lampioni dalla splendente luce rossa, gli passavano attraverso il finestrino. Lui altrettanto velocemente spingeva il piede sull'acceleratore.
E' una strada deserta a quest'ora. Pensò.
In realtà quella era la strada che una giovane ragazza di venticinque anni attraversava per tutta la sua lunghezza quasi ogni mattina, dalla fermata del pullman fino al diner dove lavorava.
Invece dovette arrestare la propria corsa, schiacciando il freno con la stassa intensità con la quale fino a qualche secondo prima, teneva premuto l'accelleratore e tutto questo perché una ragazza era sbucata dal nulla e lui se la stava per ritrovare spiaccicata sul parabrezza della macchina, se il suo lavoro non gli avesse permesso di vederla in tempo e ucciderla.
Nell'attesa che attraversasse la studiò, perché non gli sembrò normale, una cosa del genere.
La ragazza non si era nemmeno resa conto che stava per morire quella sera. Manifestava una tranquillità che strideva con l'intera scena. La seguì con gli occhi fino a quando non attraversò le strisce per ritrovarsi sull'altra parte del buolevard.
Alzò gli occhi e vide dove nasceva la sua tranquillità.
Uno stupido semaforo che lui non aveva visto per colpa della stanchezza, se non della velocità.
Poi ripartì adottando la stessa andatura di poco prima.
Intanto però ripensava a quella ragazza strana che alle due di notte girava da sola per quelle vie poco illuminate così minacciose, silenziose e sole. Come lei d'altronde.
Poi, come un fulmine colpisce gli oggetti metallici, il suo sguardo si illuminò nel ripensare ai capelli di quella strana ragazza.
Sotto la luce accecante dei fari del SUV, si era accorto dello strambo coloro dei suoi capelli.
Erano capelli colorati.
Ma ci aveva veramente visto bene? Oppure era solo un miraggio dato dall'ora tarda?
Dio no, cavolo se ci aveva visto bene.
Quella lí aveva capelli blu.
Ma chi è quella persona che si tinge i capelli con i colori dell'arcobaleno? Si doveva essere estremamente pazzi per fare una cosa del genere.
Con una brusca sterzata, finalmente arrivò nel suo "condominio".
Parcheggiò nel box destinato alle macchine e con tutta fretta salì al piano dove abitava.
Tutto suo. Il piano terzo era tutto dannatissimamente suo.
L'ascensore che faceva da porta di casa si aprì e si precipitò in bagno, togliendosi frettolosamente la giacca e lanciandola sul divano.
Doveva assolutissimamente recuperare una settimana di sonno.
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