Capitolo 15
La donna che le sedeva di fronte, dall'altra parte del tavolo, stava muta e in silenzio, ma lo guardava soltanto.
Gli occhi blu da gatta, resi sottili da un contorno di matita nera. I capelli lunghi, scuri dello stesso colore delle ali di un corvo.
La vita stretta, il seno grande e le labbra distese in un sorriso malizioso.
Alex tamburellava distratto e annoiato con le dita, su quel grande tavolo di mogano chiaro, con su scolpito lo stemma dei "Lupi Verdi".
Damon, pseudonimo di Robert, parlava e parlava, con quel suono tono spietato e un accento britannico predominante, mentre muoveva quei suoi capelli neri setosi e lucidi di gel.
─...quindi è per questo che non ci sono altre scelte che cominciare una guerra contro quel finocchio di Patrick.
─Non credo proprio.
La donna aveva aperto finalmente bocca.
Cathlyn Stan, il presidente del club mafioso di cui facevano parte sia Sam il joker che Alexander il russo e Donovan il timido.
Era una donna tanto affascinante quanto pericolosa. Con suo fratello, la sua copia in tutto e per tutto, avevano in mano l'impero del male in buona parte degli stati federali.
Brooklyn però, rappresentava il trampolino di lancio, dove tutto aveva avuto inizio.
Non furono i fratelli a crearlo, ma un certo James Stan detto il secco, che pendeva, fin dall'infanzia, verso il lato oscuro. Ma non era colpa sua, diciamo pure in parte. Quando stava in Irlanda, essendo lui cattolico, in quegli anni a Belfast per tutti quelli che non fossero protestanti, non gli veniva concesso niente, se non gli scarti di quegli uomini bianchi. Così quando suo padre venne bistrattato malamente, promise a se stesso che niente e nessuno avrebbe mai più considerato gli Stan dei poveracci, nemmeno quegli "sporchi animali bianchi protestanti".
Un giorno partì alla volta del sogno americano, ma lì le cose non erano poi tanto diverse da Belfast e periferia. I primi due anni furono i peggiori per lui, perché mangiava solo se gli veniva dato qualcosa o se riusciva ad accaparrarsi un pezzo di pane in uno dei bidoni.
Era un senza tetto.
Un senza tetto arrabbiato e disposto a tutto per il potere.
Un giorno, mentre si trovava ad elemosinare, salvò un uomo importante da una pallottola volante, finendo per terra al posto suo. Quello era un "beta" del capo della Mafija, ovvero la più importante organizzazione mafiosa russa, che in quegli anni comandava tutta Brooklyn.
James non era stupido, anzi sapeva bene quello che stava facendo e chi era quell'uomo. Da quel giorno la sua vita fu tutta in salita, tanto che riuscì a spodestare la potente Mafija con il suo clan.
Il fratello le rivolse uno sguardo cattivo. Odiava non essere accontentato.
─ E tu Alexander cosa ne pensi?
Improvvisamente si ridestò dal mondo dei sogni che avevano il colore giallo del grano e del grigio del cielo nuvoloso.
─ Umm?
Riuscì solo a dire, pentendosene all'istante.
Non gli piaceva mostrarsi debole agli occhi degli altri e tanto meno abbassare la guardia, anche quando non c'era nessun pericolo a rincorrerlo o a fargli da ombra.
La donna aprì quelle labbra carnose colorate di rosso fuoco, in un impavido sorriso lasciando intravedere la dentiera bianca come il latte.
─ Qualcuno qui è distratto, oggi?
Sorrise. Non per accontentarla ma per compiacerla.
Lei lo conosceva molto bene, anzi lo conosceva meglio di se stesso.
Ma quello che Alex non sapeva, era l'ossessione che per molto tempo aveva pervaso il corpo della donna e la sua mente, più nera del cielo notturno.
Era ossessionata da lui, ma non di un ossessione benevola, era qualcosa che le prendeva e le scuoteva tutto l'interno del corpo. Lo voleva solo per lei. Lo desiderava. Provava una profonda gelosia solo se sfiorava con un gomito un'altra povera donna. Era pazza.
Però era bravissima a nasconderlo. Quel lavoro in quei casi, aiutava molto.
─ Non puoi scatenare una guerra, Damon. Dobbiamo fargli capire chi è che comanda, chi è il più forte. Se cominci una guerra, dimostri solo debolezza.
Alex aveva parlato e la donna si era illuminata in volto. A quel punto Damon parve convincersi e mosse la testa in un segno di assenso.
Aveva azzardato a dare una risposta e come sempre era andata a segno.
─ Che cosa proponi, russkiy?
***
La neve cominciò a scendere lenta, silenziosa per andare a schiantarsi contro quel terreno sporco e rovinato.
Quello che Alex aveva suggerito alla riunione era di mandare un messaggio alla gang di Patrick.
Un ulteriore avvertimento, il quinto da due mesi a quella parte.
A Brooklyn era scoppiata una sorta di guerra fredda, e gli unici combattenti erano i Green Wolf e i Dumbster e Dio solo sapeva come sarebbe andata a finire.
La missione che gli era stata affidata quella sera, consisteva nel pedinare e ammazzare un uomo, vicinissimo alla cerchia di Patrick.
L'uomo si chiamava Valentine, era di origine rumene e aveva trentacinque anni. La sera era solito andare a correre, tranquillo, mentre le sue mani erano più sporche dell'anima del diavolo stesso.
La soffiata era arrivata solo il giorno prima e quasi di istinto, Alex si era preso la responsabilità di finire la missione e vendicare la morte di uno degli scozzesi, cari al club.
Era ora di terminare i conti con quei bastardi.
─ Gli correremo dietro. Io però andrò a destra e tu a sinistra.
Sam, visibilmente carico e febbricitante al pensiero del sangue caldo che prestò avrebbe ricoperto le sue mani, stava in silenzio e lo ascoltava.
Alex spostò la manica della felpa nera che indossava per tenere lontano il freddo e controllò l'orologio.
22:20
Perfetto, l'uomo sarebbe passato da lì tra una mezz'oretta.
─ Andiamo.
Detto questo, scesero dalla macchina e una volta chiusa, si sistemò il cappello blu di lana da pescatore e si incamminò correndo, presso Central Park.
Il vento freddo di novembre schiaffeggiava selvaggiamente, senza ritegno, le sue gambe scoperte, dove la faccia di uno scheletro si faceva strada sul polpaccio destro, con gli occhi neri infossati.
Ogni volta che correva, la Glock nera sbatteva sul fianco sinistro rendendo insidiosa la corsa.
Quando arrivò in prossimità del lago, posto al centro del parco, lo vide.
Vide un uomo correre, le cuffie bianche nelle orecchie e i pantaloni lucidi blu, che si confondevano con quello del cielo.
Prese il telefono dalla tasca della felpa, e scrisse a Sam.
Cinque minuti dopo vide una matassa riccia bionda sbucare da dietro un albero, mentre corse a posizionare i suoi occhi in quelli dell'amico.
Bastò uno sguardo per far capire a Sam, che doveva continuare con la falsa.
Per non dare nell'occhio, Alexander si fermò in prossimità di una panchina.
Il parco di notte era davvero spaventoso.
Gli alberi che con i loro rami, ormai spogli delle foglie per via della stagione, sembravano falangi lunghe e arcigne, che si allungavano a toccare la luna, l'unica fonte naturale di luce, oltre che a lampioni.
Nonostante fosse così tetro e spaventoso, regalava uno spettacolo al quanto mozzafiato.
Il silenzio veniva smorzato dai polmoni che riprendevano aria e dai passi dell'uomo che correndo, scricchiolavano sulla neve.
Quando l'uomo gli passò accanto, lo degnò di uno sguardo fugace, sorpreso di vedere che qualcun'altro amava come lui correre con il freddo pungente e per di più alle undici di notte. Ma quando Valentine si rese conto del russo, quando lo riconobbe, era ormai troppo tardi.
Girò il viso nella sua direzione. Quello fu il senale per Alex.
Un ghigno riempì le sue piccole labbra, mentre si protese in avanti ricominciando a correre.
L'uomo sgranò gli occhi, anche se aveva fatto di tutto pur di non darlo a vedere.
Continuando a guardare dietro, questa volta allungò il passo e la corsa si fece più scattante. Ma non servì a niente. La sua corsa si arrestò quando il corpo andò a sbattere contro quello di Sam, che furbo come una volpe, si era fatto trovare davanti.
─ Spero per te che sia stata una bella corsetta serale, perché sarà l'ultima.
Un pugno arrivò dritto al naso del rumeno, sbattendolo per terra.
Nella mano destra di Sam, era inserito un tira-pugno che aveva lasciato sul viso dell'uomo un profondo solco sanguinante, una cicatrice trasversale che gli apriva la faccia a metà.
L'uomo imprecò in rumeno mentre si portava una mano sul naso cercando di frenare la discesa del liquido, che gli colava sul volto quasi soffocandolo .
Sam guardò Alex, che nel frattempo si era avvicinato, sembrando non essere per niente scalfito da quel freddo che avvolgeva l'aria.
Lo prese da sotto l'ascella e lo rialzò.
L'uomo tentò di tirargli un pugno ma fallì miseramente, provava troppo dolore.
Sam cominciò a ridere e a ridere, ridere e ridere.
Un altro pugno arrivò a colpire lo stomaco, pugno dato da Alex.
Senza dargli tempo di riprendersi, gliene diede un altro sulla tempia, sulla mascella sinistra e schivando un calcio agli stinchi, diede una ginocchiata alla gamba, toccando il nervo. La botta fu così forte che l'uomo urlò e questa volta la bestemmia fu comprensibilissima.
Uno sguardo, il terzo della serata, e i due all'unisono tirarono fuori le pistole e fecero fuoco.
L'aria improvvisamente prese l'aroma del sangue, del freddo e della morte.
La neve intanto, scendeva a coprire il rosso vermiglio del sangue, mentre il suolo diventava rosa.
─ Che ne facciamo del cadavere?
Il russo portò una mano all'attaccatura del naso, come a voler fare un massaggio mentre un bruciore lo pervadeva sulla nocche arrossatesi dal freddo e dalla lotta.
─ Alla zona industriale.
Alex tornò alla macchina e prese un sacco nero, quello usato per i cadaveri e quando tornò sul posto, Sam lo aiutò a mettere dentro il cadavere.
Dell'esistenza dell'uomo ormai non rimaneva che una pozza di sangue incrostato sulla candida neve, un tempo bianca.
Tanto avrebbe nevicato e avrebbe coperto quella pozza, ma per sicurezza i due pensarono bene di coprirla con la neve che era già caduta.
Lasciarono in silenzio il parco e dopo aver messo il cadavere nel bagagliaio, si incamminarono verso il territorio dei Dumbster, in una delle tante zone industriale dove tenevano i loro affari.
L'aria dell'abitacolo fu pervasa dall'aria calda data dal riscaldamento.
─ Fa freddo, troppo freddo.
Il viso di Alex si aprì in un sorriso malizioso mentre si accingeva a rispondere.
─ Dai che un goccetto di Bourbon allevia tutti i dolori.
Il silenzioso panorama dell' ormai ex zona industriale si aprì davanti agli occhi dei due uomini.
Alex fermò la macchina e scese, seguito controvoglia dal biondino.
Scaricarono il corpo e lo lasciarono vicino ad una staccionata.
Un gesto semplice che nascondeva mille significati.
L'avvertimento.
La vendetta.
La superiorità.
Ritornarono in macchina e dopo aver scaricato Sam in uno dei suoi bar, Alex tornò a casa o almeno ci provò.
Fare quella strada voleva dire passare davanti il quartiere di Hazel.
Anche se si erano visti altre due volte e aveva scoperto qualcosa in più dalla ragazza, per esempio dove abitava o dove lavorava, avrebbe riconosciuto anche ad occhi chiusi quella casa dai mattoncini rossi.
Con il SUV nero si fermò dall'altra parte della carreggiata, notando sul cellulare l'ora.
Erano ormai le 23.30 passate e questo voleva dire che la ragazza stava già dormendo da un pezzo.
Stava lottando con se stesso se scendere e entrare o tornarsene direttamente a casa.
Da quando l'aveva conosciuta, da quando i suoi occhi si erano posati su di lei, un senso del dovere si era impossessato di lui.
Se avrebbe potuto, se sarebbe stato un uomo diverso, non uno che campava sulla morte degli altri, allora l'avrebbe chiamata ogni giorno, l'avrebbe invitata a cena fuori, in uno di quei ristoranti vicino il mare, l'avrebbe portata in viaggio in California, tra la sabbia e il gran Canyon, avrebbe fatto tutte quelle cose che vedeva fare agli altri.
Ma lui semplicemente non poteva, così si accontentava di quello che la vita le aveva riservato.
Scese dalla macchina, abbottonandosi meglio quella felpa nera e si incamminò verso il condominio.
Attraversò la strada e dopo una breve occhiata al posto, si incamminò dalla parte delle scale di emergenza.
Con uno slancio, aiutato anche dalle lunghe gambe, si arrampicò su per la scale.
Cercando di fare meno rumore possibile, accompagnato sempre dalla sua fedele Glock, salì i gradini per arrivare al terzo piano.
La corsa terminò quando si ritrovò difronte ad una finestra rettangolare con le tendine bianche e blu. Sperò che appartenesse alla camera di Hazel e non dell'altro coinquilino.
Di nuovo lasciò vagare lo sguardo al paesaggio notturno e quando non vi scorse nessuno, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una picca, con il legno chiaro ma graffiato in più punti. Nella mafia russa quel semplice oggetto rappresentava molto di più che un coltellino tascabile. La picca, un coltello a scatto con una lama lunga e sottile, per i russi, anzi per i siberiani, era legato a usanze e cerimonie tradizionali proprie della comunità. Non poteva essere comprata ma solo regalata da un anziano (per anziano ovviamente si intendeva un criminale sessantenne).
Ovviamente, non dovevi separartene mai.
Per Alex quell'oggetto rappresentava il filo invisibile che lo legava al passato, da cui non poteva fuggire, da cui non voleva fuggire.
Fece scattare la lama e cercò di scardinare il chiavistello della finestra. Dopo aver eseguito quel movimento circolare, riuscì a far scattare la sicura e ad alzare lentamente il finestrone.
Appoggiando una mano sul telaio della finestra, mise un piede all'interno, andando a calpestare il marmo del davanzale interno, per spingere poi il corpo ed infine calarsi piano all'interno della stanza.
La stanza era immersa nel buio, però Alex riuscì lo stesso a capire che quelle quattro mura appartenevano ad Hazel.
Il suo delicato profumo era stato l'elemento rivelatore.
Quel dolce odore di cocco e cioccolato, di deodorante che sapeva di menta e fresco.
Con la luce che filtrava dalla finestra che aveva lasciato aperta, intravedeva il profilo di un letto posto al centro della stanza, vicino la finestra.
Un sorriso inaspettato si allargò sul suo stanco viso, mentre avanzava al ritmo regolare del suo respiro. Raggiunse il letto con due semplici falcate, ma una volta lì non seppe come muoversi.
Non sapeva cosa doveva fare, se svegliarla o stare in piedi e osservarla silenziosamente.
Allungò un dito verso il viso coperto dai capelli.
Ne scostò una ciocca e accarezzò il suo placido viso, così delicato e freddo.
Poi si ritrasse, come se si fosse scottato.
Si sentì improvvisamente sbagliato, un inetto.
Aveva voglia di scappare da lì, di andarsene e di lasciarla andare, di non contaminarla con il suo male, perché lui era la violenza e la morte, il sangue e le ossa marce.
Ma tutto quello che fece fu restare lì, ad osservare la purezza, la chiarezza e la sua salvezza.
Due occhi grigi-verdi lo stavano osservando.
L'odore si fece più vicino.
Lei si fece più vicino.
Si guardarono per interminabili istanti.
Ogni tanto Alex distoglieva lo sguardo per guardare le sue corte gambe scoperte, sulla quale si intravedevano dei tatuaggi piccoli.
─ Scusami ma dovevo vederti.
Tutto lì. Era tutto quello che era riuscito a dirgli, per giustificarsi.
Hazel non sembrava minimamente spaventata, forse solo sorpresa il tutto accompagnato da una strana scintilla negli occhi.
─ Vado, ti lascio dormire.
Mentre se ne stava andando, una piccola mano si strinse intorno al suo polso.
Lo stava invitando. Da uomo attento come era, non se lo fece di certo ripetere due volte.
Guardò il polso, poi i suoi occhi ed infine le sue labbra.
Sciolse il contatto con lei per andare ad agganciare le sue labbra con le sue.
La ruvidezza che si andava a scontrare con la morbidezza.
Se la mangiò perché l'aveva desiderata dal primo istante, perché aveva un bisogno viscerale di sentirsela plasmata addosso.
Quel bacio fu violento.
Aveva il sapore della notte, della neve e della pioggia.
Del sangue rosso, vermiglio che scorre vivo nelle vene.
Aveva lo stesso sapore della passione.
Alex non se ne andò, semplicemente rimase lì con lei.
Dormirono vicino, ma senza mai toccarsi.
Anche se, ogni tanto le mani si sfioravano, dando vita a delle scintille luminose di emozioni
Spazio Autrice.
Here we are the new chapter!
Okay è un capitolo importante dove si vedono un paio di personaggio che saranno necessari per la storia. Oltre a questo abbiamo conosciuto Cathlyn Stan, la boss. Vi ho stupito vero? Credevate che l'impero del male fosse nelle mani di un uomo? E invece no, è una bellissima dama il cui presta volto è niente poco di meno che la bellissima Eva Green (Vi ho messo una foto qui sotto, giusto per sotterrare l'autostima). Adesso vado a dormire che domani devo alzarmi presto ma prima di lasciarvi devo ringraziarvi lettori silenziosi, quindi...grazie mille a tutti voi! <3
Alla prossima, ciaooooo!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro