Capitolo 14
Cominciò a piangere. Non di un pianto pacato, perché in quelle lacrime aveva nascosto tutto il risentimento, tutta la rabbia, che provava per quella vita ingiusta.
I singhiozzi le scuotevano l'anima, distruggendola; la stavano soffocando, lacerando.
Non gli importava nemmeno che quegli occhi così belli la stessero osservando.
E lo stavano facendo, oh si se lo stavano facendo. Erano però lontani e distanti, quasi assenti.
Nel frattempo si sedette perché non ce l'ha faceva più a stare in piedi e a farsi forza, ormai anche quella se ne era andata con le lacrime.
Il viso di Hazel risultava agli occhi di Alex ancora più bello di quanto già non fosse.
Infatti lui, se li era goduti quegli occhi che si erano alzati solo per incontrare i suoi, solo per vedere che cosa dicessero. Per un brevissimo istante, il grigio gli ricordò il cielo plumbeo di Edimburgo, città che lui amava alla follia. Quegli occhi raccontavano di mille storie, di mille segreti, ma quelle storie non celavano rimpianti. Poteva notare anche dolore, odio, risentimento e per un millesimo di secondo, sperò che non fosse per la sua persona, perché in qualche modo, essendo abituato ad essere odiato da tutti, non voleva che anche la ragazza provasse le stesse sensazioni degli altri. Voleva invece che non guardasse il mostro che preferiva l'ombra alla luce. Voleva che guardasse semplicemente Alexander, il russo dagli occhi spenti, letali e sottili come lastre di ghiaccio infuocato.
Venne lentamente avanti, con quell'andatura elegante di cui il suo corpo ne era fornito.
Tolse il cappotto che lasciò cadere sulla superficie liscia della scrivania marrone.
Prese la sedia dalla scrivania, la trascinò fino al centro della stanza e con leggiadria vi si sedette sopra.
Hazel intanto aveva cessato i singhiozzi ritrovandosi a placare quel pianto disperato, semplicemente guardando le gesta dell'uomo.
Alex si stava sbottonando con lentezza i bianchi e piccoli bottoni della camicia dello stesso candido colore, lasciando in bella mostra gli avambracci tirando su le maniche della camicia, fino a fermarsi vicino il gomito.
A quel punto mentre la ragazza era intenta ad osservare l'inchiostro nero indelebile ritratto sulla carne abbronzata dell'uomo, Alexander puntò i suoi occhi, che erano impegnati nella camicia, verso gli occhi della ragazza, che accortasi dello sguardo dell'uomo, lo imitò in silenzio, mentre dischiudeva le labbra.
Ora si osservavano in un silenzio sinistro, carico e voglioso di qualcosa che non avrebbero mai ammesso a loro stessi, e mentre Alex era davvero bravo a nascondere quella lussuria, quel desiderio che era fiorito nel suo petto marmoreo nel momento in cui aveva visto il visino della ragazza, così esile, dolce, delicata e impaurita, dal canto suo Hazel, non vedeva l'ora di sentire sulla pelle quelle mani così grandi e rovinate, e di andare via di lì, prima che avrebbe perso la bussola e il controllo di se.
Il cervello inoltre, le stava dicendo che non avrebbe retto ancora per molto quello sguardo di ghiaccio.
Alex intanto, portò poi gli occhi sulle sue gambe. Piccoli tatuaggi di simboli si intravedevano tramite le calze, poi andò più su fino a fermarsi ad osservare il top bordeaux chiaro con l'incastro dei laccetti, l'unica cosa più provocante in mezzo ai maglioni e alla maglie di band.
Il suo problema era sempre stato di non dare ascolto al cervello.
Tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva provato, le stupidaggini, i casini combinati, la droga, il sesso da ubriachi; erano fatti accaduti dal suo non pensare mai alle conseguenze. Era impavida e timida, era istintiva e coraggiosa, pronta a fare nuove esperienze e per niente sensibile, perché quando ci si metteva, sapeva fare davvero bene la stronza.
Così come non aveva dato retta al cervello in quelle occasioni, anche in quel momento non fece niente per fermare il suo corpo che bramava quelle mani, quella pelle e il sapore dell'inchiostro.
Si alzò, tolse il parka depositandolo dall'altra parte del letto matrimoniale e tremando appena, appena, portò le mani verso il top.
Sciolse il laccetto senza togliere lo sguardo dall'uomo, come in una sorta di sfida.
Che diavolo stai combinando? Ti sei per caso dimenticata che fino a pochi secondi fa stavi piangendo disperata perché volevi andartene da lì! Adesso vuoi veramente farti scopare da lui?! Da un uomo che hai conosciuto solo nei sogni?!
Era quello il problema.
Lei lo sognava in continuazione, il perché ancora non lo sapeva.
E lo aveva desiderato, non ammettendolo mai a se stessa.
A quel punto, quando se lo era ritrovato davanti, oltre alla tristezza il suo corpo era stato scosso dalla consapevolezza; la consapevolezza che non era diverso dagli altri e che se era lì un motivo c'era. Gli avrebbe dato quello che desiderava e poi...poi avrebbe fatto di tutto per tenerselo stretto, un po' perché lo incuriosiva e un po' perché voleva risposte.
Quello era stato il reale motivo per la quale aveva sciolti i lacci e si stava concedendo, servendosi su un piatto d'argento.
Ma chi voleva prendere in giro. Alla sola visione di lui con la camicia, e poi dei tatuaggi, il suo cervello era andato in brodo di giuggiole.
Era da due anni a quella parte che non incontrava un uomo che trasudava sesso da tutti i pori.
I laccetti scivolarono liberi lungo il suo corpo magro, sbattendo sul ventre che metteva in evidenzia le ossa del bacino. Lentamente, come ipnotizzato da quella pelle dello stesso colore della luna, allungò un braccio nella sua direzione, costringendolo ad alzarsi e a sfiorare con il dito ruvido, quella pelle marmorea e piatta, in una sottile carezza, tracciando una linea verticale.
Scese sempre più giù, mentre Hazel chiudeva gli occhi e tremava.
Alex arrivò al bottone centrale di quella gonna di Jeans che trovava lasciare poco all'immaginazione, per quanto gli fasciava i fianchi dritti e spigolosi.
Mise il dito all'interno e semplicemente, la tirò a se.
Aprì gli occhi solo quando si ritrovò stretta al petto ampio di lui e come per abitudine, come se fosse abituata da anni farlo, alzò gli occhi per incontrare quelli dell'uomo.
Si desideravano, entrambi, nessuno escluso.
Quel desiderio era morboso, animale, primitivo e subdolo. Voleva toccargli la mascella squadrata, quella piccola cicatrice bianca che aveva sul collo, le labbra sottili che non accennavano a sorridere e i capelli che profumavano di miele e di pioggia, di inverno.
Ma non fece nulla di tutto quello.
Rimasero minuti interi in quella posizione, senza dire una parola. Hazel non si accorse che non aveva sussurrato nemmeno mezza sillaba da quando lo aveva visto. Però qualcosa gli diceva, che neanche a quell'uomo freddo piacesse poi molto parlare.
Fu Alex a spezzare quel magico momento, quando risalì con le mani a toccare i fianchi magri, per dirigerle poi verso il seno, e a riprendere con quelle mani callose per colpa delle armi, i laccetti e a rivestire la ragazza, in un gesto che voleva dirgli che la desiderava ardentemente, e che nonostante fosse così asciutta, a lui era piaciuta subito, fin dal primo momento. Ma non poteva farlo, non con una persona che non lo desiderava, non come lui voleva lei.
Hazel rimase interdetta e stupita di quello che l'uomo aveva appena fatto.
Si sentì montare su la delusione ma anche la felicità.
Non riuscì a trattenere quello che la mente stava pensando e quindi, per la prima volta parlò, in un sussurro, però lo fece.
─ Che cosa vuol dire?
Alexander intanto si era seduto nuovamente su quella sedia e composto, accavallava le gambe, in una posizione per niente femminile.
─ Questo.─ la guardò, ma vedendo l'espressione contraria e sorpresa sul viso della ragazza, continuò
─ Cioè intendiamoci, sei veramente carina ma le donne, quando stanno con me, è perché lo vogliono. Non obbligo nessuno e so per certo, solo guardandoti, che tu non fai questo per lavorare.
Parlava con sicurezza, soppesando ogni parola che diceva e con uno accento, ormai sbiadito, dei paesi freddi dell'est.
Improvvisamente voleva sapere tutto di lui, soprattutto da dove provenisse quell'accento.
Ma di nuovo, si trattenne.
Al contrario si limitò a fare un cenno di si con la testa e di nuovo il silenzio calò in quella stanza bianca. Non per molto, perché si sentiva in soggezione per colpa di quelle gemme blu che la scrutavano senza ritegno, senza educazione o paura.
─ Allora...di dove sei?
Gliel'aveva fatta davvero quella sciocca domanda?
Come se stessero in un caffè e non in una stanza di un motel.
Dio che stupida che era stata!
Ma ad Alex quell'intervento non dispiacque affatto.
Si mervaiglió della purezza e dell'innocenza della sua anima, trovandola una squisita creatura così fragile.
─ Vuoi dire da dove proviene questo accento? Beh ho origine russe.─ e poi cacciando dalla tasca il pacchetto delle sigarette, se ne accese una per continuare, ─E tu invece, sembri una bellezza tipica della California.
La sigaretta bruciava tra le sue mani, mentre alternava le parole ad uno sbuffo di fumo grigio.
─ Sono Texana di origine.
─ Umm. ─ fu soltanto in grado di fare quel verso, muovendo la testa appena su e giù.
─ Ce ne staremo quindi qui a parlare? Come due vecchi conoscenti?
Quella risposta aveva nella voce un astio mal celato, tanto che sorprese Alex che nonostante tutto, si ritrovò a sorridere.
─ Se vuoi, altrimenti ce ne andiamo.
Non seppe il perché ma il pensiero di poter andare via da quella stanza, e di non rivederlo mai più, le mise una tristezza addosso. Voleva stare lì, a parlare con quell'uomo, con quello sconosciuto, senza provare vergogna o paura. Voleva essere ascoltata, voleva parlare di lei, della sua vita, di quello che le piaceva o non le piaceva fare. Ma non avrebbe detto quelle cose ad un'altra persona, ma solo ed esclusivamente ad Alex. E questa cosa, la destabilizzò e non poco.
Forse erano i suoi modi calmi e fini, o forse era semplicemente la sensazione che provava sulla pelle nel guardarlo, a farla incantare a lui. Fatto sta, che in quel momento si sentiva leggera, davvero in pace con se stessa.
Così cominciarono a parlare.
Scoprí che Alex era arrivato a NY diciassette anni prima, perché dove viveva lui, non c'erano soldi e un futuro migliore del lavoro del contadino. Sua madre era una prostituta che si era suicidata, forse non sopportando più l'idea di incontrare ogni giorno uomini diversi e di vendersi a loro. Fu proprio Alex che una mattina di ottobre, la trovò stesa sul pavimento, con la faccia dello stesso colore delle mattonelle bianche. Suo padre era un ubriacone che spendeva quei pochi soldi che l'undicenne Alex, quando ancora era basso, magro ed era facile prendersela con lui, guadagnava.
A diciotto anni presa la decisione di andarsene da lì, di lasciare la neve russa per incontrare quella americana. I primi anni non furono facili. Guadagnava da vivere picchiando gente, in uno di quei incontri clandestini. Fu proprio sulla strada che incontró l'organizzazione per cui lavorava. Non gli aveva però detto di che cosa si occupasse. Non gli aveva detto che prima di finire per l'organizzazione stava con la mafia russa, e che quei tatuaggi ne erano la testimonianza. Quelle cose se le tenne per se, chiuse nella cassaforte della sua anima. Vedeva l'interesse che la ragazza aveva avuto per tutto il tempo che aveva parlato. Sembrava ipnotizzata, quando in un gesto meccanico, aveva preso e acceso la sigaretta che gli aveva offerto.
Seppe inoltre che si sarebbero rivisti. Ma non era il solo ad avere quella stramba sensazione, perché anche Hazel lo percepiva, mentre accoglieva il fiume di parole che le si erano riverse addosso.
─ E tuo padre è ancora vivo?
Chiese poi ad un certo punto, mentre l'uomo finiva la sua terza sigaretta.
─ Non lo so.
E invece lo sapeva perché lo stava cercando da due anni, quando gli era arrivata la voce della sua falsa morte. Sapeva che era arrivato anche lui in America, gliel'avevano detto gli amici della mafia russa e loro non sbagliavano mai.
Aveva preparato la morte di quel farabutto da anni. Doveva pagare per quello che aveva dovuto sopportare in quel triste e disdicevole passato sovietico e doveva pagare per aver causato la morte di sua madre, che si era venduta per colpa sua.
Guardò l'orologio accorgendosi che era ormai pomeriggio inoltrato e super in ritardo, per la riunione.
Si alzò, buttò i mozziconi di sigaretta fuori dalla finestra mentre Hazel faceva lo stesso e si rimise la giacca.
─ Vuoi un passaggio?
Gli chiese, mentre timidamente lei accettava.
Uscirono da lì che erano le 17:30 e dopo aver condotto Hazel a casa, corse alla riunione.
Mentre si recava in ufficio il pensiero vagò verso la ragazza e alla voglia che aveva di rivederla. Era stato bello per un attimo non incontrare il terrore negli occhi di chi gli stava parlando. Lei aveva ascoltato tutto in silenzio, con interesse. Percepiva nei suoi atteggiamenti, forse perché aveva imparato a guardare affondo una persona, che un segreto, un qualcosa che era accaduto nel passato, la frenava, rendendola poco dedita al parlare di se e a fare nuove conoscenze.
In quel momento Hazel rappresentava per lui, l'incognita tutta da scoprire.
Guardò per l'ultima volta il bigliettino dove lei aveva scritto il suo numero di telefono, mentre l'accompagnava a casa, ricordando le parole con cui aveva accompagnato quel gesto.
─Per qualsiasi cosa, ora sai dove cercarmi.
E come era venuta se ne era andata.
Scese dalla macchina e raggiunse finalmente l'ufficio.
Spazio Autrice
Innanzitutto buon Primo Maggio e Buona Domenica. Scusate per gli eventuali errori presenti sul testo, ma ho dovuto scrivere il testo dal cellulare perché altrimenti avrei aggiornato tra una settimana.
Comunque come sempre, ringrazio il supporto che state dando a questa storia, anche se riceve davvero poche stelline.
Alla prossima ♥
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