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Capitolo 12

Erano le 21:30 passate quando rientrò a casa.

Il monolocale che divideva con Chris era un tipico palazzo in Brownstones, con quei mattoncini rossi e la piccola scalinata che all'ingresso conduceva ad una porta in legno pitturato di nero, ma che col tempo si era ormai rovinato.

Salì, con le spalle infossate nel cappotto blu le quattro scale e aprì la porta, richiudendola poi, una volta entrata. Salì altre tre rampe di scale, (niente ascensori) e arrivò al terzo piano dove l'attendeva un bagno rilassante e una bella dormita.

Cacciò le chiavi della serratura dalla borsetta vintage bordeaux e la infilò nella toppa, accompagnando il movimento con un sonoro sbadiglio.

Aprì la porta e la richiuse, tolse il cappotto e la borsetta poggiando il tutto sul porta-abiti e si incamminò verso la cucina, con l'intenzione di bere un bicchiere d'acqua.
Passò attraversando il soggiorno per accendere la luce nel soggiorno.
Ma quando girò gli occhi per riportarli sulla stanza si accorse della presenza di un uomo.
Un gridolino stridulo ruppe il silenzio nella stanza.

L'intruso era seduto comodamente sulla poltrona con le braccia poggiate sui braccioli, il viso, una maschera di terrificante ironia.
Capelli biondi ricci e occhi scuri, neri.
L'avrebbe riconosciuto anche si si ritrovava dall'latra parte della barricata di un treno in corsa.

Era il ragazzo che quella mattina aveva rotto l'acquario con prepotenza e senza rispetto.
Il ragazzo dagli occhi letali e pazzi.

Perse un battito quando si ricordò che Chris era fuori per il weekend e che non l'avrebbe mai potuta aiutare. Nella sua mente i pensieri più oscuri si accesero come quella stupida lampadina a risparmio energetico che illuminava la stanza e la tensione in essa.
Si immaginò distesa sul pavimento e con la morte ritratta sul viso, magari sarebbe stata pure seviziata. Deglutì un boccone consistente di aria e cercò di riprendere a respirare normalmente. Le mani le tremavano, le gambe le tremavano e lo stomaco si era fatto pesante, più del solito.

Paura. Orrore. Panico.

Questo era quello che sentiva in quel momento.
Una fottuta paura da far accapponare la pelle.

Riuscì lo stesso a uscire da quello stato di trans, perché se da un lato essa ti bloccava, dall'altro era proprio la paura a farti agire, a combattere, a farti ritrovare il coraggio.
Hazel vagò con lo sguardo su tutta la stanza, voleva scappare nella stanza più vicina , per poi chiudersi dentro e chiamare la polizia. Questo era il piano, almeno nella sua testa sembrava funzionare.
L'unica stanza più vicino sembrava essere proprio la cucina però essa non aveva porte, quindi doveva tentare il tutto per tutto e scappare in camera sua.
Con un respiro profondo e con la consapevolezza nel petto di voler vivere, fece un passo avanti quando una voce, la riportò a quella spietata realtà.
─Io non lo farei se fossi in te, Hazel.─ pronunciò in modo cantilenante e lentamente il suo nome, rendendolo quasi bello.

Oddio sa anche il mio nome!
Come avrebbe fatto altrimenti a trovare il posto in cui vivi?!

Terrorizzata, con le mani che non cessavano di tremare e gli occhi solo grigi in quel momento, sbarrati, si concentrò sulla voce placida e calma di quell'uomo.
Con uno scatto fulmineo se lo ritrovò a pochi passi dal suo corpo.
Inevitabilmente la sorpresa e il panico le fece fare un passo indietro e poi un altro e un altro ancora, ritrovandosi incastrata con i suoi stessi gesti, al muro.
A quel punto, si era servita su un piatto d'argento all'aguzzino che come si supponesse non essere stupido, le si era lanciato addosso con uno sguardo che sapeva di morte.
─Fa quello che ti dico e non ti succederà niente, dolcezza.─ gli disse incastrando quelle pozze nere che si ritrovava al posto dei bulbi oculari.

La stava studiando, pronto come un felino ad attaccare ad una sua mossa sbagliata ma nello stesso istante, godeva nel vedere il terrore in quegli occhi così belli e nebbiosi.
Si allontanò da lei e aspettò.
Aspettò la sua mossa, la mossa sbagliata quello che gli avrebbe concesso di essere cattivo, che gli avrebbe dato il pretesto di fargli provare il dolore.
Hazel cadde nella trappola.
Sentendolo meno lontano dal suo corpo, prese coraggio e poggio i palmi delle mani sul torace del ragazzo, spingendolo via.

Sam, si lasciò spingere e rise, con scherno e spavalderia.
Aveva fatto solo tre passi che si sentì tirare dai capelli, in una morsa di ferro.
─Fate tutti lo stesso errore. È proprio vero che l'uomo è un essere così debole.
E la tirò saldamente per i capelli fino a buttarla a terra, vicino il tavolinetto anzi, ad un centimetro dal tavolinetto posto nel mezzo della stanza.
Si accasciò vicino al suo corpo e mentre Hazel smarrita si massaggiava la cute dolorante, il ragazzo riagganciò i suoi artigli sull'esile braccio della ragazza e la strattonò portandola sulla poltrona rossa, dove si era seduto quando era entrato in casa.
Poi si allontanò, sotto lo sguardo confuso della ragazza per andarsi a sedere di fronte al suo viso, poggiando le chiappe sul tavolinetto.

─Non voglio farti del male...─ ma non riuscì a completare la frase perché Hazel lo interruppe ─ Ironia della sorta, mi hai già fatto male.─ e sputò quelle parole mentre assottigliava lo sguardo e si massaggiava ancora la cute.

Sam la guardò per un breve istante per poi scoppiare a ridere.
─ Divertente, davvero divertente.
Ma lei non riuscì a capire a cosa fosse dovuta quella stupida ironia.
─Lo trovi divertente, trasportarmi per la stanza tirandomi per i capelli...─ ma non riuscì a completare la frase perché Sam gli diede uno schiaffo talmente forte da fargli girare il viso dall'altra parte mentre la saliva si andava a mischiare con il sapore ferroso del sangue.
Quel piccolo attimo di coraggio, di ribellione fu interrotto bruscamente da quello schiaffo ricevuto, che però celava mille significati diversi.
─ Tu non lo sai che cos'è il dolore! Ecco perché rido di te. Sei solo una stupida ragazzina che crede di sapere tutto ma che invece non sa proprio un cazzo!─ gli urlò in faccia mentre digrignava i denti.
Poi prese un profondo respiro per potersi calmare e le parlò con tranquillità.
─Come ho detto prima, non ho intenzione di farti del male ben sì, ho da proporti un affare che non potrai rifiutare, te lo assicuro.

Qualcosa in quella frase le fece accapponare la pelle, come se sapesse già che una risposta negativa l'avrebbe portata dritta, dritta nelle fauci della morte e lei non voleva finire come quei cadaveri che venivano ritrovati sul ciglio di una strada.
Deglutì così forte e con così tanta intensità, che perfino Sam parve accorgersene.
Dentro il suo petto nasceva come un fiore, la consapevolezza di quello che le sarebbe accaduto da lì a pochi istanti, nel momenti in cui, avrebbe accettato e quindi acconsentito a qualsiasi di quelle idee che passavano nella oscura mente di quel mostro.
Sam intanto si inumidì le sottili labbra rosee e la incatenò al suo sguardo cupo, nero.
Vedeva il terrore nelle iridi grigie della ragazza ma anche consapevolezza e sottomissione.
Sapeva che era una ragazza sveglia, l'aveva capito nel momento in cui aveva cercato di scappare dalle sue grinfia e anche se non ci era riuscita, lui era inspiegabilmente orgoglioso di lei.

Per quel giorno la ragazza non sarebbe morta, perché per lei aveva in serbo qualcosa di più grande.

─Parla...sono tutta orecchi.─ scherzò lei, o almeno ci provò.

Ecco il momento che aspettava, ecco la voce accondiscendente uscire flebile e tremante da quelle morbide labbra screpolate ed ecco tornare in lei, la fiammella della piccola guerriera che aveva visto pochi attimi prima.
Ogni azione della giovane era per lui una duplice conferma di quel quadro che stava dipingendo minuto, dopo minuto mentre scopriva guardingo, i tasselli che formavano il suo carattere.
─Le cose sono due cerbiattino, vuoi vivere o morire?─ mentre Hazel stava per aprire bocca e rispondere, il ragazzo la fermò mentre allungava un braccio verso di lei e poi continuò ─Cosa sei disposta a fare per poter continuare a vivere? Saresti disposta anche a venderti? A vendere l'anima, il corpo e il sangue, al diavolo?

Hazel sussultò.
Cosa voleva dire con vendere?
Per caso intendeva dire diventare la propria schiava?

Hazel sudò freddo, quando notò lussuria negli occhi neri dell'aguzzino.
Non voleva crederci, non poteva minimamente credere ad una cosa del genere.
Istintivamente si pizzicò un bracciò, perché desiderava ardentemente svegliarsi da quell'incubo che stava vivendo. Ma quando si accorse che il ragazzo non se ne era andato ma anzi era lì, con quel suo profumo piacevole e carezzevole, voleva sparire sotto cinque metri di sabbia, in una profonda buca come lo era il Death Valley, in California.
Voleva piangere, urlarle ma sapeva che non sarebbe servito a niente.
Riprese invece coraggio e lentamente aprì bocca, mentre quella parola che al solo pensiero le metteva in corpo una sensazione di puro disgusto, prendeva vita.

─Mi stai chiedendo di diventare la tua puttana?

Il ragazzo rise di gusto mentre allungò il dito per lasciare uno sbuffetto sul piccolo nasino della ragazza. Le sue mani erano calde, il viso di Hazel una lastra di ghiaccio.
─Non la mia, diciamo che io ho altri gusti. Sarai però la prostituta di un mio amico...lui ne ha un disperato bisogno.
Poi si alzò dal tavolinetto e le venne vicino.
I loro nasi si sfioravano così come i loro caldi respiri.
I suoi occhi erano camaleontici. Non si poteva non rimanere ad osservarli per ore, anche se nascondevano una nube tetra erano allo stesso modo, invitanti e ipnotici.
─Non vorrai mica deluderlo? Non vorrai mica deludere me, Hazel?

Hazel mosse la testa prima a sinistra e poi a destra, in un muto dissenso mentre immagini distorte comparvero nella sua mente. Ricordi spezzati, dimenticati e sotterrati nel subconscio, ma che la situazione, il biondino, stavano facendo risuscitare.

Si alzò definitivamente e se ne andò alla porta.
Prima di uscire però, le si rivolse un'ultima volta, o almeno così sperava Hazel, la parola:
─Al mio amico piacciono le bionde.

E finalmente la lasciò sola con i suoi demoni, con le lacrime che copiose cominciarono a scendere da quegli occhi tristi e nebbiosi.

Che cosa ho fatto nella vita per meritare tutto questo?

Spazio Autrice

Lo so, sono in un ritardo pazzesco, perché avrei dovuto aggiornare questo capitolo la settimana scorsa ma sono stata super impegnata. Colgo l'occasione per dirvi che non sarò sempre così puntuale dora in avanti, perché gli esami di maturità si stanno avvicinando e si stanno facendo sentire, prepotentemente.

Detto questo, se vi è piaciuto il capitolo mettete una stellina, altrimenti se non vi è piaciuto lasciate un commento (?) 

Va beh, fate un po' come volete.
Alla prossima, che spero sia venerdì.

La canzone dell'immagine di banner è una delle mie canzoni preferite dei Muse (che tra l'altro ho perso il loro concerto l'anno scorso, ma lasciamo stare che è meglio) che è Time is running out. I Muse sono una bella cosa.

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