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67. The End

Canzone per il capitolo:

The End – The Doors

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Sara

Mi chiedo se il mio letto sia sempre stata così scomodo, e soprattutto così corto. Le coperte premono incredibilmente sul petto, quasi fatico a respirare dal loro peso, dal caldo, dalla generale sensazione di malessere che mi attanaglia. Provo ad aprire gli occhi, credo sia giorno, ma non ne sono sicura. La luce si fa troppo intensa, provocandomi una fitta alla testa così forte che pare essere sul punto di scoppiare. Mi sembra di aver già provato questa sensazione, ma non riesco a capire quando, né se sia davvero reale.

C'è troppo caos nella testa, nei ricordi, nel riallacciare lo spazio e il tempo, che sembrano aver proseguito sulla loro strada senza di me. Solo dopo parecchi istanti mi rendo conto di sentire delle persone parlare non molto lontano dal mio letto. Non riesco però a capire che cosa si stiano dicendo; perché le mie amiche dovrebbero stare proprio dentro la mia camera mentre cerco di dormire?

Lascio passare qualche minuto prima di trovare le forze per aprire del tutto gli occhi, riprovando per l'ennesima volta ad alzare le palpebre che quasi paiono incollate. Non c'è nessuno intorno, le voci sono più lontane. A fatica metto a fuoco la stanza e, non appena realizzo che non è affatto la mia camera da letto, sento il panico montare. Provo a muovermi, ma è così faticoso. Ogni centimetro del mio corpo mi sembra così pesante. Che cosa sta succedendo?

Vorrei chiedere chi è che sta parlando dalla porta, ma ciò che mi esce dalle labbra è soltanto un rantolo incomprensibile, anche se ottiene il suo scopo: qualcuno mi sente. È Chris a entrare in questa fredda stanza che ha tutta l'aria di essere quella di un ospedale, e che puzza come tale. È seguito da un'infermiera. « Ti sei svegliata, finalmente. »

Vorrei soverchiarlo di domande, ma non ho più salivazione e concludo soltanto di tenere i miei occhi spauriti fissi su di lui, l'unico punto fermo e sensato che riesco a trovare in tutta questa assurda situazione che inizio a sperare sia soltanto un sogno. L'infermiera si incurva per ispezionarmi: osserva gli occhi sollevando le palpebre, controlla il monitor alla mia sinistra e solo ora mi rendo conto della flebo attaccata al braccio e la pinza all'indice per monitorare il battito. « Il dottore sta terminando il giro, gli dirò di venire qui per parlarle », spiega a Christian senza più degnarmi di uno sguardo, come se io non capissi le sue parole; toccata e fuga, come quando Timon dà un'occhiata veloce all'arrosto e in malomodo lo infila nuovamente in forno per poi chiudere lo sportello con un calcetto.

Chris annuisce in fretta in risposta, tiene le labbra serrate, strette, nascoste dietro il pugno che continua a tamburellare sul mento. Un gesto nervoso. Non appena l'infermiera esce dalla stanza, lo sento sospirare a fondo e finalmente guardarmi. « Si può sapere che cazzo avevi intenzione di fare?! »

Scrollo soltanto la testa mentre lo guardo avvicinarsi. Ci prova a stare fermo accanto al mio lettino, ma di nuovo riprende a fare avanti e indietro. « Allora? »

« Non... non lo so perché sono qui. Non me lo ricordo. »

Le sue braccia si alzano in alto nella frustrazione. « Lei non lo sa. »

« Mi sento... confusa. »

« Ci credo che lo sei! Stavi morendo, cazzo! Mi sembra il minimo! »

Una caduta dal quarto piano. Come uno di quei sogni in cui credi di precipitare e allora ti risvegli. È in questo preciso istante che, come un flash, ogni cosa torna al proprio posto, con una rapidità che mi toglie il fiato. Il ricordo della polvere bianca, la testa che girava e poi scoppiettava, il cuore tanto veloce, troppo, il naso che bruciava fino a sanguinare, il mondo implodeva, l'arrivo in ospedale... Un vomito di ricordi mi si riversa addosso e io non riesco a fermarlo, così come le lacrime che irrompono all'improvviso in un pianto di paura, disperato, spaventato per quelle parole che mi hanno colpito come un proiettile a bruciapelo.

Singhiozzo, non riesco a fermarmi nemmeno quando lo sento sedersi sul letto accanto a me, quando mi abbraccia forte, quando impreca perché la flebo di mezzo non gli permette di stringermi come vorrebbe.

« Scusa, scusa... cazzo, perdonami... » ripete continuamente in mezzo ai miei singhiozzi. Quasi mi prega, quasi mi sembra di sentire le mie stesse lacrime su di lui. « Non piangere, Sara. Ti prego. »

Ma io non lo ascolto, non ci riesco e continuo a liberarmi della paura per ciò che ho quasi visto con i miei occhi, per ciò che ho superato solo di fortuna. Chris mi tiene stretta a lungo, poi mi porge un fazzoletto quando mi vede più calma, quando la smetto di tremare come una foglia. Non mi lascia sola, il suo braccio avvolto intorno alla mia schiena mi tiene seduta e vicino a lui. « Ho... paura... » riesco soltanto a dire.

« Non devi averne, ora starai bene. Ma hai rischiato, Sara, e tanto... perché hai fatto una cosa del genere? »

Asciugo gli occhi, il respiro ancora non vuole saperne di tornare regolare. « Non lo so... non me lo ricordo. »

Mi accarezza piano il viso, deve essere ancora umido, ma a lui non sembra importare. « E invece lo ricordi. Non mentirmi. »

Abbasso gli occhi sotto il peso del suo sguardo dolce, ma diretto e intenso. « Stavo piangendo... ero arrabbiata... è stato come se fossi arrivata al limite. Mi è sembrato di non riuscire a sopportare altro. Non... non volevo stare male e arrivare a questo punto. Volevo stare bene, almeno per un po' dimenticarmi di tutto. Poi non lo so cos'è successo. »

« Tu non hai nemmeno idea di che cosa fosse quella roba; ne hai presa troppa tutta insieme e sei andata in overdose. Credevo... credevo che volessi ucciderti. »

« No », rispondo immediata, provando a frenare il nuovo pianto all'idea di quanto io abbia rischiato. « No, no... io non volevo... io... oddio, che cosa ho fatto! »

Mi copro il viso con le mani quando Chris torna a consolarmi. Forse dovrei trattenermi, ma non ce la faccio.

« Dove sono gli altri? » chiedo infine per cercare di non pensare a quello che ho scampato per miracolo.

« Non c'è nessuno, solo io. »

Cerco di capire le sue parole, ma non riesco a trarne una conclusione sensata. « Perché l'ospedale ha chiamato solo te? » domando confusa.

« Non mi ha chiamato nessuno, ti ho trovata io. Non ti ricordi? »

Scrollo piano la testa e torno a nascondere il volto dietro le mani, questa volta non per le lacrime: per la profonda vergogna che proprio lui, tra tutte le persone al mondo, ha finito per vedermi nel mio momento peggiore. « Che ti prende? »

« Mi vergogno così tanto, Chris. »

« Volevi che ti trovasse qualcun altro? »

Non so cosa rispondere, così lascio perdere. « Cosa ci facevi in negozio? »

Mentre risponde, mi aiuta a sedermi sul letto, posizionando con cura i cuscini dietro la mia schiena e aiutandomi a trovare una comoda posizione. « Ero passato a vedere come stavi. Quando sei uscita di casa eri così sconvolta ed ero... preoccupato. La tua collega mi aveva detto che eri chiusa nel bagno da un po', poi l'ho sentita chiamarti e tu non rispondevi. Per fortuna aveva una copia della chiave. Quando ho aperto, ti ho trovato rannicchiata per terra. »

Coperta di vergogna, non riesco nemmeno a guardarlo in faccia. « Abbiamo chiamato l'ambulanza e sono venuto con te in ospedale. Hai rischiato l'arresto cardiaco. Sei qui da ieri pomeriggio. »

« Che ore sono? »

« Sono le undici, del mattino », specifica.

A sguardo basso, solo ora mi rendo conto di indossare una tuta che non conosco. Il pantalone è lungo, grigio, palesemente da uomo. La maglietta porta la scritta The Doors. « Perché sono vestita così? »

« Ti ho portato la mia roba. Ieri sono tornato a casa per prenderti un ricambio. I tuoi vestiti erano sporchi. »

« Di... cosa? » La sensazione di profonda vergogna continua ad allargarsi a macchia d'olio.

« Nel bagno sei caduta a terra. Hai vomitato, ma per fortuna eri di lato, così non sei soffocata. Ti usciva anche del sangue dal naso. Quando ti ho... » deglutisce, quasi si sforza di continuare a parlare. « Quando ti ho trovato respiravi così velocemente, rantolavi. Poi hai aperto gli occhi, mi hai guardato e mi hai stretto la mano. Non me la lasciavi andare. Davvero non te lo ricordi? »

Poso una mano sulla sua per fermarlo. « No... non me lo ricordo... »

Prende un respiro profondo, rassegnato, così lascia perdere il resoconto di come mi sono coperta di ridicolo, di umiliazione, di come ho rischiato la vita per una mia incoscienza. « Giurami che non farai mai più una cosa del genere. »

Annuisco. « Lo giuro... e non toccherò mai più nemmeno un goccio di alcol. Mai più, in tutta la mia vita. Salterò anche il brindisi di Capodanno. »

Di slancio si avvicina fino a riprendermi tra le sue braccia, stretta, senza lasciarmi andare, senza darmi lo spazio e la possibilità di ricambiare. « Mi hai fatto spaventare a morte. »

« Scusa... »

Ogni tanto mi lascia deboli baci tra i capelli, restiamo così per qualche secondo, poi un altro pezzo del puzzle di ricordi e ragionamenti si aggiunge alla figura finale. « Silvia, Maia... e Timon. Loro lo sanno? »

« No, non preoccuparti. » Mi lascia andare, ma resta vicino appoggiandosi con i palmi al materasso. « Immaginavo che volessi svegliarti per dirglielo tu di persona. »

« Ma non sono tornata a casa... saranno preoccupate. »

« Ho detto loro che hai passato la notte con me. »

« Con quale scusa? » domando rassegnata.

Mima un tiepido sorriso al ricordo. « Ho detto alla tua amica dai capelli rossi che ti avrei sequestrato per farti una sorpresa e tirarti su di morale, ma che saresti stata tu poi a raccontare tutto, a patto che avrebbero retto il gioco con il tuo Peter Pan. Timon sembrava stranamente felice della cosa, le altre invece mi hanno guardato male. Come al solito. »

Scrollo la testa. « Lenny... che cosa gli posso dire? »

« La verità? »

« No, no... me ne vergogno troppo. Per lui non avrei nemmeno dovuto iniziare a bere... che cosa penserà di me? Non voglio deluderlo così... così come ho deluso te », ammetto a testa bassa. Perché so bene di avere deluso lui, ma in primis ho deluso me stessa.

Nessuno dei due ha il tempo per dire e aggiungere nient'altro, perché il dottore entra in camera. È un uomo anziano, dai tratti del volto induriti dalle rughe e dall'espressione sprezzante nella linea delle folte sopracciglia. Non si fa scrupoli di alcun tipo per dirmi che ho rischiato davvero grosso a inalare una quantità così massiccia di cocaina, che se il mio fidanzato non mi avesse trovata appena in tempo, a quest'ora sarei al piano terra, all'obitorio. Anche quando scoppio a piangergli addosso per quelle dure e gelide parole, l'uomo non si ferma. Continua a elencare con i particolari tutto quello che mi è successo, i farmaci che mi hanno dovuto somministrare per contrastare l'effetto della droga sul sistema nervoso, e che devo smettere immediatamente di farne uso; nonostante i miei tentativi di spiegare che quella fosse stata la mia prima e ultima volta, l'uomo non mi crede. Il senso di umiliazione e vergogna ormai si impossessa di me e non riesco a fare altro che continuare a piangere e tenere la testa bassa.

Sono distrutta come dopo un incontro di boxe quando il dottore se ne va, dicendomi che nel pomeriggio potrei già lasciare l'ospedale. Chris mi tiene a lungo stretta a lui, mi accarezza dolcemente la schiena mentre piango per me stessa, per il fondo che sono arrivata a toccare. Mi ripeto che non arriverò mai più a questo livello, al disgusto per me stessa. Che ce la farò: riuscirò a prendere in mano la mia vita e a cambiarla in meglio.

« Chiameremo un taxi. Non voglio che prendi la metro in queste condizioni. Poi ti riporterò a casa e... »

« Chris... Potrei stare un po' da te? » chiedo timidamente. « Non voglio che le altre mi vedano così... »

Mi interrompe, stavolta baciandomi sulla fronte per poi allontanarsi con un sorriso incoraggiante. « Ok, non c'è problema. »

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Spazio Dory:

Ok, Sara se l'è vista davvero brutta, ma è scampata al pericolo. Chris cuore di panna la consolerà per bene, voi che dite? Ehehe

A presto!

INSTAGRAM: maiaiam88

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