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63. We found love

Canzone per il capitolo:

We found love – Rihanna

 ...We found love in a hopeless place... 

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Sara

Le nostre mani sono unite; Chris mi trascina in avanti mentre la pioggia prende a scendere forte, a scrosciare sulla strada irregolare che si rende umida e viscida come uno specchio. Come tanti flash, le luci si riflettono sulle pietre che la lastricano; ho il fiato corto per la corsa che ci sta avvicinando alla fermata della metropolitana, eppure mi rendo conto di continuare a ridere senza controllo. Chris si lascia andare con me, sinceri e spensierati.

Incrociamo parecchie persone in una delle vie più centrali della città: chi si ripara sostando accanto alle vetrine, chi continua a camminare con l'ombrello stretto stretto, per non farselo rubare dall'aria svelta e furba... Ci guardano correre, ci guardano ridere, e forse qualcuno di loro accompagna le nostre risate. Mi sembra di aver dimenticato per qualche momento le lacrime che hanno costellato questa serata, e forse anche quelle di tutti gli ultimi giorni.

I soldi.

Il lavoro.

I miei problemi.

« Rallenta », lo prego, arrancando dietro la sua andatura rapida mentre le nostre mani, ormai fradice dalla pioggia di questo temporale che sa di estivo, scivolano tra loro, a volerci dividere. « Non ho le gambe lunghe come le tue! »

« Dai, GG, che ce la fai. Ci siamo quasi », continua nonostante tutto, mi spinge a non arrendermi e a continuare.

La strada è lunga, gli sguardi dei passanti ancora ci inseguono, ed è quando intravediamo il segnale luminoso che indica la fermata della metropolitana che scivolo sulla strada resa viscida dalla pioggia e finisco a terra, in una caduta che devo ammettere dimostra pure un certo stile: mi ritrovo perfettamente seduta, gli slip ormai bagnati fradici e non di certo puliti dal contatto con la strada, la gonna ben aperta e le gambe divaricate.

E forse è perché tutti e due abbiamo bevuto un po' troppo vino durante la cena, o forse è la pioggia, o forse ancora qualcosa che non so proprio individuare, ma scoppiamo a ridere a tempo. Io resto seduta in centro strada, Chris appoggia le mani sulle ginocchia per tenersi in equilibrio, visto che le risate gli scuotono violentemente il torace. « Peccato che non ho con me la macchina fotografica », dice in mezzo alla risata che non riesce ad abbandonarlo, quasi senza fiato per la corsa. « Sei bellissima. »

Non capisco se prenderlo come un complimento o una presa in giro, ma non mi importa poi molto e continuo a ridere anche quando mi porge una mano per alzarmi in piedi. Chris mi solleva e forse calcola male la forza impiegata nella leva, tanto che mi ritrovo a perdere l'equilibrio e lui è costretto a cingermi la vita con un braccio per tenermi in piedi e non finirgli addosso. E piove ancora tra i miei capelli corti e i suoi, e forse i suoi occhi accesi della particolare luce della notte stanno osservando quelle gocce che scorrono sul mio viso, a specchio del suo. Sbatte rapidamente le palpebre per scacciare la pioggia, continua a tenermi stretta a sé anche quando i miei piedi riprendono il controllo del mio equilibrio.

Respiro piano, lui invece sembra non riuscire a recuperare il fiato. Le risate di prima ci sembrano ora così lontane. Continuiamo a osservarci gli occhi, le labbra, le gocce che scivolano e un poco ci parlano, e forse mi avvicina appena, con delicatezza, quasi a voler annullare la distanza tra di noi... poi sembra fare un passo indietro e mi lascia andare senza fare altro che abbassare lo sguardo.

E io lo ringrazio per questo. E io lo odio per questo.

O forse odio più me stessa, perché so bene quanto lui riesca a influenzarmi, quanto poco controllo so esercitare su me stessa quando lui è nei paraggi. Vorrei non averne, e vorrei che lui non sapesse controllarsi così in mia presenza; e nell'incomprensibilità dei miei pensieri, mi pento di ciò che gli ho detto nel bagno del ristorante, perché so di aver perso ogni possibilità con un ragazzo bello e fantastico come lui e che, una volta che sarà partito, non potrò più recuperare nulla.

Non mi prende più per mano, non corriamo più. Seguendo il profilo degli ultimi palazzi che costeggiano la zona pedonale, prendiamo le scale che scendono alla metropolitana e passiamo oltre le barriere con i nostri biglietti. Entrambi pensierosi, fingiamo di ignorarci quando arriviamo alla fermata, dove solo poche altre persone sono ferme in attesa a quest'ora della sera. Purtroppo però, il tabellone elettronico segna un'attesa di altri cinque minuti, e quando il silenzio inizia a essere opprimente, riconosco un violento tremolio nelle mie mani. Tremo per il freddo, e un po' per qualcos'altro, così decido di parlare. « Tu dici che saranno già tornati indietro Nate e Timon? »

Controlla l'ora sull'orologio da polso. « Può darsi, oppure sono rimasti a proteggersi da qualche parte, in attesa della fine del temporale. » Mi degna prima solo di un rapido sguardo, poi torna a concentrarsi su di me. « Ma tu tremi come una foglia! »

Alzo le spalle, fingo di non accorgermene. « Non fa niente, ora mi passa. »

Purtroppo l'aria spinta dai convogli attraverso le gallerie della metropolitana non aiuta affatto. Lo sento sospirare, poi mi arriva accanto. « Vieni qui », apre le braccia e non aspetta una mia risposta per stringermi a sé.

Tengo le mani e le braccia rannicchiate tra i nostri corpi alla ricerca di un minimo di calore e così, in silenzio, appoggio la testa al suo petto e chiudo gli occhi. Respira forte, Christian. Sento il suo respiro all'orecchio come fossi una bambina che lo ascolta in un altro essere vivente per la prima volta: con sorpresa, con venerazione. Smetto di tremare dopo un paio di minuti. Qualcosa scende dalle ciglia umide, forse è ancora pioggia, forse nuove lacrime. Si mescolano con la sua camicia fradicia e lui non se ne accorge, tiene soltanto la testa sopra la mia.

Non diciamo una parola fino al nostro ritorno a casa, quando chiudiamo la porta del palazzo alle nostre spalle e prendiamo insieme a salire le scale. Passo dopo passo che finirà per dividerci.

Siamo ormai arrivati al mio appartamento quando mi lascia passare avanti. Poi, proprio quando penso che la serata sia conclusa, finalmente riprende a parlare. « Ti sei fatta male? » chiede in una domanda retorica mentre mi fissa il polpaccio sinistro.

Noto soltanto adesso un lungo rivolo di sangue che scende a lato fino alla scarpa. Non sento dolore e non riesco a capire se il sangue defluisca ancora o se è ormai secco. Mi siedo sull'ultimo scalino, estraendo dalla borsa un fazzoletto di carta umido ancora dalla pioggia di prima. Chris insiste per aiutarmi e, ripulendo la gamba dal sangue, alla fine resta solo un piccolo taglio che devo essermi procurata durante la caduta.

« Dovresti disinfettarlo », spiega sedendosi accanto a me. « Anche se ormai credo si sia richiuso. »

« Già, ora lo faccio. »

Sto per alzarmi, diretta al mio appartamento e in fuga dal velo di disagio che non sembra volerci dare alcuna tregua, ma lui posa una mano sulla mia e me lo impedisce. « Resta... »

Lo faccio in automatico, come se non potessi avere altra possibilità di scelta. Lo so bene che in questo momento non vorrei essere in nessun altro posto del mondo, tranne che con lui.

« Mi dispiace per prima », mormora guardando davanti a sé, verso gli scalini che si tuffano nel buio sottostante; la luce del palazzo ormai si è spenta e resta il tenue bagliore che illumina tutti i pianerottoli del palazzo.

« Non sono caduta per colpa tua, sono io che sono scivolata. »

Sento una mezza risata amara colorargli il respiro. « Non intendevo quello. »

Non rispondo, ora intuisco a cosa si stia riferendo.

« Tu lo sai quanto mi è costato? »

« No », sospiro, « non lo so. Non riesco mai a capire i tuoi pensieri. »

« Perché non mi piace che altri li conoscano. »

« Però tu sembri sempre conoscere i miei. »

« Non sempre... » Mi prende la mano e intreccia le nostre dita. Che bella sensazione: calda, rassicurante, vera. « Ora a cosa stai pensando? A lui? »

Mi concentro, ma non trovo nessun dettaglio di Leonard tra i miei pensieri. « No, quando ci sei tu non riesco a pensare ad altro. E... e questo mi spaventa. Tanto. »

La sua testa ruota appena per guardarmi, e io ricambio il suo sguardo solo dopo qualche secondo. « Davvero? »

« Non farmelo ripetere, ti prego. Forse non riesci a capirmi, ma... »

Ride di me. « Riesco a capirti... forse fin troppo. »

Sento qualcosa al centro della gola, del petto, del cuore e dei pensieri. È la sua presenza. Chris riesce a vedere sempre tutto, troppo chiaramente. Porta la mano sinistra sul mio volto, mentre l'altra non abbandona l'intreccio con le mie dita. « Ecco perché mi è costato tanto. Ti penso di continuo e non vorrei farlo. Sento di... di perdere il controllo con te e questa sensazione non mi piace. Mi confondi, di continuo. »

« Io non faccio nulla. »

« Ed è proprio questo il problema. Sono io che non riesco a smettere di averti nella testa. Sono io che penso a ogni modo possibile per farti cedere... perché mi rendo conto che non c'è più tempo, che tra poco me ne andrò e non ti rivedrò mai più e questo pensiero », continua stringendo la mano sul mio viso, « non riesco proprio a sopportarlo. Ma non riesco nemmeno a sopportare di vederti piangere a causa mia. Lo so, non mi sono comportato bene con te... ho cercato di ignorare la cosa. Ho sperato fino all'ultimo che lui non contasse nulla per te. Sono egoista, ma hai ragione: non posso chiederti tanto. Lo so bene che le cose non cambieranno, che io partirò e non ci rivedremo più. E se lui è disposto a darti qualcosa che io non posso prometterti, allora è giusto che... che tu vada da lui », ammette a fatica. « Non posso costringerti a fare qualcosa che non vuoi. Non è giusto nei tuoi confronti. »

La mandibola sembra irrigidirsi, mi guarda ancora un'ultima volta, poi mi avvicina per posare le labbra sulla mia fronte. Si alza in piedi dopo il bacio e sale al suo appartamento, lasciandomi lì, nella semioscurità con i miei mille pensieri.

Aspetto il ritorno di Timon e Nate, che si fanno vedere solo dopo più di mezz'ora, perfettamente asciutti dal temporale grazie all'ombrello che la mia amica si ostina a portare in borsa tutto l'anno: uno per bambini dalla forma di elefante, con tanto di proboscide, orecchie e coda.

Si salutano con un bacio sulle labbra sbrigativo, guardo la scena solo con un cenno di sorriso per la felicità della mia amica, che subito arriva da me preoccupata dopo che Nate è sparito al piano di sopra. « Ehi, che succede? Sei bagnata come un pulcino.»

« Niente... poi ti racconto. Ora non ne ho proprio voglia. »

Perfetto, forse vuole dire, visto che parte in quarta a raccontarmi della sua versione della serata, di come Nate ha preso coraggio e l'ha baciata a stampo la prima volta, di come lei alla fine si è buttata, afferrandolo per la camicia e approfondendo il bacio che tanto aveva aspettato... Però, al rientro in casa, persino lei si tappa la bocca: sul divano ci sono Maia e Silvia, e quest'ultima è in lacrime dopo essere evidentemente tornata dalla cena con Lucas. Deve avergli detto della gravidanza, e lui non deve aver reagito come avevamo sperato.

******************

Spazio Dory:

non me lo merito un bacino visto che ho aggiornato così in fretta??

A presto!!

INSTAGRAM: maiaiam88

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