49. Mad World
Canzone per il capitolo:
Mad World – Gary Jules
...And I find it kinda funny, I find it kinda sad
The dreams in which I'm dying are the best I've ever had
I find it hard to tell you, I find it hard to take
When people run in circles it's a very very
Mad world, mad world...
**************************
Sara
Se posso dire di aver capito qualcosa dalla morte di mio padre, è che quando muore una persona cara, l'unica cosa che si impara è che la vita fa schifo. Niente insegnamenti futuri, niente segnali del destino, niente eroi ed eroine che sono costretti a passare momenti orribili prima di salire sul podio come vincitori: la sofferenza per arrivare alla tanto agognata felicità.
Balle.
Giorno dopo giorno, dalla mia vita sento crescere solo un profondo senso di inadeguatezza e disgusto per me stessa, e più mi allontano dal funerale di papà, e più me ne rendo conto. Avevo sperato avvenisse il contrario. Il tempo guarisce le ferite, tutti dicono... e invece non guarisce proprio nulla. Sei solo tu, con tutto il tuo zaino a forma di croce pesante di problemi, che ti trascini in avanti ancora. Se hai abbastanza forza nelle braccia e se la tua resistenza ancora non è stata intaccata, allora prosegui, altrimenti affondi nel fango insieme a tutto il resto dell'umanità.
Io non so quanta resistenza abbia in corpo, forse per un po' ho anche resistito, ma oggi mi sono resa conto di aver subito una battuta d'arresto. Anzi, di essere ritornata improvvisamente indietro al punto di partenza senza nemmeno essermene accorta.
È successo tutto all'uscita dal lavoro. Lavinia mi aveva chiesto di restare un'ora in più in negozio perché dovevamo allestire la parete con i nuovi arrivi della stagione – ora di straordinario che so bene non mi verrà mai e poi mai pagata -, e subito dopo sono corsa via per infilarmi nel vicino negozio di articoli per la casa. Ho guardato attraverso la vetrina il set nuovo di zecca per stappare le bottiglie di vino, convinta che a lui sarebbe piaciuto data la sua passione per i vini. Stavo quasi pensando a come impacchettare il regalo quando, al mio arrivo alla cassa, ho guardato il portafogli.
In quel momento ho realizzato due cose: che non avevo i soldi per pagare il regalo se non cinque insufficienti e miseri euro, senza avere alcuna disponibilità sul bancomat visto che non mi hanno ancora accreditato lo stipendio; e la seconda cosa, la più sbalorditiva e inquietante di tutte, forse persino patetica, è che ero andata a prendere un regalo per il compleanno di papà.
Oggi.
Come se lui fosse davvero a casa ad aspettarmi per riceverlo.
Stringo il bicchiere di vetro nella mano, freddo e umido. Appena arrivata in questo bar, molto lontano da dove lavoro e vivo e dopo aver attraversato quasi mezza città con la metro, avevo iniziato con la birra. Ora c'è del liquido ambrato che ondeggia, ma non ricordo nemmeno più cosa sia. So solo che è forte, dal gusto vomitevole e che brucia fino allo stomaco mentre scende... però vale il suo scopo.
Ripenso a quella stupida ragazza che si aggira per il centro di Torino. Quella che per una giornata aveva tenuto il sorriso all'idea di comprare un regalo per il suo papà. Mi fa così pena che vorrei spaccare il bicchiere e usare una scheggia di vetro per strapparmi i ricordi.
Non mi spiego come possa essere successa una cosa del genere: è come se oggi avessi davvero realizzato per la prima volta che papà non c'è più. Ho vissuto per diversi mesi qui in città con le mie amiche, mi sono abituata a vivere lontana da lui, ma in qualche modo ho sempre avuto la certezza di avere una casa da qualche parte e alla quale tornare. Forse il mio non è stato il padre migliore dell'anno, ma era sempre un padre e a suo modo si è preso cura di me. Ha cercato di farmi da padre e madre insieme, forse con scarso successo, ma più il tempo passa dalla sua morte e più questo pensiero mi corrode dentro. Mi chiedo se davvero lui sia stato un genitore mediocre, o se forse in realtà sono stata io una figlia non adeguata e ingrata. Tutta presa dall'egocentrismo tipico dell'adolescenza, ho guardato solo la mia vita e i miei sogni, affibbiando a lui tutte le colpe per ciò che non sono potuta essere. Non ho mai davvero riflettuto che magari, anche lui sarebbe voluto diventare qualcuno. Chissà papà che sogni aveva avuto alla mia età, quali aspirazioni... non di certo di crescere una figlia da solo, abbandonato dalla moglie scappata per chissà dove.
Provo a non pensarci, perché ho imparato che pensare troppo non è mai un bene e l'alcol fa così schifo che ti permette di non usare il cervello mentre gli permetti di prendere il controllo di te. Così termino l'ennesimo bicchiere e resto a fissare gli ultimi pezzetti di ghiaccio ormai quasi del tutto disciolto. Mi sento in colpa per non aver comprato quel regalo a papà quando ne avevo avuto l'occasione; mi sento in colpa per non avergli detto che gli volevo bene, di non essere andata a trovarlo quell'ultima volta quando me lo aveva chiesto al telefono... e mi sento ora in colpa ad aver ordinato troppi drink senza avere la minima idea di come pagarli.
Prendo la mia borsa e mi trascino nel bagno. Spero di non ondeggiare in maniera troppo evidente. La toilette è piccola, scarna, non così pulita come avevo sperato. Lo specchio appeso sopra al lavandino è storto, gli angoli sono annebbiati. In quel riflesso lurido scorgo una ragazza nella quale non riesco più a riconoscermi: come posso essere io quella che si lascia andare così allo sconforto senza prima combattere un poco? Che è entrata in un bar, ordinando più di trenta euro di alcolici, senza ora sapere come pagarli?
Prima non l'avrei mai fatto.
Un tempo non fumavo o bevevo nemmeno un sorso; mi dicevo che avevo troppa paura per vivere davvero, per spingermi al limite. Sono sempre rimasta nelle retrovie per non sporgermi e rischiare di essere ferita dal mondo. Nonostante tutte le mie preoccupazioni e difese, ora sono stata ferita, ora ho lasciato la panchina e ho iniziato a vivere davvero... ma forse, stavo meglio prima.
La vita vera fa schifo. I libri sono meglio: almeno a soffrire è qualcun altro.
Passo l'acqua fresca sul viso, qualcuno bussa. Occupato, biascico alla porta.
Sulla pelle del viso umida sento la carezza di un refolo di aria fresca. Mi volto verso il water che mi sono rifiutata di usare e noto che la finestrella appena sopra è socchiusa. Non ha le inferiate.
Guardo la porta. Poi la finestra.
Mi affaccio sul vicolo.
Solo per un attimo la malsana idea di andarmene senza pagare mi solletica i pensieri, poi torno a guardarmi allo specchio. Penso che dovrei chiamare una delle mie amiche, chiedere di venirmi a prendere e pagare per me, per l'ennesima volta. Continuo a promettere che ridarò i soldi indietro per tutto, dall'affitto alle bollette, ma ogni mese mi rendo conto di non riuscirci. Non spendo nulla per me, eppure i soldi scarseggiano ancora: per il funerale, per il notaio, per i debiti che papà ha lasciato e per tutta una lunga serie di tasse che io non capisco perché debba pagare e che mi prosciugano continuamente il conto in banca. Il proprietario della casa di mio padre mi ha chiesto di pagare ancora sei mesi di affitto e poi potrò togliere tutto dall'appartamento.
Stringo i pugni lungo i fianchi. Ci metto così tanta forza che quasi le unghie mi si conficcano dentro.
E un attimo dopo mi sono calata fuori dalla stretta finestrella. Stretta per tutti gli ubriaconi che frequentano questo posto, ma non per me.
Non penso nemmeno a cosa sto facendo davvero e al mondo che ondeggia nauseante tutt'intorno. Tiro su il cappuccio della felpa e mi guardo intorno nel vicolo in cui sono finita. Mi batte forte il cuore, mi ripeto che sto facendo una cazzata ma continuo a camminare, girando l'angolo e cercando la fermata della metropolitana dalla quale sono arrivata giusto un'ora fa. Corro soltanto quando arrivo alle scale. Nessuno mi insegue, nessuno fa caso a me. Nel bene o nel male a nessuno importa. La solita Sara, anonima agli occhi del mondo intero.
Una volta sulla metro, trovo un posto e osservo le mie mani. Il mondo non ondeggia più, ma le dita tremano convulsamente.
"Ho fatto un'enorme cazzata", mi ripeto fino al ritorno a casa.
Nell'appartamento ci sono tutte insieme a Lenny; mi aspettavano per cena senza avere mie notizie, e tutti si rendono immediatamente conto che c'è qualcosa che non va. È Timon a farsi avanti per prima. « Sara... sembri sconvolta. Che ti è successo?! »
« Si può sapere dove ti eri cacciata? Ti abbiamo aspettato per cena ed eravamo preoccupate da morire », mi redarguisce Maia.
Cammino in avanti, diretta senza pensarci alla mia stanza. Poi mi fermo con la mano sulla maniglia.
« Oggi era il compleanno di papà », riesco a dire in tono vacuo, come se non fossi nemmeno io a rispondere. « Volevo comprargli un regalo, poi mi sono ricordata che non posso, perché è morto. »
Le guardo un'ultima volta, i loro occhi indugiano su di me, ma nessuna di loro trova il modo per ribattere. Sono parole italiane le mie, Leonard non le capisce, così nessuno mi segue quando mi chiudo in camera.
Resto sola per ore. Avvolta nelle lenzuola e ancora vestita di sporco e lacrime. Vorrei strapparmi via la pelle per togliere quell'identità che mi si sta cucendo addosso, giorno dopo giorno, lacrima dopo bicchiere, e nella quale non riesco a riconoscermi.
La porta si apre soltanto più tardi. È Leonard. Li ho sentiti confabulare tra di loro per tutto il tempo, ipotizzando cosa avessi combinato in giro fino a quell'ora. Maia diceva di lasciarmi riposare un po' e che mi sarei ripresa presto. Silvia era preoccupata per me e la mia improvvisa ricaduta. Timon invece continuava a insistere che dovessi mangiare e che, dopo una fetta della sua torta al cioccolato appena sfornata, allora tutto si sarebbe sistemato. Ecco perché, ora che lo vedo entrare in camera, Lenny porta con sé un piattino con la fetta di torta "miracolosa".
« La tua amica dai capelli rossi è convinta che tu stia morendo di fame », dice posandola sul mio comodino.
Mi volto verso di lui, stringo il cuscino e ci affondo la faccia in parte. Devo avere un aspetto orrendo, ma a questo punto poco mi importa. « Ho lo stomaco chiuso. »
« Maia dice che hai bevuto... è vero? »
Annuisco, in parte con vergogna, in parte con rabbia.
« Allora dovresti mangiare qualcosa. »
Non ho alcuna voglia di muovermi, di vivere, figuriamoci di mangiare. Ma non voglio deludere anche Leonard, soprattutto ora che mi sta guardando con aria speranzosa. Mi sforzo allora di rimettermi a sedere. Mi porge la torta con un sorriso tirato e la solita gentilezza che lo caratterizza. Riesco ad addentarne soltanto una briciola. Ingoio a fatica.
« Mi spieghi che cos'è successo? Stamattina prima di uscire di casa non stavi così. »
« Sono stupida, Lenny. Ecco chi sei venuto a conoscere in Italia: una stupida e una perdente. »
Vedendo che non mostro segno di voler continuare a mangiare la torta, me la toglie dalle mani. Si siede più stretto accanto a me e posa una mano sulla mia. « Le tue amiche mi hanno detto che oggi sarebbe stato il compleanno di tuo papà. »
« Sì. Sono uscita da lavoro e sono entrata in un negozio. Gli stavo comprando il regalo a cui avevo pensato da un po' di tempo. Io... non lo so cosa mi sia successo. Credevo che lui ci fosse ancora e che mi aspettasse a casa per... », finisco solo per dire prima di concludere in lacrime la mia assurda spiegazione.
Fa male, maledizione, e io non riesco più a sopportarlo questo dolore. È sfiancante, esaurisce ogni energia vitale.
Leonard mi abbraccia, mi lascia sfogare, e io vorrei annullarmi proprio qui, tra queste braccia che sembrano così forti e sicure. Vorrei Chris qui con me, che mi faccia stare bene come le sere passate insieme al garage, ma lui non c'è. Ora c'è Lenny, che mi sta vicino e sembra colmare tutto quello che serve. Cerco in lui un appiglio e nel suo abbraccio non mi sento bene, non mi sento sollevata... ma confortata, che è soltanto ciò che desidero in questo momento.
Leonard c'è sempre stato per me. Anche da lontano, anche solo con dell'inchiostro su carta... ma Peter Pan c'era da qualche parte, e quando mi allontana appena per guardarmi, per accarezzarmi piano la guancia, il naso, il mento, mi illudo che almeno lui non se ne andrà come ha fatto papà, come farà Chris tra poche settimane.
Così, quando le sue labbra sfiorano le mie con cautela, umide delle mie lacrime, io non trovo nemmeno le forze per fermarlo.
********************
Spazio Dory:
Vi aspettavate una gioia? Ma quando mai!
E ora cosa succederà??? Via ai commenti!!!! Gli insulti nei miei confronti non valgono eh
A presto!
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro