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42. Once upon a dream

Canzone per il capitolo:

Once upon a dream - Lana del Rey

...I know you, I walked with you once upon a dream
I know you, that look in your eyes is so familiar a gleam
And I know it's true that visions are seldom all they seem
But if I know you, I know what you'll do
You'll love me at once, the way you did once upon a dream...  

*******************

Sara

Trilly.

È così che mi chiama il ragazzo che sosta in piedi alla mia porta, un mazzo di fiori misti in una mano, la valigia accanto ai piedi e un sorriso smagliante da rapirmi.

Trilly.

Esiste una sola persona al mondo che mi chiama in questo modo, ma vive nelle mie lettere, riposa nell'inchiostro che mi raggiunge tutti i mesi da anni. Quella persona è un'illusione, è la mia totale valvola di sfogo. E ora è qui.

« Le... Leonard? » balbetto insicura.

Nel sentire le mie parole, la mia voce per la prima volta, il suo sorriso sincero si apre ancora di più. I suoi denti sono bianchi, dritti e perfetti, e come in un flash mi ricordo di un tempo passato quando mi raccontava, durante gli anni delle scuole medie, dei suoi compagni che lo deridevano per l'apparecchio.

Lo guardo rapita, ma fatico a riconoscere il ragazzo che era rinchiuso nei miei sogni, la figura che, per quanto mi fossi rifiutata, aveva finito per acquisire dei connotati propri, ma del tutto diversi dalla realtà. « Sì, sono io! »

Succede tutto così rapidamente che, quando mi ritrovo a stringerlo forte tra le mie braccia, aggrappata completamente a lui e con le lacrime che iniziano a rigarmi le guance, quasi non riesco a capire chi abbia compiuto il primo passo.

Il mio Peter Pan è davvero qui. È lui.

Sono sue le spalle grandi sulle quali cerco un sostegno, sue le braccia che mi stringono forte per tenermi incollata a lui, sua la voce mascolina e un po' roca che mormora al mio orecchio: Buon compleanno.

Sono ancora concentrata ad annusare il suo profumo, un odore particolare e riconducibile al legno bagnato dalla pioggia, quando una voce alle mie spalle prende a schiarirsi rumorosamente. L'Isola che non c'è svanisce nei contorni, ma resta intorno a noi anche quando lui mi lascia andare. Tengo i fiori stretti nel pugno quando Silvia si avvicina, mentre la mano non più estranea torna a toccarmi, stavolta posandosi gentilmente sulla mia schiena, per non interrompere il contatto. « Ciao, io sono... » ma lui la anticipa.

« Dal colore dei tuoi capelli, immagino tu sia Silvia, altrimenti detta Rainbow. »

I due si stringono la mano, Silvia è piacevolmente sorpresa. « Esatto, e immagino tu sia l'uomo misterioso delle lettere di cui Sara non ci ha mai voluto dire nulla. »

Leonard ride. Dalla sua espressione sembra che l'allegria faccia parte di lui, come una dote naturale. Avevo intuito dalle sue lettere che fosse un ragazzo sorridente, eppure avevo sempre percepito una nota malinconica in lui; forse perché, come me, usava la carta e l'inchiostro per sfogarsi ed evadere dalla vita di tutti i giorni. « Non credo di essere molto misterioso, ma sì: sono io. Sono Leonard, ma chiamami Lenny. »

Silvia annuisce con soddisfazione ma, quando sposta lo sguardo sulla tazza di caffè che tiene in mano, improvvisamente cambia espressione. « Ok... Lenny... io... io vi lascio soli. »

Fila via come una scheggia, lasciando il caffè sul tavolo. Quando la vedo fiondarsi nel bagno, allora immagino che cosa le prenda. Copre qualsivoglia rumore con lo scorrere dell'acqua nel lavandino, ma credo proprio che le nausee siano ufficialmente iniziate.

Tuffo il viso tra i fiori e quando ne esco trovo Lenny a guardarmi con muta attenzione, con la luce negli occhi. Sono castano scuri, piccoli ma intensi. Ha la pelle appena abbronzata e le labbra carnose, contornate da uno strato appena visibile di barba che gli ricopre tutta la mandibola. Osservo il ragazzo che mai mi ero immaginata; eppure, ora che è qui davanti a me, che le sue parole scritte hanno improvvisamente acquisito una voce e la mano che scriveva un proprietario in carne e ossa, mi chiedo come io abbia potuto immaginarlo in maniera diversa. Il ragazzo magro, dalla schiena curva e un poco timido è improvvisamente svanito... e sento un improvviso moto di malinconia nell'abbandonarlo, un sensazione che a malapena riesco a percepire, ma non a decifrare.

Abbasso lo sguardo, il suo diretto e sicuro mi intimidisce. « Lenny... cosa ci fai qui? »

« Sono arrivato in un brutto momento? »

« No, affatto », mi affretto a rassicurarlo, « è solo inaspettato. Credevo che avessimo deciso di non incontrarci mai. Avresti dovuto avvisarmi che saresti arrivato. »

Lascio i fiori sul tavolo e lui mi segue, abbandonando la valigia accanto al divano una volta entrato in casa. Sorrido nel vederla: è venuto per restare, almeno per un po'.

« Lo so cosa avevamo detto, ma... l'ultima tua lettera mi ha preoccupato. Avevi bisogno di aiuto e così lontani mi sono sentito impotente. Mi dispiace; non volevo infastidirti. »

Incredula per le sue parole, gli corro incontro e torno ad abbracciarlo. Se la prima volta i tentativi per adeguarci alle reciproche strette sono stati molteplici, e anche un poco goffi, ora è tutto così semplice e fluido da sorprendermi. Vorrei dire che è come se ci conoscessimo da sempre, ma è solo la realtà dei fatti: Leonard è sempre stato la persona che mi conosce più a fondo di tutti gli altri.

Non è affatto estraneo sentire il suo respiro tra i capelli sciolti, le sue mani che percorrono la mia schiena, che premono, che mi accarezzano. Io faccio lo stesso, arricchisco l'immagine degli occhi e della mente con il contributo del tatto, con il suo odore, con il suono così profondo e grave della sua voce che mi sorprende di aver sognato per anni e anni una voce più limpida, giovane, molto meno maschile. Leonard è un giovane uomo. Il Peter Pan del mio immaginario personale non è più un ragazzino sognatore, come nella favola, sempre un po' bambino.

Leonard è un ragazzo vero.

Ha braccia forti e muscolose, la barba che pizzica appena per la rasatura in ritardo, e quegli occhi... quando mi allontana appena, ma senza abbandonare la presa intorno alla mia vita, questi mi scrutano; strizza appena le palpebre, cerca di riconoscere me nella piccola Trilly che per tanti anni aveva soltanto immaginato.

« Hai davvero gli occhi blu, Sara », annota, come se ne fosse sorpreso.

« Non ricordo di averti parlato di come sono fatta. Avevamo promesso di non farlo mai. »

« Lo avevi fatto quando avevamo... dunque, fammi ricordare », ci pensa su mentre io ascolto il suo modo di parlare, la sua cadenza leggera mentre strascica e ruba qualche sillaba finale alle sue parole. « Credo avessimo dieci anni, non di più. A scuola ti avevano detto di inviare la tua descrizione come compito. Tu mi avevi mandato quella reale e poi mi avevi detto che, se fossi vissuta in una fiaba dei fratelli Grimm, allora saresti stata molto diversa. Mi avevi inviato anche il disegno colorato de La bella addormentata nel bosco per convincermi che da grande saresti diventata così. »

« Te ne ricordi ancora? Sono passati più di dieci anni! »

I suoi occhi si abbassano un poco, poi li riporta nei mie. È timido il suo sorriso, il primo cenno di insicurezza che vedo in lui da quando è atterrato nella mia vita, quella vera e reale. « Ricordo tutto, Trilly. Te l'ho detto che per me non sei mai stata solo un passatempo. »

Non riesco ancora a credere che lui sia davvero qui, che mi stia stringendo forte le mani, che mi guardi in questo modo mentre posa titubante solo la punta delle dita sul mio viso. Mi accarezza la guancia, prima solo sfiorandola, poi prendendo confidenza per una familiarità che ci unisce subito.

Lo sento subito il pizzicore.

È lì, proprio dietro lo sterno. È la rotellina dell'accendino quando alla prima non si riesce mai a dar vita alla fiamma e le scintille si liberano nell'aria, svanendo all'improvviso così come sono nate. È bastata solo una carezza per far nascere quella sensazione nel petto.

« Sei diversa da come ti avevo immaginato. »

Sento le mie labbra tirare nel sorriso incontrollato che ne ha preso possesso. « Ti ho... deluso? »

Leonard è più vicino ancora quando si lascia andare in una risata sincera. « Per niente, mi hai sorpreso, invece. È solo che ho passato una vita a provare a immaginarti, a trovare dei segni di te in quello che scrivevi. Mi dicevi che eri chiusa, timida e riservata con il mondo e... non lo so, forse ti immaginavo come un piccolo topolino di biblioteca, tutta occhiali e... beh, non ti immaginavo così. »

Torna a stringermi, posando il mento sulla mia spalla e lasciandomi appoggiare la testa sul suo petto. « Non credevo che mi facesse questo effetto vederti », ammette infine.

Restiamo così a lungo, nemmeno io riesco a conteggiare il tempo che ci lascia uniti, insieme. Mi abbandono piano tra quelle braccia che sembrano cullarmi nella loro stretta e quando mi ritrovo seduta sul divano e con lui al mio fianco, lasciarlo sembra quasi doloroso. Sento il volto in fiamme, ma lui non me lo fa notare in alcun modo. « E di me? Mi immaginavi diverso? » chiede per interrompere il momento di silenzio.

« Forse un po' sì », ammetto.

« E come mi avevi immaginato? »

« Beh, non di certo con... con questi », spiego prendendogli il bicipite e strizzando appena i muscoli sotto le dita, « e con questi », e sfioro il tatuaggio maori che noto spuntare sul polso destro, a conclusione di un disegno nascosto dal maglioncino in cashmere che indossa.

La mia mano sfiora la sua e così, naturale, lui la rivolta per prenderla. Mi accarezza il palmo, intreccia le nostre dita. « Come stai, Sara? Ti sei ripresa dall'ultima lettera? »

L'Isola che non c'è, alla fine, si sfalda all'improvviso. Per qualche minuto la sua presenza mi aveva catapultata in un mondo altro, in un modo felice, esente da dolori e problemi. Ma non posso scappare in eterno, e ogni minuto la vita non si risparmia di ricordarmelo. « Dipende dai momenti. Ci sono momenti buoni, e altri meno buoni. Sto cercando di superarla. »

« Ascolta, io sono venuto qui per farti una sorpresa e starti vicino, ma non voglio essere di peso, né per te, né per le tue coinquiline. Ho già preso il numero di telefono di un motel qui vicino. »

Scrollo subito la testa. Si accorge della mia stretta che aumenta all'idea di vederlo volare via. « No, resta qui. »

« E le tue amiche sono d'accordo? »

« Lo saranno, non preoccuparti. Dobbiamo solo trovare una sistemazione per te e », torno ad ammirarlo da vicino. Mi ritrovo ad accarezzargli il viso, il mento, a sorridere sempre di più senza alcun freno. « Sei davvero qui. »

Ondeggia piano la testa in avanti e riflette alla perfezione il mio sorriso felice nelle sue labbra dischiuse. « Sono davvero qui, Trilly. »

**********************

Spazio Dory:

l'arrivo del nostro Peter Pan direi che creerà un bel po' di scompiglio nella vita di Sara, voi che ne dite?

Un abbraccio, non dimenticate di votare il capitolo se vi sta piacendo la storia e seguitemi sui social!

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