26. Hey Jude
Canzone per il capitolo:
Hey Jude - The Beatles
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« Sara? Sei sveglia? »
Vedo Silvia spuntare solo con la testa dalla porta della camera: sta sbirciando all'interno con i suoi grandi occhi marroni. Nella penombra della stanza, nota me e Christian ancora a letto, allora si schiarisce la voce per assicurarsi di svegliarci entrambi. Devo aver dormito per tutto il pomeriggio e, mentre mi sveglio lentamente sbattendo le palpebre più volte, mi rendo conto che Christian è rimasto qui con me nel letto per tutto il tempo. Sbadiglia rumorosamente intanto che sbircia l'ora sul suo orologio da polso.
« Non ho fame », la avverto prima ancora che lei mi chieda di raggiungerla in cucina per mangiare.
Silvia sbuffa alle mie parole, ma è una ragazza molto paziente e non commenta in proposito. « Ok, ma non sono venuta per questo. Ha suonato una signora alla porta. Dice di essere la vicina di casa e chiede di te. Credo sia la donna che ha avvertito l'ambulanza per tuo papà. »
Non ho addirittura nessuna voglia di vivere in questo momento, figurarsi di alzarmi e rendermi presentabile per una donna con la quale ho sempre avuto solamente un livello di base di confidenza. Stranamente, essere consapevole che Christian è qui accanto a me e che può vedere chiaramente lo stato in cui si trovano la mia faccia e i miei capelli, non mi preoccupa affatto. Non mi importa. « Dille che non voglio vedere nessuno. »
« Ha detto che ti deve parlare, che deve dirti una cosa importante », insiste lei facendo un passo dentro. Sbircia Christian nel letto al mio fianco, ma non gli dice nulla. « Al funerale non ha trovato il momento per parlarti. »
Christian si mette a sedere e stropiccia il viso con insistenza per riprendersi un po'. Si volta verso di me alzando un sopracciglio. « Forse, è qualcosa di importante davvero. Dovresti andare a parlarle. »
Sospiro e scosto lentamente le coperte. Mi sembra che ogni minimo movimento costi davvero tanto alla mia già scarsa forza interiore. « Ok, ma prima devo andare in bagno. Mi sento uno straccio. »
Silvia mi sorride quando mi vede infine aggirarmi per la stanza per frugare tra le mie cose prima di dirigermi alla doccia. « Certo, le dirò di aspettare di là in cucina. »
Non guardo nemmeno l'orologio, sinceramente non mi importa se quella donna semisconosciuta aspetterà più di quello che la buona educazione insegna. Mi posiziono direttamente sotto il getto di acqua bollente della doccia e ne esco diversi minuti più tardi, rinfrancata solo per una minuscola parte, se non nella mente o nel cuore, per lo meno nel corpo. Indosso una tuta pulita e asciugo rapidamente i capelli, lasciandoli però infine umidi nella crocchia che ricavo sulla nuca. Il phon sembra così pesante che quasi mi cade dalle mani.
Al mio arrivo in cucina, trovo tutti i presenti seduti intorno al tavolo, impegnati in una conversazione con la signora Agosti dell'appartamento accanto. Appena la donna mi vede, mi saluta con un gran sorriso. « Ciao, Sara. Come stai oggi? »
Aggrotto la fronte, pensando seriamente alla natura di quella stupida domanda, e mi sento combattuta tra il rispondere con gentilezza così come la vecchia Sara avrebbe sempre fatto, o se forse devo cercare di capire davvero come mi sento dentro in questo momento. « Sto uno schifo, esattamente come ieri e anche il giorno prima. »
Striscio i piedi nella cucina e sbircio il lampadario appeso sulle loro teste. Sono le nove di sera oramai e, evidentemente dalle pentole sparse tra il lavandino e i fornelli, immagino che gli altri abbiano già finito di mangiare; tutti tranne Christian, che sta terminando gli ultimi resti di spaghetti nella padella.
La signora Agosti annuisce con fare comprensivo e tutti gli altri si alzano infine per lasciarci la dovuta privacy. Maia mi passa accanto e mi accarezza soltanto una spalla con aria sconsolata. Hanno sul volto tutti lo stesso sguardo: quello sguardo che continua a ripetere senza sosta mi dispiace. Come se in qualche modo fosse colpa loro se la mia vita è orribile, se mi sembra di essere stata appena spinta sull'orlo di un precipizio che sta solo perfidamente aspettando che io perda l'equilibrio per inghiottirmi.
Mi siedo accanto alla donna dal caschetto biondo e vaporoso e la guardo negli occhi. Non è molto alta, non molto magra e non molto vecchia... una sorta di replica ancora più anonima della Sara che sono oggi. Tiene la schiena dritta, come se fosse irrigidita, o tesa. Accanto a me, allunga la mano verso la mia per accarezzarla, ma io la ritraggo subito. « Che cosa voleva dirmi? »
Nota il mio ritiro ma non dice nulla in proposito. Con un sospiro si alza in piedi e, con una familiarità che in parte mi sorprende, eccola che si muove tra gli sportelli della cucina per prendere le tazze e preparare del tè. « Immagino che avrai delle domande, Sara. Che sarai confusa su quello che è successo a tuo padre. So che non ti voleva raccontare alcune cose... »
Alzo le sopracciglia nel vederla muoversi con tanta dimestichezza in casa mia. « E immagino che quelle cose le abbia raccontate a lei e non a me. »
Riempie il bollitore e lo lascia sul fuoco acceso prima di girarsi per posare lo sguardo su di me. Mi sto lentamente rendendo conto del mio tono di voce, che si sta inacidendo con tutti indistintamente, ma non riesco a impedirmelo. Per lo meno, lei non sembra farci caso. « Quando prima eri al liceo e la sera lavoravi nella pizzeria, e adesso ancora di più da quando sei andata in città per l'università, io e tuo padre abbiamo... abbiamo passato del tempo insieme. »
La scruto sospettosa, ma lei non abbassa lo sguardo. « Cosa sta dicendo? »
« Esattamente quello che hai capito », spiega con calma. « Ma non voglio parlarti di questo, ora. Immagino che tu sia parecchio confusa e non voglio caricarti di troppe cose. Te ne ho fatto cenno solo per farti capire che io volevo bene davvero a tuo padre e che tante volte lui si è sfogato con me dei suoi problemi... »
Il fatto che questa donna sappia cose che mio padre si era rifiutato di condividere persino con me non mi lascia niente affatto serena. « Che cosa deve dirmi? »
Tiene strette le braccia al petto e, anche se sembra voler trasmettere sicurezza con la sua postura, qualcosa mi dice che in questa conversazione non si sente affatto a suo agio. « Immagino che ti abbiano raccontato in ospedale del problema al cuore di tuo padre. Se lo portava avanti ormai da parecchi anni... »
« Sì, e continuo a non capire perché me l'abbia tenuto nascosto. »
« Non voleva caricarti di ulteriori preoccupazioni », inizia a dire con un'alzata di spalle. « Sapeva che l'università e il lavoro ti prendevano molto tempo, che eri agitata per la prima sessione di esami e... » mi guarda e mi sorride. « Lui era molto fiero di te, sai? »
Non riesco a rispondere a quel sorriso. Mi sembra di sentir parlare di un estraneo, da parte di quella che invece credevo soltanto fosse un'estranea. Io volevo bene davvero a tuo padre... mi sembra solo di intuire il significato di quelle parole, eppure tutto mi sembra così strano e bizzarro che non riesco a pensarci con la dovuta attenzione. « A essere onesta... non mi ricordo di averlo mai visto entusiasta all'idea che iniziassi l'università. »
« Ma lo era... » si affretta a ribattere, « era solo preoccupato che non riusciste a farcela con i soldi. »
« Sì, a lui preoccupavano sempre i soldi. »
Una volta che l'acqua prende a borbottare nel bollitore, la signora Agosti porta in tavola le tazze con le bustine di tè in infusione. « Purtroppo, sai bene anche tu come era la sua situazione finanziaria. Lui era spesso affaticato e il cuore non lo aiutava. Aveva trovato delle proposte di lavoro nei mesi scorsi, ma lui non poteva reggerle: lavorare in fabbrica con i turni di notte... non ce l'avrebbe fatta. Aveva appena trovato un posto in comune come netturbino, sai? Avrebbe fatto l'autista del camion. »
Sorseggio il mio tè mentre la ascolto assorta. « Non voleva dirtelo fino a che non avesse incominciato a lavorare. Avrebbe dovuto iniziare la settimana prossima.
All'inizio, si vergognava un po' per quel lavoro, ma non sopportava più l'idea di chiederti tutti i mesi i soldi. In parte, gli servivano per le visite specialistiche e per alcuni farmaci che il sistema nazionale non passa. »
Poso infine la tazza sul tavolo, guardando le mie dita intrecciate intorno alla ceramica e la mia vita, che avevo creduto di avere e conoscere e che, alla fine, è stata in parte solamente un'illusione. L'uomo che credevo non provasse per me nulla di più che misero affetto, alla fine mi voleva davvero bene e aveva solamente cercato di proteggermi. Ripenso ai suoi messaggi, alle chiamate, alle volte in cui mi aveva chiesto i soldi e io mi arrabbiavo con lui perché lo reputavo egoista. Ora, invece, mi sento solamente in colpa. « Perché non mi ha mai raccontato nulla? »
Stiamo tenendo entrambe le tazze nello stesso identico modo, nella stessa posizione con la schiena, le spalle e lo sguardo assorto, allora cerco di muovermi sulla sedia. « Un padre che non riesce a mantenere una figlia e le deve addirittura chiedere dei soldi?... Sara, se ne vergognava profondamente: credo che tu possa comprenderlo. »
Sento un forte dolore al petto, un intenso bruciore localizzato in un punto ben specifico. « Avrebbe... avrebbe dovuto dirmelo. Avrei capito... »
« Tante volte gli avevo detto di farlo, gli avevo detto che tu eri grande abbastanza e che avresti compreso la situazione. Ma forse, il suo errore più grande è stato quello di considerarti ancora una bambina. Credeva che non fossi ancora pronta, ma soprattutto voleva proteggerti dalle preoccupazioni e dal dolore. Pensava già lui a preoccuparsi troppo per entrambi, non voleva caricarti di pesi inutili. Non voleva farti soffrire. »
Scrollo la testa sconsolata. « Direi che alla fine non ha potuto evitarlo. »
Questa volta, quando la mano della donna si posa sulla mia, non la ritraggo più. « Mi dispiace che sei dovuta venirlo a scoprire così. So che non è una situazione facile, ma ho visto che hai tanti amici che ti possono stare vicino. Per qualsiasi cosa, però, puoi contare anche su di me. Sarei felice di poterti aiutare in qualche modo. »
Cerco di fare mente locale su quello che ho fatto, e soprattutto su quello che ancora devo fare, le faccende in sospeso e gli impegni da sbrigare. Silvia e Maia mi hanno aiutata molto, ma so che ci sono ancora molte cose da rimettere a posto. « Non so che cosa devo fare... immagino ci sia un testamento, forse. E faccende da sbrigare e tutto il... tutto il resto. »
« Posso accompagnarti io, se vuoi. Per quanto posso, voglio aiutarti. Questa casa è in affitto, c'è la macchina di tuo padre che puoi decidere se vuoi venderla, oppure... »
« Lei voleva davvero bene a mio padre? » la interrompo. Questa informazione, sapere se accanto a mio padre quando non stava bene c'era qualcuno che teneva davvero a lui dopo che la mamma lo aveva abbandonato, sembra essere diventata improvvisamente importante.
Prende un respiro profondo. « Sì, molto. Era un brav'uomo... aveva tanti difetti, però era un uomo buono nel profondo. Mi dispiace per quello che gli è successo. »
« Lei ha... ha pianto? »
La mia domanda diretta pare sorprenderla, ma alla fine annuisce, stringendo un poco la mia mano ancora nella sua. « Sì, molto... »
I minuti successivi scorrono lenti, sentendo le sue parole e i suoi consigli su tutto quello che dovrei fare nell'immediato futuro, i suggerimenti a proposito dell'affitto della casa, il cambio di indirizzo per le lettere, le bollette e quant'altro.
« Non dovresti vivere qui », dice in risposta alla mia ipotesi di trasferirmi in questa casa. « E non dovresti lasciare l'università. »
« Ma come posso andare avanti? Papà non aveva soldi da parte, ora sono sola... non lo so. Non so cosa fare, sono confusa. »
« Io posso darti dei consigli, ma ormai sei adulta a sufficienza per decidere della tua vita da sola. Ho visto che hai degli amici, e se sono qui con te è perché ti vogliono bene. Io credo che tu debba tornare a Torino. Devi provare a continuare la tua vita così come hai fatto fino ad ora. Credo che tuo padre vorrebbe così. »
Sposto lo sguardo tutt'intorno. « E questa casa? Cosa dovrei farne? »
« Vuoi continuare a pagare l'affitto per una casa in cui non ci starà mai nessuno? »
« Dovrei togliere tutte le cose di papà e non saprei dove metterle. »
I suoi occhi si spostano da me per ricercare il bordo della tazza. « Dovrai tenere solo alcune cose, le più care e le più importanti... il resto, dovrai lasciarlo indietro. »
Scrollo la testa con determinazione. « Non credo di essere ancora pronta. È... è ancora troppo presto. »
« Prenditi il tempo che vuoi », mi rassicura. « Pensa bene a cosa dovrai fare. Se vuoi, per qualche mese, posso occuparmi io di questa casa, e se avrai bisogno anche di soldi, io sarei felice di poterti aiutare. »
« Ci penserò, la ringrazio... »
« Chiamami Marta », mi sorride mentre mi parla, accendendo gli occhi castani di vaghi riflessi dorati. « Non c'è bisogno di darmi ancora del lei. »
Annuisco e ritorniamo a parlare di cosa dovrò fare nei prossimi giorni. Marta se ne va qualche minuto più tardi, dopo aver tolto le tazze dal tavolo e averle posizionate nella lavastoviglie come fosse a casa sua. Ormai, credo di aver ben intuito che tra lei e mio padre deve esserci stato qualcosa di più di una semplice amicizia, qualcosa che forse va avanti da molto tempo ma della quale io sono sempre stata ignara. Mi chiedo se si siano amati, se ora soffra molto per la perdita che abbiamo in comune.
« Possiamo? » domanda Timon sporgendosi dalla porta della camera.
« Sì, è andata via. »
« Che cosa ha detto? » la sua curiosità attivata non riesce a essere contenuta.
La sua chioma di riccioli rossi sembra gonfiarsi a dismisura ogni giorno che passa: ha dimenticato a casa la spuma per i ricci che riesce miracolosamente a tenerglieli a bada e la situazione pare stia degenerando sempre di più, portandola ad assomigliare sempre più a un Simba con la criniera arruffata che al suo amico suricata.
Sbuffo di stanchezza mentre osservo farsi avanti anche Silvia e Maia, seguite da Christian. « Tante cose, ma... scusatemi, ora non ho davvero voglia di parlarne. Sono solo stanca. »
« Mangi qualcosa con noi? » Silvia ci riprova speranzosa, come se farmi mangiare fosse diventato il suo obiettivo principale delle giornate.
Christian e Casper sono in fondo all'esiguo gruppetto, li sbircio parlottare tra di loro ma non riesco a capire che cosa si stiano dicendo. Non stanno litigando, però, e questa è già di per sé una novità. « Non ho fame. »
« Dovresti mangiare qualcosa », prova Timon con il suo tono più dolce e tenero.
« Non me la sento, ho lo stomaco chiuso. »
Casper si avvicina e mi prende per mano con un mezzo sorriso tirato. « Ti prepariamo le crepe alla Nutella che ti piacciono tanto. Cosa ne dici? Le mangiamo tutti... ricorda che non c'è rimedio migliore della Nutella », sentenzia facendo ondeggiare l'indice in aria.
« Io... »
Mi mette un braccio sulle spalle e mi volta verso Christian. « Dai, le mangia anche Chris con noi. Vero, Chris? » domanda con un sorriso sincero che mi spiazza non poco. « Ti piace la Nutella? » parla in inglese con gentilezza, forse per metterlo più a suo agio.
Silvia mi lancia un'occhiata interrogativa e sorpresa da tanta gentilezza usata da Maia nei confronti di quello che sembrava essere diventato nei giorni scorsi il suo acerrimo nemico, mentre Timon invece non si accorge proprio di niente: alla parola Nutella, ha perso buona parte delle sue facoltà mentali. « Sì, abbastanza. »
« Ecco vedi? Ora, vai ad asciugare meglio i capelli o ti prenderai il raffreddore », mi incita Casper spingendomi verso il bagno con poca delicatezza.
Con calma e questa sorta di flemma apatica che pare essermi penetrata dentro ogni giorno di più, asciugo del tutto gli ultimi ciuffi bagnati e mi decido a raggiungere gli altri e a mettere qualcosa sotto ai denti. Sto per tornare in cucina nella speranza che la Nutella riesca a farmi tornare un briciolo di appetito, quando intravedo la camera di papà. La porta è chiusa, così come è stata in questi giorni. Ho voluto tenerla chiusa io stessa, ma ora mi inquieta non vedere cosa c'è oltre. È una strana sensazione negativa, come se potesse esserci qualcuno nascosto, come se lui potesse essere lì ad aspettarmi, dietro quella porta, oppure coricato sul letto... rigido e immobile come l'ho visto l'ultima volta.
Mi avvicino con passo cauto e apro lentamente la porta. Non è stato toccato nulla nella stanza, ogni cosa è rimasta al proprio posto: il letto matrimoniale è in ordine con le sue lenzuola perfettamente tirare, la televisione spenta sul mobile, i cassetti richiusi e il libro che teneva sempre sul comodino, il segnalibro ancora ai tre quarti di quella lettura che resterà per sempre incompiuta. C'è ancora una camicia appesa alla sedia, come se fosse pronta e stirata per essere indossata ancora. Mi chiedo se debba lasciarla lì, o forse rimetterla al proprio posto nell'armadio. Ripenso alle parole della donna che ho imparato a conoscere un poco, a Marta; penso al funerale, alla bara, alla terra gettata sopra al legno...
Prendo la camicia e apro l'armadio per metterla via una volta per tutte. Tocco ogni capo con grande attenzione, cercando di non muovere più del necessario. Ogni cosa è ancora pregna del suo odore e io trattengo a stento le lacrime nel ritornare alla mia infanzia, a quando mi nascondevo da lui quando giocavamo insieme a nascondino e l'armadio di papà era il mio nascondiglio preferito.
Asciugo rapidamente gli occhi e scrollo la testa con determinazione, ripetendomi che sono adulta ormai e che devo essere forte, non pensando minimamente al fatto che le due cose, nella realtà, non sono per niente legate come la gente crede.
Prima di richiudere le ante dell'armadio, però, ecco che noto una scatola bianca spuntare sotto a una pila di maglioncini ben ripiegati. La sfilo delicatamente per non far cadere nulla e la apro, tenendo il coperchio tra le mani.
Noto subito un ammasso di lettere, cartoline, fotografie... sono tutte ammucchiate in maniera confusionaria. Poso la scatola sul letto per poter guardare il tutto con più attenzione, e pesco in mezzo alle altre una lettera chiusa, mai aperta e ingiallita dal tempo, e leggo il mittente. Rileggo quel nome ancora, ancora, ancora e ancora...
Jude Murray.
Mia madre.
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Spazio Dory:
scusate per il ritardo nella pubblicazione ma... purtroppo sì, sto avendo un mezzo blocco per questa storia. I capitoli non mi soddisfano e, soprattutto, mi manca l'ispirazione. Vi chiedo scusa e vi assicuro che porterò avanti la storia ma credo che dovrò rallentare un poco gli aggiornamenti, per lo meno fino a che non mi tornerà l'ispirazione... spero comunque di riuscire ad aggiornare una volta a settimana oppure una volta ogni due... incrociamo le dita e speriamo passi presto!
P.S. nel frattempo, sul mio profilo trovate la mia storia d'amore Secretly... andate a dare una sbirciata ai due capitoli che ho postato: spero vi piacciano!
Un bacio e un abbraccio!
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