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25. The sound of silence

Canzone per il capitolo:

The sound of silence – Simon & Garfunkel

**************

Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
Because a vision softly creeping
Left its seeds while I was sleeping
And the vision that was planted in my brain
Still remains
Within the sound of silence...

Liscia e fredda.

Il suo viso era sereno, seppur la sua pelle innaturalmente irrigidita. Un viso ancora pieno, così come vive ancora nei miei pensieri e ricordi.

Quel mattino avevo paura ad entrare nella stanza d'ospedale, avevo paura di vedere quella morte che non ero ancora pronta ad accettare. Avevo visto alcune bare nella mia vita, quelle dei miei nonni paterni e di coloro ai quali andavamo a dare omaggio il giorno del funerale, ma non avevo mai guardato con i miei occhi cosa esse contenevano. Il primo è stato mio padre.

Quel giorno, inaspettatamente, non sono crollata. Non sono caduta a terra alla sua vista, non ho trovato la disperazione profonda che mi ero aspettata. Ho solamente pianto, dentro di me nel riconoscere gradatamente quanto è scarno il rimasuglio della mia vita, e fuori, con quelle lacrime che alternativamente le mie amiche hanno cercato di bloccare con i loro abbracci e le loro parole di conforto. Ma loro hanno toccato soltanto la superficie, il mio duro involucro... la Sara che ero stata un tempo si è appena rimpicciolita, così tanto che la strada da quegli abbracci al mio nucleo portante si è allungata, infreddolita.

Loro hanno toccato, accarezzato e guardato l'involucro, ma io non sono più lì dentro. Gli altri sono ancora intorno a me, ma in realtà io sono sola.

Silenzio. Ecco che cosa mi ha guidato nei giorni appena trascorsi.

Qualcuno anni fa ha parlato del suono del silenzio... io quel suono lo sento dentro e sa soltanto di dolore. Non mi piace quel sapore, lo odio, lo detesto, ma non posso fare altro che mandare giù un nuovo boccone e provare ad andare avanti.

Il crollo che mi ero aspettata e che tutte si aspettavano non è arrivato nemmeno quando sono entrata in casa, nel piccolo appartamento al secondo piano nel quale ho abitato per tutta la mia vita. Ho aperto la porta di casa con le chiavi di papà; l'infermiera me le ha consegnate quando sono entrata nella camera nella quale avevano temporaneamente lasciato il suo corpo. Era coperto da un lenzuolo...

Stop, silenzio... non ricordare.

Ora ho le chiavi di un uomo sepolto, di una casa in cui non vive più nessuno, di un passato che si è improvvisamente staccato da me con un doloroso e inaspettato colpo di frusta al centro della schiena e del cuore. Ho il suo portafogli in pelle consunta e rovinata dagli anni, i pochi soldi all'interno, i documenti che attestano della sua data di nascita, come se lui fosse ancora qui; ci sono i vestiti negli armadi, le sue bottiglie di Beck's nel frigorifero e una fetta di arrosto che probabilmente aveva avanzato dal giorno prima. Di mio padre, ora, non ho nient'altro.

« Sara? »

Christian deve richiamarmi parecchie volte prima che io tolga lo sguardo dal soffitto. « Sì? »

Entra in camera a lunghi passi e chiude la finestra che avevo lasciato spalancata appena mi ero svegliata, forse due ore fa, forse due minuti... non ricordo. Mi sembra di essere immobile su questo letto da un'infinità di tempo. « Perché non hai chiuso la finestra? Si gela qui dentro! »

Mi muovo appena sotto le coperte per rannicchiarmi di lato, il caldo bozzolo mi protegge. « Mi sono dimenticata. »

Si passa le mani nei capelli, lo fa con un gesto troppo rapido perché la nuova scarsa lunghezza non fa ancora parte della sua abitudine. Ora tutti i ciuffi di capelli castani sono della stessa lunghezza; immagino sia andato da un barbiere qui nei dintorni.

Si accuccia accanto al letto per guardarmi da vicino. Nei giorni scorsi il suo sguardo era dolce e comprensivo, oggi trovo anche una nota di stanchezza nelle occhiaie che lo incupiscono. « Come ti senti oggi? »

Mi rendo conto che il mio sguardo vaga senza trovare un approdo. « Credo... vuota... e piena di qualcosa, allo stesso tempo. Ha senso secondo te? »

Si siede direttamente a terra e appoggia le braccia sulle ginocchia. Si è cambiato, Christian deve essere tornato a Torino per prendere qualcosa da vestire, e poi è tornato qui. Mi chiedo ancora perché lo abbia fatto, perché sia ancora qui con me. « Ieri, dopo il funerale, non hai voluto parlare con nessuno. Ti sei chiusa in camera e hai dormito fino a stamattina. Le tue amiche sono un po' preoccupate, soprattutto Maia. »

Mi passo le mani sul viso e stropiccio gli occhi. « Che ore sono? »

« È mezzogiorno... Silvia dice che dovresti mangiare qualcosa. Ieri sera non hai cenato. »

Sposto di nuovo lo sguardo sulla mia camera, quella camera che papà non ha voluto cambiare per nessun motivo da quando me ne sono andata di casa, che ancora resta con i miei vecchi poster appesi alle pareti; ci sono tutti a guardare me, oppure a sbirciare ben poco velatamente la solitudine che mi circonda: l'ingenua Christiantina Aguilera degli esordi, Beyoncé che posa per la copertina dell'album Dangerously in love, i Queen durante il concerto a Wembley. Tra gli altri ci sono pure i Nirvana, con Dave Grohl ripetuto giusto nel poster accanto nei suoi Foo Fighters, quasi come la dimostrazione di un'evoluzione naturale dell'ex batterista della band.

« Non ho fame. »

« Ma... » prova a dire.

« Vai via », lo interrompo voltandomi dall'altra parte.

Sento il suo sospiro, ma non i passi che lo portano via. Christian è ancora ostinatamente qui. Non mi importa. Come fa a importare di qualcosa quando la vita è diventata improvvisamente incolore e insapore?

Passano alcuni minuti di silenzio, sento Christian immobile e immagino stia armeggiando con il telefono; poso la mano sulla parete rosa pallido, nella speranza di sentire qualcosa contro la mia pelle, sui polpastrelli, sul vuoto involucro. Nei pochi istanti durante i quali riesco a togliermi dai ricordi che ripercorro ostinatamente, della mia infanzia e di tutto quello che ho passato con mio padre, allora vivo il momento presente e cerco di trovare una sensazione, un'emozione... ma trovo soltanto il vuoto. Il silenzio.

Tolgo via la mano quando l'unica cosa che riesco a sentire è il freddo gelido del muro. Quando ieri ho accarezzato papà l'ultima volta prima che gli addetti delle pompe funebri saldassero e inchiodassero l'unico letto che lui avrà più, la sua pelle era della stessa temperatura. Rabbrividisco e nascondo le braccia e le mani sotto le coperte per riscaldarle.

« Che palle, sei ancora qui? »

La voce che bisbiglia è di Maia, deve essere dalla porta dove non riesco a vederla. Christian grugnisce rumorosamente, io fingo ancora di dormire. Mi chiedo quanto tempo sia trascorso, visto che il passare delle ore mi sta sfuggendo di mano. « Potrei farti la stessa domanda. »

« Dorme? » chiede Maia.

« No, sta giocando a polo... cretina. »

Il secondo grugnito è chiaramente femminile. « Fottiti... ora togliti di qua. Ci sto un po' io con Sara: ha bisogno delle sue amiche, non di un estraneo ficcanaso. »

« Io non me ne vado. »

Impiego parecchi secondi a ritornare con la consapevolezza a questo momento presente, a cercare una sorta di lucidità che negli ultimi tre giorni è stata sfuggente e inafferrabile. La sensazione che avevo provato quel mattino dopo la chiamata dell'ospedale, l'idea che ci fosse qualcosa di strano che non riuscivo ad afferrare, ora riesco a capirla e mi chiedo come abbia fatto a non rendermene conto subito. Maia sta parlando in italiano, e Christian risponde in inglese, capendo perfettamente le parole della mia amica.

« Quanto sei irritante... si può sapere perché sei venuto fin qui? Cosa ti importa di Sara? »

« Mi importa, non devi sapere altro. »

Stringo un poco la coperta nel pugno. « Ti importa davvero, o pensi di comportarti con lei come hai già fatto? È già distrutta, non ha bisogno di un idiota che le ronzi intorno e la faccia soffrire. Direi che ha già dato per il resto della sua vita, non credi? »

« Fatti i cazzi tuoi e vai via. »

La porta si richiude qualche istante dopo, solo adesso mi giro verso di lui.

« Christian », mormoro aprendo infine gli occhi. Lo guardo confusa. « Ma tu... tu conosci l'italiano? »

È sorpreso di vedermi sveglia; sembra preso alla sprovvista mentre sposta rapidamente lo sguardo alla porta chiusa. « Sì... Abbastanza », la sua risposta è in inglese, così come il proseguo del nostro discorso.

« E Maia lo sapeva? »

Annuisce. « Quando hai ricevuto la chiamata dall'ospedale, le tue amiche parlavano e si sono accorte che avevo capito che cosa vi stavate dicendo nonostante parlaste in italiano. »

« E da quando lo conosci? »

Sospira voltandosi del tutto verso di me e posando un braccio sul materasso vicino alle mie mani. « Lo capisco abbastanza bene, ma non mi sento molto a mio agio a parlarlo. Prima di partire per lo scambio, ho preso lezioni privatamente da un'insegnante madrelingua a Londra per quattro mesi. Anche Scott lo ha fatto. »

Aggrotto la fronte, sono confusa. « E allora... perché hai voluto seguire le lezioni con me? Mi hai pagata anche se non ti servivano. »

Alza le spalle con gesto casuale. « Era una scusa come un'altra. »

« Una scusa per cosa? »

Scrolla la testa e si alza per venire a sedersi sul letto al mio fianco. « Secondo te per cosa? »

Potrei pensare a tante scuse, potrei non pensare a nessuna... Christian ha davvero finto di non conoscere l'italiano solo per poter passare del tempo con me? Mi sembra assurdo... eppure, è l'unica risposta che riesco a trovare.

Rifletto qualche istante e mi rendo conto di un fatto che, oltre a tutto il resto, mi rende ancora più triste. Se davvero Christian ha inscenato la sua necessità di seguire un corso intensivo di italiano solo per starmi accanto, se davvero Christian era seriamente interessato a me... ora non mi importa. Così come ho cercato di sentire qualcosa da quella fredda e ruvida parete, così ora guardo Christian negli occhi e cerco di ritrovare ciò che mi era sembrato di sentire per lui. Ma non trovo nulla in quegli occhi verdi, nel suo sguardo dolce, nelle labbra morbide che ho accarezzato con le mie solamente una volta. Trovo solo il vuoto più grande che abita nel mio petto.

Distolgo allora lo sguardo e lo lascio vagare per la stanza: la mia scrivania ordinata, la finestra che dà sulla strada trafficata al di fuori, la sedia in legno che un tempo usavo per lasciare i vestiti della giornata, gli scaffali pieni di libri e di cd ordinati secondo le lettere dell'alfabeto, lo spiraglio inferiore della porta chiusa... un ricordo finisce per soverchiare improvvisamente ogni altra cosa.

« Chris... quei soldi nella busta, quelli che avevo trovato nell'appartamento... erano i tuoi? »

Non so perché solo ora la mia mente ha effettuato questo collegamento, perché ha impiegato così tanto tempo ad avvicinarsi alla soluzione. Fino alle sue ultime parole, avevo creduto che fossero state le mie amiche, ma forse l'istinto mi sta suggerendo che le cose non sono andate così. Se ripenso alle loro espressioni quando ne avevamo parlato e le avevo ringraziate, ricordo sopra ogni cosa la sorpresa e la confusione: avevano detto di non essere state loro, e io invece avevo creduto fosse stato tutto il frutto di un loro scherzo gentile.

Christian sorride maliziosamente alle mie parole, ma non vedendo reazioni sul mio viso ridimensiona l'inclinazione delle sue labbra. « Se te lo dico, vieni di là in cucina a mangiare qualcosa? »

Scrollo la testa e chiudo cocciutamente gli occhi. « No. »

Il letto si muove e io mi ritrovo premuta contro la parete, mentre il metro e ottanta di Christian si è appena fatto strada sotto le coperte. « Beh, vorrà dire che vivrai con il dubbio che quei trecento euro in pezzi da cinquanta fossero i miei oppure no. »

Dopo un rapido occhiolino, mi lascia lo spazio per accomodarmi sul suo petto, aprendo il braccio per stringermi a sé. Mi metto comoda con la testa sul suo torace, anche se con il cuore vuoto. Quanto avrei dato per essere in un letto con lui, sotto le coperte calde, tenuta stretta dalle sue braccia, sentirmi dire queste cose, solamente qualche giorno fa? Il mio cuore sarebbe andato in fibrillazione e non avrei saputo cancellare il sorriso dalle mie labbra... ma ora, non sta succedendo niente del genere.

Sempre vuoto, sempre silenzio.

Christian mi resta accanto, lo ha fatto per tutto il tempo in questi giorni, persino durante la veglia prima del funerale. Si è dato il cambio con le mie amiche per aiutarmi, per incitarmi a mangiare, per aiutarmi a sbrigare le più impellenti faccende delle quali Silvia, Maia e Timon hanno insistito per occuparsi, nei limiti del possibile. Mi hanno accompagnata in banca, nella speranza di trovare i risparmi di papà; mi hanno aiutata quando ho dovuto richiedere di dilazionare le spese del funerale, nella lettura dello scarno testamento che mi vede come unica erede di quel poco che mio padre era riuscito a conservare... loro erano sempre lì con me, insieme a Christian.

Lui adesso è qui con me... ma, mentre nascondo le mie mani gelide tra i nostri corpi dalla ricerca di calore, io non sono con lui.

Io non sono più qui, resta solo un involucro vuoto e silenzioso.

**************

Spazio Dory:

vi chiedo immensamente scusa, questo capitolo non mi piace nemmeno un po'... sono passati alcuni giorni nella storia e lo so che ci sono diverse cose da spiegare, ma non volevo dilungarmi troppo qui e nel prossimo capirete molte altre cose sul padre di Sara.

Sinceramente, non mi andava di scrivere di tutte le scene da quel mattino fino al funerale... mi sembra già abbastanza triste così senza infierire ulteriormente.

Fatemi sapere cosa ne pensate! Quando lo revisionerò cercherò di scrivere più decentemente... 

A presto!

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