24. Sign of the times
Canzone per il capitolo:
Sign of the times – Harry Styles
...Just stop your crying
It'll be alright
They told me that the end is near
We gotta get away from here...
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Ritrovo un'inaspettata calma in questo particolare momento della mia vita, il che mi sorprende perché, mentre gli istanti passano, mi rendo sempre più cosciente che quelle parole uscite dal telefono sono vere, che non sono dentro a un orribile incubo. Non mi posso svegliare.
Sono ancora in piedi, irrigidita con gli arti mentre tengo stretto il telefono contro il padiglione auricolare, concentrandomi per sentire la voce della donna all'altro capo del telefono e sovrastare la discussione tra Christian, Casper e Rainbow. Vedo solo la mia mano, che ha preso a tremare all'improvviso, appoggiarsi sulla superficie in legno del tavolo per cercare una sicurezza. Forse mi gira un po' la testa, però resto ancora in piedi. Non capisco se il parlare continuo che mi circonda si sia trasformato in brusio, o se sono i miei timpani che rimandano questo lungo e acuto fischio continuamente al mio cervello. Le parole della donna superano quel muro a fatica.
« Signorina? È ancora lì? »
Cerco di deglutire un freddo fiotto di saliva, la consistenza delle mie mani e della testa resa come nebbia impalpabile. Fatico ad articolare le parole. « Co... come è successo? »
La voce femminile sembra a disagio, si schiarisce rumorosamente e aspetta qualche secondo per riprendere. Mi chiedo se sia normale in questo momento pensare a quella donna senza volto, a come debba sentirsi nel dare una notizia del genere a un estraneo; è una ragazza giovane? Forse è la prima volta in cui le capita di farlo... O forse sono solo confusa. Mi sembra di vedere la mia vita come un osservatore esterno, come fossi dietro un sottile muro d'acqua scrosciante che zittisce ogni altro rumore e sensazione.
« È stata la vicina di casa ad avvertire l'ambulanza. Ha raccontato che suo padre era appena uscito sul pianerottolo, stava andando con la signora per fare la solita camminata mattutina prescritta dal medico per il miglioramento della circolazione. Stava chiudendo a chiave la porta dell'appartamento e suo padre si è accasciato a terra. »
Mi copro la bocca istintivamente per reprimere un singhiozzo a quell'immagine. Ora non sono più solo parole... ora mi sembra di vederlo davanti a me. « Sara, che succede? »
Forse è Maia, o forse Silvia che si sta preoccupando... non riesco a capirlo. Lascio il telefono sulla mano di qualcuno di loro e le lacrime irrompono solo in questo momento, in ritardo sulla tabella di marcia, con forza e insistenza. Mi tolgono completamente il respiro mentre cerco di singhiozzare per incamerare quanto più ossigeno possibile. Ora lo vedo, davanti agli occhi: il suo corpo imponente che scivola a terra, sopra quel vecchio e logoro tappetino d'entrata con la scritta Benvenut; la i si è scolorita negli anni fino a scomparire. Riesco quasi a sentire il suo peso crollare a terra, il tonfo sordo del suo corpo che si accascia senza forze... chissà se ha cercato di tenersi con una mano alla parete? Chissà se ha sbattuto la testa?
Qualcuno si occupa della chiamata al telefono al posto mio, forse è Silvia; non capisco più nulla, la confusione è totale, ma mentre sento le ginocchia cedere per la debolezza, sono certa di chi siano le braccia che mi stanno stringendo, la forza che mi tiene sollevata prima che le gambe decidano di abbandonarmi del tutto.
Christian ascolta le parole delle altre mentre mi accompagna sul divano, tenendomi su quasi di peso; mi lascia sedere contro di lui, le mie ginocchia rannicchiate al mio petto e contro al suo.
Lo stringo.
Lo stringo con tutte le misere energie che mi sono rimaste, perché è grande lui, perché è forte... e perché non saprei che cos'altro fare in questo momento se non affidarmi completamente a qualcun altro. Christian mi dice qualcosa all'orecchio, lo sussurra ancora e ancora, forse dice non piangere, andrà tutto bene. Riesco a malapena a sentirlo sopra ai miei singhiozzi che paiono inarrestabili.
Se mi fermassi un attimo a pensare, forse morirei. Se mi fermassi davvero a riflettere su cosa è rimasto della mia vita, direi addio alla mia consapevolezza. Così non lo faccio; non posso, non ci riesco. Così piango, così prendo fiato e poi piango ancora. Vedo solo la stessa scena davanti agli occhi, il corpo possente che si indebolisce fino a cadere; i capelli sale e pepe che un tempo erano stati del mio stesso colore, gli occhi scuri e piccoli, nascosti da un plotone ben allineato di rughe intorno alle palpebre. Non penso al prima, al fatto che una madre sia sparita dalla mia vita quando ancora ero bambina, e non penso al dopo, a che cosa ne sarà di me dopo oggi. Non posso farlo ora... avrò tempo per farlo e dilaniarmi dal dolore e dalla disperazione, ma in questo momento non posso reggere altro.
Una mano femminile mi avvicina un fazzoletto: non è di carta, ma è di stoffa e sopra ci sono disegnati degli animaletti: è Timon. Io lo prendo ma lo appoggio solamente sul viso per asciugarmi un poco, non ho nemmeno le forze per muovere le mani se non per tenerle rannicchiate contro di me.
Con i minuti che passano e il calore del corpo di Christian che mi avvolge, mi rendo lentamente conto che mi sto calmando e il respiro riprende tra gli spasmi involontari degli ultimi singhiozzi. Non piangevo con così tanta forza da quando ero bambina. Mentre rimetto a fuoco la stanza, le persone che mi stanno guardando, la mano grande che continua ad accarezzarmi i capelli, realizzo amaramente che non sta succedendo come nei film, quando tutto scorre rapido ai giorni successivi. L'inquadratura si sposta e poi sfuma, un taglio ben realizzato e incollato con il montaggio e tutti i pensieri e il dolore vengono rimandati a data da destinarsi. A volte appare la scritta Un anno dopo. Mi chiedo se così sarebbe meglio, ma questo implicherebbe il dover pensare a che cosa sarà di me tra un anno intero, allora spengo temporaneamente i pensieri e tengo lo sguardo fisso alla piccola cicatrice che sosta sul dorso della mia mano destra. Otto anni, caduta dal letto mentre ballavo sognando di essere l'erede di Madonna; forse era Vogue, o forse Like a Virgin. Non ricordo. Avevo colpito l'angolo del comodino e mi ero graffiata a fondo. Papà mi aveva disinfettato e aveva messo il cerotto, dopo avermi sgridata perché dovevo smetterla di alzare la musica così tanto e cantare e ballare per casa. Non voleva mai che io cantassi... solo ora penso che non volesse perché gli ricordavo la mamma. Lei cantava sempre per me...
« Sara? »
Niente un anno dopo. Sono ancora qui, solo qualche minuto da quando Silvia ha interrotto la chiamata. « Sara... »
Alzo il viso al secondo richiamo e sento la mano di Maia spostarmi i capelli dal viso. Christian mi tiene ancora contro di lui, Silvia si è inginocchiata ai piedi del divano e Maia le sta accanto, mentre Timon si è seduta sul bracciolo. « Che... » provo a dire, interrotta ancora un paio di volte dagli strascichi del pianto. « Che cosa... hanno detto... al telefono? »
Silvia si schiarisce la voce e guarda Maia. Passa una mano sulle labbra, lo fa spesso quando è a disagio. « Mi hanno detto di tuo padre. Era un'infermiera dell'ospedale... è stata molto gentile e comprensiva, sai? Ha ripetuto le parole dei dottori, ma credo che non potesse dire molto di più al telefono. Ha detto che è stata la sua malattia, che è stata una cosa... beh, insomma, annunciata. »
Aggrotto le sopracciglia mentre la guardo. « Quale... malattia? »
Silvia alza le spalle. Si finge sicura nella parlantina, ma il suo sguardo è del tutto diverso da quello determinato che conosco. « Non lo so... pensavo che tu lo sapessi e che non ce ne avessi mai voluto parlare. »
Scrollo la testa, la vista fissa nel vuoto. « Non lo so... o forse non me lo ricordo adesso. »
Cerco un porto per fermarmi negli occhi delle mie amiche, mentre Christian mi sta ancora accarezzando la testa senza sapere che cosa dire. Non lo vedo negli occhi, è più alto e io ho il viso rivolto dalla parte opposta. Mi chiedo a cosa stia pensando, forse è a disagio, forse vorrebbe andarsene via. Eppure mi tiene stretta ancora, eppure le sue mani mi accarezzano ancora. Resta in silenzio, ma il sostegno del suo silenzio vale tanto. Non avrei mai pensato che un momento della mia vita di questo genere potesse svolgersi così. « Cosa... » inizio a dire, ma devo prima cercare di inumidire la bocca che pare essersi seccata. Forse tutte le lacrime hanno assorbito ogni altro liquido presente nel mio corpo. « Cosa si fa in questi casi? Cosa devo fare adesso? »
Maia ha gli occhi lucidi quando mi prende la mano nella sua con gesto rapido. « Cosa dobbiamo fare, vorrai dire. »
Annuisco, provo a sorriderle per ringraziarla, perché le parole faticano a formarsi sulla mia lingua; al loro posto, escono soltanto altre lacrime dai miei occhi. Si spinge in avanti a mi abbraccia stretta, incurante dell'ostacolo delle braccia di Christian, comportandosi come se lui non esistesse. La sento tirare su con il naso: sta piangendo anche lei.
Quando torna nella sua posizione, guardo Silvia passare rapidamente una mano sul viso; si alza in piedi, annuendo tra sé come se stesse parlando da sola. « Per prima cosa, dobbiamo andare a casa. Ecco, sì. Quindi prendo la mia macchina, ma prima bisogna fare benzina e devo prelevare qualcosa in banca... Dovremmo andare in ospedale e poi organizzare il... beh, tutto quello che c'è da fare. E poi... dovremmo... »
Mi sento spaesata quando la vedo andarsene in camera, borbottando ancora tra sé e sé. « Cosa stai facendo? » domanda Timon.
Silvia torna in fretta in soggiorno con un paio di pantaloni della tuta, infilando una felpa dalla testa ma ancora con una scarpa sì e una no. « Secondo te? Mi vesto, non posso mica guidare in mutande con la maglia del pigiama. »
Si alzano tutte in piedi all'improvviso, come se Silvia avesse dato via alla missione, mentre io sono ancora ferma sul divano. « Cosa... »
Maia si abbassa e mi aiuta ad alzarmi, tenendomi con forza un braccio dietro la schiena per assicurarsi del mio equilibrio. « Guidiamo noi, ti aiutiamo noi. Non devi preoccuparti di niente. »
Solo ora mi sembra di realizzare le loro parole. « Venite... venite con me? A casa mia? »
Maia mi sorride e mi accarezza la guancia. « Certo, pensi che ti lasceremmo sola proprio adesso? »
« E dopo che ti rompiamo le palle ventiquattro ore su ventiquattro? » rincara la dose Silvia. « Che amiche saremmo? »
Scrollo la testa. « Grazie, ragazze. »
« Vado a vestirmi, torno subito », sentenzia improvvisamente Christian schiarendosi la voce.
C'è qualcosa che mi sfugge in tutta questa situazione, ma non riesco proprio a cogliere il nesso in mezzo agli sguardi che Silvia e Timon si scambiano.
« E perché? » chiede istintivamente Maia.
Christian è già dalla porta. « Vengo con voi. »
« Siamo in troppi », ribatte lei. « Non ci stai in macchina. »
Guardo Christian e poi la mia amica. Credevo che Christian sarebbe fuggito via al primo momento disponibile: chi mai vorrebbe trovarsi in una situazione del genere?
« Vuoi venire davvero? » gli chiedo con un filo di voce.
Annuisce determinato, guardandomi dritto negli occhi. « Sì. Può sempre servire una mano in più. »
Silvia si fa avanti per mettersi nella traiettoria dei loro sguardi. « Ok, prenderemo due macchine, la mia e quella di Maia; così non stiamo tutto il viaggio appiccicati. Guidiamo io e lei. Chris, ti aspettiamo di sotto, ok? »
In un battibaleno Christian è fuori della porta, dimentico della questione capelli e di tutto quello che prima mi sembrava così importante. Mi rendo conto di aver passato addirittura delle notti in bianco per pensare al lavoro che non mi soddisfa, all'università nella quale non vedo uno sbocco, al bacio con Christian e alle sue parole... un semplice bacio. Una futilità così piccola in confronto a tutto il resto.
Lo scorrere del tempo prende ora una piega diversa, incomprensibile. Scorre lento mentre aspettiamo che Christian torni di nuovo giù, mentre Timon mi aiuta a cambiarmi i vestiti, mentre scendiamo le scale, mentre arriviamo alle macchine parcheggiate nella strada vicina. Scorre ancora più lento mentre Maia guida sulla strada verso il paese in cui sono nata e il suo ospedale. E nello scorrere lento del tempo, a volte piango, a volte invece smetto; guardo il paesaggio che corre e si infrange sul riflesso dei finestrini dell'auto e penso che sarei dovuta andare prima a trovare mio padre, che non avrei dovuto rimandare mai. Non dovevano esistere la settimana prossima, il prossimo weekend, domani...
Christian è seduto accanto a me, nell'auto che sta guidando Maia, mentre Silvia e Timon sono dietro di noi. Forse mi sta scrutando di nascosto, non lo so.
« Tesoro... », mi chiama Maia con voce dolce, « mi dici la strada per l'ospedale? »
Potrebbe usare il navigatore del telefono, ma forse cerca di tenermi vigile, forse vuole provare a distrarmi, per quanto sia possibile.
Mi sporgo tra i sedili dietro e, mentre parlo con calma, sento la mano di Christian che mi accarezza la schiena. Mi dà conforto, ma ora credo nulla di più. Nessun brivido, nessun calore come accadeva le altre volte... prima mi sarei sciolta, mentre ora non sento nulla.
Sono molto lucida nelle indicazioni, conosco questa cittadina dalla mia nascita, luogo dal quale mia madre era fuggita perché troppo piccolo per lei, troppa insulsa la sua vita con noi.
Quando ci fermiamo infine davanti all'ospedale, mi rendo conto che invece il tempo sembra essersi velocizzato all'improvviso. Io resto ancora qualche istante ferma in macchina, mentre una rivelazione improvvisa arriva a bussare alla mia consapevolezza, come se me ne fossi resa conto solamente ora: non ho più nessuno.
Mio padre non ha... non aveva più parenti: suo fratello è morto diversi anni fa. Non ho nonni, non ho cugini perché quello zio non era sposato. Non ho la mamma... non ho proprio nessuno adesso.
È una strana sensazione, come aver sempre sentito una mano protettiva dietro la schiena, sempre più flebile con la crescita, ma ora provo a guardarmi indietro e non vedo nient'altro che vuoto. La bicicletta non ha più le ruote e non c'è più il mio papà a spingermi nella strada dietro casa. Devo ricordarmi di mantenere l'equilibrio e frenare al momento opportuno...
Strana, strana sensazione.
« Sara? » Christian è tornato a vedere che cosa mi bloccava.
Sbatto ripetutamente le palpebre umide ed esco dall'auto. Sento gli occhi di tutti addosso, come se stessero aspettando qualcosa da me: forse che io crolli da un momento all'altro?
Perché, le cose potrebbero andare ancora peggio di così?
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Spazio Ape:
Capitolo davvero molto allegro, devo dire... e il Stappi crai di Harry mi sembrava più che adeguato.
Oggi, se devo essere sincera, non ho molto da aggiungere... solo che aspetto i vostri commenti e ne approfitto per consigliarvi una storia che, di sicuro, molti di voi conoscono già:
Migliori amici con benefici
di StarsFille
Sapete che io non pubblicizzo quasi mai storie e se lo faccio è perché mi sono piaciute e mi hanno lasciato qualcosa...❤❤❤
A presto!
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