Capitolo 9 - Io esco!
E' da questo pomeriggio che non faccio altro che messaggiare con Riley, nonostante lei sia ancora di turno al bar. Subito dopo essermi buttato in quella che credevo sarebbe diventata la figura di merda più epica della storia – cioè dopo averle chiesto se le andasse di uscire insieme quella sera – ci siamo scambiati i numeri di cellulare, perché, secondo lei, sarebbe stato più facile sentirci per qualunque cosa, e in effetti aveva ragione. Mi chiedo come mai non mi fosse venuto in mente prima.
Le ho appena inviato un messaggio per salutarla, dato che, almeno per me, è già arrivata l'ora di cena, dicendole che ci saremmo visti più tardi e che sarei passato io da casa sua per presentarmi a suo padre, quando noto che lei sta ancora scrivendo.
Da Riley:
Va bene, ti aspetto. Non mi hai ancora detto dove andiamo però! Come mi devo vestire?
Sorrido leggendo quelle parole.
Ci ho messo un po' a trovare un luogo in cui poterla portare, o meglio, dove lei potrebbe portare me, visto che è lei quella tra i due ad avere la patente, ma alla fine ce l'ho fatta.
A Riley:
E' una sorpresa, ma vestiti comoda e assicurati di avere benzina a sufficienza.
Digito velocemente la frase sulla tastiera del display e metto in carica l'aggeggio elettronico, prima di scendere per cenare insieme ai miei genitori.
-
«Tra poco esco!»
La mia esclamazione, sopraggiunta nel bel mezzo di una discussione su quanto il pollo di zia Amelia sia più buono di quello di mamma, frena di colpo le parole dei due adulti seduti di fronte a me.
Entrambi si voltano nella mia direzione, li vedo con la coda dell'occhio perché io, invece, me ne sto bellamente con lo sguardo sul piatto.
Mia madre inizia con un "Oh", mio padre la segue con un "Ah".
Beh, direi che come risposte non sono un granché, ma me le faccio bastare.
Ovviamente quelle due lettere di stupore durano soltanto per qualche secondo, giusto il tempo che gli ci vuole per metabolizzare ciò che il loro unico figlio ha appena sentenziato.
«Bene!»
Guardo mio padre incredulo, ma anche sollevato. La sua faccia è preoccupata, lo capisco dal sorriso che vorrebbe essere sincero ma invece è tirato, tuttavia gli sorrido, contento che sia d'accordo e non abbia obiezioni.
«Vai con Camille?» mi chiede poi, pulendosi le labbra col tovagliolo.
«Con Riley» specifico, affrettandomi a dire che sì, è sempre Camille ma personalmente preferisco il suo secondo nome.
Lui annuisce, dopo di che lascia la parola al capo di casa: mia madre.
«Dove andate?» domanda la donna, la quale, a differenza del marito, è rigida come un manico di scopa.
«Al Cape Fear River» rispondo, pronto a sentire il suo disappunto.
Lei, come volevasi dimostrare, sgrana gli occhi.
«Non ti sembra un po' troppo lontano, Shawn? In più sono già le nove di sera, è buio pesto. E questa ragazza da quanto la conosci? Una, due settimane al massimo. Io non mi fido» dice, portandosi una mano alla bocca per poi accanirsi sull'unghia dell'indice.
Mi alzo in piedi, un po' perché ho finito di cenare e un po' per far valere il mio pensiero.
«Ma io mi fido, ed è questo che conta. Non penserai che me ne stia rinchiuso qui per sempre, o che metta il naso fuori di casa solo quando ci siete anche voi? Sono stanco di vivere sotto una campana di vetro!» sbotto, ma il mio discorso non è ancora terminato. «Sono grande, ho vent'anni e sono solo da tutta la vita. Non puoi privarmi di vivere, adesso che ho trovato qualcuno con cui potermi svagare, solo perché tu hai paura. Sei sempre stata la prima, insieme a papà, a ripetermi che sono un ragazzo normale, proprio come tutti gli altri, e sebbene io ancora non ne sia del tutto convinto, sto cercando di provarci ora, grazie a quella ragazza. Quindi, io stasera esco come farebbe un classico ragazzo della mia età.»
«Shawn! Non parlare così a tua madre!»
La voce del mio vecchio è ricca di rimprovero.
Punto lo sguardo su di lui, poi su Clara. Le sue guance sono rigate di lacrime.
Sento il cuore in gola e l'odio verso me stesso per averla fatta piangere è enorme. Ma questa volta ho ragione io. Devo, e voglio, essere libero.
Mi avvicino a lei e mi abbasso per abbracciarla.
La stringo forte e percepisco i suoi silenziosi singhiozzi.
Fa male, malissimo.
«Clara, tesoro, non fare così. Dobbiamo dargli questa opportunità, Shawn ha ragione. Sebbene sia stato un po' brusco nell'esporti le sue ragioni, è giovane e ha voglia di divertirsi, non possiamo incatenarlo»
Anche l'uomo ora si è avvicinato e sta accarezzando dolcemente i capelli della moglie.
«Io... non voglio tenerti prigioniero, non l'ho mai voluto amore. Ma il Cape Fear River è così lontano da qui, e tu non sei mai andato così lontano da solo. Sono solo preoccupata per te, mi è concesso no?» mormora infine quest'ultima asciugandosi le lacrime alla bene e meglio.
«Lo so, e lo capisco, ma starò attento. E poi Riley è molto prudente in macchina. Mamma, non devi preoccuparti di niente» sussurro, cercando di convincerla.
Lei, seppur titubante, annuisce e, dopo avermi dato due baci sulla fronte, mi lascia andare in camera.
Mentre salgo le scale li sento bisbigliare e sono sicuro che continueranno a parlare di questo fino a che non sarò di nuovo a casa, al sicuro tra queste quattro mura profumate di incenso.
-
Esco di casa alle nove e ventotto, in modo da essere in fondo alla via alle trenta spaccate.
«Tesoro, mi raccomando. A mezzanotte vorrei che tu fossi a casa, per favore» supplica mia madre sulla porta della villetta.
Annuisco e dopo averla salutata con la mano, mi dirigo, saltellando lentamente sulle stampelle, verso la casa della mia accompagnatrice.
Quando arrivo davanti al cancelletto bianco in legno, mi fermo e osservo il campanello.
Alfred e Camille Riley Forster, recita la scritta in biro blu sotto al pulsante da premere.
Deve averlo scritto la ragazza, perché la calligrafia, così tondeggiante e precisa, sembra proprio la sua.
Inspiro l'aria a pieni polmoni e suono.
Aspetto qualche secondo, poi il cancello si apre con un velocissimo "clack".
Sulla porta di ingresso appare un uomo sulla sessantina, con la barba grigia e la pancia rotonda.
Ha le sopracciglia folte, tanto che sembrano due spazzolini da denti, ma danno al suo viso un'espressione simpatica.
«Eccolo qua! Tu devi essere Shawn! Io sono Alfred» esclama gioviale, porgendomi la grossa mano che mi affretto a stringere.
«Sì, molto piacere» mormoro un po' intimidito dalla sua stazza.
«Forza, forza, vieni dentro. Posso offrirti qualcosa? Un bicchier d'acqua, un tè freddo, magari una birra? Ma non troppa eh, è pur sempre mia figlia quella con cui esci stasera!» borbotta.
Ora capisco da chi ha preso Riley la sua parlantina.
Sorrido cordiale e rifiuto gentilmente tutto ciò che mi ha elencato, spiegando che ho appena finito di cenare e che se mangio o bevo qualcos'altro potrei scoppiare.
«Ah ah! Qui il pericolo di scoppiare non c'è. La donna di casa non sa cucinare e io sono a dieta, vedi un po' tu!» esclama, continuando a ridere di gusto.
Buffo è buffo, non c'è che dire.
Rido anche io, mostrandomi il più disinvolto possibile.
«Chi è che non saprebbe cucinare?»
La voce squillante della ragazza arriva, all'improvviso, dalla cima delle scale.
Difatti lei è lì, con una mano sulla ringhiera e l'altra sul fianco.
Guarda prima suo padre, poi me, infine scende le scale di corsa e mi abbraccia con delicatezza.
«Puntuale come un orologio svizzero! Vogliamo andare?»
Ora che è più vicina, riesco ad osservare meglio ogni particolare del suo viso.
Ha le palpebre leggermente colorate di marrone, le guance di un tenue color pesca.
E' poco truccata, ma sinceramente preferisco così.
Per quanto riguarda i vestiti invece, indossa dei jeans neri stretti alla caviglia, una canottiera gialla con un nodo all'altezza dell'ombelico e dei sandali neri, bassi e intrecciati.
Insomma è proprio Riley: bellissima nella sua semplicità.
Mentre sono ancora incantato ad osservarla, lei mi appoggia la mano sul braccio e si dirige alla porta.
Saluto il signor Alfred, che chiude la porta alle nostre spalle, e ci avviamo verso la Suzuki rossa fiammante.
«Okay capitano, qual è la direzione?» mi domanda una volta in macchina.
«Direzione Cape Fear River» dico, pronto a vedere la sua reazione.
Lei sgrana gli occhi.
«Noo, mitico! E' da un secolo che ci voglio andare! Prima di partire però... mettiti la cintura» asserisce, aspettando che io esegua l'ordine.
Fighter Space:
Aloha people!
Sorpresa! Ho aggiornato prima del previsto. Dato che questo capitolo è un po' di passaggio, ho deciso che questa settimana aggiornerò due volte.
Scusate eventuali errori, spero che, anche se non succede nulla di eccezionale, il capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino.
Ci sentiamo prestissimo.
Kia xx
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