Capitolo 6 - Nuova melodia
Sono passati due giorni da quando ho scoperto che Camille abita praticamente a due passi da casa mia, e due giorni da quando lei stessa mi ha dato il suo nome e cognome per cercarla sui social.
Chi l'avrebbe mai detto? Io no di certo, sono troppo pessimista, ma, d'altronde, con la malattia che mi tiene stretto a sé da anni, l'ottimismo, durante le mie giornate, l'ho salutato poche volte.
Ho appena finito di aiutare la mamma a mettere la spesa nel frigorifero, quando salgo in camera mia per dedicarmi un po' alla musica. Ieri non ho praticamente mai suonato per via di due visite di routine all'ospedale, una al mattino e l'altra al pomeriggio. E si sa come finiscono queste cose: ore e ore d'attesa per una visita che in cinque minuti si conclude. Morale della storia: siamo tornati all'ora di pranzo e all'ora di cena, e dopo ero troppo stanco anche solo per appoggiare le dita al piano.
Ma oggi è diverso. Forse per via del sole di metà settembre, ma mi sento energico e, stranamente, positivo.
Salgo i gradini con attenzione e, una volta tra le pareti del mio rifugio, mi siedo sullo sgabello di fronte al Forster lucido. Sfoglio lo spartito, avanti e indietro, ma non trovo una melodia che mi soddisfi a pieno suonare. Così chiudo gli occhi, inspiro, la mia gabbia toracica si solleva lentamente, poi rilascio l'aria dal naso mentre con i polpastrelli accarezzo i tasti bianchi.
E una melodia che parte dalla mia testa arriva dritta alle corde del pianoforte.
Mi viene tutto così naturale che quasi quasi stento a crederci anche io. Il suono è dolce, soave, ma anche allegro. Sento le palpebre, ancora abbassate, muoversi appena a ritmo di musica e, a poco a poco, sento il cuore martellarmi più forte nel petto.
E' la prima volta in vita mia che do vita a una melodia, un suono mio e solo mio, ed è una sensazione fantastica.
Le mie dita si muovono sinuose, sempre più veloci sulla tastiera, ma il motivo è sempre di una dolcezza che mi stupisce.
Come ho fatto a generare tutto questo, si chiede il mio cuore, mentre nella mia mente, all'improvviso, si materializza una figura sfocata.
Una donna, una ragazza, dai capelli corvini e la pelle mulatta. Gli occhi sono più scuri del fondale marino.
Quando mi accorgo che le note accompagnano la figura di Camille nella mia testa, mi fermo di colpo per lo stupore.
Riapro gli occhi di scatto e realizzo: la mia prima melodia l'ho composta pensando a lei, una semi sconosciuta.
Ma ora che ho smesso di suonare, mi ricorderò tutto da capo? O avrò perduto per sempre ciò che in pochi minuti ho prodotto?
Nel panico più totale, ricomincio a suonare e, quando mi accorgo che il suono emesso non è lo stesso di poco prima, le lacrime iniziano a manifestarsi.
«No, ti prego, ti prego.»
Disperato, e con la rabbia di chi ha perso la cosa più preziosa, cerco di riprodurre quel suono fino a farmi male. Suono per minuti interi, e, ogni qualvolta una nota mi sembra di averla già sentita, la appunto sul fondo dello spartito, dove c'è uno spazio bianco, con solo le righe, senza note.
Alla fine, quando ormai sono passate quelle che sembrano ore, la melodia torna.
E' lei. La ricordo alla perfezione ora.
Sembra il canto di un pettirosso in una mattina d'inverno, e, nonostante la neve e il freddo siano ancora lontani, credo che questa definizione sia semplicemente perfetta.
Mi alzo, e solo adesso mi accorgo delle guance bagnate, ma stavolta sono lacrime di pura gioia ed enorme soddisfazione.
Sorridente, vado alla scrivania per prendere una penna. Voglio scrivere il titolo della composizione prima di dimenticarmene.
Il caso vuole, però, che l'occhio mi cada di fianco al computer.
Da sotto al tappetino del mouse sbuca un post-it giallo. Lo afferro e leggo il nome intero di Camille.
«Camille Riley Foster»
Foster, quasi simile alla marca del mio pianoforte. Curioso.
Mi soffermo sul suo secondo nome. Riley. Mi piace, forse più di Camille. E' particolare, raro, ricercato. Le si addice. Camille invece è un nome che accosterei a una persona più timida, più riservata, non a una peperina come lei.
Non che sia un brutto, eh!
Completamente dimentico di ciò che dovevo fare, mi siedo davanti al pc, e apro Facebook.
Digito le tre parole sul motore di ricerca e la prima foto che mi appare è proprio la sua.
E' seduta su un prato verde, dall'erba cortissima, e il suo sguardo non è diretto alla fotocamera; è leggermente spostato a destra, come intento ad osservare qualcosa di sconosciuto sullo sfondo davanti a lei.
Apro il suo profilo e mi faccio quelli che comunemente chiamano "cazzi suoi". Scopro che ama gli animali, che ha fatto volontariato in un canile e alla biblioteca comunale. Sfoglio le foto e noto che è quasi sempre sola o con la cugina, Christine, che ha il suo stesso cognome.
Scorrendo verso il basso però, vedo un'immagine. Probabilmente è uno scatto rubato, perché la sua posizione e il suo sorriso sono troppo naturali. Sta ridendo di gusto, si capisce dalla bocca spalancata e i suoi occhi sono fissi sul ragazzo biondo accanto a lei. Il brillantino al dente risplende nel buio per via delle luci fioche e, osservando meglio, sembra stia indossando un abito elegante, ma non lo so con certezza perché la foto è un primo piano.
Con un gesto repentino, chiudo la foto e apro la casella dei messaggi.
Sento il bisogno di scriverle qualcosa, ma cosa?
"Ciao, sono Shawn, quello del centro nonché tuo vicino di casa". No, così sembro un vero sfigato. Cancello.
"Hey! Alla fine ti ho trovata!". No, no, no. Certo che l'ho trovata, avevo nome e cognome. Idiota! Cancello.
Poi eccolo, la frase mi viene di getto e le mie dita la compongono, proprio come poco prima al piano.
"Ho scritto una melodia al pianoforte pensando a te.
Ps: Riley è un bel nome"
Invio.
Solo dopo aver inviato mi accorgo di essere stato troppo diretto.
Cosa mi è saltato in mente? Dirle della melodia, quanto sono patetico? Cosa penserà di me adesso? Che ci sto provando con lei, ovvio. Ma è così? Lei mi piace? No, certo che no, cioè è molto carina ma è troppo presto per saperlo, no?
Sto avvampando come una femminuccia, devo darmi un contegno. Cazzo, sono un uomo.
Cerco di darmi una calmata bevendo un sorso d'acqua dalla bottiglietta che tengo sempre di scorta sulla scrivania, ma quando noto che Camille ha visualizzato, per poco non mi strozzo.
Ardo.
Sta scrivendo.
Infiammo.
"Shawn! Mi chiedevo quando mi avresti scritto.
Grazie, mio padre mi chiama Riley da sempre.
Suoni il pianoforte? Che bello!
Magari un giorno potresti insegnarmi, così potrei comporre anche io una melodia pensando a te."
Deve essere per forza un sogno.
Eh sì, perché nella realtà mi avrebbe di sicuro preso per il culo.
Mi do un pizzicotto alla guancia ma fa male, quindi no che non è un sogno.
Avvicino gli occhi allo schermo, ancora incredulo.
«Mi chiedevo quando mi avresti scritto. Magari un giorno potresti insegnarmi, così potrei comporre anche io una melodia pensando a te» sussurro a me stesso.
Inconsapevolmente, mi mordo il labbro e sorrido.
Mi piacerebbe molto insegnarti a suonare il piano, Riley.
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