Capitolo 29 - Come faccio a non credere a quel viso?
Ci sediamo ad un tavolo, quello più interno, lontano dalle vetrate, quasi nascosti dal bancone.
Lo ha scelto Riley e credo sia perché, qui dietro, c'è più intimità. Un luogo adeguato per poter... parlare.
Subito il cameriere si avvicina a noi, e dopo aver scritto su un foglio i nostri due cappuccini, se ne va.
Una volta rimasti soli, alzo lo sguardo verso di lei.
Ha già le iridi scure fisse nelle mie, e, cazzo, vorrei poterle dire che è bellissima. Tra l'altro, sotto il cappotto pesante, indossa un vestitino abbastanza scollato, e mi viene davvero difficile tenere gli occhi fissi sul suo viso.
«Non posso farti le mie scuse Shawn, perché io non ho nessuna colpa di quello che è successo» esordisce ed io arriccio il naso.
«Non sono del tutto d'accordo» dico soltanto, un po' stizzito per le sue parole appena pronunciate.
«Perché? Davvero credi solo a quello che hai visto e non a me?» domanda e nel farlo si sporge più avanti, la sua mano che per poco non tocca la mia.
Scuoto la testa. «Non è questo Riley, è che tu hai chiamato quel ragazzo a casa tua, il ragazzo di cui eri innamorata fino a poco tempo fa»
«E' passato un anno, e poi io adesso amo te, non lui, perché non lo capisci?» obietta calcando sulle ultime quattro parole.
«Perché forse, negli ultimi giorni, non me lo hai dimostrato abbastanza!» esclamo probabilmente con tono un po' troppo crudo, dato che lei spalanca gli occhi e torna con il dorso appoggiato allo schienale della poltroncina su cui è seduta.
Lentamente scuote il viso e riduce gli occhi a due linee strette.
«Io non te l'ho dimostrato, Shawn? Ti ho chiamato non so quante volte e lasciato non so quanti messaggi, cazzo, e tu non hai mai, mai, risposto. Nemmeno una volta. Tu non mi hai dato la possibilità di dimostrarti nulla col tuo comportamento immaturo!» sbotta lei, facendo voltare verso di noi alcuni clienti.
La conversazione non sta andando come speravo, e suppongo nemmeno come sperava lei.
Doveva essere una chiacchierata per chiarirci, invece sta diventando una litigata come quella a casa mia.
Quindi, siccome non voglio beccarmi un altro schiaffo in pieno viso, mi abbasso e faccio per prendere la stampella, quando sento la sua mano sulla mia.
A quel tocco mi irrigidisco, ma subito mi rilasso. Mi sono mancate le sue mani su di me.
Inspiro ed espiro velocemente e allo stesso tempo chiudo gli occhi, giusto il tempo di rendermi conto che la sua stretta tra le mie dita è reale, e non solo il frutto della mia fantasia.
«Resta, ti prego» sussurra, e il mio cuore si scioglie.
Mi rimetto seduto composto e la ascolto.
«Ti dirò tutto quello che è successo quel giorno, non tralascerò nulla, ma tu Shawn devi promettermi che mi crederai. Sono sempre stata sincera con te, sempre» dice, e io annuisco, facendole intendere che può proseguire.
«Il giorno prima del funerale, quando Jordan si è presentato davanti a casa mia, mi ha detto espressamente che sarebbe stata una cerimonia privata, con pochi intimi, per questo non ti ho chiesto di accompagnarmi, anche se avrei voluto averti al mio fianco, davvero.»
Mentre parla, le nostre mani sono ancora unite e, con gesti lenti, mi accarezza il dorso col pollice smaltato di nero.
Sorrido interiormente e continuo ad ascoltarla.
«Quando poi, dopo la funzione, ti ho chiamato e ti ho sentito felice e allegro a casa di tua cugina, mi sono arrabbiata. Io ero appena uscita da una chiesa piena di persone che piangevano la morte di una ragazza di soli ventuno anni e tu... così ho deciso che se non potevo stare in tua compagnia, sarei stata con Jordan, che era distrutto per la morte della sorella. Abbiamo parlato, riguardato vecchie foto e basta, quando era quasi sera l'ho riaccompagnato al cancello, e lì...» fa una pausa in cui abbassa il viso, poi continua. «...lì mi ha baciata e tu eri alla finestra proprio in quel momento. Ma se fossi rimasto un secondo di più, avresti visto che io l'ho scansato e sono subito corsa da te.»
Una lacrima, ora, le sta rigando la gota rossastra.
E' così bella e delicata, che mi ricorda Biancaneve.
Allungo una mano e col pollice le asciugo l'acqua salata che le cola dal viso. Riley accenna un sorriso, ma subito torna triste, o meglio, inespressiva.
«Mi credi?» chiede, la voce le trema, forse per timore di una mia risposta negativa.
Come faccio a non credere a quel viso? A quegli occhi?
Sono stato un coglione a non fidarmi subito, a farmi mille pare. Avrei evitato di passare due giorni di inferno.
«Ti credo» rispondo, e il sorriso che le compare sul viso è così grande da contagiare anche me.
Subito si alza, per poco non fa cadere la sedia all'indietro, viene da me e mi butta le braccia al collo. Mi stringe forte come se fosse stata rinchiusa per troppo tempo dentro una bolla di plastica gigante e io fossi aria fresca e sana.
Il suo profumo mi inebria le narici, mi fa serrare le palpebre, ma il tempo di godermi quell'abbraccio non dura, perché Riley preme le labbra sulle mie talmente tante volte che non faccio nemmeno in tempo a ricambiare come si deve.
«Adesso fermati un secondo e fatti baciare bene» mormoro tra un bacio e l'altro.
La mora fa come le ho ordinato, si sistema meglio sulle mie ginocchia e mi guarda, in attesa.
Le sposto una ciocca ribelle di capelli dalla fronte a dietro l'orecchio, e mi avvicino alla sua bocca di rosa. La vedo serrare le ciglia e, quando la sfioro, la imito.
Assaporo le sue labbra come se fosse la prima volta che la bacio, come se fosse qualcosa di nuovo. Lei ricambia, lentamente, con sensualità, e mi fa impazzire.
Continuiamo così per quelli che sembrano interminabili minuti, incuranti del fatto che più o meno mezzo bar ci stia guardando, dopo di che lei si stacca, mi sorride e si risiede al suo posto.
«Speravo proprio che mi credessi sai?» dice, prima di iniziare a cercare qualcosa all'interno della borsetta.
Poco dopo ne estrae una busta, una semplice busta bianca, come quelle della posta.
«Mancano due giorni a Natale, ma... tieni, questo è il mio regalo» e così parlando mi allunga l'oggetto bianco e sottile sotto il mio sguardo stupito.
«Grazie, ma... io non ti ho ancora preso nulla» affermo un po' imbarazzato.
Chi lo sapeva che avremmo fatto pace così in fretta? Solo lei evidentemente.
«Ti dispiace se lo apro la mattina del 25? In famiglia abbiamo sempre fatto così e mi piacerebbe rispettare la tradizione»
«Non c'è problema» risponde, poi si alza e, dopo avermi dato un bacio, mi spiega che deve tornare a casa ma che, se voglio, io posso restare qui per cercare il suo regalo.
Ridiamo assieme, poi la osservo mentre va a pagare il suo cappuccino ed uscire più allegra che mai.
Fighter Space:
Per farmi perdonare dal mega ritardo dell'altra volta, ho deciso di pubblicare velocemente.
Vi dico solo che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, o meglio, il penultimo, dato che ci sarà un epilogo. Quindi, in conclusione, tra due capitoli questa storia finirà.
Altra cosa, non meno importante: ho un grande dubbio su cosa scrivere nel finale, quindi non cantate vittoria, non si sa mai. Questa frase è un po' vaga, me ne rendo conto, ma è voluto.
Alla prossima,
Kia xx
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