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Capitolo 28 - Ricomincio da me

Shawn

Non riesco a levarmela dalla testa, quella immagine. E' più forte di me.

In ogni momento della giornata mi compare davanti agli occhi come a dirmi che sono tornato quello che ero fino a quattro mesi fa: una nullità.

Un ragazzo disabile che, a causa della sua assurda malattia, viene allontanato da tutti, anche dalla ragazza che ama e che credeva diversa.

Sono trascorsi due giorni, ma non riesco a farmi passare l'incazzatura, anzi, quando mi sembra di essere un po' più rilassato, ecco che mi arriva un sms da Riley che non fa altro che aumentarmi nuovamente il nervoso.

Le sue parole, che dapprima mi pregano di crederle, poi, a una mia "non risposta", diventano furenti, mi fanno venire la nausea.

Sono confuso, deluso, e anche se so che dovrei fidarmi di lei, perché lei è buona, gentile, premurosa e non avrebbe mai fatto una cosa del genere, una parte di me mi suggerisce di essere diffidente. Quella parte che sa tutta la storia, che sa che lei era innamorata di un altro prima di me.

Ed è per questo che faccio fatica a fidarmi, perché forse, con quel bacio che a suo dire ha rifiutato, in fin dei conti ha provato qualcosa. Ma solo lei può saperlo davvero.

Mentre questi pensieri mi frullano per la trilionesima volta nel cervello, il mio sguardo è fisso e inespressivo davanti al televisore. Mi riscuoto solo quando sento il cellulare vibrare sul tavolino di vetro sul quale ho disteso le gambe.

Convinto che sia ancora Riley non guardo nemmeno il display, ma almeno mi riscuoto dallo stato vegetativo in cui mi trovo da non so quanti minuti. Spengo la TV e sospiro.

A forza di starmene seduto mi è venuto il sedere quadrato.

«Devo fare qualcosa» do voce ai miei pensieri e mi alzo, afferro la mia stampella e, dopo aver preso il portafoglio e le chiavi dal mobile accanto alla porta di ingresso, esco di casa.

-

L'aria all'esterno è gelida, si percepisce proprio l'arrivo delle festività natalizie.

Nella casa di fronte alla mia, i vicini hanno già decorato gli alberi del giardino e la porta di ingresso con luci e ghirlande.

Mi è sempre piaciuto il Natale. Svegliarsi la mattina col profumo di biscotti e l'entusiasmo di aprire tutti i regali insieme ai propri famigliari.

E quest'anno lo aspettavo più di qualsiasi altra cosa, prima che...

«No Shawn, adesso basta!» ordino a me stesso. Non voglio rovinare questa mia passeggiata solitaria per le strade di Wilmington. Quindi, avvolta al meglio la sciarpa attorno al collo e calato bene il cappellino di lana sulle orecchie, esco dal vialetto e mi dirigo su Cherry Avenue, la mia via. Però anziché svoltare a sinistra verso la fermata dell'autobus, giro a destra. Non ho intenzione di passare davanti alla villetta di Riley, col rischio che lei o suo padre siano in giardino e mi vedano.

Farò un po' di strada a piedi, almeno fino alla prossima fermata.

Non è per niente facile camminare sorretto da una stampella; il fiato ti viene a mancare dopo cinque minuti, almeno per me.

Ma devo resistere ancora 200 metri.

Una volta arrivato sotto la pensilina, mi siedo sulla panchina fortunatamente libera. Mi maledico per non aver preso dietro una bottiglietta d'acqua, che avrei potuto mettere nel tascone del cappotto, per dissetarmi dato che sto per morire di stanchezza.

Non faccio in tempo a riprendermi un attimo che il grande mezzo arancione mi compare davanti... pieno imballato.

«Ma porca miseria» brontolo tra me e me, prima di salire i tre gradini che mi separano dal caos e dalla puzza di sudore.

Mi appoggio, non senza fatica, al vetro e con la mano libera mi reggo ad uno dei tanti "tubi" metallici, onde evitare di finire disteso per terra ogni volta che l'autista curva o frena.

 Quando scendo dal mezzo, il sole è quasi del tutto tramontato. D'istinto guardo il cellulare per scoprirne l'ora: le 17.36, forse dovrei avvertire i miei genitori che sono uscito. Poi ci ripenso e mi dico che farò in modo di essere di nuovo a casa prima del loro ritorno. Giusto quell'oretta di svago per svuotarmi la testa dalle mie troppe paturnie.

Rimetto in tasca il cellulare e muovo i piedi verso le strade illuminate a festa, per poi entrare in un grande magazzino.

Proprio di fronte all'ingresso un enorme e altissimo abete svetta in tutta la sua magnificenza. Mi perdo ad osservare i suoi colori, le sue decorazioni e le sue luci per un po', e in quel lasso di tempo ritorno indietro nel tempo, a quando, da bambino, rimanevo col nasino all'insù a fissare gli aeroplani, gli uccellini o qualsiasi altra cosa desti stupore a un bimbo piccolo.

Quando decido che è il momento di teletrasportarmi nuovamente nei miei vent'anni, mi dirigo verso l'entrata di un negozio di abbigliamento esclusivamente maschile.

La commessa, una ragazza sulla trentina dai lunghi capelli neri e gli occhi chiari messi in risalto da un trucco un po' troppo marcato, mi si avvicina subito sorridente. Sembra un sorriso sincero e non di cortesia verso la mia condizione.

«Ciao, se posso esserti utile chiedi pure» mi dice, ed io la ringrazio per poi iniziare a dare un'occhiata in giro.

I miei occhi scrutano gli scaffali a destra e sinistra senza trovare nulla che li soddisfi, fino a quando si posano su un maglioncino color petrolio con piccole renne stampate solamente sul collo, e nell'orlo in basso.

Mi piace e sto quasi per prenderlo tra le mani ma poi... ritraggo il palmo.

Che me ne faccio di un maglione nuovo se il giorno di Natale starò con i miei e con loro soltanto?

Sarebbe dovuta essere una festa bellissima, con Riley e suo padre a casa nostra fino a tarda sera, e invece... tutto saltato.

Sbuffo con irritazione e, senza pensarci due volte, decido che il mio svago per oggi è finito.

Esco dal negozio senza nemmeno salutare la donna, e nella fretta di uscire da quel posto immenso e a causa del via vai che nel frattempo si è creato, urto qualcuno che finisce a gambe all'aria sul pavimento.

Sto per scusarmi ed abbassarmi quel tanto che basta per aiutare la persona in questione a rialzarsi, ma appena incrocio quel viso rimango di sasso.

Riley è proprio davanti a me.

Rimango a fissarla più del dovuto, come se mi fosse appena apparsa davanti la Madonna, poi scrollo la testa e mi rimetto in piedi, pronto ad andarmene.

«Shawn, aspetta!» sento la sua voce chiamarmi ma mi costringo a non voltarmi indietro. Non voglio fermarmi a parlare con lei. Non ora.

Vado avanti per la mia strada ma la mora mi afferra per un braccio e mi costringe ad arrestare i miei passi.

La guardo negli occhi per un millesimo di secondo, poi mi volto per non dover sostenere ancora a lungo il suo sguardo e rimango in silenzio.

«Dammi almeno la possibilità di spiegarti come sono andate le cose» sussurra, e sentire la sua voce dolce mi fa male, mi trafigge il cuore.

Non replico, e allora prende nuovamente lei la parola.

«Se dopo che avrò finito non vorrai più vedermi, va bene, se è davvero quello che vuoi uscirò dalla tua vita... per sempre»

Per sempre.

Quanto dura un per sempre?

Non lo so, ma quelle due parole, in questo contesto almeno, mi spaventano a morte.

Voglio davvero che lei esca per sempre dalla mia vita?

Con coraggio, volto il viso dalla sua parte e la osservo.

D'improvviso non vedo più le sue labbra su quelle di Jordan, ma sulle mie.

«Parla» mormoro.

«Non qui. Vieni, entriamo in quel bar» risponde lei, e mi ritrovo a seguirla. 

Fighter Space:
Con un mese e passa di ritardo, sono tornata. E il bello è che non ho nessuna scusa da rifilarvi, sono solo una persona orribile.
Il capitolo è un po' così, un po' corto, un po' di passaggio, un po' meh.
Spero vi piaccia lo stesso.
Kia xx

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