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Capitolo 22 - Chi non muore si rivede

Due mesi più tardi...

Io e Shawn stavamo bene.

Lui aveva ripreso a camminare, lentamente s'intende, sempre con l'aiuto delle stampelle; avevamo trovato lavoro in un negozio di oggetti per la casa - lui alla cassa, io come commessa - circa una settimana prima e, cosa più importante, eravamo ufficialmente una coppia davanti agli occhi dei nostri genitori.

In sostanza, non ci mancava nulla.

Avevamo un'occupazione, avevamo la nostra compagnia e quella delle nostre famiglie.

Le giornate scorrevano tranquille, con la medesima routine: mattina e pomeriggio al negozio, la sera tutta per noi.

Eppure quel giorno... sentivo che sarebbe successo qualcosa dal momento in cui una farfallina bianca ha fatto il suo ingresso dalla finestra del magazzino.

Ricordo che mia madre diceva sempre: le farfalle sono simbolo di novità. Se ne vedi una svolazzarti attorno, significa che in breve tempo succederà qualcosa, bella o brutta non è dato sapere.

Avevo sempre preso quella sua affermazione come cosa di poco conto, in fondo erano solo le parole di una mamma dette alla sua bambina per farla sorridere.

Almeno così avevo creduto ogni volta.

Ma quel giorno mi sentivo strana.

In un primo momento avevo dato la colpa della mia agitazione - sì, ero irrequieta, stressata - all'arrivo imminente del Natale, festa che non avevo mai particolarmente amato, specialmente dopo il divorzio dei miei genitori.

Poi, però, ho pensato che quell'anno sarebbe stato diverso. Avevo un ragazzo, un vero ragazzo, e avrei passato ogni singolo giorno di vacanza con lui, quindi non c'era motivo di essere preoccupati o agitati.

«Che hai?» lo sento chiedere alle mie spalle in un momento in cui, strano ma vero, all'interno del market non c'è nessuno. Di solito, a quell'ora del giorno, il locale si riempie di vecchine intente a cercare qualcosa per la loro cucina: un nuovo mestolo, un migliore set di pentole, o addirittura qualche soprammobile da regalare alle loro nipotine.

Faccio spallucce, mentre, con un strofinaccio umido tra le mani, continuo a lustrare la vetrina che dà sulla strada principale di Wilmington.

«Sputa il rospo Riley... lo vedo che hai qualcosa che non va. Non dici una parola da troppo tempo e sappiamo entrambi che non è da te» continua il moro.
La sua affermazione mi fa sorridere ma, dato che gli do le spalle, non può vedere le mie labbra incurvarsi all'insù.

Tuttavia lo conosco molto bene, e so che, se non gli do una risposta esaustiva nel giro di pochi secondi, continuerà a tartassarmi finché non si sarà ritenuto soddisfatto.

Sospiro, alzando e abbassando il petto, e mi volto verso di lui per poi raggiungerlo dietro la sua postazione.

Mi siedo sulla seggiola lì accanto e gli racconto della farfalla che ho visto, della storia che mi raccontava mia madre.

Quando finisco di parlare sono convinta sia sul punto di scoppiarmi a ridere in faccia per le assurdità che la mia bocca ha appena rilasciato, ma non lo fa.

Rimane serio, mi guarda, poi mi appoggia una mano sulla spalla e si sporge verso di me per lasciarmi un bacio sulla guancia.

«Magari tua mamma ha ragione, chi lo sa? Può darsi che da qui a poco arrivi una marea di gente e che i soldi in cassa questa sera saranno il triplo di quelli di ieri» mormora, cercando di tirarmi su il morale.

Sorrido divertita e lui mi abbraccia.

Poi, con le labbra troppo vicine al mio orecchio, mi sussurra: «stasera andiamo al cinema a vedere quel film che ti ispira tanto, okay?»

E non posso non volargli al collo e riempirlo di baci, giusto in tempo prima che il campanello sulla porta si metta a suonare, segno che un nuovo cliente ha appena fatto il suo ingresso.

-

L'orario di chiusura arriva come una manna dal cielo.

Shawn non ci aveva visto poi così male nel dire che quel giorno avremmo avuto molti clienti. Con le feste alle porte, molte persone hanno pensato che, quell'anno, come regalo di Natale, qualcosa per la casa potesse essere una buona idea.

Dopo aver attivato l'allarme, chiuso la porta a chiave con tre mandate e aver abbassato la saracinesca, mi volto verso il ragazzo appoggiato al cofano della mia vecchia Suzuki.

«Credo di dover mettere via un po' di soldi per comprarmi una nuova auto» esclamo adagiandomi al suo petto e lasciandogli un bacio a stampo, prima di abbracciarlo.

Lui sorride sulle mie labbra e mi dà ragione: la "fiammante", come l'ha soprannominata, è ora che faccia un salto dal rottamaio e non ritorni più a casa.

«Quindi cinema?» chiedo una volta che entrambi siamo saliti in auto e abbiamo allacciato le cinture di sicurezza.

«Sì, che ne dici di mangiare fuori una volta che il film è finito? Poi magari puoi restare a dormire da me, o io da te»

L'ultima frase è pronunciata con una leggera malizia. Leggera, perché Shawn non è mai spinto o volgare, nonostante sia un uomo, e proprio per questo a volte mi chiedo se sia davvero umano.
Con questo non voglio dire che preferirei che mi dicesse in faccia quando ha certe voglie; preferisco che me lo comunichi in modo velato, sfiorandomi, sussurrandomi.

«Sì» dico infine, «per entrambe le cose»

Arrivati davanti all'insegna al neon illuminata di blu, cerco parcheggio e, una volta scesi dalla macchina, ci dirigiamo a braccetto verso l'entrata.

Alla biglietteria è seduto un ragazzino che avrà si e no sedici anni: capelli biondo cenere, probabilmente unti dello stesso olio con cui si friggono le patatine, occhi chiari e sguardo tutt'altro che sveglio.

«Due biglietti per "Wonder Park" per favore» dico cortesemente al ragazzo.

Lui, dopo aver sentito il titolo del film, alza gli occhi, dapprima intenti a guardare lo schermo del computer, verso di me. Mi osserva per un lungo momento.

«Forse ti confondi, Wonder Park è un cartone animato» precisa questi, come se io non lo sapessi.

Sento il sangue ribollirmi nelle vene, non solo per avermi dato della confusa, ma anche per il suo atteggiamento.

Chi è lui per impedirmi di vedere un film d'animazione? Non dovrebbe essere lì per fare i biglietti e incassare il denaro dei clienti? Bene, allora che lo faccia, dannazione!

Shawn, rimasto qualche metro più indietro, si accorge, non so come, della mia irritazione e mi affianca, domandando se è tutto a posto.

«Sì amore, tutto bene, stavo spiegando al ragazzo che non c'è nessun cartello che vieti ai maggiorenni di andare a vedere un cartone. O c'è? Perché in tal caso, 1) non l'ho visto, 2) lo butterei a terra senza nemmeno pensarci» rispondo a denti stretti per evitare di mangiare la faccia a quello sbarbatello da quattro soldi.

Il giovane dietro il vetro sgrana gli occhi e, con la coda tra le gambe, si affretta a cliccare qualcosa col mouse.
Poi, di punto in bianco, si ferma e prende ad osservare Shawn, soffermandosi un po' troppo a lungo sulle due stampelle che lo sorreggono.

«Ehm, gradite dei posti nelle prime file, visto che...insomma...»

Sto per spaccare il vetro, ormai manca davvero tanto così perché il mio pugno si riempia di sangue.

«Visto che, cosa? Ha solo due cazzo di stampelle, non è handicappato, quindi vedi di...»

Per sua fortuna, vengo interrotta dalla voce calda e tranquilla del ragazzo affianco a me.

«Riley, amore, calmati» mi prega, prima di rivolgersi all'indisponente pappone della biglietteria. «Vanno bene anche due posti in alto, grazie» dice infine, ed io mi meraviglio di come riesca sempre ad essere gentile anche con chi non lo merita.

-

Durante il film, comico fino al midollo, ci facciamo entrambi grasse risate intervallate da qualche effusione affettuosa.

Per un'ora e mezza la sua mano non ha mai lasciato la mia e la mia testa non si è mai allontanata dalla sua spalla.

Vorrei che il resto della mia vita fosse così: io e lui davanti ad uno schermo gigante a ridere a crepapelle. Sarebbe meraviglioso.

«Che dici? Andiamo a mangiare qualcosa?» mi chiede poi, a film finito, mentre stiamo uscendo dalla sala di proiezione.

Guardo l'orologio, sono già le dieci.

«E' un po' tardi, non pensi? Andiamo a casa mia e ci mangiamo lì qualche schifezza?» propongo. Lui annuisce e si ferma per lasciarmi passare.

Durante il tragitto in auto dal cinema alla mia abitazione, non penso ad altro che alla nottata che mi aspetta. Mi immagino i nostri corpi nudi e un sorriso imbarazzato mi pervade il viso, anche se la sensazione di disagio di quella mattina non mi è ancora passata del tutto.

Ed è quando arriviamo davanti al mio vialetto che capisco che, davvero, mia madre aveva ragione.

Seduto sul muretto di fianco al cancello c'è l'ultima persona che avrei mai pensato di rivedere.

«Chi è quello?» domanda subito Shawn notando l'individuo.

Io deglutisco e arresto la macchina.

Il ragazzo in strada si alza, probabilmente deve aver riconosciuto la macchina, e aspetta che io faccia qualcosa.

«Lo conosci?» continua il moro imperterrito.

Annuisco.

«Sì, quello è Jordan, il mio ex migliore amico»




Fighter Space:
Ta da da daaaaan!! 😂
Che ci farà mai questo Jordan davanti a casa di Riley?
Lo scoprirete nel prossimo capitolo, forse.
E... Sì, la mia idea sulla storia a cui vi avevo accennato nel capitolo precedente, riguarda lui.
Vi do il permesso di prendere i fucili.
Adios
❤️

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