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Capitolo 10 - Cape Fear River

Il viaggio non dura più di una mezz'oretta.

Durante il tragitto, facciamo un po' di conversazione, e fortunatamente non mi sento più così agitato come quella mattina. Anzi, sono piuttosto tranquillo, a mio agio, nonostante sia seduto accanto ad una ragazza che profuma di miele e menta, fragranze per me afrodisiache.

Mi chiede se ho davvero vent'anni – l'ha letto su Facebook – e, dopo la mia risposta affermativa, mi comunica che pensava ne avessi almeno venticinque. Le dico che non sembro così vecchio e lei ride scherzosamente, anche perché tra i due la più grande ora è lei.

Abbiamo un anno di differenza, ma la cosa le sta più che bene.

«Tutti i ragazzi tra i ventidue e i ventisei anni che ho conosciuto, si sono rivelati dei veri coglioni, quindi meglio così» mi confessa, e non so quanto questa frase mi piaccia.

Subito nella mia mente parte un film, con lei protagonista, circondata da ragazzi adulti, con la barba, muscolosi che la stringono al petto, la toccano e...

«E tu?»

Io? Io cosa?

Bravo idiota, non hai capito la domanda.

«Scusa, mi è sembrato di vedere un coniglio in mezzo a quel campo e non ho capito cosa mi hai chiesto. Puoi ripetere?»

Sembro un ritardato.

Eh sì, per forza.

Scuoto la testa impercettibilmente, dandomi sempre più del coglione.

Riley sorride e ripete ciò che ha domandato poco prima.

«Ti ho solo chiesto se è la prima volta che vieni qui»

Annuisco e solo ora mi accorgo che stiamo imboccando il viale che condurrà al parcheggio.

Siamo arrivati.

-

Percorriamo il viale pedonale uno di fianco all'altra. Entrambi ci guardiamo in giro affascinati e curiosi, mentre la musica di un dj che non conosco mi arriva ai timpani un po' troppo alta.

Il Cape Fear River è, in sostanza, una sorta di ritrovo per giovani dai quindici ai trentacinque anni, per lo meno nelle sere d'estate. Con un dj diverso ogni sera, due bar a tema tropicale, e una pista da ballo, è una sorta di discoteca all'aperto, sulla sponda del fiume.

La mia intenzione non era proprio quella di portare Riley in discoteca, ma, da alcune foto che ho visto sui social, so che, poco più avanti di dove ci troviamo noi ora – cioè in mezzo alla folla, che fortunatamente vedendomi con le stampelle mi gira al largo – c'è una specie di radura più intima, con tanto di lettini e ombrelloni.

Arrivati all'altezza di uno dei bar, mi volto verso la ragazza per chiederle se vuole ordinare qualcosa da bere, ma scuote la testa, dicendo che, magari, più tardi prenderà una coca cola.

«Ti va se ci spostiamo più avanti?» chiedo, ma il volume troppo alto della musica questa volta le impedisce di capirmi al volo.

Quindi si avvicina a me guardandomi negli occhi, poi quando il cuore ormai sembra pronto a tuffarsi da un trampolino di sei metri, si volta, ed io mi ritrovo a fissare il suo orecchio con al lobo un anellino argentato.

Ripeto la domanda e lei annuisce con energia. Quindi mi prende sottobraccio e riprendiamo a camminare.

Passo dopo passo, con la coda dell'occhio non posso fare a meno di osservarla. Le sue iridi vivaci perlustrano la natura circostante e le sue labbra, perennemente rivolte verso l'alto, fanno sorridere anche me.

«Sediamoci laggiù!» esclama, indicando con l'indice uno dei lettini in legno posti a qualche metro dalla riva del fiume.

«Sì, mi sembra un'ottima idea» rispondo e, di punto in bianco, la vedo iniziare a correre verso la meta.

Solo quando si siede, capisco che lo ha fatto perché due ragazze erano dirette proprio lì. In poche parole, ha fregato loro il posto per far sì che potessimo sederci noi due.

La guardo da lontano, mentre col mio passo da bradipo avanzo verso di lei.

Si sdraia, e nel farlo la canotta che indossa si solleva, lasciandole scoperta un buon lembo di pelle.

Il suo ombelico sfoggia un piercing a cui fino ad ora non avevo fatto caso: ha la pallina superiore argentata e quella sottostante ha una pietruzza blu incastonata all'interno.

Mi piace, le dà un tocco sexy a cui faccio fatica a resistere.

Una volta arrivato, con la speranza di non essere color peperone per ciò che stava frullando nella mia testa, mi siedo e, una volta appoggiate le stampelle sull'erba, mi distendo accanto a lei.

I nostri corpi ora sono attaccati. Il mio fianco sinistro tocca completamente il suo fianco destro e, se solo provassi a girarmi verso di lei, probabilmente sfiorerei la sua guancia col naso.

Improvvisamente sento caldo, a discapito dell'arietta che invece si è levata da poco.

«Non hai freddo?» domando, la voce mi esce roca per l'imbarazzo.

«Un po' sì in effetti. Non ho pensato di prendermi dietro una giacca» risponde, iniziando a sfregarsi le mani sulle braccia per riscaldarsi.

Da vero gentleman, e siccome io, invece, la giacca l'ho presa, mi metto seduto e me la tolgo per poi adagiarla su di lei.

«Grazie, ma così non hai freddo tu adesso?»

E' bello che si preoccupi per me.

Faccio spallucce e, anche se probabilmente sentirò la brezza serale avvolgermi da lì a poco, le dico che posso resistere.

Rimaniamo distesi e in silenzio per quelli che sembrano minuti interminabili.

Sopra di noi il cielo è ricoperto di luminose stelle sparse qua e là nel nulla cosmico.

«Mi piace qui» sussurra di colpo.

Il vociare delle persone è un brusio lontano, solo le onde del fiume ci fanno da cornice.

«Sì, anche a me. E' un bel posto» mormoro, mentre le mie mani incrociate sul petto iniziano a tamburellare a caso.

«No, intendevo... mi piace qui, con te»

Sapete quando, nei film, la ragazza più bella della scuola rivolge la parola allo sfigato di turno, e lui diventa di mille colori, dal rosso al viola e viceversa? E poi, l'audio si concentra sui battiti del cuore di quel poveretto e non si sente nient'altro che quel rumore?

Bene, io in questo momento sono tale e quale.

La salivazione è azzerata, il cuore mi esplode e il freddo è improvvisamente sparito per lasciar spazio ad un forno.

Dovrei rispondere qualcosa ma non riesco a formulare nessuna frase che possa aver senso, perciò mi volto piano verso di lei, consapevole che, quando avrò compiuto un giro di novanta gradi, mi ritroverò faccia a faccia con la sua guancia, o nel peggiore – o migliore – dei casi, con le sue labbra.

Nel lasso di tempo in cui io mi giro, lei mi imita.

I suoi occhi neri sono ora puntati nei miei, le sue labbra a due millimetri dalle mie.

Sento il suo respiro caldo sulla pelle e la cosa mi agita, mi emoziona, fin troppo.

Sento i pantaloni diventare più stretti ed è una sensazione che non credevo sarebbe arrivata così presto.

Non che non sappia cosa succede, sono un ragazzo e, visto che la materia prima mi è sempre mancata, ho trovato altri modi per soddisfare le mie pulsioni. Come qualsiasi altro adolescente, d'altronde.

Ma questa cosa, così, all'improvviso, con Riley di fronte...

Basta. E' inutile indugiare oltre.

Schiudo di poco le labbra e mi avvicino a lei piano, ma mentre sto per chiudere gli occhi in modo tale da assaporare meglio il momento, una folata d'aria mi sferza la faccia.

I suoi occhi non sono più davanti ai miei, le sue labbra non sono più davanti alle mie.

Si è alzata col busto e ora se ne sta seduta, lo sguardo fisso verso l'acqua.

Ha la schiena incurvata in avanti, le braccia che circondano le ginocchia.

Non ho il coraggio di alzarmi e mettermi nella sua posizione perché, al momento, non posso che sentirmi per l'ennesima volta una nullità.

Non so nemmeno cosa dire, se scusarmi, se fare finta che non sia successo nulla, come infatti è stato.

«Ti va di fare un altro giro? Magari verso il bar, così mi prendo quella coca cola?»

Ed ecco che la sua voce è di nuovo rivolta a me, squillante e solare come sempre.

Annuisco silenzioso e afferro le stampelle da terra per poi mettermi in piedi.

Lei mi affianca fulminea e riprendiamo a camminare.

«Oggi al bar è venuta una tizia... sembrava Crudelia Demon, sai?» mi spiega, seria. «Aveva una pelliccia bianca, e ti giuro avrei voluto rovesciarle il caffè che aveva ordinato addosso» borbotta.

Il fatto che mi parli della sua giornata è un buon segno, significa che non si è offesa, né arrabbiata per il mio tentativo di baciarla; tuttavia i criceti nella mia testa non possono fare a meno di chiedersi perché si sia spostata.

Forse perché ancora non mi conosce bene? O perché non le piaccio in quel senso? O magari... no, non può essere. Ma se lo fosse?

«Shawn, Shawn siamo arrivati»

Sento la sua mano sulla mia all'improvviso.

La guardo senza capire e lei mi indica il bar alla mia destra.

Giusto. La coca cola.

«Hai ragione, scusami ero...distratto» mormoro, ruotando poi il busto e dirigendomi verso il bancone flebilmente illuminato.

«Due coca cola, grazie» ordino, quindi appoggio le stampelle alla superficie in legno per estrarre il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans.

«No lascia stare, faccio io» esclama Riley alle mie spalle, superandomi e porgendo al barista due verdi banconote.

La guardo stranito e, appena il suo sguardo è di nuovo su di me, le dico: «in teoria dovrebbe essere il ragazzo ad offrire da bere alla ragazza. O sbaglio?»

«Diciamo che a me le cose ordinarie non piacciono» risponde con il suo bellissimo sorriso e un'alzata di spalle.

Scuoto la testa perché per l'ennesima volta è riuscita a stupirmi, poi afferro il mio bicchiere e insieme ci allontaniamo dalla massa.

-

Il viaggio di ritorno, lo passiamo ad ascoltare le canzoni che passano alla radio.

Alcune non le conosco, altre sì e non posso fare a meno di canticchiarle nella mia testa.

«E così suoni il piano, eh?» mi chiede all'improvviso mentre imbocchiamo una stradina di campagna alquanto buia e desolata.

«Sì, da quando ho undici anni» rispondo, gongolandomi un po' perché è una passione di cui vado molto fiero.

«Vorrei sentire la melodia che hai scritto. Come si chiama?» continua, sempre tenendo gli occhi fissi sull'asfalto davanti a sé.

Per qualche secondo, risento addosso la sensazione che ho provato nel comporla. Un vuoto d'aria mi pervade fino a trasformarsi in adrenalina. Faccio un respiro profondo senza farmi notare e le rispondo.

«Canto di pettirosso in una mattina d'inverno» asserisco, poi aggiungo, senza nemmeno rendermene conto: «tu mi ricordi un pettirosso. I tuoi capelli scuri sono il suo dorso, le tue guance rosate sono il suo ventre, il suo saltellare, la tua felicità e... il suo cinguettio, la tua voce»

Troppo mieloso? Decisamente.

Imbarazzato dalle mie stesse affermazioni, mi volto a guardare fuori dal finestrino. Peccato che non si veda un accidente.

«E' una cosa molto carina, mi piace. Tu invece mi ricordi... mmm, fammi pensare. Sì, un panda!» esclama, e mi chiedo cosa, di me, l'abbia spinta a pensare proprio a quell'animale.

«Sembri un ragazzo molto dolce, ma anche forte. E il panda secondo me è un po' così: con quel musetto tenero, ma se gli girano i coglioni...»

Mi piace la sua spiegazione. E mi piacciono i panda.

Sorrido con approvazione e alzo di poco il volume della musica.

Stanno trasmettendo Smell Like Thin Spirit dei Nirvana, quindi non si può tenere basso.

«Vedi, come ho appena detto: sei un po' di musica classica ma anche un po' di rock. Dolce e cazzuto, ho ragione?»

«Pare di sì» mi affretto a dire, mentre lei ha iniziato a canticchiare il ritornello.

Mi unisco a lei e faccio tamburellare le mani sulle gambe a mò di batteria, fino a quando entrambi non scoppiamo a ridere divertiti.

Il resto del tempo lo passiamo così, tra una canzone e l'altra, fino a quando, giunti nella strada di casa, arriva il momento dei saluti.

Estraggo dal portafoglio qualche dollaro, quanto basta per pagarle la benzina e glieli porgo.

Lei rifiuta, ma io insisto, e alla fine accetta.

«Non voglio che pensi che esco con te perché mi fai pena. O che ti ho pagato la coca cola, prima, solo per agevolarti. Io non sono così. Se hai le stampelle non me ne frega niente» sbotta di colpo.

Passo qualche istante ad osservare il suo viso.

Non capisco se è arrabbiata o no.

«Non lo penso, Riley. Non l'ho mai fatto» mi affretto a sussurrare.

La mora sorride e, come se avesse ritrovato l'euforia, esclama: «quando mi insegni a suonare il pianoforte?»

Fighter Space:

Ok. È un capitolo lunghissimo, ma a me piaciuto tantissimo scriverlo, spero a voi piaccia quanto a me.
Shawn e Riley (o Camille, come preferite) si stanno conoscendo meglio, ma ahimè fare mosse azzardate non è sempre un bene.
Poor Shawny :(

#daishawnchecelafai.

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