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~Capitolo 7~

Kevin credette di aver avuto un'allucinazione acustica. Davvero quella pazza scappava dall'altro lato del mondo, lo costringeva a seguirla fin lì ed aveva anche il coraggio di chiedergli un accordo? Certo, come no...

«Cosa ti fa credere di essere nella posizione di chiedere un accordo?» le sussurrò freddo. Era stanco dei giochetti di quella donna, non si fidava per niente di lei ed era sicuro che se avesse abbassato la guardia lei se la sarebbe data a gambe e non poteva permetterlo.

«Il fatto che, se non mi ascolti, mi metterò a gridare e ti farò arrestare per molestie» gli disse, facendo comparire sul bel viso un sorrisino serafico che lo mandò in bestia.

«Ti ricordi di essere in un locale con la musica ad alto volume e persone talmente ubriache o fatte da non ricordarsi nemmeno come si chiamano, vero?» come minaccia non era stata niente male, doveva ammetterlo, la ragazza aveva un po' di cervello ma lo usava male.

«Sì che me lo ricordo, infatti il buttafuori ci sta fissando esattamente da quando mi hai sbattuta contro il muro e se nota anche solo un mio tentativo di aiuto... be', sai come andrà a finire.»

Kevin guardò con la coda dell'occhio l'enorme bestione accanto all'uscita. Effettivamente l'uomo lo stava fissando con sospetto e questo non andava bene, se Sophie avesse provato a liberarsi sul serio o a gridare di sicuro si sarebbe ritrovato con le manette ai polsi e lei libera di sparire per sempre; quasi quasi l'idea non gli dispiaceva...

«E va bene, ti ascolto» disse a denti stretti. Orgoglioso com'era non gli piaceva perdere in nessun caso, e quella principessa viziata aveva appena guadagnato un punto.

La vide sorridere soddisfatta, ma durò poco e divenne nuovamente seria. «Ti chiedo soltanto un altro paio di giorni da passare qui. Sono sempre stata chiusa in quel palazzo, le mie azioni, le mie parole e addirittura i miei vestiti sono sempre stati decisi e controllati da altre persone e prima di dire addio alla mia completa libertà vorrei fare le cose che non ho mai fatto prima. Vorrei vivere per la prima volta, sbagliare, fare stupidaggini o anche solo ubriacarmi come una deficiente nella stanza di un motel. Quindi ti prego, dammi solo un altro paio di giorni.»

Kevin si ammutolì, non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno se credere al tono disperato della sua voce o no. Certo, immaginare lui costretto da altri a dire cose che non pensava o a fare cose che non voleva era un incubo ad occhi aperti, ma poteva anche essere solo una trovata per impietosirlo. Eppure, non si scappava da un mondo fatto di titoli altisonanti e gioielli se non si è davvero stufi, o incinta di un bastardo.

«Non sei incinta, vero?» si ritrovò a chiederle come un cretino.

Lei lo guardo dapprima sorpresa e poi indignata. «No! Certo che no! Come ti è saltato in mente una cosa del genere?»

Esatto, come gli era saltato in mente una cosa del genere? Non lo sapeva nemmeno lui e in ogni caso non sarebbero stati affari suoi, lui doveva solo riportarla sana e salva a casa, anche se fosse stata in stato interessante se il padre non fosse stato lui non avrebbe avuto nulla a che vedere con quella storia.

«Ti prego, Kevin, ti chiedo solo qualche giorno» lo supplicò, e sentirla pronunciare il suo nome ebbe uno strano effetto su di lui. Aveva come un senso di deja vu, come se avesse già vissuto quella situazione e sentito quella voce. Il che era impossibile visto che conosceva quella donna da meno di ventiquattro ore.

«E va bene» acconsentì, dandosi dell'idiota subito dopo. «Ma solo se vieni a stare da me in questi ultimi giorni di libertà, non mi va l'idea di rincorrerti nuovamente per tutto il mondo. Quindi prendere o lasciare principessa.»

Vide comparire sul suo viso una smorfia di disappunto e credette stesse per rifiutare ma, come sempre ormai, lei lo sorprese.

«Va bene, accetto.»

«Allora andiamo, ho sonno» le prese il gomito con poca grazia e la trascinò fuori sotto gli occhi vigili del buttafuori, che non si staccarono da lui fino a quando la porta che si chiuse gli impedì la vista su di loro. Lei tentò di protestare e gli disse qualcosa sulla sua amica rimasta nel locale, una cosa che a lui non interessava affatto. La sua amica era in grado di tornare a casa anche senza di lei.

Sophie tentava disperatamente di stare al suo passo, notò anche che zoppicava leggermente e si chiese come potesse ugualmente avere un passo così veloce. Lei non riusciva più a sopportare quei trampoli che le aveva prestato Jane... Jane!

«La mia amica si preoccuperà se non mi vedrà tornare a casa» gli disse, tentando di fargli avere una qualche reazione che non fosse la collera o il menefreghismo, ma lui come al solito non si scompose.

Era così strano vederlo in quel modo, nei suoi ricordi vedeva un giovane spensierato e sempre sorridente mentre l'uomo che aveva davanti sembrava aver vissuto cose orribili.

È stato un soldato, si ricordò. Probabilmente aveva vissuto esperienze tutt'altro che piacevoli e quasi si dispiacque per lui. Quasi... perché il ricordo di ciò che le aveva fatto al liceo spazzò via tutta la pena provata.

Chi semina vento raccoglie tempesta, pensò ma non poté fare a meno di sentirsi in colpa per quei pensieri.

«Potrai chiamare la tua amica una volta a casa, non credo si rivolgerà all'FBI o all'unità vittime speciali comunque» rispose ironico.

Era davvero odioso, come aveva potuto avere una cotta per lui al liceo? Doveva essere impazzita a quei tempi, sicuramente gli ormoni impazziti e la sua fase di ribellione adolescenziale avevano contribuito.

«Santo cielo, mia nonna cammina più veloce di te ed ha novant'anni!» sbottò all'improvviso lui, voltandosi verso di lei con espressione esasperata.

«Be', scusami tanto ma ho le scarpe più piccole di un numero e alte quanto dei trampoli da circo che mi rendono difficile restare al tuo passo da big foot» avrebbe tanto voluto piantargli uno dei tacchi nella gamba martoriata e vederlo arrancare dolorante.

Grugnendo come un animale selvaggio, si avvicinò a lei e la prese tra le braccia, facendole sfuggire un gridolino sorpreso.

«Potevi avvisare prima!» presa da un moto di collera, gli pianto un pugno sul petto ma il colpo sembrò far male più a lei che a lui.

«Se non stai buona ti carico in spalla e lascerò vedere a tutti le mutandine che porti sotto questo straccio che osi chiamare abito» la minaccia le fece scorrere un brivido freddo lungo la schiena.

«Non oseresti» sussurrò.

«Mettimi alla prova, principessa» la minacciò lui con gli occhi che gli brillavano di divertimento. Be' almeno lui trovava tutto quello divertente, bastardo uomo delle caverne!

Dovette mordersi la lingua per evitare di insultarlo, di solito per lei non era affatto difficile trattenere una parola di troppo ma con quell'uomo ogni diga del suo autocontrollo cedeva.

Restò in silenzio tra le sue braccia per un tempo che le parve interminabile, soprattutto perché il calore del suo corpo le stava dando un riparo dalla fredda brezza notturna ed essergli grata per averle risparmiato un raffreddore la faceva imbestialire.

Dopo aver svoltato in vari quartieri orribili, la sua camminata si arrestò dinanzi ad una piccola casa bianca con un portico davanti ed un microscopico giardino, quell'abitazione sfigurava in confronto alle ville che aveva accanto. Sembrava più adatta ai quartieri che avevano superato poco prima...
Lui la mise finalmente giù e lei trasse un respiro di sollievo. Kevin aprì la porta di casa e le fece segno di entrare per prima.

Un vero gentiluomo...

Il salotto della casa era semplice, arredato in modo essenziale e senza nessun tocco personale, come se dovesse traslocare da un giorno all'altro; una porta scorrevole in vetro separava quella stanza dalla cucina e alla sua sinistra c'erano altre due porte che sicuramente portavano in camera da letto e in bagno.

«Benvenuta nella mia reggia» la prese in giro. «So che non è lussuosa quanto il tuo sfarzoso palazzo, ma dovrai abituarti. La prima porta alla tua sinistra dà al bagno mentre la seconda alla camera da letto, se vuoi farti una doccia prima di andare a dormire sentiti libera di farlo. Io dormirò qui sul divano.»

Sophie annuì guardandosi in giro, effettivamente sentiva di voler fare una doccia dopo essere stata in quel posto orribile e puzzolente.

«Allora andrò a fare una doccia...» lui si lasciò cadere sul divano e con una mano le fece capire che poteva fare come le pareva. Se non si fosse trattato di lui avrebbe anche rifiutato il letto, ma di certo un uomo dalla mente contorta come Kevin avrebbe pensato che fosse tutta scena.

Be' peggio per lui. Entrò in bagno e controllò se ci fosse un accappatoio o un asciugamano che avrebbe potuto usare per coprirsi. Trovò un accappatoio appeso proprio dietro alla porta, si chiese se fosse suo, ed era ovvio che lo fosse, e si sentì arrossire immaginando il corpo di lui avvolto dentro quel telo di spugna che tra poco avrebbe avvolto lei...

Basta! Ma che ti prende stasera?, si rimproverò. Fai la doccia, fila in camera e vai a dormire prima di commettere atti impuri!

* * *

- ANGOLINO DI EVELYN -

Holaaaaa!!!

Come va questa domenica? Vi state divertendo? Be', spero di sì u_u.

Ormai le cose tra Kevin e Sophie si fanno... scottanti. Lui si ricorderà di lei? Chissà, di certo non tratta troppo bene la nostra povera protagonista, ma noi lo perdoniamo perché è Kevin(?).
Cosa succederà nei prossimi capitoli? Eh, se lo sapessi... non ve lo direi comunque perché sono bastarda, quindi. Di certo Sophie deve inventarsi qualcosa, a meno che non intenda davvero tornare a casa dopo un paio di giorni di libertà condizionata.

Be', per saperlo dovrei scrivere, no? Infatti è proprio quello che andrò a fare quindi bye!

Alla prossima,

Lyn!

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