3.Sospiri nel vuoto
Juno era in viaggio da pochi giorni. Ad ogni missione sentiva un nuovo incubo farsi strada dentro lui; eppure non era agitato.
Un vecchio un giorno gli aveva detto che per quelli come lui la paura era il primo passo verso la follia, che non doveva temerla, anzi, doveva familiarizzare con essa, considerarla una compagna. Una compagnia sempre costante.
Così ad ogni lavoretto impiegava un po' del suo tempo a liberare la mente. Adesso pensava al presente. Mai al passato.
Il mantello ondeggiava leggero, a destra e manca, non c'era un filo di vento; eppure chiudendo gli occhi si sentivano i grandi alberi di quercia parlare, e i canti delle fate bianche echeggiare tra le fronde.
Le fate bianche: moscerini invisibili che nessuno aveva mai visto, ma che nelle giornate primaverili le si poteva sentire cantare, con quelle vocine stridule.
Per Juno quegli esserini erano insignificanti, anche se dentro di se sapeva che per il suo popolo rappresentavano la natura, erano i discendenti degli stessi dei.
Juno aveva smesso di pregare per un Dio quando la guerra aveva divorato la sua famiglia. Adesso, a causa della guerra, era diventato ciò che era.
L'amore, l'aveva abbandonato da tempo.
La paura, era sua compagna di viaggio.
La tristezza, dispersa in terre ignote.
La felicità, ancora poteva conquistarla. Appena avrebbe avuto il suo danaro, finalmente con Tobias sarebbero potuti andare lontano. Lontano dalla guerra, dal dolore e da tutte quelle patetiche vendette personali, che malgrado tutto gli avevano permesso di non morire di fame.
Il ragazzo si tastò la coscia, tanto per essere sicuro di avere con se la sua lama. Un pugnale d'argento a toppio taglio, finemente levigato. Impugnandolo pareva di accarezzare un drago, mentre l'elsa aveva la forma di una rosa affilata e terminante con un ago avvelenato.
Con quel pugnale, e quelle mani, era in grado di sconfiggere un armata di luridi umani; eppure per sicurezza, portava con se sempre l'arco del nonno, non l'aveva mai utilizzato. Forse lo teneva per non dimenticarsi chi era stato un tempo:un normalissimo bambino, o magari solo per orgoglio.
Il sole stava per tramontare. L'aria adesso era più pura, finalmente le tenebre avrebbero ricoperto tutto il camminamento.
Decise di fermarsi per la notte qualche ora dopo il sorgere della luna. Juno trovò una vecchia capanna mezza distrutta dalle fiamme.
Era nascosta dalla vegetazione che aveva divorato tutti i ricordi e il calore di quella famiglia che vi abitava.
Prima di entrare a riposarsi, tolse il mantello. Osservò la zona, e si diresse nel retro dell'abitazione. La vegetazione era meno fitta.
Prese un fascio d'erba secca e la mise dietro il collo, evitando il contatto con l'erba fresca.
Si distese e iniziò a contare le stelle.
"Una, due, tre.."
Era diventato un rito per lui. Il giorno non mostrava mai il suo volto, quindi la sera quando nessuno lo guardava, lo temeva o semplicemente lo evitava, lui osservava le stelle, la luna; e in quei sedici anni di vita, conosceva tutte le costellazioni.
Contò svariati astri e pensò a lungo su cosa le rendesse così luminose e così belle, il popolo elfico credeva che le stelle fossero tutti i cuori dei guerrieri sparsi nel corpo di Nubhe un demone. Colui che aveva ucciso l'esercito dei Vishi, i puri, coloro che avevano passato la loro vita facendo del bene.
Juno preferiva fantasticare. Sospirò profondamente, decise di andare a riposare qualche ora.
L'interno della casa era intatto, seppure la mobilia era in soqquadro. C'era una sola stanza: il letto non era altro che paglia ricoperta da un lenzuolo macchiato di sangue. Il ragazzo tolse la casacca e l'arco. Lasciò il pugnale alla cintola.
Stava per assopirsi quando dei finissimi rumori di fogliame calpestato lo fecero scattare in piedi.
Indossò il mantello e ispezionò dentro e fuori l'abitazione.
Nessuno.
Forse erano i soliti scherzi della natura.
Racimolò dei rametti secchi e asciutti, li gettò al centro della camera e accese un fuoco.
Si sedette vicino le fiamme e le osservò.
Quel movimento irregolare, il bruciare del carbone, del legno. Di tanto in tanto una scintilla schizzava fuori dalla sua "orbita" e finiva nel petto di Juno. Il dolore era sopportabile.
Aveva sempre temuto il fuoco, era forse il suo unico punto debole, il nemico che da sempre aveva provato a sconfiggere. Aveva capito però che le paure non si possono sconfiggere, solamente sfruttarle e così era stato con il fuoco.
Prese un chiodo da un asse crollato, lo rigirò nelle fiamme.
Fuori adesso il vento soffiava forte, come accadeva spesso nella regione di Anemos.
Sfiorò con l'indice il petto, una lunga cicatrice divideva il busto in due parti quasi identiche. La sfiorò più volte, i ricordi volevano spezzare i muri di quella stanza dove erano stati gettati.
Juno non poteva permetterselo. Serrò i pugni e con movimenti veloci prese il chiodo e inferì nuovamente nella ferita.
La pelle chiara del petto iniziò a colorarsi di rosso, e una goccia di sangue scivolò fino a sporcare i pantaloni.
Il dolore era insopportabile. Aveva aspettato tanto che la ferita si cicatrizzasse in fretta.
Per anni aveva temuto il fuoco, e adesso ogni volta che esso gli portava alla mente il passato lui rinnovava il suo dolore. Dimenticando così ciò che era accaduto.
Dopo quando il dolore fu meno aggressivo, e la ferita pulsava solamente si assopì.
Un'ombra si mosse tra l'erba alta.
Entrò nella capanna con passo felpato. Indossava un mantello molto più lungo di quello di Juno.
Il fuoco era spento, e il corpo in terra sembrava in un sonno profondo.
Si avvicinò al ragazzo.
Il suo corpo non produceva alcun suono, tranne che i suoi sospiri lasciati nel vuoto e nel buio di quella stanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro