27.2 • Erdelia: essere una
"I will not say: do not weep;
for not all tears are an evil."
Song: Silver spoon - Erin Lecount
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A Erdelia a volte capitava di perdersi nel marasma delle Energie degli avvenimenti e, fuori dal controllo della sua volontà, ritrovarsi sbalzata anni prima rispetto al momento che stata vivendo. Quando si riconnetteva con il presente, poi, lo stato di confusione in cui si ritrovava era irrimediabile.
Il combattimento si era concluso lasciando a tutti l'amaro in bocca, lo capiva dalle onde magnetiche che le arrivavano dai visi contriti nel suo circondario. I corpi degli exousies morti erano allineati davanti alla sala del trono e l'unica cosa che il sovrano fu in grado di dire la fece diventare rossa in volto, le orecchie brucianti.
Lei vedeva corpi incendiati, sentiva odore di carne bruciata e i teli bianchi posti sopra ai cadaveri, da cui fuoriusciva qualche paio di scarpe o mani, erano inutili nel trattenere quell'orrore; erano messi in quel modo astuto per provare ad alleviare una sofferenza che erano obbligati a vivere.
«E' stata la Tessitrice, è colpa di uno di voi animali exousies», tuonò il Silente puntando il dito raggrinzito - troppo per la sua età - contro il petto di Alastair che, per tutta risposta, si spinse ancora più addosso all'uomo. La divisa di cuoio del professore avvolse la falange del vecchio, sabbie mobili che catturavano una stupida antilope che aveva tentato di attraversale.
Vivienne, il sangue dal taglio al labbro che scorreva lento come il tempo, lo afferrò per il braccio, puntando gli occhi gelidi contro il sovrano di Kiross.
Gli exousies a breve sarebbero sfumati in mille colori, volando verso il cielo come stelle cadenti, ma questo non significava che importassero di meno. La morte non era tangibile per il suo popolo, ma era comunque reale, più di quanto non lo sarebbe mai stata per gli abitanti di Kiross. Come aveva visto svanire il corpo di Gael, i suoi pezzi salire verso i rami del primo albero della foresta Bianca.
Pace, che cosa stupida. Questi prendono, prendono, non serve a nulla dargli il potere. Per loro saremo sempre animali e bestie da macello. Qualcosa da temere.
Invidia, solo questo.
Ariadne fece un passo avanti rispetto al suo gruppo, ora ricongiunto anche con la bionda,tenendo le mani conserte strette al corpo, come uno scudo ammaccato e inutile.
"Mettile in avanti, ragazzina, così non ti sono utili a niente."
Le prime luci cominciavano a spuntare per reclamare le anime perse quella notte; erano solo le cinque di mattina e già il cielo si stava tingendo di rosa corallo allungando i suoi anemoni attraverso le finestre.
«Ari», la richiamò Nathan, ma lei non si voltò nemmeno, non diede segno di esitazione.
"Dannazione." Aveva sbagliato, pensò tornando contro il muro, ma sperò che nessuno notasse un errore che sarebbe potuto esserle fatale.
«Le difese sono state manomesse», comunicò la ragazza traballando, «i muri a Elettro sono stati spenti, prima dell'attacco.»
Le pupille le vibravano, continuavano ad alternarsi fra uno stato di miosi e midriasi incontrollato, facendo girare la testa pure a lei.
Era chiaro a Erdelia dove volesse andare a parare la ragazzina, ma era un affronto fin troppo diretto perché qualcuno lo accettasse come plausibile e le prestasse attenzione.
Pensò a quello che Ariadne aveva visto mentre scappavano, cercò di mettersi nel corpo della exousies: i vetri non sfarfallavano per l'elettricità, non vi era nessuna energia in quelle stanze e quindi l'odore di bruciato poteva voler dire soltanto una cosa.
Ariadne, nella fuga, non vi aveva dato peso, ma ora... aveva tutto senso e non poteva arginare un avvenimento simile. Non poteva prevedere che cosa avrebbe causato proferire quelle parole; forse l'allontanamento del popolo delle Dee dal territorio Silente, ma d'altronde quello era già stato scritto nel momento in cui lei era stata catalogata come artefice del massacro senza ascoltare testimoni alcuni.
Quelle creature si erano ritirate da sole o qualcuno - lei, per quello che tutti credevano - le aveva richiamate a sé?
Dammi un motivo per non ucciderli qui e ora, per non staccargli la testa dal collo con un fulmine secco.
«Ariadne, cosa stai dicendo?» le domandò Vivienne accostandola a sé con fare materno; la ragazza le rimase accanto senza sfiorarla ma sembrò grata di quell'ala protettrice.
«Le difese alle finestre e alle porte non funzionavano correttamente», continuò puntando lo sguardo sul re Silente. Fu in quel momento che Erdelia si accorse della luminanza che proveniva da sotto i guanti della exousies: quello che pareva un sottile anello splendeva oltre l'organza scura. Che fosse...
«Chi stai accusando, ragazzina?» tuonò il sovrano ergendosi in piedi davanti al trono dorato. I pantaloni beige erano macchiati di nero cenere e, ora che non vi erano le due donne della sua famiglia a fiancheggiarlo, sembrava così piccolo, così sovrastabile.
Dammi un motivo per non ucciderli qui e ora. Perché non dovrei mettere fine a questo affronto verso il mio popolo.
La morte ormai era la sua compagna più fidata, il luogo dove la sua mente vagava quando non si sentiva più in connubio con sé stessa e doveva richiamarsi in qualche modo alla realtà. Le braccia le formicolavano, le dita gelavano come il sangue che faticava ad arrivarle al cervello. Da quando aveva perso la sua famiglia, rimanere nel proprio corpo era sempre più difficile e, a volte, non ci provava nemmeno.
«Non accuso nessuno», riferì Ariadne senza batter ciglio, «sto solo riferendo quello che ho visto. Questi sono i miei ordini.» Raddrizzò le spalle e allungò il collo verso il soffitto mosaicato.
«I miei ordini, invece, sono di allontanamento immediato nei confronti degli Exousies dell'Elettro. Vi impedisco di mettere piede nel regno di Kiross», ordinò sedendosi nuovamente sul trono, spostando la spada intrappolata nel fodero alla sua destra, «fino a che la situazione non sarà risolta.» Quel metallo era sicuramente inutilizzato, se avesse provato non avrebbe rintracciato nessuna traccia magnetica su di essa. Che spreco.
Un brusio di voci esplose nella sala, rimbalzando tra le finestre in frantumi e i lampadari di cristallo albino, preso e plasmato da quel popolo che volevano allontanare.
Che imbarazzo.
«Ariadne!» urlò il padre della ragazza appena piombò nella stanza, scortando due Silenti ricoperti in viso da sangue rappreso: pareva li avesse curati e adesso fosse intento a portarli in un luogo tranquillo perché il riposo curasse anche le ferite mentali.
«Papà», corse lei per buttarglisi addosso e trascinarlo a terra in un abbraccio, un miscuglio di arti e lacrime.
Erdelia si spense, quella cosa non desiderava vederla.
Si spense.
Perse il contatto con ciò che la teneva in quella stanza fino a che non sentì quell'amore svanire sullo sfondo, capendo che padre e figlia erano stati allontanati.
«Il decreto avrà azione da ora, quindi vi consiglio di allontanarvi», ribadì il sovrano Silente mentre Zelia, la figlia, intuì, stava entrando da una delle porte scardinate con a seguito una Guaritrice dalla chioma rossa. Sangue, sangue.
Non fece in tempo a dire nulla, ma i suoi pensieri le fuoriuscirono dagli occhi e andarono a schiantarsi contro Ariadne, che si toccò il dito con l'anello dietro la schiena. Alla ragazza si bloccò il respiro per qualche istante e lei pregò che si ricordasse come incamerare ed espellere aria.
Fosse stata lì avrebbe maledetto tutti i Silenti, avrebbe giurato sulla sua stessa vita di distruggerli, ma non poteva fare le veci di quei ragazzini, o di Vivienne e Alastair, per quanto la riguardava.
«Andiamo», disse Alastair, come se fosse stata una sua decisione e non un'imposizione dall'alto. Blanc gli volò sulla spalla e il suo verso accompagnò l'uscita di coloro che avevano rischiato la vita per salvare i loro stessi aguzzini.
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A Mercoledì prossimo, spero che la fine di questo capitolo 27 vi sia piaciuta! 🤍
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