20.2 • Il sottotuono
"To be feeling anything
strips you naked"
Song: Ruthlessness - Epic saga
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Nathan era stato spinto; solo la sua chioma, appiattita dall'acqua, era visibile nel nero che lo circondava. Le ciocche erano in subbuglio tra il vuoto dell'acqua e gli schizzi provocati dalle sue mani.
Ma queste stavano afferrando l'aria, alla disperata ricerca di una corda di salvataggio, la sua bocca annaspava in cerca di una manciata di ossigeno.
Non si faceva curare dagli Idro, non si era mai avvicinato al lago dove ero solita fare il bagno in estate.
«Cazzo», urlò Nora correndo verso il bordo, chinandosi a terra, sotto gli occhi costernati di Claudia e Quinlan, ancora avvinghiati nella pozza d'acqua che si era creata attorno a loro.
La bionda ancora scossa da spasmi febbrili, ma gli occhi erano tornati a essere vigili.
Rantolai dietro alla mia amica, più piegata in avanti che in una consona posizione eretta.
Sentivo il cuore uscirmi dalla cassa toracica.
Kalen diede una prima botta con la sua frusta elettrica, più spessa di quella che aveva utilizzato con Claudia, ma Nathan non era in grado di lottare come lo era stata lei, ormai non usciva con il viso dall'acqua da troppi secondi. Gli umani galleggiano, ma se i polmoni si riempiono di liquido diventano come zavorre.
Le gambe mi tremavano, fremevano per la loro inutilità e le loro scosse, non più sotto il poco controllo dell'Energia che dedicavo giornalmente a loro. Faceva troppo caldo per emettere anche la minima quantità di Magia.
«La smetta, ha paura dell'acqua!», gridai a Kalen mentre continuavo ad alternare lo sguardo tra lui e Nathan, che ormai sputava acqua come una fontana. Kalen non rispose, smise con le saette ma non accennò a offrire una mano per tirare su il suo stesso studente.
«Mi butto io», dissi a Nora sovrastando le urla di Claudia e di altri ragazzi, ora finalmente decisi a protestare. Codardi. Spostai Nora con la mano, lei cercò di trattenermi per la caviglia, ma ormai mi ero spinta con le gambe e avevo saltato.
Il tocco con l'Idro era sempre stato qualcosa di naturale per me, era come respirare, come battere le ciglia. Non me ne accorgevo, mi avvolgeva come una coperta leggera di lino.
Ma quella era un'acqua diversa, era un'acqua di rancore e morte e, da quel giorno, sarebbe stata pregna anche della paura di Nathan.
Chiusi gli occhi quando riuscii ad afferrarlo, prendendolo con il braccio da sotto le ascelle, aiutata dall'acqua nel cercare di tenerlo sopra il mio corpo per fargli prendere aria. Nathan annaspò, cercando l'ossigeno come un marinaio dopo il naufragio.
Mi veniva da vomitare, ma l'ondata di adrenalina e la mancanza di sforzi energetici mi permise di reprimere l'impulso atavico.
Con la mano libera feci cenno a Nora di avvicinarsi, e lei serrò la presa sull'altro braccio di Nathan, ormai in preda alle scosse causate dall'asfissia.
Il ragazzo aveva metà corpo sul pavimento e metà in acqua quando mi resi conto di non avere abbastanza forza.
«Non riesco», annaspai, «a spingere più di così.»
L'acqua era calda, ma non così tanto da provocare le bolle che avevo visto sul corpo di Claudia e il braccio di Quinlan.
Ci hanno messo dentro qualcosa?
Nora fece un ulteriore sforzo, scivolando sul pavimento bagnato, prima che arrivasse Quinlan che, solo per quel motivo, aveva lasciato Claudia rannicchiata su una colonna. Una ragazza con cui non avevo mai parlato le stava sorreggendo la testa. La spessa tunica invernale di Nathan gli aveva fatto guadagnare quasi il doppio del suo peso, da sola non potevo niente fuori dall'acqua.
In tre, io che lo spingevo dalle gambe e loro due che lo tiravano per le braccia, riuscimmo a portarlo in salvo. Solo quando fui sicura che lui fosse con tutto il corpo fuori dall'incubo, mi tirai su con le ultime forze che rimanevano. Rantolai a terra strisciando le ginocchia sulle calde pietre per muovermi.
Dopo che ebbe rigurgitato il liquido che gli era finito nei polmoni, poggiai la testa di Nathan sulle mie gambe, che incrociai affinché potessero fargli da cuscino.
I miei vestiti seminavano pioggia come un temporale, erano pregni di quel liquido meschino. Passai veloce le mie dita fra i suoi riccioli per levargli quell'impiccio dal viso accaldato. Nora stava prendendo fiato all'altezza dei suoi fianchi, i gomiti premuti sul pavimento e lo sguardo basso.
Con le mani intorno al collo di Nathan per controllargli i battiti, potevo sentire la sua pelle sotto le mie dita. Era umida, fredda e... troppo.
Staccai in fretta la presa, tirata dai fili della mia mente, ma mi tenni vicina affinché potesse sentire il mio calore, mentre io non potevo altro che sentire il mio respiro farsi affannato.
Il fatto che non potessi neanche più scegliere chi aiutare e come aiutarlo mi dava il voltastomaco più della sensazione stessa di toccare la pelle altrui.
Non mi era neanche più concesso tenere la mano a qualcuno, e la voglia di riprendermi ciò che era mio di diritto risvegliò in me la rabbia assopita.
«Lei è un vigliacco», urlai a Kalen, incurante di quali sarebbero state le conseguenze, sotto gli sguardi cupi delle altre tre persone nelle mie vicinanze. I capelli mi frustrarono il collo nel voltare la testa.
«Spero abbiate imparato la lezione», disse con il solito tono impassibile l'insegnate, congedandosi. Attraversò il gruppo di studenti, che si aprì per fargli strada come un branco di formiche. Il rumore dei suoi stivali rimbombava nella stanza.
«La lezione è finita.»
Lo sguardo che ci offrì il resto dei nostri compagni di classe fu colmo di pietà, ma nessuno rimase per darci una mano, nemmeno la ragazza che poco prima era al capezzale di Claudia.
«Grazie», dissi a Quinlan con ancora la testa di Nathan sulle mie gambe. Stava cominciando a rinvenire, gli occhi si muovevano spasmodici sotto le palpebre arrossate.
«Figurati», rispose con voce dura, ma un delicato sorriso, appena accennato, gli incurvò le labbra secche.
Si scostò delicatamente da Nathan non appena lui aprì definitivamente gli occhi, recandosi nuovamente vicino a Claudia, che ora riusciva finalmente a stare seduta senza l'ausilio altrui.
«Ci hai fatte preoccupare», sentenziò Nora saltandogli al collo, quasi soffocandolo una seconda volta.
Nathan tossì.
«Ehi ehi, stai attenta», risi.
«Grazie, ragazze», pronunciò lui in un fil di voce, muovendo il collo in entrambe le direzioni. I movimenti erano fluidi e controllati.
Bene.
Allungò una mano verso i miei capelli, e si attorcigliò una ciocca intorno al dito indice: un piccolo rampicante intorno alla torre.
«Non hai i capelli bagnati», constatò lasciandoli ricadere sulle mie spalle. La vista dei suoi occhi così vicino ai miei mi confuse.
«Non sono mica andata a fare immersioni», ridacchiai appoggiandomi con i palmi delle mani all'indietro, per stiracchiare la schiena indolenzita.
Quinlan richiamò la nostra attenzione con Claudia avvinghiata alla sua spalla, le mani morbide strette intorno alla vita del ragazzo. Le era tornato un colorito normale sulla pelle del viso, ma le braccia erano costellate da piccole bolle trasparenti.
«La porto in infermeria, ha bisogno di Seraphine.»
Annuii, sentendo Nathan fare lo stesso. Nora si alzò delicatamente in piedi, pulendosi i pantaloni, e adagiò la sua tunica sulle gambe del ragazzo.
«Vado anche io. Ho bisogno di bere», e si affrettò ad aggiungere: «un po' d'acqua».
Non la trattenni, le pupille dilatate e il ritmo con cui il suo petto si alzava e abbassava non potevano essere scambiate per altro. Ormai nessuno tranne noi due era più nella stanza, non c'era niente ad attutire i rumori; i passi dei tre divennero presto un'eco lontana.
Ora la pozza d'acqua era tornata a essere normale acqua, l'odore di zucchero solo un sentore superficiale.
Il silenzio era agghiacciante, il fatto che Nathan potesse svenire da un momento all'altro mi terrorizzava, ancora di più il rischio di uno shock.
Non riuscii a fare molto, ma posizionai una mano in alto sopra la testa di Nathan e permisi alle mie mani di muoversi a loro piacimento. La temperatura del sottotuono era leggermente più sopportabile senza l'aggiunta del calore umano.
Piccole e deboli scintille cominciarono a formarsi intorno ai miei arti, timide lucciole diurne.
«Che stai facendo?» domandò Nathan sbattendo lentamente le palpebre, ancora arrugginite.
«Contale», replicai, «sei in uno stato d'ansia. Contale.»
Non mi servivano i poteri dell'Idro per affibbiare un nome cose semplici come quella.
Resi la tunica di Nora un cuscino improvvisato e appoggiai la testa di Nathan su di esso, lasciando delle piccole scosse di Energia volteggiare sopra il suo sguardo.
«Conta. Devo controllare come sta il resto della pelle.»
Le sue labbra erano arrossate, il corpo visibile era privo di bolle, ma dovevo accertarmi che le gambe non avessero perso il loro colore.
«Ariadne», mi disse, lo sguardo puntato su di me.
«Conta», ripetei; ormai era una litania. Mi serviva vertere la mia concentrazione su altro. «Devo essere sicura che tu stia bene.»
«Uno.»
Mi spostai verso i pantaloni di Nathan, tirai su prima la gamba sinistra, integra e colorita. Nemmeno un graffio.
«Ariadne», ripeté Nathan, ma ormai stavo lavorando a memoria muscolare.
«Due.»
Tirai su il tessuto dei pantaloni della gamba destra, strappando leggermente il tessuto, e l'acciaio della sua gamba si illuminò sotto il riflesso della luce che proveniva dal lucernario. Il mio sospiro rimbombò nell'eco.
La lucina rossa che avevo avvertito in allenamento proveniva da quella.
«Non volevo la vedessi», disse Nathan ritraendo la gamba, che cigolò per l'acqua che con ogni probabilità l'aveva riempita nelle sue cavità.
«Devi contare, Nathan, non mi interessa della tua gamba», risposi tenendo lo sguardo fisso sul metallo, troppo insicura per alzarlo.
«Le ho già contate tutte, Dani.»
Era come ero stata io con mio padre, l'ultima volta che lo avevo visto, ormai due mesi prima.
«Quante sono? Quante scintille sono?»
Rispose sicuro: «Sedici».
Le spensi subito con un rapido movimento della mano. Erano sedici, aveva contato bene. Lo guardai, implorava di essere guardato.
«Ce l'ho da quando ho cinque anni», mi informò accovacciandosi, sottraendo la protesi di metallo alla mia vista. Riabbassò l'orlo dei pantaloni, una brodaglia di stoffa e alghe.
«Non è la prima volta che noto che sei in preda al panico. Non dico che non fossero situazioni terrificanti ma... Se mi dici cosa c'è che non va posso aiutarti.»
Vomitai le parole come un fiume in piena, avevo appena abbattuto la diga. Sentivo il petto diramare calore, tutta l'energia del corpo si era racchiusa lì, allontanandosi dal resto degli arti.
«È da quattordici anni che sono così, non è una cosa che si risolve», rispose, il suo colorito normale che ormai faceva timidamente capolino sulle guance. La stanza all'improvviso si era fatta fredda, ero scossa da tremiti lungo tutto il corpo.
«Posso trovare delle erbe, posso... chiedere a mio padre o a Layla. Loro sicuramente sanno cosa fare», proseguii seguendo con lo sguardo il flusso del sangue nella sua vena sul collo. Anche quello era normale.
«Ci sono tante cose che non vanno in me, Ariadne. Sono malato, non può esserci una cura, e tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro.»
Arretrai con il petto, allontanandomi dalle sue gambe e accucciandomi contro il muro ai suoi piedi. Una parte di me avrebbe voluto fare una lista dei sintomi, analizzarli ed elaborare una strategia di trattamento. L'altra non poteva. Analizzare significa conoscere, e conoscere vuol dire riflettere negli altri le proprie paure.
«Io a volte non riesco a respirare, non so neanche se sarò vivo il giorno a seguire. E a volte mi dispero quando lo sono», disse affondando la testa nelle mani. Le parole cadevano come una frana, un macigno che mi colpiva la testa a ogni sillaba.
«Dani, non so cosa sia reale e cosa no.»
Appoggiai il mio stivale contro il suo, premendo sulla punta delle dita.
«Non sei malato, Nathan. Sei una persona a cui è stato fatto del male e, credimi, lo capisco. Ti dirò io cos'è reale. Tu chiedimelo e io ti dirò cos'è reale.»
Sulle mie braccia cominciarono ad apparire i segni della pelle d'oca, piccole increspature che da piccola stupidamente chiamavo "i monti".
«Siamo al sottotuono.»
«Reale.»
La stanza era tonda, il lucernario faceva entrare poca luce e dalla pizza fuoriusciva un capire stantio.
«Non siamo più a Brental.»
«Reale.»
Brental era un ricordo lontano, una casa a cui non saremmo tornati prima dello scadere dei tre anni. Era solo un paese circondato da fiumi, un nome su una mappa. Nulla di più.
«Erano sedici scintille. Sei stata brava.»
«Sì erano sedici, reale. Grazie.»
Non sentivo più elettricità nel corpo, solo ossa fragili e muscoli molli.
«Sto annegando.»
«No, Nathan. Stai bene.»
Era lì davanti a me, sdraiato e debole ma stava bene.
Lui chiuse lentamente gli occhi, lasciò scivolare la testa di lato, il collo che pendeva verso destra.
«Nathan!»
Mi buttai verso di lui, pregando la Grande Madre dell'Elettro che Nora portasse Seraphine da noi.
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Finito (per ora) il tormento.
Cosa ne pensate di quello che è successo? E di Nora?
Questo era l'ultimo capitolo della seconda parte, nel prossimo capitolo vedremo Erdelia e poi ci sarà un focus su Nora^^
A Mercoledì prossimo! 🤍
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